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LA COSIDDETTA "SINDROME DEI BALCANI": UN APPROCCIO BIOINGEGNERISTICO
Antonietta Morena Gatti è un fisico e un bioingegnere ed è la fondatrice e
la direttrice del Laboratorio dei Biomateriali dell'Università di Modena e
Reggio Emilia. E' la scopritrice della presenza di micro- e nano-particelle
nei tessuti biologici e dei loro effetti patologici. La Comunità Europea
l'ha incaricata di coordinare il gruppo di studi internazionale sulle
nanopatologie.
Stefano Montanari è laureato in farmacia ed opera come consulente
scientifico. Collabora con la dott.ssa Gatti da circa 25 anni.
LA COSIDDETTA "SINDROME DEI BALCANI": UN APPROCCIO BIOINGEGNERISTICO
E' un fatto noto, ampiamente riportato dai mezzi d'informazione, che un
numero non trascurabile di reduci della Guerra del Golfo (1990-91) mostra
ciò che secondo la medicina sono sintomi di malattia reciprocamente non
correlati. Alcuni di questi possono essere attribuiti allo stress: cefalee,
per esempio, o turbe del sonno, o mancanza di memoria o difficoltà di
concentrazione. Altri sintomi come affaticamento cronico, o dolori
muscolari ed articolari, o dispnea sono un po' più difficili da
classificare, mentre cancri, diversi e, in alcuni casi, quanto mai
insoliti, disturbi del sistema genito-urinario, l'aumento nell'incidenza di
malformazioni fetali tra i figli dei reduci e le turbe del sangue e degli
organi ematopoietici devono essere fatti risalire a cause che non possono
legittimamente essere imputabili allo stress. Altre patologie da cui i
reduci sono colpiti, come la morte improvvisa e il morbo di Lou Gehrig,
sono oggetto di studio per verificare la loro eventuale significatività.
Malauguratamente, però, il problema è più vasto e non circoscritto a quel
gruppo di popolazione militare.
Sintomi assai simili si rilevano nei soldati che furono impegnati nei
territori della ex-Jugoslavia durante la cosiddetta Guerra dei Balcani,
aggravati da un'incidenza insolitamente elevata di linfomi Hodgkin e
non-Hodgkin. Oltre ai soldati, anche il personale delle missioni umanitarie
così come i residenti jugoslavi soffrono degli stessi sintomi.
Il professor Edo Hasanbegovic, primario della Clinica Pediatrica di
Sarajevo, ha denunciato come le leucemie siano in aumento tra i bambini in
tutta la Federazione Jugoslava, ma soprattutto tra quelli provenienti da
Velika, Kladusa e Buzim, cittadine situate nei pressi del confine croato.
Una spiegazione fu avanzata quando nel marzo 2000 la NATO rivelò che
proiettili all'uranio impoverito (DU = Depleted Uranium) erano state
impiegate nei Balcani e nel 2001 l'agenzia di protezione ambientale
dell'ONU (UNEP) rilevò tracce di radioattività non lontano da Sarajevo, in
una caserma a Han Pijsak e in due punti di una fabbrica a Hadzici.
Si è osservato con frequenza come la radioattività sia un fattore d'innesco
per diverse patologie tumorali, e Hiroshima e Nagasaki hanno insegnato una
dolorosa lezione in proposito. Così l'uranio fu individuato immediatamente
come il capro espiatorio sul quale far ricadere le responsabilità.
Per una migliore comprensione, è necessario sapere che il DU era usato per
fabbricare un componente di alcuni proiettili usati in quella guerra, ma la
radioattività non giocò alcun ruolo nella scelta. Alte densità e durezza
erano le caratteristiche essenziali per rendere quei proiettili, chiamati
penetratori cinetici, particolarmente adatti a perforare armature anche
molto spesse. Il DU è ciò che resta quando la maggior parte degl'isotopi
più radioattivi sono stati tolti per essere usati in armi o in carburanti
nucleari. Lo stesso DU delle bombe trova impiego anche nell'industria
civile, principalmente come zavorra stabilizzatrice in aerei e scafi. Di
fatto, l'uranio è una miscela di tre isotopi: U235, U234 e U238. Quando il
contenuto di U235 scende al di sotto dello 0,711%, l'uranio è classificato
come "impoverito", e la miscela usata nei Balcani conteneva meno dello 0,2%
di quell'isotopo.
