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La nonviolenza e' in cammino. 540



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 540 del 19 marzo 2003

Sommario di questo numero:
0. Comunicazione di servizio: il possibile
1. Ripudia la guerra
2. Guenther Anders, tesi sull'eta' atomica
3. Donne in nero, per Rachel
4. Operazione Colomba, dalla Striscia di Gaza
5. Un appello contro la guerra di ottocento reduci delle forze armate
statunitensi
6. "Mediawatch", osservatorio sulle menzogne di guerra
7. Marinella Correggia, biciclette di pace
8. Ileana Montini: antropologia, intercultura e oppressione di genere
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

0. COMUNICAZIONE DI SERVIZIO: IL POSSIBILE
Ci scusiamo con tutti i nostri interlocutori per il fatto che non riusciamo
a pubblicare molti utilissimi interventi e non riusciamo neppure a
rispondere che a una minima parte delle lettere piu' urgenti che ci
pervengono. Ma alle centinaia di e-mail che riceviamo abitualmente ogni
giorno, in queste ultime settimane e sempre piu' in questi ultimi giorni con
l'approssimarsi della catastrofe bellica se ne sono aggiunte altre
centinaia. Ci sforziamo di leggere tutte le lettere che ci giungono, e tutte
e tutti coloro che ce le inviano ringraziamo di cuore. E tutti preghiamo di
portare pazienza se sovente qualcosa di importante ci sfugge: cerchiamo di
fare il possibile.

1. EDITORIALE. RIPUDIA LA GUERRA
"L'Italia ripudia la guerra" e' scritto nella legge fondamentale del nostro
ordinamento giuridico; "tu non uccidere" e' scritto nelle tavole delle piu'
importanti tradizioni di pensiero della cultura umana; "la guerra e' sempre
omicidio di massa", ha scritto una volta per sempre Mohandas Gandhi.
Alla guerra occorre opporsi sempre, poiche' di tutti i delitti essa e' il
piu' grande, il piu' atroce. Massime nell'epoca in cui esistono armi
efficienti ad annientare l'umanita' intera.
Alla guerra occorre opporci tutti: dunque non aspettare che altri faccia
qualcosa contro la guerra, sei anche tu che devi farlo.
Con i tanti gesti di opposizione all'uccidere e di solidarieta' coi viventi,
con le necessarie azioni che contrastino il terrore e le stragi, e
costruiscano umana convivenza, umana dignita'.
Con lo sciopero generale contro la guerra, con le azioni dirette nonviolente
contro la macchina bellica, con la disobbedienza civile di massa ai poteri
terroristi e stragisti, con la denuncia penale dei terroristi e stragisti.
Con la scelta della nonviolenza.

2. MATERIALI. GUENTHER ANDERS: TESI SULL'ETA' ATOMICA
[Ancora una volta ripubblichiamo questo breve ma capitale testo di Guenther
Anders. Ancora una volta proponendolo a tutti i nostri interlocutori come
una occasione di riflessione e come uno strumento ermeneutico. Guenther
Anders e' stato forse il pensatore che con piu' rigore e concentrazione e
tenacia ha pensato la condizione dell'umanita' nell'epoca delle armi che
mettono in pericolo la sopravivvenza stessa della civilta' umana. Insieme a
Hannah Arendt, ad Hans Jonas (e ad altre e altri, certo) e' tra gli
ineludibili punti di riferimento del nostro riflettere e del nostro agire.
Il testo riprendiamo dall'appendice all'edizione italiana del libro di
Guenther Anders, Der Mann auf der Brueke. Tagebuch aus Hiroshima und
Nagasaki, apparso col titolo Essere o non essere, presso Einaudi, Torino
1961, nella traduzione di Renato Solmi (questo maestro grande e generoso che
cogliamo l'occasione per salutare). Come li' si specifica, queste Tesi sull'
eta' atomica sono "un testo improvvisato dall'autore dopo un dibattito sui
problemi morali dell'eta' atomica organizzato da un gruppo di studenti
dell'Universita' di Berlino-Ovest, e uscito nell'ottobre 1960 nella
rivistina "Das Argument - Berliner Hefte fuer Politik und Kultur" [nota del
traduttore]". Guenther Anders (pseudonimo di Guenther Stern, "anders"
significa "altro" e fu lo pseudonimo assunto quando le riviste su cui
scriveva gli chiesero di non comparire col suo vero cognome) e' nato a
Breslavia nel 1902, fu allievo di Husserl e si laureo' in filosofia nel
1925. Costretto all'esilio dall'avvento del nazismo, trasferitosi negli
Stati Uniti d'America, visse di disparati mestieri. Tornato in Europa nel
1950, si stabili' a Vienna. E' scomparso nel 1992. Strenuamente impegnato
contro la violenza del potere e particolarmente contro il riarmo atomico, e'
uno dei maggiori filosofi contemporanei. Opere di Guenther Anders: Essere o
non essere, Einaudi, poi Linea d'ombra; La coscienza al bando - Il pilota di
Hiroshima, Einaudi, poi Linea d'ombra; L'uomo e' antiquato, vol. I edito dal
Saggiatore, vol. II edito da Bollati Boringhieri; Discorso sulle tre guerre
mondiali, Linea d'ombra; Opinioni di un eretico, Theoria; Noi figli di
Eichmann, Giuntina; Stato di necessita' e legittima difesa, Edizioni Cultura
della Pace. Si vedano inoltre: Kafka. Pro e contro, Corbo; Uomo senza mondo,
Spazio Libri; Patologia della liberta', Palomar. In rivista testi di Anders
sono stati pubblicati negli ultimi anni su "Comunita'", "Linea d'ombra",
"Micromega"]
Tesi sull'età atomica
*
Hiroshima come stato del mondo. Il 6 agosto 1945, giorno di Hiroshima, e'
cominciata un nuova era: l'era in cui possiamo trasformare in qualunque
momento ogni luogo, anzi la terra intera, in un'altra Hiroshima. Da quel
giorno siamo onnipotenti modo negativo; ma potendo essere distrutti ad ogni
momento, cio' significa anche che da quel giorno siamo totalmente impotenti.
Indipendentemente dalla sua lunghezza e dalla sua durata, quest'epoca e'
l'ultima: poiche' la sua differenza specifica, la possibilita'
dell'autodistruzione del genere umano, non puo' aver fine - che con la fine
stessa.
 *
Eta' finale e fine dei tempi. La nostra vita si definisce quindi come
"dilazione"; siamo quelli-che-esistono-ancora. Questo fatto ha trasformato
il problema morale fondamentale: alla domanda "Come dobbiamo vivere?" si e'
sostituita quella: "Vivremo ancora?". Alla domanda del "come" c'e' - per noi
che viviamo in questa proroga - una sola risposta: "Dobbiamo fare in modo
che l'eta' finale, che potrebbe rovesciarsi ad ogni momento in fine dei
tempi, non abbia mai fine; o che questo rovesciamento non abbia mai luogo".
Poiche' crediamo alla possibilita' di una "fine dei tempi", possiamo dirci
apocalittici; ma poiche' lottiamo contro l"apocalissi da noi stessi creata,
siamo (e' un tipo che non c'e' mai stato finora) "nemici dell'apocalissi".
*
Non armi atomiche nella situazione politica, ma azioni politiche nella
situazione atomica. La tesi apparentemente plausibile che nell'attuale
situazione politica ci sarebbero (fra l'altro) anche "armi atomiche", e' un
inganno. Poiche' la situazione attuale e' determinata esclusivamente
dall'esistenza di "armi atomiche", e' vero il contrario: che le cosiddette
azioni politiche hanno luogo entro la situazione atomica.
