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La nonviolenza e' in cammino. 453



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 453 del 22 dicembre 2002

Sommario di questo numero:
1. Peppe Sini, i compiti dell'umanita' nell'eta' atomica
2. Ida Dominijanni, il diritto bombardato
3. Eduardo Galeano, il tempo della paura
4. Operazione Colomba, dalla striscia di Gaza
5. Etty Hillesum, anima e gesto
6. Hannah Arendt, la scoperta di Montesquieu
7. Emanuel Anselmi, il microcredito come strumento di lotta alla poverta'
8. Riletture: Muhammad Yunus, Il banchiere dei poveri
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

1. RIFLESSIONE. PEPPE SINI: I COMPITI DELL'UMANITA' NELL'ETA' ATOMICA
[Il seguente articolo e' apparso nel fascicolo di dicembre 2002 del mensile
dell'Associazione italiana amici di Raoul Follereau (Aifo) "Amici dei
lebbrosi"; l'Aifo e' un'associazione umanitaria che invitiamo tutti i nostri
interlocutori a sostenere (per contatti: e-mail: info@aifo.it; sito:
www.aifo.it)]
Quando ci viene posta la domanda se il pericolo atomico esista ancora, la
nostra risposta e': esso non abbandonera' mai piu' l'umanita'. Occorre
sapere che da quell'agosto 1945 fino alla fine della civilta' umana questa
minaccia sempre incombera' su tutti noi esseri umani presenti e venturi, e
sempre e sempre dovremo lottare contro di essa.
*
Lo colse e lo seppe dire in modo ineguagliabile Guenther Anders, il
grandissimo filosofo che dedico' l'intera sua vita a lottare contro gli
orrori di Auschwitz e di Hiroshima affinche' non potessero ripetersi mai
piu'.
Ha scritto, tra altri indimenticabili testi, una breve riflessione dal
titolo Tesi sull'eta' atomica, la cui lettura a noi pare imprescindibile
(per i lettori italiani la traduzione perfetta di Renato Solmi e'
disponibile nella rete telematica, e comunque puo' essere richiesta in forma
to elettronico al Centro di ricerca per la pace di Viterbo, e-mail:
nbawac@tin.it) [lo abbiamo riproposto integralmente ne "Lanonviolenza e' in
cammino n. 448 del 17 dicembre 2002 - ndr -].
Scrive Anders:
"Hiroshima come stato del mondo. Il 6 agosto 1945, giorno di Hiroshima, e'
cominciata un nuova era: l'era in cui possiamo trasformare in qualunque
momento ogni luogo, anzi la terra intera, in un'altra Hiroshima. Da quel
giorno siamo onnipotenti modo negativo; ma potendo essere distrutti ad ogni
momento, cio' significa anche che da quel giorno siamo totalmente impotenti.
Indipendentemente dalla sua lunghezza e dalla sua durata, quest'epoca e'
l'ultima: poiche' la sua differenza specifica, la possibilita'
dell'autodistruzione del genere umano, non puo' aver fine - che con la fine
stessa.
Eta' finale e fine dei tempi. La nostra vita si definisce quindi come
"dilazione"; siamo quelli-che-esistono-ancora. Questo fatto ha trasformato
il problema morale fondamentale: alla domanda 'Come dobbiamo vivere?' si e'
sostituita quella: "Vivremo ancora?' Alla domanda del "come" c'e' - per noi
che viviamo in questa proroga - una sola risposta: "Dobbiamo fare in modo
che l'eta' finale, che potrebbe rovesciarsi ad ogni momento in fine dei
tempi, non abbia mai fine; o che questo rovesciamento non abbia mai luogo".
Poiche' crediamo alla possibilita' di una "fine dei tempi", possiamo dirci
apocalittici; ma poiche' lottiamo contro l'apocalissi da noi stessi creata,
siamo (e' un tipo che non c'e' mai stato finora) "nemici dell'apocalissi".
Non armi atomiche nella situazione politica, ma azioni politiche nella
situazione atomica. La tesi apparentemente plausibile che nell'attuale
situazione politica ci sarebbero (fra l'altro) anche "armi atomiche", e' un
inganno. Poiche' la situazione attuale e' determinata esclusivamente
dall'esistenza di "armi atomiche", e' vero il contrario: che le cosiddette
azioni politiche hanno luogo entro la situazione atomica.
Non arma ma nemico. Cio' contro cui lottiamo, non e' questo o
quell'avversario che potrebbe essere attaccato o liquidato con mezzi
atomici, ma la situazione atomica in se'. Poiche' questo nemico e' nemico di
tutti gli uomini, quelli che si sono considerati finora come nemici
dovrebbero allearsi contro la minaccia comune. Organizzazioni e
manifestazioni pacifiche da cui sono esclusi proprio quelli con cui si
tratta di creare la pace, si risolvono in ipocrisia, presunzione compiaciuta
e spreco di tempo".
Cosi' l'incipit di questo fondamentale saggio, ma tutto il testo e' da
leggere e meditare.
*
Ma anche un altro grande uomo di pace, Ernesto Balducci, seppe cogliere ed
enunciare le novita' tremende e ineludibili dell'eta' atomica: in un
discorso che tenne nel 1981, e che poi riprese come introduzione in quel
magnifico suo manuale scolastico che e' La pace. Realismo di un'utopia,
Balducci ci parlava delle "tre verita' di Hiroshima", e scriveva:
"Le condizioni di fatto sono radicalmente mutate. L'umanita' e' entrata in
un tempo nuovo nel momento stesso in cui si e' trovata di fronte al dilemma:
o mutare il modo di pensare o morire. Essa vive ormai sulla soglia di una
mutazione, nel senso forte che ha il termine in antropologia.
Non serve obiettare, contro il dilemma, che la mutazione non e' avvenuta e
noi siamo vivi! Non e' forse vero che l'abisso si e' spaventosamente
allargato dinanzi a noi? D'altronde le mutazioni non avvengono con ritmi
serrati e uniformi. In ogni caso si puo' gia' dire, con fondatezza, che si
sono andate generalizzando alcune certezze in cui e' facile scoprire il
riflesso del messaggio di Hiroshima e dunque un qualche inizio della
mutazione.