Il DU è all'incirca il 40% meno radioattivo dell'uranio naturale ed emette
particelle alfa e beta, oltre a raggi gamma. Le particelle alfa non
riescono ad oltrepassare la barriera opposta dalla cute, mentre le beta
sono bloccate dalla maggior parte degl'indumenti. I raggi gamma sono una
forma d'energia altamente penetrante, ma la quantità emessa dal DU è molto
bassa.
Non si può certo dire che la radioattività prodotta da quegli armamenti sia
salutare, ma la sua responsabilità per una situazione sanitaria così
insolita resta almeno dubbia, se osservata da un punto di vista scientifico.
In aggiunta a questo, un'altra prova solleva ulteriori dubbi circa
l'origine radioattiva delle patologie. Una quantità più alta di quanto non
ci si potesse aspettare di linfomi e sintomi identici a quelli lamentati
dai reduci della Guerra dei Balcani vennero alla luce tra dei soldati
italiani che non erano mai stati impegnati in teatri di guerra né erano mai
venuti in alcun modo in contatto con armi radioattive. La condizione che
accomunava quei militari era il loro impiego in poligoni di tiro.
Nel frattempo ci fu chi cercò di far ricadere la responsabilità sulle
vaccinazioni multiple cui i militari furono sottoposti nel corso della così
chiamata Operazione Desert Storm, ma senza essere capace di fornire alcuna
dimostrazione scientifica a sostegno della tesi.
Di fatto, in aggiunta alle abituali vaccinazioni contro tetano-difterite,
epatite B, poliovirus, meningococco, febbre tifoide e febbre gialla, le
truppe americane furono trattate con Botulino Pentavalente, un prodotto
privo di licenza negli USA, come vaccino contro il botulismo.
Poi furono vaccinati contro l'antrace, e il farmaco usato è di provata
teratogenicità, tanto che le donne trattate sono avvertite di non restare
incinte per almeno tre anni.
Infine le truppe ricevettero bromuro di Piridostigmina, non un vaccino ma
un pretrattamento contro agenti nervini. Il farmaco, normalmente usato per
la cura della miastenia grave, non è approvato dalla Food and Drug
Administration come antidoto ai gas nervini e i suoi effetti collaterali
sono potenzialmente molto pericolosi.
Però quelle medicine furono somministrate solo ai soldati statunitensi,
mentre la Sindrome del Golfo colpì anche civili e militari di altre
nazionalità.
E allora non è stata data risposta alla domanda: perché chi vive in teatri
di guerra e i soldati che lavorano in particolari condizioni contraggono
quelle malattie con frequenza così allarmante?
Il nostro Laboratorio dei Biomateriali dell'Università di Modena e Reggio
Emilia è impegnato nel controllo di campioni bioptici ed autoptici
provenienti da pazienti che fanno parte delle categorie descritte sopra. E'
un fatto indiscutibile che tutti i campioni contengano micro- e
nano-particelle inorganiche, mentre può essere interessante osservare che
nessuno di loro ha mostrato di contenere anche solo tracce di uranio.
Dal punto di vista tecnico, quei piccolissimi detriti diventano visibili
con l'impiego di una tecnica innovativa di microscopia elettronica che noi
abbiamo sviluppato e che è già stata descritta in letteratura.
Ciò che abbiamo trovato sono detriti estremamente minuscoli, a volte
agglomerati, di metalli semplici o combinati: Fe-Si, Cu-Cl-Zn, Si-Ti-Fe-Al,
Si-Bi, Si-Pb, Fe-Cu-Zn, Cr-Fe-Ni, Fe-Mn e, ma in un solo caso Zr da solo.
La forma sferica, cava per gli esemplari più grossi, di gran parte delle
particelle testimonia della loro formazione ad altissima temperatura, una
condizione compatibile con quella dell'esplosione di un proiettile al DU.