*
Non arma ma nemico. Cio' contro cui lottiamo, non e' questo o
quell'avversario che potrebbe essere attaccato o liquidato con mezzi
atomici, ma la situazione atomica in se'. Poiche' questo nemico e' nemico di
tutti gli uomini, quelli che si sono considerati finora come nemici
dovrebbero allearsi contro la minaccia comune. Organizzazioni e
manifestazioni pacifiche da cui sono esclusi proprio quelli con cui si
tratta di creare la pace, si risolvono in ipocrisia, presunzione compiaciuta
e spreco di tempo.
*
Carattere totalitario della minaccia atomica. La tesi prediletta da Jaspers
fino a Strauss suona: "La minaccia totalitaria puo' essere neutralizzata
solo con la minaccia della distruzione totale". E' un argomento che non
regge. 1) La bomba atomica e' stata impiegata, e in una situazione in cui
non c'era affatto il pericolo, per chi la impiego', di soccombere a un
potere totalitario. 2) L'argomento e' un relitto dell'epoca del monopolio
atomico; oggi e' un argomento suicida. 3) Lo slogan "totalitario" e' desunto
da una situazione politica, che non solo e' gia' essenzialmente mutata, ma
continuera' a cambiare; mentre la guerra atomica esclude ogni possibilita'
di trasformazione. 4) La minaccia della guerra atomica, della distruzione
totale, e' totalitaria per sua natura: poiche' vive del ricatto e trasforma
la terra in un solo Lager senza uscita. Adoperare, nel preteso interesse
della liberta', l'assoluta privazione della stessa, e' il non plus ultra
dell'ipocrisia.
*
Cio' che puo' colpire chiunque riguarda chiunque. Le nubi radioattive non
badano alle pietre miliari, ai confini nazionali o alle "cortine". Cosi',
nell'eta' finale, non ci sono piu' distanze. Ognuno puo' colpire chiunque ed
essere colpito da chiunque. Se non vogliamo restare moralmente indietro agli
effetti dei nostri prodotti (che non ci procurerebbe solo ignominia mortale,
ma morte ignominiosa), dobbiamo fare in modo che l'orizzonte di cio' che ci
riguarda, e cioe' l'orizzonte della nostra responsabilita', coincida con
l'orizzonte entro il quale possiamo colpire o essere colpiti; e cioe' che
diventi anch'esso globale. Non ci sono piu' che "vicini".
*
Internazionale delle generazioni. Cio' che si tratta di ampliare, non e'
solo l'orizzonte spaziale della responsabilita' per i nostri vicini, ma
anche quello temporale. Poiche' le nostre azioni odierne, per esempio le
esplosioni sperimentali, toccano le generazioni venture, anch'esse rientrano
nell'ambito del nostro presente. Tutto cio' che e' "venturo" e' gia' qui,
presso di noi, poiche' dipende da noi. C'e', oggi, un'"internazionale delle
generazioni", a cui appartengono gia' anche i nostri nipoti. Sono i nostri
vicini nel tempo. Se diamo fuoco alla nostra casa odierna, il fuoco si
appicca anche al futuro, e con la nostra cadono anche le case non ancora
costruite di quelli che non sono ancora nati. E anche i nostri antenati
appartengono a questa "internazionale": poiche' con la nostra fine
perirebbero anch'essi,  per la seconda volta (se cosi' si puo' dire) e
definitivamente. Anche adesso sono "solo stati"; ma con questa seconda morte
sarebbero stati solo come se non fossero mai stati.
*
Il nulla non concepito. Cio' che conferisce il massimo di pericolosita' al
pericolo apocalittico in cui viviamo, e' il fatto che non siamo attrezzati
alla sua stregua, che siamo incapaci di rappresentarci la catastrofe.
Raffigurarci il non-essere (la morte, ad esempio, di una persona cara) e'
gia' di per se' abbastanza difficile; ma e' un gioco da bambini rispetto al
compito che dobbiamo assolvere come apocalittici consapevoli. Poiche' questo
nostro compito non consiste solo nel rappresentarci l'inesistenza di
qualcosa di particolare, in un contesto universale supposto stabile e
permanente, ma nel supporre inesistente questo contesto, e cioe' il mondo
stesso, o almeno il nostro mondo umano. Questa "astrazione totale" (che
corrisponderebbe, sul piano del pensiero e dell'immaginazione, alla nostra
capacita' di distruzione totale) trascende le forze della nostra
immaginazione naturale. "Trascendenza del negativo". Ma poiche', come
homines fabri, siamo capaci di tanto (siamo in grado di produrre il nulla
totale), la capacita' limitata della nostra immaginazione (la nostra
"ottusita'") non deve imbarazzarci. Dobbiamo (almeno) tentare di
rappresentarci anche il nulla.
*
Utopisti a rovescio. Ecco quindi il dilemma fondamentale della nostra epoca:
"Noi siamo inferiori a noi stessi", siamo incapaci di farci un'immagine di
cio' che noi stessi abbiamo fatto. In questo senso siamo "utopisti a
rovescio": mentre gli utopisti non sanno produrre cio' che concepiscono, noi
non sappiamo immaginare cio' che abbiamo prodotto.
*
Lo "scarto prometeico". Non e' questo un fatto fra gli altri; esso
definisce, invece, la situazione morale dell'uomo odierno: la frattura che
divide l'uomo (o l'umanita') non passa, oggi, fra lo spirito e la carne, fra
il dovere e l'inclinazione, ma fra la nostra capacita' produttiva e la
nostra capacita' immaginativa. Lo "scarto prometeico".
*
Il "sopraliminare". Questo "scarto" non divide solo immaginazione e
produzione, ma anche sentimento e produzione, responsabilita' e produzione.
Si puo' forse immaginare, sentire, o ci si puo' assumere la responsabilita',
dell'uccisione di una persona singola; ma non di quella di centomila. Quanto
piu' grande e' l'effetto possibile dell'agire, e tanto piu' e' difficile
concepirlo, sentirlo e poterne rispondere; quanto piu' grande lo "scarto",
tanto piu' debole il meccanismo inibitorio. Liquidare centomila persone
premendo un tasto, e' infinitamente piu' facile che ammazzare una sola
persona. Al "subliminare", noto dalla psicologia (lo stimolo troppo piccolo
per provocare gia' una reazione), corrisponde il "sopraliminare": cio' che
e' troppo grande per provocare ancora una reazione (per esempio un
meccanismo inibitorio).
 *
La sensibilita' deforma, la fantasia e' realistica. Poiche' il nostro
orizzonte vitale (l'orizzonte entro cui possiamo colpire ed essere colpiti)
e l'orizzonte dei nostri effetti e' ormai illimitato, siamo tenuti, anche se
questo tentativo contraddice alla "naturale ottusita'" della nostra
immaginazione, a immaginare questo orizzonte illimitato. Nonostante la sua
naturale insufficienza, e' solo l'immaginazione che puo' fungere da organo
della verita'. In ogni caso, non e' certo la percezione. Che e' una "falsa
testimone": molto, ma molto piu' falsa di quanto avesse inteso ammonire la
filosofia greca. Poiche' la sensibilita' e' - per principio - miope e
limitata e il suo orizzonte assurdamente ristretto. La terra promessa degli
"escapisti" di oggi non e' la fantasia, ma la percezione.
Di qui il nostro (legittimo) disagio e la nostra diffidenza verso i quadri
normali (dipinti, cioe', secondo la prospettiva normale): benche' realistici
in senso tradizionale, sono (proprio loro) irrealistici, perche' sono in
contrasto con la realta' del nostro mondo dagli orizzonti infinitamente
dilatati.