La prima verita' contenuta in quel messaggio e' che il genere umano ha un
destino unico di vita o di morte. Sul momento fu una verita' intuitiva, di
natura etica, ma poi, crollata l'immagine eurocentrica della storia, essa si
e' dispiegata in evidenze di tipo induttivo la cui esposizione pił recente e
piu' organica e' quella del Rapporto Brandt. L'unita' del genere umano e'
ormai una verita' economica. Le interdipendenze che stringono il Nord e il
Sud del pianeta, attentamente esaminate, svelano che non e' il Sud a
dipendere dal Nord ma e' il Nord che dipende dal Sud. Innanzitutto per il
fatto che la sua economia dello spreco e' resa possibile dalla metodica
rapina a cui il Sud e' sottoposto e poi, piu' specificamente, perche' esiste
un nesso causale tra la politica degli armamenti e il persistere, anzi
l'aggravarsi, della spaventosa piaga della fame. Pesano ancora nella nostra
memoria i 50 milioni di morti dell'ultima guerra, ma cominciano anche a
pesarci i morti che la fame sta facendo: 50 milioni, per l'appunto, nel solo
anno 1979. E piu' comincia a pesare il fatto, sempre meglio conosciuto, che
la morte per fame non e' un prodotto fatale dell'avarizia della natura o
dell'ignavia degli uomini, ma il prodotto della struttura economica
internazionale che riversa un'immensa quota dei profitti nell'industria
delle armi: 450 miliardi di dollari nel suddetto anno 1979 e cioe' 10 volte
di piu' del necessario per eliminare la fame nel mondo. Questo ora si sa.
Adamo ed Eva ora sanno di essere nudi. Gli uomini e le donne che, fosse pure
soltanto come elettori, tengono in piedi questa struttura di violenza, non
hanno piu' la coscienza tranquilla.
La seconda verita' di Hiroshima e' che ormai l'imperativo morale della pace,
ritenuta da sempre come un ideale necessario anche se irrealizzabile, e'
arrivato a coincidere con l'istinto di conservazione, il medesimo istinto
che veniva indicato come radice inestirpabile dell'aggressivita'
distruttiva. Fino ad oggi e' stato un punto fermo che la sfera della morale
e quella dell'istinto erano tra loro separate, conciliabili solo mediante
un'ardua disciplina e solo entro certi limiti: fuori di quei limiti accadeva
la guerra, che la coscienza morale si limitava a deprecare come un malum
necessarium. Ma le prospettive attuali della guerra tecnologica sono tali
che la voce dell'istinto di conservazione (di cui la paura e' un sintomo non
ignobile) e la voce della coscienza sono diventate una sola voce. Non era
mai capitato. Anche per questi nuovi rapporti fra etica e biologia, la
storia sta cambiando di qualita'.
La terza verita' di Hiroshima e' che la guerra e' uscita per sempre dalla
sfera della razionalita'. Non che la guerra sia mai stata considerata, salvo
in rari casi di sadismo culturale, un fatto secondo ragione, ma sempre le
culture dominanti l'hanno ritenuta quanto meno come una extrema ratio, e
cioe' come uno strumento limite della ragione. E difatti, nelle nostre
ricostruzioni storiografiche, il progresso dei popoli si avvera attraverso
le guerre. Per una specie di eterogenesi dei fini - per usare il linguaggio
di Benedetto Croce - l'"accadimento" funesto generava l'"avvenimento"
fausto. Ma ora, nell'ipotesi atomica, l'accadimento non genererebbe nessun
avvenimento. O meglio, l'avvenimento morirebbe per olocausto nel grembo
materno dell'accadimento.
Queste tre verita' non trovano il loro giusto contesto nella cultura e nella
pratica politica ancora dominanti. Il pacifismo che esse prefigurano e'
anch'esso di tipo nuovo, non in continuita' con quello tradizionale".
*
E con chiarezza cristallina nella sua lettera ai giudici del 1965, il priore
di Barbiana, don Lorenzo Milani, seppe descrivere la situazione presente: "A
pił riprese gli scienziati ci hanno avvertiti che e' in gioco la
sopravvivenza della specie umana. (Per esempio Linus Pauling premio Nobel
per la chimica e per la pace). E noi stiamo qui a questionare se al soldato
sia lecito o no distruggere la specie umana?".
La riflessione morale odierna non puo' piu' eludere i temi che la tecnologia
atomica, le armi di sterminio di massa, la contaminazione dell'ambiente
pongono alla coscienza umana; si veda ad esempio il fondamentale libro di
Hans Jonas, Il principio responsabilita'.
Le armi atomiche, come tutte le armi di distruzione di massa, sono nemiche
dell'umanita'. Tutte le armi, in quanto intese a ferire ed uccidere esseri
umani, sono nemiche dell'umanita'.
Cosicche' un impegno a tutti e' richiesto oggi, se l'umanita' intera, oltre
che l'umanita' che e' in noi stessi individualmente considerati, ci sta a
cuore: opporci alle armi: al loro uso, al loro commercio, alla loro
produzione.
Se la memoria non mi inganna fu Einstein a dire una volta che non sapeva con
quali armi sarebbe stata combattuta la terza guerra mondiale, ma quanto alla
quarta era certo che sarebbe stata combattuta con le clave. Se vogliamo
impedire stragi immani e un regresso alla preistoria tra dolori indicibili
per la superstite umanita', dobbiamo impedire le guerre, e per impedirle
dobbiamo impegnarci tutti per il disarmo.
*
Ma opporsi alle guerre, agire il disarmo, richiede un impegno ulteriore,
anzi due:
a) un impegno di costruzione della pace e di gestione esclusivamente civile
dei conflitti, che e' possibile ad una sola condizione: la scelta della
nonviolenza;
b) un impegno a pensare e inverare modelli di difesa - dei territori, delle
societa' e dei diritti - che siano alternativi a quelli militari e che siano
non meno ma piu' efficaci: questi modelli esistono gia', sono quell'insieme
di esperienze storiche e di proposte operative che chiamiamo difesa popolare
nonviolenta, verso cui occorre orientare al piu' presto la politica della
difesa del nostro e di ogni paese.