Questi proiettili colpiscono bersagli disparati, ma in particolare edifici
ed armamenti come, ad esempio, carri armati, e, quando lo fanno, la
temperatura circostante in un piccolo intorno supera i 3.000°C, il che è
più che sufficiente perché la materia solida sublimi e, in alcuni casi,
formi nuove leghe metalliche. Il gas si espande su grandi volumi di
atmosfera, poi la materia si risolidifica con rapidità assumendo la forma
di palline quanto mai minuscole (fino ad un diametro di 10-8m), resta
sospesa in aria ed è trasportata per distanze che dipendono dalle
condizioni atmosferiche di vento, di precipitazioni e di pressione. Questo
fenomeno fu studiato presso la base dell'aeronautica militare statunitense
di Leglin (Florida) già nel 1977-78.
Con il tempo, tutte le particelle sospese precipitano lentamente e si
depositano sull'erba, sulle verdure, sulla frutta o sugli specchi d'acqua
dove diventano inevitabilmente ospiti di cibi e bevande per animali ed
uomini allo stesso modo. Anche conoscendo in anticipo quella presenza
indesiderata - ma spesso la s'ignora - liberarsi completamente delle
particelle inorganiche può essere molto difficile. Un buon lavaggio elimina
una grande quantità di detriti da frutta e verdura, ma i cavoli, per
esempio, a causa della loro rugosità superficiale non si possono pulire del
tutto, mentre di quelle particelle che sono entrate nei tessuti degli
animali che le hanno ingerite con il foraggio contaminato, e che l'uomo
mangia insieme con la carne, non ci si può liberare nemmeno in minima parte.
Tenendo presenti il noto, anche se ben poco pubblicizzato, fenomeno
studiato a Leglin e la nuova scienza delle nanopatologie, diventa ora
facile rispondere alla domanda.
Chi frequenta i poligoni di tiro e i teatri di guerra, e qui l'essere
militari o civili non fa differenza, inala l'aerosol di micro- e
nano-particelle mentre queste sono sospese nell'aria, poi, eventualmente,
le mangia e le beve insieme con i vegetali e con l'acqua.
Le nostre ricerche hanno ampiamente dimostrato come una volta che i detriti
compresi in quelle dimensioni (10-9 - 10-5 m) entrino nel corpo, sia
attraverso l'apparato digerente sia attraverso quello respiratorio,
attraversino con facilità i tessuti luminali e possano essere catturati da
quegli stessi tessuti che si comportano come veri e propri filtri, ovvero
possano essere portati via dal sangue o dalla linfa per terminare il loro
tragitto in qualche organo (per esempio, reni e fegato). I linfonodi, per
esempio, sono le strutture dove i linfomi hanno inizio e si sviluppano e
nei quali, in tutti i casi patologici esaminati, abbiamo trovato la
presenza di particelle inorganiche. Ma anche tutti gli altri tessuti
patologici che ci è stato dato di osservare hanno mostrato chiaramente e
senza eccezione la presenza di detriti.
Per offrire un'ulteriore conferma dell'applicabilità della teoria secondo
cui la cosiddetta Sindrome dei Balcani ha un'origine ambientale e
nanopatologica, le particelle trovate nei tessuti malati di civili e
militari e le particelle trovate nel terreno dei territori dove le
patologie furono contratte sono reciprocamente compatibili.
Se non abbiamo trovato uranio, questo non significa necessariamente che non
ce ne sia in qualche tessuto dei pazienti. Probabilmente il mancato
ritrovamento è da imputare alla sua quantità, che è estremamente scarsa se
confrontata con le masse enormi dei bersagli che sublimano e che non
contengono l'elemento. E' pure possibile che particelle d'uranio siano
state catturate dai tessuti senza raggiungere la concentrazione critica
capace d'innescare la reazione patologica. Se è così, i campioni di quei
tessuti non ci sono stati consegnati per il controllo.
In conclusione, la responsabilità del DU non è che indiretta ed è da
imputare non alla radioattività ma all'altissima temperatura che questo
sviluppa una volta che il proiettile di cui è un componente colpisca il
bersaglio.
E' dunque possibile che la Sindrome dei Balcani abbia un'origine
multifattoriale da cui radioattività e vaccinazioni non possano essere
escluse, ma la causa principe è sicuramente nanopatologica.
Per ulteriori informazioni sulle nanopatologie www.biomat.unimo.it/nanopat.htm
dott. Stefano Montanari