*
Il coraggio di aver paura. La viva "rappresentazione del nulla" non si
identifica con cio' che si intende in psicologia per "rappresentazione"; ma
si realizza in concreto come angoscia. Ad essere troppo piccolo, e a non
corrispondere alla realta' e al grado della minaccia, e' quindi il grado
della nostra angoscia. - Nulla di piu' falso  della frase cara alle persone
di mezza cultura, per cui vivremmo gia' nell'"epoca dell'angoscia". Questa
tesi ci e' inculcata dagli agenti ideologici di coloro che temono solo che
noi si possa realizzare sul serio la vera paura, adeguata al pericolo. Noi
viviamo piuttosto nell'epoca della minimizzazione e dell'inettitudine
all'angoscia. L'imperativo di allargare la nostra immaginazione significa
quindi in concreto che dobbiamo estendere e allargare la nostra paura.
Postulato: "Non aver paura della paura, abbi coraggio di aver paura. E anche
quello di far paura. Fa' paura al tuo vicino come a te stesso". Va da se'
che questa nostra angoscia deve essere di un tipo affatto speciale: 1)
Un'angoscia senza timore, poiche' esclude la paura di quelli che potrebbero
schernirci come paurosi. 2) Un'angoscia vivificante, poiche' invece di
rinchiuderci nelle nostre stanze ci fa uscire sulle piazze. 3) Un'angoscia
amante, che ha paura per il mondo, e non solo di cio' che potrebbe
capitarci.
*
Fallimento produttivo. L'imperativo di allargare la portata della nostra
immaginazione e della nostra angoscia finche' corrispondano a quella di cio'
che possiamo produrre e provocare, si rivelera' continuamente
irrealizzabile. Non e' nemmeno detto che questi tentativi ci consentano di
fare qualche passo in avanti. Ma anche in questo caso non dobbiamo lasciarci
spaventare; il fallimento ripetuto non depone contro la ripetizione del
tentativo. Anzi, ogni nuovo insuccesso e' salutare, poiche' ci mette in
guardia contro il pericolo di continuare a produrre cio' che non possiamo
immaginare.
*
Trasferimento della distanza. Riassumendo cio' che si e' detto sulla "fine
delle distanze" e sullo "scarto" tra le varie facolta' (e solo cosi' ci si
puo' fare un'idea completa della situazione), risulta che le distanze
spaziali e temporali sono state bensi' "soppresse"; ma questa soppressione
e' stata pagata a caro prezzo con una nuova specie di "distanza": quella,
che diventa ogni giorno piu' grande, fra la produzione e la capacita' di
immaginare cio' che si produce.
*
Fine del comparativo. I nostri prodotti e i loro effetti non sono solo
diventati maggiori di cio' che possiamo concepire (sentire, o di cui
possiamo assumerci la responsabilita'), ma anche maggiori di cio' che
possiamo utilizzare sensatamente. E' noto che la nostra produzione e la
nostra offerta superano spesso la nostra domanda (e ci costringono a
produrre appositamente nuovi bisogni e richieste); ma la nostra offerta
trascende addirittura il nostro bisogno, consiste di cose di cui non
possiamo avere bisogno: cose troppo grandi in senso assoluto. Cosi' ci siamo
messi nella situazione paradossale di dover addomesticare i nostri stessi
prodotti; di doverli addomesticare come abbiamo addomesticato finora le
forze della natura. I nostri tentativi di produrre armi cosiddette "pulite",
sono senza precedenti nel loro genere: poiche' con essi cerchiamo di
migliorare certi prodotti peggiorandoli, e cioe' diminuendo i loro effetti.
L'aumento dei prodotti non ha quindi piu' senso. Se il numero e gli effetti
delle armi gia' oggi esistenti bastano a raggiungere il fine assurdo della
distruzione del genere umano, l'aumento e miglioramento della produzione,
che continuano ancora su larghissima scala, sono ancora piu' assurdi; e
dimostrano che i produttori non si rendono conto, in definitiva, di che cosa
hanno prodotto. Il comparativo - principio del progresso e della
concorrenza - ha perduto ogni senso. Piu' morto che morto non e' possibile
diventare. Distruggere meglio di quanto gia' si possa, non sara' possibile
neppure in seguito.
*
Richiamarsi alla competenza e' prova d'incompetenza morale. Sarebbe una
leggerezza pensare (come fa, per esempio, Jaspers) che i "signori
dell'apocalissi", quelli che sono responsabili delle decisioni, grazie a
posizioni di potere politico o militare comunque acquisite, siano piu' di
noi all'altezza di queste esigenze schiaccianti, o che sappiano immaginare
l'inaudito meglio di noi, semplici "morituri"; o anche solo che siano
consapevoli di doverlo fare. Assai piu' legittimo e' il sospetto: che ne
siano affatto inconsapevoli. Ed essi lo provano dicendo che noi siamo
incompetenti nel "campo dei problemi atomici e del riarmo", e invitandoci a
non "immischiarci". L'uso di questi termini e' addirittura la prova della
loro incompetenza morale: poiche' in tal modo essi mostrano di credere che
la loro posizione dia loro il monopolio e la competenza per decidere del "to
be or not to be" dell'umanita'; e di considerare l'apocalissi come un "ramo
specifico". E' vero che molti di loro si appellano alla "competenza" solo
per mascherare il carattere antidemocratico del loro monopolio. Se la parola
"democrazia" ha un senso, e' proprio quello che abbiamo il diritto e il
dovere di partecipare alle decisioni che concernono la "res publica", che
vanno, cioe', al di la' della nostra competenza professionale e non ci
riguardano come professionisti, ma come cittadini o come uomini. E non si
puo' dire che cosi' facendo ci "immischiamo" di nulla, poiche' come
cittadini e come uomini siamo "immischiati" da sempre, perche' anche noi
siamo la "res publica". E un problema piu' "pubblico" dell'attuale decisione
sulla nostra sopravvivenza non c'e' mai stato e non ci sara' mai.
Rinunciando a "immischiarci", mancheremmo anche al nostro dovere
democratico.
*
Liquidazione dell'"agire". La distruzione possibile dell'umanita' appare
come un'"azione"; e chi collabora ad essa come un individuo che agisce. E'
giusto? Si' e no. Perche' no?
Perche' l'"agire"" in senso behavioristico non esiste pressoche' piu'. E
cioe': poiche' cio' che un tempo accadeva come agire, ed era inteso come
tale dall'agente, e' stato sostituito da processi di altro tipo: 1) dal
lavorare; 2) dall'azionare.
1) Lavoro come surrogato dell'azione. Gia' quelli che erano impiegati negli
impianti di liquidazione hitleriani non avevano "fatto nulla", credevano di
non aver fatto nulla perche' si erano limitati a "lavorare". Per questo
"lavorare" intendo quel tipo di prestazione (naturale e dominante, nella
fase attuale della rivoluzione industriale) in cui l'eidos del lavoro rimane
invisibile per chi lo esegue, anzi, non lo riguarda piu', e non puo' ne'
deve piu' riguardarlo. Caratteristica del lavoro odierno e' che esso resta
moralmente neutrale: "non olet", nessuno scopo (per quanto cattivo) del suo
lavoro puo' macchiare chi lo esegue. A questo tipo dominante di prestazione
sono oggi assimilate quasi tutte le azioni affidate agli uomini. Lavoro come
mimetizzamento. Questo mimetizzamento evita all'autore di un eccidio di
sentirsi colpevole, poiche' non solo non occorre rispondere del lavoro che
si fa, ma esso - in teoria - non puo' rendere colpevoli. Stando cosi' le
cose, dobbiamo rovesciare l'equazione attuale ("ogni agire e' lavorare")
nell'altra: "ogni lavorare e' un agire".