Poiche' solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe. Gandhi
lo colse molto prima di Hiroshima; dopo Hiroshima ogni coscienza illuminata
lo sa.
*
Alcune letture particolarmente utili sono le seguenti:
- Guenther Anders, Essere o non essere. Diario di Hiroshima e Nagasaki,
Einaudi, Torino 1961 (con in appendice le Tesi sull'eta' atomica);
- Guenther Anders e Claude Eatherly, Il pilota di Hiroshima, ovvero: la
coscienza al bando, Einaudi, Torino 1962, Linea d'Ombra, Milano 1992;
- Hannah Arendt, Vita activa, Bompiani, Milano 1964, 1994;
- Ernesto Balducci, Lodovico Grassi, La pace. Realismo di un'utopia,
Principato, Milano 1983;
- Norberto Bobbio, Il problema della guerra e le vie della pace, Il Mulino,
Bologna 1979, 1984; Il terzo assente, Sonda, Torino-Millano 1989;
- Adriano Buzzati-Traverso, Morte nucleare in Italia, Laterza, Roma-Bari
1982;
- Elias Canetti, Massa e potere, Adelphi, Milano 1981, Bompiani, Milano
1988; La coscienza delle parole, Adelphi, Milano 1984;
- Documenti del processo di don Milani, L'obbedienza non e' piu' una virtu',
Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1969 (raccolta di materiali pił volte
ristampata dallo stesso e da altri editori);
- Theodor Ebert, La difesa popolare nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1984;
- Hans Jonas, Il principio responsabilita', Einaudi, Torino 1990, 1993;
- Robert Jungk, Gli apprendisti stregoni, Einaudi, Torino 1958, 1982;
- Domenico Gallo, Dal dovere di obbedienza al diritto di resistenza,
Edizioni del Movimento Nonviolento, Perugia 1985;
- Mohandas K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino
1973, 1996;
- Enrico Peyretti, Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte
nonarmate e nonviolente, in "La nonviolenza e' in cammino", n. 390 del 20
ottobre 2002;
- Giuliano Pontara, Etica e generazioni future, Laterza, Roma-Bari 1995;
- Arundhati Roy, Guerra e' pace, Guanda, Parma 2002;
- Bertrand Russell, L'autobiografia, 3 voll., Longanesi, Milano 1969, 1971;
- Gene Sharp, Politica dell'azione nonviolenta, 3 voll., Edizioni Gruppo
Abele, Torino 1985-1997;
- Edward P. Thompson, Opzione zero, Einaudi, Torino 1983;
- Simone Weil, L'Iliade poema della forza, in Eadem, La Grecia e le
intuizioni precristiane, Rusconi, Milano 1974;
- Virginia Woolf, Le tre ghinee, La Tartaruga, Milano 1975, Feltrinelli,
Milano 1987.
*
Alcuni film particolarmente interessanti sono i seguenti:
- Stanley Kubrick, Il dottor Stranamore, 1963;
- Akira Kurosawa, Sogni, 1990; Rapsodia d'agosto, 1991;
- Alain Resnais, Hiroshima mon amour, 1959.
*
Alcuni riferimenti particolarmente utili sono i seguenti:
- Centro di ricerca per la pace di Viterbo, e-mail: nbawac@tin.it
- IPPNW, sito: www.ippnw.org
- Movimento Nonviolento, sito: www.nonviolenti.org
- Peacelink, sito: www.peacelink.it

2. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: IL DIRITTO BOMBARDATO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 18 dicembre 2002. Ida Dominijanni,
giornalista e saggista, e' una delle piu' lucide intellettuali femministe e
impegnate contro la guerra e per i diritti umani]
"La guerra annunciata contro l'Iraq sarebbe, o sara', una guerra
illegittima, che abbia o che non abbia l'avallo del Consiglio di sicurezza
dell'Onu. Altrettanto illegittime sono state le guerre nel Golfo, in Bosnia
e in Kosovo, che hanno trasformato gli anni Novanta del Novecento, da
decennio del diritto internazionale qual era stato dichiarato dall'Assemblea
generale dell'Onu, nel decennio della riabilitazione politica, culturale e
morale della guerra; altrettanto illegittima e' stata la guerra in
Afghanistan, ancorche' giustificata in termini di contrattacco
anti-terrorista. Ai tragici effetti gia' computabili di queste guerre
sull'umanita' e sullo stato del pianeta e a quelli prevedibili, e ancor piu'
catastrofici, della piu' che probabile guerra all'Iraq se ne aggiunge un
altro: il danno forse irreversibile apportato al diritto internazionale e la
regressione a un secolo fa del sistema giuridico-politico delle relazioni
internazionali".
La giuria del Tribunale permanente dei popoli, riunito a Roma dal 14 al 16
dicembre per la sua trentunesima sessione, ha ascoltato le relazioni di
diciassette studiosi di storia, diritto, geopolitica, sistema
dell'informazione; ha soppesato le testimonianze di Emergency, Medici senza
Frontiere, Donne in nero e altre associazioni attive nelle zone di guerra, e
alla fine ha emesso la sua sentenza.
Non c'e' legittimazione possibile per l'attacco all'Iraq, e non c'e' altro
argine alle continue violazioni del diritto internazionale se non la
riaffermazione del diritto internazionale stesso come confine
imprescindibile fra ragione e barbarie.
Non era una sessione come tutte le altre, questa. Di solito, il Tribunale
dei popoli si riunisce per accertare specifiche responsabilita' per
specifici crimini di diritto internazionale. Stavolta, invece, si trattava
di analizzare i crimini perpetrati sul diritto internazionale nel suo
insieme: gli attacchi a cui il sistema giuridico di regolazione dei
conflitti nato con le Nazioni Unite e' stato sottoposto dopo l'Ottantanove,
quando la caduta del Muro di Berlino, dell'Urss e del bipolarismo sembrarono
aprire la porta a un futuro di pace e invece e' cominciato un presente di
guerra. Finita la Guerra fredda, si sono dispiegate le guerre calde;
perche', argomenta al Tribunale Raniero La Valle, l'Occidente ha sbagliato
la lettura dell'89, e invece di cogliere in quei crolli la chance per
costruire un mondo diverso e migliore uscendo dalla logica della forza, l'ha
riconfermata mettendosi da solo alla testa di un unico sistema di dominio.
