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Non possiamo che andarcene da lì


GIANNI VATTIMO, il manifesto

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11 maggio 2004 - Ora la guerra d'Iraq, e di Palestina, e di Afghanistan, è 
diventata davvero infinita, come Bush aveva profetizzato, e voluto, fin 
dall'inizio. Le scene di tortura che si sono viste nelle tante foto-ricordo 
che si stanno pubblicando avranno l'effetto che le immagini dei campi di 
sterminio scoperti nell'aprile del 1945 hanno avuto sull'opinione pubblica 
del mondo di allora. Con l'esercito che ha perpetrato questi delitti non 
c'è pacificazione possibile, almeno fino a quando i gerarchi della potenza 
occupante non saranno stati processati in una nuova Norimberga. Fino ad 
allora, la guerra non finirà, nessuno crederà che questo esercito 
torturatore e i suoi capi, su su fino al capo supremo, possano davvero 
ristabilire la pace in Iraq e meno che mai portarvi la democrazia. Non è 
una valutazione ideologica, è un dato di fatto; solo una informazione - 
come la nostra qui nel «civile» Occidente - arcimanipolata e narcotizzata, 
a stento svegliata dalle foto di tortura, potrebbe ancora fidarsi di una 
dirigenza politica, come quella americaana, che sapendo da mesi quello che 
stava succedendo nelle carceri irachene non ha cambiato neanche uno dei 
capi da cui tutto dipendeva. La favola della esportazione della democrazia, 
già poco credibile per i bombardamenti che dovevano realizzarla, si rivela 
in tutta la sua tragica oscenità. Che senso ha ancora aspettare che il 30 
giugno gli americani passino il potere a un governo iracheno «democratico» 
attraverso i buoni uffici dell'Onu? Restare in Iraq in queste condizioni, 
anche un solo minuto di più, vorrebbe dire solo aiutare i torturatori a 
continuare la loro opera, oppure aiutarli a difendersi dalla sacrosanta 
vendetta popolare.

Ci sarebbe un solo modo decente di restare in Iraq: fare dei nostri 
militari il nucleo di una brigata europea che aiuti gli iracheni a cacciare 
via gli occupanti anglo-americani. Sarebbe un importante rovesciamento di 
fronte, l'esercito italiano lo ha fatto già un'altra volta, anche prima che 
lo ordinasse sua maestà il re, e ha fatto bene. Niente fuga codarda, 
dunque, come ci rimprovera il superfalco Giuliano Ferrara, quando parla di 
una Europa sorniona, impotente, incapace di scelte e impegno. Diciamolo una 
volta per tutte: noi non abbiamo paura di combattere, e nemmeno siamo 
partigiani della non violenza a tutti i costi; se c'è da fare una guerra di 
difesa e di liberazione, cercheremo almeno di rispettare la convenzione di 
Ginevra, che l'Occidente «democratico» si mette tranquillamente sotto i 
piedi, orgoglioso del fatto che qualche giornalista curioso riesce poi a 
violare l'omertà del Pentagono e pubblica le foto. L'Europa sarà impotente 
e sorniona solo fino a che si sforzerà di credere che i suoi interessi sono 
quelli dell'Occidente «amerikano», mantenendo la posizione di «accodata» 
che è concessa all'Italia nella coalizione dei volonterosi alleati di Bush 
e Blair. Siamo accodati perché non ci crediamo davvero, perché i popoli 
della vecchia Europa non credono davvero alla guerra di Bush, e traccheggia 
come i tanti tricicli che ingombrano le strade della politica italiana. 
L'Occidente della coalizione a cui noi siamo stati con riluttanza accodati 
non è quello dell'Europa; e anzi, sempre più chiaramente, si svela come il 
vero nemico della pace, cioè anche dei valori europei a cui la nostra 
civiltà è legata. Riconoscere il vero nemico è la prima condizione per 
uscire dalla neghittosità codarda. Giuliano Ferrara sarà d'accordo?

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