2) Azionare come surrogato del lavoro. Cio' che vale per il lavoro, vale a
maggior ragione per l'azionare, poiche' l'azionare e' il lavoro in cui e'
abolito anche il carattere specifico del lavoro: lo sforzo e il senso dello
sforzo. Azionare come mimetizzamento. Oggi, in realta', si puo' fare in tal
modo pressoche' tutto, si puo' avviare una serie di azionamenti successivi
schiacciando un solo bottone; compreso, quindi, il massacro di milioni. In
questo caso (dal punto di vista behavioristico) questo intervento non e'
piu' un lavoro (per non parlare di un'azione). Propriamente parlando non si
fa nulla (anche se l'effetto di questo non-far-nulla e' il nulla e
l'annientamento). L'uomo che schiaccia il tasto (ammesso che sia ancora
necessario) non si accorge piu' nemmeno di fare qualcosa; e poiche' il luogo
dell'azione e quello che la subisce non coincidono piu', poiche' la causa e
l'effetto sono dissociati, non puo' vedere che cosa fa. "Schizotopia", in
analogia a "schizofrenia". E' chiaro che solo chi arriva a immaginare
l'effetto ha la possibilita' della verita'; la percezione non serve a nulla.
Questo genere di mimetizzamento e' senza precedenti: mentre prima i
mimetizzamenti miravano a impedire alla vittima designata dell'azione, e
cioe' al nemico, di scorgere il pericolo imminente (o a proteggere gli
autori dal nemico), oggi il mimetizzamento mira solo a impedire all'autore
di sapere quello che fa. In questo senso anche l'autore e' una vittima; in
questo senso Eatherly e' una delle vittime della sua azione.
*
Le forme menzognere della menzogna attuale. Gli esempi di mascheramento ci
istruiscono sul carattere della menzogna attuale. Poiche' oggi le menzogne
non hanno piu' bisogno di figurare come asserzioni ("fine delle ideologie").
La loro astuzia consiste proprio nello scegliere forme di travestimento
davanti a cui non puo' piu' sorgere il sospetto che possa trattarsi di
menzogne; e cio' perche' questi travestimenti non sono piu' asserzioni.
Mentre le menzogne, finora, si erano camuffate ingenuamente da verita', ora
si camuffano in altre guise:
1) Al posto di false asserzioni subentrano parole singole, che danno
l'impressione di non affermare ancora nulla, anche se, in realta', hanno
gia' in se' il loro (bugiardo) predicato. Cosi', per esempio, l'espressione
"armi atomiche" e' gia' un'asserzione menzognera, poiche' sottintende,
poiche' da' per scontato, che si tratta di armi.
2) Al posto di false asserzioni sulla realta' subentrano (e siamo  al punto
che abbiamo appena trattato) realta' falsificate. Cosi' determinate azioni,
presentandosi come "lavori", sono rese diverse e irriconoscibili; cose'
irriconoscibili, e diverse da un'azione, che non rivelano piu' (neppure
all'agente) quello che sono (e cioe' azioni); e gli permettono, purche'
lavori "coscienziosamente', di essere un criminale con la miglior coscienza
del mondo.
3) Al posto di false asserzioni subentrano cose. Finche' l'agire si traveste
ancora da "lavorare", e' pur sempre l'uomo ad essere attivo; anche se non sa
che cosa fa lavorando, e cioe' che agisce. La menzogna celebra il suo
trionfo solo quando liquida anche quest'ultimo residuo: il che e' gia'
accaduto. Poiche' l'agire si e' trasferito (naturalmente in seguito
all'agire degli uomini) dalle mani dell'uomo in tutt'altra sfera: in quella
dei prodotti. Essi sono, per cosi' dire, "azioni incarnate". La bomba
atomica (per il semplice fatto di esistere) e' un ricatto costante: e
nessuno potra' negare che il ricatto e' un'azione. Qui la menzogna ha
trovato la sua forma piu' menzognera: non ne sappiamo nulla, abbiamo le mani
pulite, non c'entriamo. Assurdita' della situazione: nell'atto stesso in cui
siamo capaci dell'azione piu' enorme - la distruzione del mondo - l'"agire",
in apparenza, e' completamente scomparso. Poiche' la semplice esistenza dei
nostri prodotti e' gia' un "agire", la domanda consueta: che cosa dobbiamo
"fare" dei nostri prodotti (se, ad esempio, dobbiamo usarli solo come
"deterrent"), e' una questione secondaria, anzi fallace, in quanto omette
che le cose, per il fatto stesso di esistere, hanno sempre agito.
*
Non reificazione, ma pseudopersonalizzazione. Con l'espressione
"reificazione" non si coglie il fatto che i prodotti sono, per cosi' dire,
"agire incarnato", poiche' essa indica esclusivamente il fatto che l'uomo e'
ridotto qui alla funzione di cosa; ma si tratta invece dell'altro lato
(trascurato, finora, dalla filosofia) dello stesso processo: e cioe' del
fatto che cio' che e' sottratto all'uomo dalla reificazione, si aggiunge ai
prodotti: i quali, facendo qualcosa gia' per il semplice fatto di esistere,
diventano pseudopersone.
*
Le massime delle pseudopersone. Queste pseudopersone hanno i loro rigidi
principii. Cosi', per esempio, il principio delle "armi atomiche" e' affatto
nichilistico, poiche' per esse "tutto e' uguale". In esse il nichilismo ha
toccato il suo culmine, dando luogo all'"annichilismo" piu' totale.
Poiche' il nostro agire si e' trasferito nel lavoro e nei prodotti, un esame
di coscienza non puo' consistere oggi soltanto nell'ascoltare la voce nel
nostro petto, ma anche nel captare i principii e le massime mute dei nostri
lavori e dei nostri prodotti; e nel revocare e rendere inoperante quel
trasferimento: e cioe' nel compiere solo quei lavori dei cui effetti
potremmo rispondere anche se fossero effetti del nostro agire diretto; e
nell'avere solo quei prodotti la cui presenza "incarna" un agire che
potremmo assumerci come agire personale.
*
Macabra liquidazione dell'ostilita'. Se il luogo dell'azione e quello che la
subisce sono, come si e' detto, dissociati, e non si soffre piu' nel luogo
dell'azione, l'agire diventa agire senza effetto visibile, e il subire
subire senza causa riconoscibile. Si determina cosi' un'assenza d'ostilita',
peraltro affatto fallace.
La guerra atomica possibile sara' la piu' priva d'odio che si sia mai vista.
Chi colpisce non odiera' il nemico, poiche' non potra' vederlo; e la vittima
non odiera' chi lo colpisce, poiche' questi non sara' reperibile. Nulla di
piu' macabro di questa mitezza (che non ha nulla a che fare con l'amore
positivo). Cio' che piu' sorprende nei racconti delle vittime di Hiroshima,
e' quanto poco (e con che poco odio) vi siano ricordati gli autori del
colpo.
Certo l'odio sara' ritenuto indispensabile anche in questa guerra, e sara'
quindi prodotto come articolo a se'. Per alimentarlo, si indicheranno (e, al
caso, s'inventeranno) oggetti d'odio ben visibili e identificabili, "ebrei"
di ogni tipo; in ogni caso nemici interni: poiche' per poter odiare
veramente occorre qualcosa che possa cadere in mano. Ma quest'odio non
potra' entrare minimamente in rapporto con le azioni di guerra vere e
proprie: e la schizofrenia della situazione si rivelera' anche in cio', che
odiare e colpire saranno rivolti a oggetti completamente diversi.