Gli effetti economici, sociali e politici di questa logica di potenza
unipolare sulla costruzione squilibrata del mondo globale sono noti. Ma
quello che al Tribunale spetta mettere a fuoco, e' il ruolo che in questa
costruzione hanno giocato le guerre, riesumate come normale strumento di
risoluzione dei conflitti contro lo spirito e la lettera della Carta
dell'Onu che le aveva messe al bando, e rilegittimate sulla base di tre
aggettivi - guerra giusta, guerra umanitaria, guerra preventiva - che sono
altrettante ferite inferte al diritto internazionale.
*
C'e' qui il primo punto da sottolineare del posizionamento culturale e
politico della sentenza emessa dal Tribunale. A fronte infatti di molte
analisi che collocano il passaggio dalla "guerra moderna" alla "guerra
globale" negli attentati, o anche nella risposta agli attentati, dell'11
settembre 2001, il Tribunale lo retrodata invece alla guerra del Golfo del
1991.
Gia' quella, sostiene Danilo Zolo, fu una "guerra globale". Perche' gia'
quella rispondeva alle esigenze del "nuovo ordine mondiale" elaborate da
Bush senior nel '90, basato sull'occidentalizzazione del mondo,
sull'ossessione della global security, sul ribaltamento del principio di
non-ingerenza nel principio di ingerenza (umanitaria). Perche' pur essendo
legittimata dall'Onu non fu una "guerra limitata" da procedure e vincoli
giuridici; perche' non fu una guerra fra stati bensi' fra una colaizione e
uno stato; infine, per l'importanza dei media nel suo andamento e per i suoi
devastanti effetti sull'ecosistema planetario.
Guerra "globale" fu anche quella in Kosovo, non solo per ragioni
geopolitiche ma anche per la novita' della sua legittimazione "umanitaria",
che mobilita valori universalistici - la difesa dei diritti - a fini di
parte, e per i suoi risvolti strategico-militari - il "nuovo concetto
strategico" della Nato allora elaborato ai fini della "global security".
Globale infine e' stata la guerra in Afghanistan, che si legittima come
risposta difensiva al terrorismo globale ma di fatto fallisce la lotta
contro Al Queda e in compenso agisce come tappa di consolidamento nel cuore
dell'Asia centrale dell'egemonia planetaria americana, nonche' come cruciale
tappa di reinterpretazione a fini aggressivi del concetto di "legittima
difesa" scritto nell'articolo 51 della Carta dell'Onu.
*
La strada e' aperta alla "guerra preventiva" delineata nella National
Security Strategy dello scorso settembre: una nozione della guerra che -
accompagnata dal ribaltamento del principio della non-proliferazione degli
arsenali militari in quello della controproliferazione - si oppone
frontalmente all'intera struttura del diritto internazionale vigente,
capitalizza la riesumazione della "guerra giusta" e l'invenzione della
"guerra umanitaria" nella guerra del Bene contro il Male, e rischia di far
precipitare il pianeta in un nuovo ciclo di guerre mondiali che il diritto
internazionale, cosi' ferito, non sarebbe in grado di contrastare.
E' evidente che nessun membro della giuria del Tribunale dei popoli ritiene
che un'autorizzazione del Consiglio di sicurezza alla "guerra preventiva" in
Iraq le imprimerebbe effettivamente il bollo della legalita' e della
legittimita'.
La sentenza e' chiarissima su questo punto: "Tutte e tre le guerre dello
scorso decennio sono state decise e condotte in violazione della Carta
dell'Onu e dello stesso diritto umanitario di guerra. Ancor piu' chiaramente
illecita, alla stregua della Carta dell'Onu, sarebbe poi una futura guerra
contro l'Iraq".
Ne' nel Golfo ne' in Kosovo ne' in Afghanistan si e' rimasti infatti
all'interno dei limiti previsti dal "legittimo uso della forza" previsto
dalla Carta, ma si e' viceversa proceduto sul piano operativo con
bombardamenti e crimini di guerra che hanno devastato le popolazioni civili,
e sul piano della legittimazione pubblica con la riesumazione di quella
teoria della guerra etica che la Carta dell'Onu aveva definitivamente
archiviato all'indomani degli orrori della seconda guerra mondiale e della
catastrofe nucleare.
Quanto alla prospettiva della guerra "preventiva" in Iraq, "in questo caso
non ricorre - scrive la sentenza - nessun presupposto non diciamo della
guerra ma neppure dell'uso controllato della forza, giacche' non esistono
prove che il regime iracheno, benche' odiosamente totalitario, stia ponendo
in atto una effettiva minaccia alla pace, e perfino il possesso da parte
dell'Iraq di armi di distruzione di massa non equivarrebbe da solo a una
minaccia sufficiente a giustificare un intervento armato". La nozione di
guerra preventiva, inoltre, "e' un eufemismo con il quale si tenta di
legittimare quella che in realta' e' un'aggressione", "chi la invoca si
colloca al margine del diritto e converte le sue azioni in mero esercizio
del potere". Se il Consiglio di sicurezza autorizzera' l'intervento, non
apporra' un bollo di legittimita': al contrario, non fara' che violare la
Carta cui dovrebbe essere sottoposto e vincolato.
*
Ed eccoci al secondo punto del posizionamento culturale e politico del
Tribunale.
Diversamente da molti altri osservatori, intellettuali e politici, il
Tribunale non cede all'idea che l'attuale crisi del sistema del diritto
internazionale, o meglio l'attacco cui e' attualmente sottoposto, ci
autorizzi a pensare che esso sia nei fatti superato.
E' esplicito su questo punto Luigi Ferrajoli: "Dobbiamo leggere nella crisi
in atto una sfida nei confronti della ragione giuridica e politica. Non
possiamo permetterci il lusso di essere pessimisti e di dichiarare la
bancarotta del diritto internazionale, che continua comunque a essere la
sola alternativa razionale a un futuro di guerre, terrorismi, violazioni
massicce dei diritti umani. L'idea che la crisi e' priva di alternative
equivarrebbe a un'abdicazione della ragione".
