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IN UN TESTO IL PROGETTO PER SOTTOMETTERE IL MONDO
Fonte: Missione Oggi - Giugno/Luglio 2003
DOSSIER
A cura della REDAZIONE
USA: IN UN TESTO IL PROGETTO
PER SOTTOMETTERE IL MONDO
La "strana" guerra contro l'Iraq si è ufficialmente conclusa, lasciando però
molti problemi aperti, sia sul futuro di quel paese e dell'occupazione
anglo-americana nell'area, sia sul senso di quel conflitto.
Come noto, le motivazioni ufficiali con grande disinvoltura sono rapidamente
cambiate: dal non rispetto delle risoluzioni Onu, alla presenza accertata
dall'intelligence Usa di armi di istruzione di massa, alla necessità di
abbattere la dittatura sanguinaria di Saddam Hussein e ripristinare la
democrazia. Un cambiamento sostanziale obbligato dal fatto che gli argomenti
agitati come verità assolute dalla propaganda americana si andavano via via
sgretolando.
Tuttavia la guerra è stata scatenata e il governo italiano, seguito dalla
maggioranza dei mezzi di comunicazione ad esso asserviti, si è accodato alle
"verità" mutanti e accomodanti del comandante in capo d'Oltreoceano.
Per capire allora il senso vero di questa guerra, come della precedente in
Afghanistan, può essere utile scorrere i documenti che pubblichiamo in
questo Dossier. Anche perché ci aiutano a chiarire come la strategia
neo-imperialista dell'attuale Amministrazione Bush venga da molto lontano e
prescinda del tutto dalla tragedia delle Torri Gemelle. Quell'evento ha
funzionato come acceleratore di un processo già avviato e di lungo periodo:
ha creato le condizioni - politiche e di consenso - perché si cominciasse ad
attuare subito un disegno di dominio americano sul mondo basato su una
schiacciante preponderanza della forza militare e sulla capacità di colpire
prima che una potenziale minaccia si concretizzi.
In questo senso, Bin Laden e Saddam Hussein (forse non a caso ambedue
collegati in passato ai servizi statunitensi e ambedue finora uccel di
bosco) hanno funzionato perfettamente da specchietto per le allodole, agendo
da catalizzatori di un vasto movimento delle coscienze nordamericane protese
a rivendicare la legittimità e la necessità di una politica aggressiva dell'
America per un nuovo ordine mondiale modellato sui propri interessi e sui
propri valori.
Come per i falchi della Roma repubblicana, il saccheggio della città da
parte dei Galli nel 390 a. C. rappresentò un'ottima ragione per avviare
quelle infinite "guerre preventive" volte a spingere il limes più lontano
possibile dalle mura di Romolo fino alla costruzione dell'impero universale,
così l'11 settembre del 2001 diventa per i consiglieri di Bush, i fanatici
dell'imperialismo americano del Proiect for a New American Century, l'
insperata occasione per dar corso ai loro progetti effettivamente azzardati
e antistorici, come loro stessi riconoscevano ("Una tale politica reaganiana
di forza militare e chiarezza morale può non essere di moda oggi").
È questa la riedizione postmoderna della strategia imperiale dell'antica
Roma: si vis pacem para bellum, se vuoi la pace, prepara la guerra.
È L'INTERO PIANETA AD ESSERE A RISCHIO
Che cosa può significare per il futuro dell'umanità il dispiegarsi di una
simile strategia, da parte degli Usa, è purtroppo facile da prevedersi. Le
conseguenze possono essere terribili, non solo per la sostanziale
inefficacia anche rispetto agli obiettivi che vengono proclamati, ma per le
reazioni disperate, i grumi di violenza cieca, la capacità distruttiva che
provocheranno.
L'inefficacia è già sotto gli occhi di chi vuol osservare la situazione,
rinunciando al fanatismo oggi dilagante nel mondo occidentale tanto se non
più che in alcuni settori dell'islamismo fondamentalista.
Dopo le due recenti guerre agli Stati canaglia santuari del terrorismo,
quest'ultimo è più vitale che mai, anzi mostra di aver ampliato l'area del
proselitismo.
Non solo. Tutte le guerre condotte dall'Occidente, dopo la fine del
bipolarismo, nel segno dei valori occidentali, dell'intervento umanitario,
della democrazia, si sono rivelate un sostanziale fallimento. Clamoroso, in
questo senso, l'intervento in Somalia, terminato con una poco onorevole fuga
alla chetichella delle armate pacificatrici (Usa e Italia). Ma se andiamo a
vedere anche l'eredità lasciata in Bosnia o la situazione in Kossovo, non si
può dire che gli obiettivi dichiarati di convivenza pacifica tra gruppi
nazionali diversi, di democrazia e rispetto delle minoranze si siano a tutt'
oggi concretizzati. Per non parlare della vicenda afghana, vittoriosa
"guerra lampo" che dopo oltre un anno continua feroce, con un governo
fantoccio a Kabul privo di ogni legittimità se non la tutela americana,
capace a malapena di controllare l'area della capitale. E, per le libere
elezioni, nessuno è in grado di ipotizzare una data futura. La situazione
dell'Iraq è sotto gli occhi di tutti.
Ma ciò che deve preoccupare è che l'imposizione del nuovo ordine per il
secolo americano ha costi elevatissimi e l'Occidente corre il rischio, come
sostiene uno studioso americano, Jeremy Rifkin, di rivivere l'ineluttabile
processo della caduta dell'impero romano: rinunciare all'impero non era
possibile e, in qualche modo, si era costretti a perpetuarlo, pur sapendo
che i costi del suo mantenimento (la difesa degli immessi confini) erano
economicamente insostenibili e avrebbero condotto alla catastrofe. Ecco, l'
attuale Amministrazione Bush, prigioniera del suo fanatismo, sembra essere
posseduta da un'analoga sindrome distruttiva ed autodistruttiva.
Il dramma è che, in questo caso, ad essere a rischio è il pianeta, la sorte
dell'umanità intera. Una ragione non piccola per contrastare in ogni modo il
Progetto per un nuovo secolo americano.
MARINO RUZZENENTI