*
Non solo per quest'ultima tesi, ma per tutte quelle qui formulate, bisogna
aggiungere che sono state scritte perche' non risultino vere. Poiche' esse
potranno non avverarsi solo se terremo continuamente presente la loro alta
probabilita', e se agiremo in conseguenza. Nulla di piu' terribile che aver
ragione. Ma a quelli che, paralizzati dalla fosca probabilita' della
catastrofe, si perdono di coraggio, non resta altro che seguire, per amore
degli uomini, la massima cinica: "Se siamo disperati, che ce ne importa?
Continuiamo come se non lo fossimo!".

3. APPELLI. DONNE IN NERO: PER RACHEL
[Dalle Donne in nero (per contatti: e-mail: lmorgantini@europarl.eu.int)
riceviamo e diffondiamo]
All'Ambasciata di Israele in Italia
Alla Rappresentanza delle Nazioni Unite in Italia
All'Ambasciata degli Usa in Italia
Al Ministro degli Esteri del governo italiano
Domenica 16 marzo 2003, a Rafah nella striscia di Gaza, un bulldozer
dell'esercito israeliano ha ucciso una giovane attivista del Movimento
Internazionale di Solidarieta' (ISM). Rachel Corry, 23 anni, studentessa, di
nazionalita' statunitense, aveva osato interporre il suo corpo tra la
macchina da guerra di Sharon e una casa palestinese destinata alla
demolizione dalla sommaria giustizia israeliana.
Sono centinaia le case palestinesi demolite negli ultimi due anni, colpevoli
di essere sul tracciato di una nuova strada israeliana o troppo vicine ad
una colonia ebraica o focolare della famiglia di un kamikaze.
Queste demolizioni, esplicitamente proibite dalle convenzioni
internazionali, non sono che una delle tante violazioni dei diritti umani
perpetrate dall'occupazione militare.
Rachel credeva nel diritto internazionale ed era a Rafah per difenderlo,
spinta dall'indignazione per l'inazione delle organizzazioni internazionali.
Il dolore per la sua morte, come quello per le tante vittime innocenti dei
conflitti armati che tormentano il mondo, ci impone di chiedere ancora una
volta al governo di Israele di mettere fine all'occupazione dei territori
palestinesi, alle Nazioni Unite di inviare immediatamente in Medio Oriente
una forza di protezione della popolazione civile, al governo degli Usa e al
governo Italiano di impegnarsi concretamente affinche' il diritto
internazionale sia rispettato in quella terra come in tutti gli altri paesi
del mondo.
Ci appelliamo inoltre al movimento per una pace giusta in Palestina e
Israele affinche' continui a garantire la sua presenza nei territori
occupati.
Donne in Nero
Per informazioni contattare Luisa Morgantini: tel. 0669950217, fax
0669950200, e-mail: lmorgantini@europarl.eu.int

4. TESTIMONIANZE. OPERAZIONE COLOMBA: DALLA STRISCIA DI GAZA
[Dagli amici dell'Operazione Colomba (per contatti:
operazione.colomba@libero.it) riceviamo e diffondiamo]
Tra il 16 e 17 marzo, dieci persone sono rimaste uccise dal fuoco israeliano
nella Striscia di Gaza.
Una di queste persone era un attivista nonviolenta americana, membro
dell'International Solidarity Movement (ISM), un'organizzazione pacifista
che da diversi mesi lavora nel sud della Striscia di Gaza, nella citta' di
Rafah.
Nel pomeriggio del 16 marzo, bulldozer dell'IDF (Israeli Defense Force) sono
penetrati in un sobborgo nei pressi del campo profughi della citta' di
Rafah, nell'estremo sud della Striscia, per effettuare la demolizione di
abitazioni palestinesi. Nel tentativo di bloccare l'operazione, otto
attivisti dell'ISM si sono interposti tra le case e un bulldozer; tra
questi, Rachel Corey, ventitreenne statunitense, che e' rimasta seppellita
da un cumulo di macerie riversato sopra di lei dal bulldozer, nonostante i
suoi compagni urlassero al conducente di arrestarsi.
Un ragazzo di 17 anni e' invece rimasto ucciso nel quartiere di el-Amal,
nella citta' di Khan Younis, colpito dal fuoco israeliano mentre giocava a
calcio con alcuni amici tra i quali tre sono rimasti feriti, mentre un uomo
di 43 anni e' morto a Rafah.
Nella prima mattinata del 17 marzo nel campo profughi di Nuseirat, sei
palestinesi, tra cui una bambina di tre anni, sono rimasti uccisi in seguito
ad un raid effettuato dalle forze di sicurezza israeliane; mentre nel nord
della Striscia, nella cittadina di Beit Lahia, tre persone sono state uccise
e centinaia di palestinesi di eta' superiore ai 15 anni sono stati
arrestati, riuniti in una scuola e li' interrogati.
Questi fatti, purtroppo parte della normalita' dei Territori palestinesi
occupati, aggravano la gia' critica situazione della gente che vive nella
Striscia di Gaza.
La presenza internazionale nei territori occupati e nella striscia di Gaza
in particolare, rappresenta in questo momento l'unico strumento di
protezione e sostegno per la popolazione civile palestinese; si connota
decisamente come una presenza nonviolenta, e' capace di affiancare la
sofferenza e la disperazione dei civili costretti a vivere da piu' di due
anni nell'implacabile morsa militare israeliana. Non si tratta di persone
che cercano la morte eroica, ne' di esagitati; si tratta di persone di
diverse parti del mondo che mettono a repentaglio la propria vita per
difendere nonviolentemente quella di donne, bambini, anziani come loro.
Non e' la prima volta che gli internazionali diventano obiettivo militare ed
il prezzo in vite umane diventa sempre piu' alto, ma ci sembra
irrinunciabile l'opera di denuncia delle violazioni dei diritti umani, di
interposizione nonviolenta, di accompagnamento della popolazione, in cui
sono coinvolte persone di tante parti del mondo, in prima fila i gruppi
nonviolenti israeliani.
I volontari dell'Operazione Colomba - Associazione Papa Giovanni XXIII, pur
esprimendo forte preoccupazione per quanto accaduto, confermano la loro
presenza a fianco della gente comune, le prime vittime di questo conflitto,
le ultime ad essere ricordate.

5. APPELLI. UN APPELLO CONTRO LA GUERRA DI OTTOCENTO REDUCI DELLE FORZE
ARMATE STATUNITENSI
[Da Mariagrazia Bonollo, dell'ufficio stampa dei "Beati i Costruttori di
Pace" (per contatti: tel. 0445344264, o anche 3482202662, e-mail:
salbega@tiscalinet.it) riceviamo e diffondiamo questo appello]
Siamo reduci delle Forze Armate statunitensi. Siamo a fianco della
maggioranza della popolazione mondiale, insieme a milioni di donne e uomini
anche del nostro Paese, e ci opponiamo con determinazione alla guerra contro
l'Iraq che gli Stati Uniti intendono portare avanti.
Le nostre esperienze attraversano varie epoche e guerre, abbiamo idee
politiche diverse, ma concordiamo tutti nel ritenere questa guerra
sbagliata.
Molti di noi credevano che prestare servizio militare fosse il nostro dovere
e che il nostro compito consistesse nel difendere questo paese. Le nostre
esperienze nell'esercito invece ci hanno fatto riflettere ed abbiamo messo
in discussione molto di cio' che ci era stato insegnato.
Adesso riteniamo che il nostro vero dovere sia quello di incoraggiare voi,
membri delle Forze Armate Usa, a scoprire quale sia la motivazione reale per
la quale vi mandano a combattere e a morire, e quali saranno le conseguenze
delle vostre azioni sull'umanita' intera.