Giusto, salvo che talvolta, nella storia, la ragione abdica da se' e non
riesce a far fronte alle regressioni. Non e' per caso del resto che
Salvatore Senese, cercando le strade del rinculo dal tabu' della guerra
sancito dalla Carta dell'Onu alla sua rilegittimazione degli anni novanta,
riparta dal celebre epistolario del 1932 fra Einstein e Freud. Allora,
scriveva Freud che "poiche' la guerra contraddice nel modo piu' stridente a
tutto l'atteggiamento psichico che ci e' imposto dal processo civile,
dobbiamo necessariamente ribellarci a essa con la massima idiosincrasia". Un
secolo dopo, osserva Senese, il lascito giuridico e politico del Novecento
contenuto nel binomio diritti-pace si e' scisso in due, il valore della pace
abbandonato da una parte e l'enfasi sui diritti associata alla guerra
dall'altra. Le scissioni capitano nella psiche collettiva come in quella
individuale, e quando capitano si entra, com'e' noto, nella paranoia.

3. RIFLESSIONE. EDUARDO GALEANO: IL TEMPO DELLA PAURA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 20 dicembre 2002. Eduardo Galeano e' nato
nel 1940 a Montevideo (Uruguay). Giornalista e scrittore, nel 1973 in
seguito al colpo di stato militare e' stato imprigionato e poi espulso dal
suo paese. Ha vissuto lungamente in esilio fino alla caduta della dittatura.
Dotato di una scrittura nitida, pungente, vivacissima, e' un intellettuale
fortemente impegnato nella lotta per i diritti umani e dei popoli. Tra le
opere di Eduardo Galeano fondamentali sono Le vene aperte dell'America
Latina, recentemente ripubblicato da Sperling & Kupfer, Milano; Memoria del
fuoco, Sansoni, Firenze; il recente A testa in giu', Sperling & Kupfer,
Milano; tra gli altri libri editi in italiano cfr. almeno: Guatemala, una
rivoluzione in lingua maya, Laterza, Bari; Voci da un mondo in rivolta,
Dedalo, Bari; La conquista che non scopri' l'America, Manifestolibri, Roma;
Las palabras andantes, Mondadori, Milano]
E' il tempo della paura.
Il mondo vive in uno stato di terrore e il terrore si maschera: dice di
essere opera di Saddam Hussein, un attore ormai stufo d'interpretare il
ruolo del nemico, o di Osama Bin Laden, babau di professione. Ma il vero
autore del panico planetario si chiama Mercato. Questo signore non ha niente
a che spartire con la vecchia cara zona del quartiere dove si va a comprare
la frutta e la verdura. E' un potentissimo terrorista senza volto, che si
trova ovunque, come Dio, e che, come Dio, crede di essere eterno. I suoi
numerosi interpreti annunciano: "Il Mercato e' nervoso", e intimano: "Non
bisogna irritare il Mercato".
La sua lunghissima fedina penale lo rende temibile. Non ha fatto altro che
rubare cibo, ammazzare posti di lavoro, sequestrare interi Paesi e
fabbricare guerre.
*
Per vendere le sue guerre, il Mercato semina paura, e la paura crea il clima
adatto. La televisione s'incarica di far si' che le torri gemelle di New
York crollino tutti i giorni. Che cosa ne e' rimasto del panico
dell'antrace? Non solo un'inchiesta ufficiale, che ha chiarito poco o nulla
su quelle lettere mortali, ma anche un aumento vertiginoso del budget
militare degli Stati Uniti. E i miliardi che quel paese destina
all'industria della morte non sono bazzecole. Meno di un mese e mezzo di
quelle spese basterebbe a far finire la miseria nel mondo, se i numeretti
delle Nazioni Unite non mentono.
Ogniqualvolta il Mercato da' l'ordine, la spia rossa dell'allarme lampeggia
nel pericolosimetro, la macchina che trasforma ogni sospetto in prova
schiacciante. Le guerre preventive uccidono nel dubbio, non per le prove.
Adesso tocca all'Iraq. Quel paese disgraziato e' stato condannato un'altra
volta. I morti sapranno perche': in Iraq c'e' la seconda riserva petrolifera
mondiale, che e' giusto cio' di cui il Mercato ha bisogno per assicurare
combustibile agli sprechi della societa' dei consumi.
*
Specchio, specchio delle mie brame, chi e' il piu' temuto del reame? Le
potenze imperialistiche monopolizzano per diritto naturale le armi di
distruzione di massa.
All'epoca della conquista dell'America, mentre nasceva quello che adesso
chiamano Mercato globale, il vaiolo e l'influenza uccisero molti piu'
indigeni della spada e dell'archibugio. La riuscita invasione europea
dovette ringraziare i batteri e i virus. Secoli dopo, quegli alleati
provvidenziali sono diventati armi di guerra in mano alle superpotenze. Un
pugno di paesi monopolizza gli arsenali biologici. Un paio di decenni fa,
gli Stati Uniti permisero a Saddam Hussein di lanciare bombe batteriologiche
contro i curdi, quando lui era coccolato dall'occidente e i curdi godevano
di pessima fama, ma quelle armi batteriologiche erano state fatte con
colture comprate da una ditta di Rockville, nel Maryland.
In materia militare, come in tutto il resto, il Mercato predica la liberta',
ma la competizione non gli piace neanche un po'. L'offerta si concentra
nelle mani di pochi, in nome della sicurezza universale. Saddam Hussein fa
molta piu' paura.
Il mondo trema. Una minaccia tremenda: l'Iraq potrebbe di nuovo usare armi
batteriologiche e, ancora molto piu' grave, un giorno potrebbe arrivare ad
avere armi nucleari. L'umanita' non puo' permettersi quel pericolo, proclama
il pericoloso presidente dell'unico paese che abbia usato armi nucleari per
assassinare la popolazione civile. E' stato forse l'Iraq a sterminare i
vecchi, le donne e i bambini di Hiroshima e Nagasaki?
*
Paesaggio del nuovo millennio:
- gente che non sa se domani trovera' da mangiare, o se rimarra' senza
tetto, o come fara' per sopravvivere in caso di malattia o d'incidente;
- gente che non sa se domani perdera' il lavoro, o se sara' obbligata a
lavorare il doppio in cambio della meta', o se la sua pensione sara'
divorata dai lupi della Borsa o dai topi dell'inflazione;
- cittadini che non sanno se domani saranno assaliti dietro l'angolo, o se
gli svaligeranno la casa, o se qualche disperato gli piantera' un coltello
nella pancia;
- contadini che non sanno se domani avranno terra da lavorare e pescatori
che non sanno se troveranno fiumi o mari non ancora avvelenati;
- persone e paesi che non sanno come faranno domani a pagare i loro debiti
moltiplicati dall'usura.
Saranno forse opera di Al Qaeda queste paure quotidiane?
*
L'economia compie attentati che non compaiono sui quotidiani; ogni minuto
uccide di fame dodici bambini. Nell'organizzazione terrorista del mondo, che
il potere militare protegge, ci sono un miliardo di affamati cronici e
seicento milioni di obesi.
Moneta forte, vita fragile: l'Ecuador e El Salvador hanno adottato il
dollaro come valuta nazionale, ma la popolazione fugge. Questi paesi non
avevano mai prodotto tanta poverta' e tanti emigranti. La vendita di carne
umana all'estero genera sradicamento, tristezza e monete. Nell'anno 2001 gli
ecuadoregni obbligati a cercare lavoro altrove hanno mandato al loro paese
una quantita' di denaro che supera la somma delle esportazioni di banane,
gamberetti, tonno, caffe' e cacao.
Anche l'Uruguay e l'Argentina espellono i loro figli giovani.
Gli emigranti, figli di immigrati, lasciano alle spalle famiglie distrutte e
memorie dolorose. "Dottore, mi hanno spezzato l'anima": in che ospedale ci
si cura?
In Argentina un concorso televisivo offre ogni giorno il premio piu' ambito:
un lavoro. Le code sono lunghissime. Il programma sceglie i candidati e il
pubblico vota. Ottiene un lavoro chi versa piu' lacrime e piu' lacrime
strappa. Sony Pictures sta vendendo la formula di successo in tutto il
mondo.
Che tipo di lavoro? Uno qualsiasi. Per quanto? Per qualunque cifra e in
qualsiasi modo. La disperazione di coloro che cercano lavoro e l'angoscia di
quelli che temono di perderlo obbligano ad accettare l'inaccettabile. In
tutto il mondo s'impone "il modello WalMart". La ditta numero uno degli
Stati Uniti vieta i sindacati e allunga gli orari senza pagare le ore extra.
Il Mercato esporta il suo esempio lucroso. Quanto piu' sofferenti sono i
paesi, tanto piu' facile diventa azzerare il diritto al lavoro.
E risulta anche piu' facile sacrificare altri diritti. I generatori del caos
vendono l'ordine. La poverta' e la disoccupazione moltiplicano la
delinquenza che diffonde il panico, e in questo brodo di coltura prolifera
tutto il peggio. I militari argentini, che la sanno lunga di crimini, sono
stati invitati a combattere il crimine: che vengano a salvarci dalla
delinquenza, proclama gridando Carlos Menem, un funzionario del Mercato che
di delinquenza sa molto perche', quando era presidente, l'ha esercitata come
nessun altro.
*
Costi bassissimi, guadagni a mille, controllo zero: una petroliera si spezza
a meta' e la mortale marea nera attacca le coste della Galizia e anche
oltre.
L'affare piu' redditizio del mondo genera fortune e disastri "naturali". I
gas velenosi che il petrolio getta nell'aria sono la causa principale del
buco dell'ozono, che ormai presenta le dimensioni degli Stati Uniti, e del
clima impazzito. In Etiopia e in altri paesi africani, la siccita' sta
condannando milioni di persone alla peggiore carestia degli ultimi
vent'anni, mentre la Germania e altri paesi europei sono appena stati
colpiti da inondazioni che sono state la peggiore catastrofe dell'ultimo
mezzo secolo.
Inoltre il petrolio genera guerre. Povero Iraq!

4. DIRITTI UMANI. OPERAZIONE COLOMBA: DALLA STRISCIA DI GAZA
[Dal sito dell'Operazione Colomba (www.operazionecolomba.org) riprendiamo il
seguente comunicato. Gli amici carissimi dell'Operazione Colomba - una delle
piu' straordinarie esperienze di "corpi civili di pace" nonviolenti - sono
presenti in zone di conflitto e con la loro semplice ed umile, ma viva, e
fraterna e sororale presenza, agiscono e propongono la nonviolenza proprio
dove piu' crudele e' la violenza, e nella loro volontaria condivisione della
sofferenza e dell'angoscia dei piu' oppressi e minacciati recano soccorso e
conforto a tutte le vittime, in ciascuna riconoscendo una sorella, un
fratello]
La sera dell'11 dicembre ci giunge la notizia dell'incontro a Roma del primo
ministro italiano, Silvio Berlusconi, con il presidente israeliano, Moshe
Katsav. Secondo quanto riportato dall'"Ansa": "Il premier ha chiuso le porte
di Palazzo Chigi ai rappresentanti di Arafat subito dopo la strage di
Netanya nel marzo del 2002 (...). Berlusconi avrebbe promesso a Katsav
l'appoggio incondizionato dell'Italia al diritto di Israele di vivere in
pace nel suo territorio".
Ieri, 12 dicembre, cinque persone sono state uccise mentre tentavano di
uscire dalla striscia di Gaza, lo stesso esercito israeliano ha confermato
che erano disarmati.
La sera dell'11 dicembre presso il check point di Abu Holi, che divide in
due la striscia, sono stati feriti due palestinesi mentre stavano spingendo
la loro macchina rimasta in panne.
L'8 dicembre a Rafah, al confine con l'Egitto, una donna e' rimasta uccisa
dai soldati israeliani, i suoi tre bambini sono stati feriti.
Il 6 dicembre l'incursione di circa quaranta tank israeliani nel campo
profughi di Bureij, a sud di Gaza, ha provocato la morte di dieci persone,
tra cui una donna e i suoi quattro bambini, e circa venti feriti.