Facciamo appello a voi, militari effettivi e riservisti, affinche' obbediate
alla vostra coscienza e facciate la cosa giusta.
*
Nell'ultima guerra del Golfo, come soldati, ci fu ordinato di uccidere da
una distanza di sicurezza. Abbiamo distrutto la maggior parte dell'Iraq dal
cielo, uccidendo centinaia di migliaia di persone, civili compresi. Ci
ricordiamo bene della strada per Bassora, l'autostrada della morte, dove ci
avevano ordinato di uccidere gli iracheni che scappavano. Abbiamo spianato
con i bulldozer le trincee sotterrando persone ancora vive. L'uso delle armi
all'uranio impoverito ha reso molti campi di battaglia radioattivi.
L'ingente utilizzo di pesticidi, farmaci sperimentali, l'incendio di
depositi di armi chimiche, hanno creato un cocktail tossico che ha
avvelenato sia il popolo iracheno che i reduci della Guerra del Golfo. Un
reduce su quattro della Guerra del Golfo oggi e' un disabile.
*
Durante la guerra del Vietnam ci fu ordinato di distruggere il Vietnam sia
dal cielo che a terra. A My Lai abbiamo massacrato piu' di 500 persone tra
vecchi, donne e bambini. E questa non e' stata un'azione aberrante: e' cosi'
che abbiamo combattuto quella guerra. Abbiamo usato il diserbante "Agent
Orange" sul nemico, e in seguito ne abbiamo sperimentato gli effetti sulla
nostra pelle. Sappiamo come si presenta e come ti riduce la sindrome da
stress post traumatico, perche' i fantasmi di piu' di due milioni di donne,
uomini e bambini invadono i nostri sogni. Sono piu' numerosi i reduci morti
per suicidio dopo la guerra che quelli che morirono in combattimento.
*
Se decidete di prendere parte all'invasione dell'Iraq voi apparterrete ad un
esercito invasore. Lo sapete cosa si prova a guardare negli occhi gente che
vi odia con tutto il cuore? Dovreste pensare a cosa rappresenta realmente la
vostra missione. Vi mandano ad invadere ed occupare territori in cui le
persone, persone esattamente come voi e noi, stanno solo cercando di
crescere i loro figli e vivere le loro vite. Non rappresentano una minaccia
per gli Stati Uniti anche se hanno un dittatore brutale come leader. Ma chi
sono gli Stati Uniti per dire al popolo iracheno come deve condurre il
proprio Paese quando moltissimi statunitensi pensano che il proprio
presidente sia stato eletto illegalmente?
Saddam e' stato duramente attaccato per aver avvelenato con il gas la sua
stessa gente e per aver cercato di produrre armi di distruzione di massa.
Eppure quando Saddam ha compiuto i suoi peggiori crimini godeva
dell'appoggio degli Stati Uniti. Questo sostegno significava anche la
fornitura di mezzi per la produzione di armi chimiche e biologiche. Anche
l'embargo e le numerose sanzioni economiche da parte degli Stati Uniti hanno
contribuito a decimare il popolo iracheno, uccidendo piu' di un milione di
persone, in maggioranza neonati e bambini. Dopo aver distrutto tutte le
infrastrutture del paese, inclusi ospedali, generatori elettrici ed impianti
di trattamento dell'acqua, gli Stati Uniti con le loro sanzioni hanno poi
bloccato l'importazione di beni di prima necessita' e medicine,
indispensabili alla sopravvivenza.
*
Non c'e' onore nell'omicidio. Questa guerra e' un omicidio detto in altri
termini.
Quando in una guerra ingiusta, una bomba vagante colpisce una madre con la
sua bambina, non e' un "danno collaterale", e' un omicidio.
Quando in una guerra ingiusta un bambino muore per dissenteria perche' una
bomba ha danneggiato l'impianto di trattamento delle acque di scolo, non si
tratta di un'azione di "distruzione delle infrastrutture nemiche", ma di
omicidio.
Quando in una guerra ingiusta un padre muore di infarto perche' una bomba ha
distrutto le linee telefoniche impedendogli di chiamare i soccorsi, non si
tratta di "annientamento dei servizi di comando e di controllo", ma si
tratta di omicidio.
Quando in una guerra ingiusta, piu' di mille soldati di leva provenienti
dalla campagna muoiono in una trincea nel tentativo di difendere la citta'
dove sono nati e cresciuti, non e' "vittoria", ma omicidio.
*
Ci saranno reduci che porteranno avanti numerose proteste contro questa
guerra all'Iraq e alla vostra partecipazione ad essa.
Durante la guerra del Vietnam migliaia di militari in Vietnam e negli Stati
Uniti si sono rifiutati di eseguire gli ordini. Molti hanno fatto resistenza
e si sono ribellati. Molti sono diventati obiettori di coscienza ed altri
sono andati in prigione piuttosto che impugnare le armi di fronte al
cosiddetto nemico.
Durante l'ultima guerra del Golfo molti soldati semplici hanno portato
avanti forme di opposizione in vari modi e per ragioni differenti.
Molti di noi sono usciti da queste guerre e si sono aggregati al movimento
di opposizione alla guerra.
*
Affinche' un giorno tutte le persone nel mondo possano essere libere, dovra'
pure arrivare il momento in cui sara' piu' importante essere cittadino del
mondo che non essere soldato di un paese. Questo momento e' arrivato. Quando
vi arrivera' l'ordine di partire, ricordate che la vostra risposta avra' un
forte impatto sulle vite di milioni di persone del Medio Oriente e anche del
nostro Paese. La vostra risposta aiutera' a cambiare il corso del nostro
futuro. Avrete altre scelte da fare sul vostro cammino. I vostri comandanti
vogliono che voi obbediate. Noi vi spingiamo a riflettere. Vogliamo che
scegliate in base alla vostra coscienza. Se sceglierete di resistere, noi vi
sosterremo perche' abbiamo capito che il nostro vero dovere e' quello di
stare dalla parte delle persone di tutto il mondo e di contribuire alla
creazione del nostro comune futuro.
*
Seguono piu' di 800 firme di reduci della US Army, US Navy, US Air Force, US
 Marine Corps, National Guard che hanno prestato servizio nella seconda
guerra mondiale, nella guerra di Corea, nella guerra del Vietnam, nella
prima guerra del Golfo. Sono le firme raccolte dal 6 dicembre 2002 al 2
marzo 2003; la raccolta delle firme continua.

6. INFORMAZIONE. "MEDIAWATCH", OSSERVATORIO SULLE MENZOGNE DI GUERRA
[Da Peacelink (per contatti: info@peacelink.it) riceviamo e volentieri
diffondiamo. Vorremmo solo garbatamente aggiungere che ancor piu' necessario
e urgente a nostro modesto avviso sarebbe contrastare le idiozie e le
menzogne che pullulano sui media pacifisti]
Dalla societa' civile prende vita una "commissione di vigilanza popolare",
che documentera' i casi in cui l'informazione italiana si trasforma in
propaganda.
L'iniziativa parte da un gruppo di siti e riviste di informazione
indipendente: Altreconomia, Azione Nonviolenta, Buone Nuove, Guerre & Pace,
Information Guerrilla, Informazione senza frontiere, PeaceLink, Terre di
Mezzo, Unimondo, Vita, Volontari per lo sviluppo.
All'indirizzo http://www.peacelink.it/mediawatch parte la raccolta delle
"bufale" e delle faziosita'.
*
"Non riuscivo a credere che i giornalisti fossero qui per firmare
praticamente pezzi scritti dai militari. Tutto questo e' il contrario di
quello che ha sempre significato l'America, liberta' di pensare, liberta' di
scrivere" (dichiarazione di Oriana Fallaci nel 1991, al ritorno dalla prima
guerra del Golfo).