Attualmente la striscia di Gaza e' ermeticamente chiusa per i palestinesi:
non si puo' entrare ne' uscire. Il 40% della striscia e' occupata dagli
insediamenti israeliani (e dalle relative zone di sicurezza attorno ad essi,
dalle by pass road e dalla green line) in cui vivono circa 6.000 coloni
israeliani (0,5% della popolazione della striscia di Gaza). Nel restante 60%
vivono 1.250.000 palestinesi. Da un punto di vista strategico gli
insediamenti servono a giustificare la presenza delle basi militari
israeliane nella striscia, lo sfruttamento delle risorse idriche, e ad
impedire la realizzazione dei diritti civili dei palestinesi.
Ci rendiamo conto che "il diritto di Israele a vivere in pace nel suo
territorio", diritto del tutto legittimo, non sara' il frutto di questa
palese situazione di ingiustizia. Non e' possibile raggiungere la pace con
un esercito che deliberatamente spara sui civili, blocca le strade,
distrugge case, sradica ulivi. Non si arrivera' mai alla sicurezza per il
popolo israeliano mantenendo quello palestinese in un clima di terrore e
oppressione permanente.
Quotidianamente, ormai da molti mesi, siamo testimoni del deterioramento
graduale della situazione, della perdita di speranza da parte della gente,
dell'intensificarsi della violenza.
In tutto questo i Paesi occidentali hanno un'enorme responsabilita': in
questo conflitto, come in qualsiasi altro, non e' possibile proporsi come
mediatori di pace schierandosi senza condizioni con una sola delle parti
coinvolte, in questo caso con quella israeliana. Se da un lato si condanna -
giustamente - l'uccisione di civili israeliani da parte di palestinesi,
dall'altro si resta silenziosi sulla politica del governo israeliano, che
ufficialmente esprime la propria volonta' di pace, ma concretamente mette in
atto l'espansione degli insediamenti, la confisca di terre palestinesi, la
distruzione delle infrastrutture sociali e politiche.
Lo stesso Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato diverse
risoluzioni (vincolanti per gli Stati membri) in cui si condanna la politica
governativa israeliana: a partire dalla risoluzione 242 (1967) in cui si
chiede "il ritiro delle forze armate israeliane dai territori occupati" nel
corso del conflitto, fino ad arrivare alla risoluzione 1435 (2002), adottata
lo scorso settembre, in cui oltre a "richiedere la completa cessazione di
tutti gli atti di violenza, inclusi gli atti di terrorismo", si "richiede
anche il rapido ritiro delle forze di occupazione israeliane dalle citta'
palestinesi".
Constatiamo come ancora una volta le azioni e l'atteggiamento del nostro
governo siano dettati non dalla sensibilita' verso la sofferenza di un
popolo o dal rispetto dei diritti umani, ma dagli interessi strategici e
politici del nostro paese.
Rifiutiamo questa logica, non per diversa posizione politica o ideologica,
ma perche' vivendo qua, al fianco delle vittime, siano esse israeliane o
palestinesi, ci rendiamo conto della falsita' e dell'opportunismo delle
dichiarazioni del Presidente del Consiglio.
Pertanto chiediamo che il governo italiano intraprenda una politica estera
per il medioriente che tenga conto anche delle gravi violazioni dei diritti
umani di cui si rende costantemente responsabile il governo israeliano e che
abbia l'obiettivo di favorire il processo di pace e di tutelare i diritti
fondamentali di entrambi i popoli.
I volontari dell'Operazione Colomba - Associazione Papa Giovanni XXIII
Per contattare i nostri volontari: tel. 97255940773 - 97259336586.

5. MAESTRE. ETTY HILLESUM: ANIMA E GESTO
[Da Etty Hillesum, Diario 1941-1943, Adelphi, Milano 1985, 1996, p. 237.
Etty Hillesum, nata nel 1914, e' deceduta ad Auschwitz nel 1943; il suo
diario e le sue lettere costituiscono documenti di altissimo valore e in
questi ultimi anni sempre di piu' la sua figura e la sua meditazione
diventano oggetto di studio e punto di riferimento per la riflessione di
tutte le amiche e gli amici della nonviolenza, di tutte le persone di
volonta' buona. Opere di Etty Hillesum: Diario 1941-1943, Adelphi, Milano
1985, 1996; Lettere 1942-1943, Adelphi, Milano 1990, 2001. Opere su Etty
Hillesum: AA. VV., La resistenza esistenziale di Etty Hillesum, fascicolo di
"Alfazeta", n. 60, novembre-dicembre 1996, Parma; piu' recentemente: Nadia
Neri, Un'estrema compassione, Bruno Mondadori Editore, Milano 1999; Pascal
Dreyer, Etty Hillesum. Una testimone del Novecento, Edizioni Lavoro, Roma
2000; Sylvie Germain, Etty Hillesum. Una coscienza ispirata, Edizioni
Lavoro, Roma 2000; Wanda Tommasi, Etty Hillesum. L'intelligenza del cuore,
Edizioni Messaggero, Padova 2002]
Un'anima e' fatta di fuoco e di cristalli di rocca. E' una cosa molto severa
e dura in senso veterotestamentario, ma e' anche dolce come il gesto
delicato con cui la punta delle sue dita sfiorava le mie ciglia.

6. MAESTRE. HANNAH ARENDT: LA SCOPERTA DI MONTESQUIEU
[Da Hannah Arendt, Vita activa, Bompiani, Milano 1964, 1994, p. 149. Hannah
Arendt, nata ad Hannover nel 1906, costretta all'esilio dal nazismo,
dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le massime
pensatrici politiche del Novecento; mori' a New York nel 1975. Tra i suoi
lavori fondamentali (quasi tutti tradotti in italiano e spesso ristampati,
per cui qui di seguito non diamo l'anno di pubblicazione dell'edizione
italiana, ma solo l'anno dell'edizione originale) ci sono Le origini del
totalitarismo (prima edizione 1951), Comunita', Milano; Vita Activa (1958),
Bompiani, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti, Milano; La
banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano;
Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso
La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna; una raccolta di brevi saggi
di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985; molto
interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e
politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La
corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo
1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1.