*
Nel 1991, durante la prima azione di guerra della Nato contro l'Iraq, i
mezzi di informazione hanno inventato la favola delle "bombe intelligenti",
capaci di fare distinzione tra "buoni" e "cattivi". Solamente a cose fatte
le stesse autorita' militari statunitensi hanno spiegato che le "bombe
intelligenti" erano state solamente il sette per cento degli ordigni
sganciati. Come se questo non bastasse, 77 "bombe intelligenti" su 167 hanno
mancato il bersaglio. e anche il 70 per cento delle 80.000 tonnellate di
esplosivo sganciate durante l'operazione "Desert Storm" ha raggiunto
obiettivi diversi da quelli prefissati.
Questi dati sono stati occultati da un silenzio omertoso, e ancora oggi
qualcuno cerca di farci credere alla "bufala" degli ordigni selettivi e
dotati di senso critico. Questa volta, pero', l'opinione pubblica non e'
impreparata. Dieci anni di propaganda e informazione manipolata dal Kossovo
all'Afghanistan, uniti a dieci anni di esperienza nell'attivismo digitale ci
hanno insegnato a difenderci dalle bugie con cui gli strateghi
dell'"information warfare" e i "giornalisti con l'elmetto" inquinano il
sistema dell'informazione.
La nostra arma nonviolenta per difenderci dalle informazioni manipolate
sara' l'articolo 8 della legge sulla stampa, la 47 del 1948, che da' a
qualunque cittadino il diritto di ottenere una rettifica sulla pubblicazione
di notizie false che lo riguardano. Questi venti di guerra riguardano ognuno
di noi, e pertanto richiederemo alle testate giornalistiche e televisive di
rettificare tutte le informazioni false o manipolate.
Ci rivolgiamo ai cittadini che davanti al teleschermo o leggendo il giornale
lottano contro la rabbia e il senso di impotenza che nascono da affermazioni
palesemente false o faziose.
Ci rivolgiamo ai giornalisti e agli operatori dei media che vorrebbero
esprimere il loro disagio per tutte le manipolazioni, gli imbrogli, le
scorrettezze e le violazioni deontologiche a cui assistono senza poter
reagire.
Ci rivolgiamo a tutte le realta' di informazione indipendente, ai
mediattivisti, alle associazioni e alle organizzazioni di volontariato
dell'informazione.
Ci rivolgiamo a tutte le persone di buona volonta' che vogliono ribellarsi
contro chi gioca a rimpiattino con le coscienze.
Ci rivolgiamo anche alle persone che pur non essendo contrarie alla guerra,
sono contrarie alla menzogna.
A tutti loro chiediamo di segnalare tutte le informazioni false, faziose,
parziali o inesatte che riguardano l'eventualita' di un attacco militare
all'Iraq o altre azioni di guerra presenti e passate.
Tutte le segnalazioni vanno effettuate all'indirizzo
www.peacelink.it/mediawatch
Le organizzazioni che promuovono questa iniziativa si impegnano a
raccogliere e produrre documenti, articoli, approfondimenti e riflessioni
sul ruolo dell'informazione in tempo di guerra, per rendere un servizio a
tutti coloro che vorranno leggere tra le righe della propaganda per cercare
la verita' nascosta dietro le regole dell'"infotainment" e dell'informazione
spettacolo.
Il supposto tecnico per questa raccolta di segnalazioni e' messo a
disposizione dall'associazione PeaceLink, che non intende proporsi come
gestore centralizzato di questa iniziativa, ma vuole semplicemente offrire
uno spazio aperto a tutti e un luogo comune di raccolta delle
controinformazioni sulle "bufale" giornalistiche e televisive. Questa
"commissione popolare di vigilanza" sul sistema dei media non avra' un capo
ne' un padrone, e il suo lavoro sara' costruito a partire dal libero
contributo di tutti coloro che parteciperanno a questa iniziativa. Oggi piu'
che mai i giornali e la televisione sono chiamati a rispondere del loro
operato, e la lista delle cose di cui rendere conto verra' costruita da
ciascuno di noi.
Per informazioni: e-mail: info@peacelink.it; tel. 3492258342 (Carlo
Gubitosa).

7. INIZIATIVE. MARINELLA CORREGGIA: BICICLETTE DI PACE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 16 marzo 2003]
Contro la guerra cambia la vita. Ad esempio, pedala anziche' guidare.
Gia' nell'autunno scorso alcuni militanti pacifisti statunitensi
manifestavano in bici, per mostrare il nesso fra gli elevati consumi di
petrolio e la conseguente avidita' rispetto ai pozzi, un'avidita' madre di
guerre. Nei prossimi giorni a Washington i pedali contro la guerra saranno
una delle azioni del movimento statunitense. In queste azioni (economiche)
dirette, l'Italia non e' da meno.
Con il coordinamento dei Gruppi di azione nonviolenta (i Gan promosso dalla
Rete di Lilliput) le biciclettate munite di bandiera della pace "contro la
guerra del petrolio" sono iniziate in alcune citta' nel lontano 29 novembre,
giornata del non acquisto (di benzina, in questo caso).
Via via sono aumentate e ormai si svolgono periodicamente in molte citta':
Caltanissetta, Fidenza, La Spezia, Lodi, Lucca, Oderzo, Palermo, Pesaro,
Prato, Rimini, Riccione, Reggio Emilia, Roma, Torino, Trento, Treviso,
Verona (chi vuole aggiungersi o saperne di piu' puo' scrivere a:
puglipas@interfree.it).
La Federazione italiana amici della bici (Fiab) sottolinea che "un uso piu'
consapevole e razionale delle risorse, l'utilizzo di forme di energie
alternative e un consumo piu' responsabile siano elementi indispensabili per
la pace"; cosi' anche l'associazione Ruotalibera di Bari. I Gan propongono
che si svolga al piu' presto una biciclettata contemporanea in moltissime
citta', con milioni di persone, per fermare il traffico automobilistico,
"lasciando tutti la macchina a casa e inondando le citta' e i paesi di
chilometri e chilometri di bici". Circola fra gli attivisti la vignetta che
rappresenta un uomo al volante e sotto, al posto della carrozzeria, un
panciuto missile.
Ma l'efficacia del "boicottaggio dell'auto" sarebbe maggiore se per un
giorno lo decretassero le amministrazioni comunali di tutto il mondo; ne
sono stati fatti in alcune citta' italiane, ma il coro sarebbe un'altra
cosa. Mesi fa gruppi di attivisti lanciarono l'idea di "car free days
ovunque"; farebbe un effetto "15 febbraio" piuttosto forte, oltre a
provocare se ripetute una notevole riduzione nei consumi petroliferi.

8. RIFLESSIONE. ILEANA MONTINI: ANTROPOLOGIA, INTERCULTURA E OPPRESSIONE DI
GENERE
[Ringraziamo Ileana Montini (per contatti: ileana.montini@tin.it) per questo
intervento. Ileana Montini, prestigiosa intellettuale femminista, gia'
insegnante, e' psicologa e psicoterapeuta. Nata nel 1940 a Pola da genitori
romagnoli, studi a Ravenna e all'Universita' di Urbino, presso la prima
scuola di giornalismo in Italia e poi sociologia; giornalista per
"L'Avvenire d'Italia" diretto da Raniero La Valle; di forte impegno
politico, morale, intellettuale; ha collaborato a, e fatto parte di, varie
redazioni di periodici: della rivista di ricerca e studio del Movimento
Femminile DC, insieme a Tina Anselmi, a Lidia Menapace, a Rosa Russo
Jervolino, a Paola Gaiotti; di "Per la lotta" del Circolo "Jacques Maritain"
di Rimini; della "Nuova Ecologia"; della redazione della rivista "Jesus
Charitas" della "famiglia dei piccoli fratelli e delle piccole sorelle"
insieme a fratel Carlo Carretto; del quotidiano "Il manifesto"; ha
collaborato anche, tra l'altro, con la rivista "Testimonianze" diretta da
padre Ernesto Balducci, a riviste femministe come "Reti", "Lapis", e alla
rivista di pedagogia "Ecole"; attualmente collabora al "Paese delle donne".
Ha partecipato al dissenso cattolico nelle Comunita' di Base; e preso parte
ad alcune delle piu' nitide esperienze di impegno non solo genericamente
politico ma gramscianamente intellettuale e morale della sinistra critica in
Italia. Il suo primo libro e' stato La bambola rotta. Famiglia, chiesa,
scuola nella formazione delle identita' maschile e femminile (Bertani,
Verona 1975), cui ha fatto seguito Parlare con Dacia Maraini (Bertani,
Verona). Nel 1978 e' uscito, presso Ottaviano, Comunione e liberazione nella
cultura della disperazione. Nel 1992, edito dal Cite lombardo, e' uscito un
libro che racconta un'esperienza per la prevenzione dei drop-out di cui ha
redatto il progetto e  curato la supervisione delle operatrici: titolo: "...
ho qualche cosa anch'io di bello: affezionatrice di ogni cosa". Recentemente
ha scritto la prefazione del libro di Nicoletta Crocella, Attraverso il
silenzio (Stelle cadenti, Bassano (Vt) 2002) che racconta l'esperienza del
Laboratorio psicopedagogico delle differenze di Brescia, luogo di formazione
psicopedagogica delle insegnanti e delle donne che operano nelle relazioni
d'aiuto, laboratorio nato a Brescia da un progetto di Ileana Montini e con
alcune donne alla fine degli anni ottanta, preceduto dalla fondazione,
insieme ad altre donne, della "Universita' delle donne Simone de Beauvoir".
Su Ileana Montini, la sua opera, la sua pratica, la sua riflessione, hanno
scritto pagine intense e illuminanti, anche di calda amicizia, Lidia
Menapace e Rossana Rossanda]
"Patrie elettive" e' una densa raccolta di saggi tra l'antropologia e
l'etnologia, appena uscita presso Bollati Boringhieri e a cura di Clara
Gallino. "Patrie elettive" e' anche, come si legge nella presentazione, un
omaggio al grande Ernesto De Martino, ma si spinge oltre il suo pensiero e
la sua ricerca perche' fa riferimento a terminologie piu' recenti come
quella di identita' etnica. Il libro ha un approccio etnografico rispetto a
casi singoli e gli autori sono tutti provenienti dall'Istituto universitario
orientale di Napoli.
Il sottotitolo del libro e' eloquente di per se': "i segni
dell'appartenenza", un'espressione che delimita i campi e il metodo di
studio. Ma non solo: vuole anche significare che "appartenenza" rinvia agli
attori sociali che, nelle diverse situazioni, mettono in atto procedure di
condivisione o competizione per definire le appartenenze, o le esclusioni.
Lo si vuole affine a quelle di identita', in un certo qual modo ma non in
senso psicologico. I segni hanno una duplice natura, sia pratica che
fantasmatica in quanto riproducenti parole, gesti e azioni capaci di
intervenire sul reale o di rappresentarlo. Ogni appartenenza e' un prodotto
culturale con una dimensione immaginativa.
Scrive Clara Gallino: "Di fatto, ogni appartenenza esiste e si manifesta
attraverso un lavoro sociale di produzione dell'identita' e della
differenza, cioe' attraverso l'attivazione di modalita' - immaginarie e
pratiche - atte a indicare che questo o quello e' un gruppo, e come tale e'
dotato di determinare caratteristiche che lo rendono differente da un altro.
Piu' in generale, si tratta di un lavoro simbolico e relazionale: simbolico
perche' veicola segni e produce significati, relazionale perche' costruisce
insieme il se' (l'identico) e l'altro da se' (il differente), instaura
confini distintivi tra chi e' dentro e chi e' fuori il territorio, non
necessariamente fisico o geografico, da essi delimitato".
*
Il primo saggio e' a firma di Enrico Sarnelli con il titolo "Relazioni
scherzose. Senegalesi e autoctoni in un mercato di Napoli". L'autore spiega
il significato delle pratiche scherzose, che costituiscono eventi in cui
mimiche, sguardi e vocalita' si incontrano in dinamiche complesse. Le
pratiche scherzose danno vita alle relazioni scherzose nell'ambito
interculturale. Alludono all'insieme di argomenti, di storielle e di idee
scherzose "che hanno corso in una data cultura a proposito dei valori, delle
abitudini e dei modo di pensare di un altro gruppo (una popolazione
limitrofa o lontana, ma anche una minoranza allogena interna) a vario titolo
rappresentato o configurato come diverso o straniero".
Il contesto studiato e' un mercato di Napoli dove gli stranieri, come i
senegalesi, s'incontrano con i mercanti indigeni. Anche se mercati e fiere
hanno perso per la strada della storia l'antico splendore e valore, sembrano
aver rilanciato l'antica funzione culturale di luoghi dell'incontro con le
diversita' culturali. La prima componente straniera analizzata e' dunque
quella dei senegalesi composta di uomini tra i venti e i quarant'anni. Nella
stragrande maggioranza sono musulmani appartenenti alla confraternita murida
e all'etnia Wolof. Gran parte delle attivita' scherzose ha carattere verbale
e, dallo studioso,viene rubricata come scambio rituale di insulti e pratica
interculturale. Chi e' oggetto di questi scambi interculturali?
Scrive l'autore: "si misurano nella sfida ad attribuire alle rispettive
madri le piu' stravaganti condotte sessuali". Facciamo qualche esempio:
"Quando lo stadio di San Paolo e' inagibile il Napoli gioca la partita tra
le gambe di tua madre...". "Se non trovo posto per la macchina parcheggio
tra le gambe di tua madre...". Veniamo avvertiti, noi lettori, che, nella
competizione verbale, come in quella commerciale, si tratta sempre di
"sfottere" l'avversario. Pertanto se ne puo' dedurre che chi viene "fottuto"
e' parificato a una donna, essere inferiore per gli uni e per gli altri.
Come dire che l'interculturalita' si attua a spese del genere femminile,
come sempre. "Ci sono scherzi fra maschi giovani - scrive Sarnelli -
improponibili al di fuori di questa specifica relazione diadica: il gioco
della finta vendita di una ragazza bianca al nero e', ad esempio, assoluto
appannaggio dei giovani e suscita molte critiche nei venditori napoletani
piu' anziani, agli occhi dei quali rievoca fastidiose memorie di signorine
del dopoguerra disponibili alle truppe di colore dell'esercito americano".
Nelle interazioni emerge anche il dialogo con le colf somale al mercato. La
colf somala chiede dei peperoni, ma il venditore le indica un cespo di
banane dicendo: "Come no, guarda come sono belli". E continua: "E che fa?
Non ti piacciono le banane? Guarda che le banane sono meglio dei peperoni,
sono piu' saporite... Non e' vero? (rivolgendosi al suo collega)". Il
venditore continua, imperterrito, mentre la somala fatica a comprendere le
allusioni o non vuole. Si tratta, in fondo di un esempio di mobbing che
pero' l'autore del saggio non ha saputo e voluto rilevare, insieme al resto
dove le considerazioni si fanno generiche, neutrali.

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

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Numero 540 del 19 marzo 2003