1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001. Su Hannah Arendt: fondamentale e' la
biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri,
Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt,
Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah
Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah
Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della
polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt,
Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su
Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah
Arendt, Giuntina, Firenze 2001. Per chi legge il tedesco due piacevoli
monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono:
Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999;
Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000]
Montesquieu comprese che la caratteristica dominante della tirannia era il
suo isolamento - l'isolamento del tiranno dai suoi sudditi, e quello dei
sudditi tra di loro per effetto del reciproco timore e del sospetto - e
quindi che la tirannia non era una forma di governo fra le altre, ma
contraddiceva la condizione umana essenziale della pluralita', dell'agire e
parlare insieme, che e' la condizione di tutte le forme di organizzazione
politica.

7. RIFLESSIONE. EMANUEL ANSELMI: IL MICROCREDITO COME STRUMENTO DI LOTTA
ALLA POVERTA'
[Emanuel Anselmi (per contatti: anselmie@libero.it) e' un collaboratore del
Centro di ricerca per la pace di Viterbo; dottore in economia, gia'
obiettore di coscienza in servizio civile presso la Caritas di Viterbo]
Nell'ampio e composito panorama delle teorie socio-economiche che da oltre
mezzo secolo si occupano dello studio e dei rimedi applicabili al problema
del sottosviluppo, sia nei Paesi del Terzo Mondo che nelle zone depresse
dell'Occidente, particolare rilievo assume uno strumento piuttosto recente
rispetto ad altri: il microcredito.
Nell'ambito di un processo di graduale resa alla logica dell'economia di
mercato anche da parte di molti di coloro che hanno sempre ritenuto di
vedere nell'economia di piano - e nel sistema di valori ad essa sotteso -
una decisa alternativa al capitalismo, sul piano meno speculativo e piu'
pratico delle varie metodologie "possibili" ed immediatamente praticabili,
quella del microcredito rappresenta un contributo fondamentale nella lotta
alla poverta', nonostante costituisca solamente una nicchia, anche se
eticamente orientata, all'interno dello stesso approccio teorico economico
ortodosso e ne condivida alcune categorie essenziali - come ad esempio
l'interesse sul prestito, necessario per permettere la sopravvivenza
dell'organismo che lo eroga, che e' dunque un'istituzione informata a
principi capitalistici.
Cio' posto, bisogna definire che cosa si intende per microcredito: esso
consiste in una attivita' di concessione di somme di denaro a soggetti
ritenuti svantaggiati per lo svolgimento di attivita' economiche che
utilizzano risorse locali, umane e materiali, assumendo per questo il ruolo
di microimprenditori, che operano nel pieno rispetto dell'ambiente e della
cultura del luogo. Naturalmente non si tratta di uno strumento utilizzabile
soltanto nei Paesi in via di sviluppo, ma puo' e deve essere usato anche
nelle variegate aree depresse degli Stati economicamente progrediti, e nei
confronti di quelle fasce di popolazione che non hanno accesso al credito
perche' impossibilitate a produrre delle garanzie e dunque ritenute "non
bancabili". La microimpresa dovrebbe rappresentare il fulcro di uno
sviluppo, di tipo sia economico che sociale, che coinvolga l'intera
comunita' locale.
Per quanto riguarda l'utilizzo dello strumento della microfinanza nei Paesi
sottosviluppati, e' necessario tenere in considerazione che, nella quasi
totalita' dei casi, ad una situazione reddituale particolarmente misera si
accompagnano pratiche che purtroppo ledono i diritti di gruppi sociali
locali, gruppi locali che di contro sono legati a tradizioni comunque
caratterizzate da un rispetto quasi religioso dell'ambiente, e percio'
decisamente sostenibili. Deve essere dunque chiara fin dall'inizio quella
che si vuole sia la "mission" dell'intervento di microcredito, espressione
con la quale si intende l'obiettivo, o il motivo dell'intervento, e la
metodologia prevista per l'attuazione dell'azione intrapresa.
E' importante chiarire se l'intervento viene praticato nel tentativo di
aumentare semplicemente il reddito dei beneficiari del microcredito, cioe' i
microimprenditori, e conseguentemente quello della stessa comunita' di
appartenenza, attraverso ripercussioni a livello locale che riescano a
creare quello che comunemente in Occidente viene chiamato indotto, oppure
anche con l'intento di modificare l'assetto sociale nell'ambito di
intervento, ossia avviare ad esempio un processo di empowerment femminile
laddove la questione di genere sia un problema particolarmente evidente.
Naturalmente, le caratteristiche del beneficiario devono essere anche
vagliate in relazione alle probabilita' di riuscita di interventi di questo
tipo, e la scelta di beneficiari di sesso femminile e' influenzata molto
anche dal fatto che le donne, nelle societa' tradizionali, si sono rivelate
ben piu' predisposte al risparmio rispetto agli uomini, ed e' per questo
motivo che, in interventi di cui siano le donne del villaggio a beneficiare,
il rischio di insolvenza e di non restituzione del prestito e' generalmente
minore, quindi non e' il caso di parlare solamente di empowerment.
Lo studio di fattibilita' e' evidentemente una fase fondamentale del
progetto ed e' attraverso essa, dopo aver definito la mission
dell'intervento, che si studia sia l'ambiente in cui si va ad agire -
verificando le informazioni che sono gia' a disposizione dell'analista e
raccogliendone ulteriori, di tipo sociale, economico, culturale ed
istituzionale - che le possibilita' di riuscita dello stesso intervento,
individuando i potenziali beneficiari del credito; questi potrebbero
comunque non essere dei rappresentanti delle fasce piu' povere delle
comunita' studiate: cio' non deve meravigliare, dato che bisogna tenere in
considerazione che e' necessario intervenire in quei contesti in cui lo
strumento del microcredito possa effettivamente avere buone opportunita' di
successo.
Lo scopo di questo metodo di lotta alla poverta' e' di dare un impulso alle
attivita' economiche locali che non riescono a svilupparsi per via del
carattere strutturale della depressione, ma e' anche quello di rendere
quelle attivita' sostenibili nel tempo, cioe' praticabili nel lungo periodo,
fino ad acquisire autosufficienza e a non avere piu' bisogno di un aiuto
esterno. Questo fondamentalmente contraddistingue lo strumento in questione
dal puro e semplice assistenzialismo e dagli interventi di emergenza, che
pure hanno la loro importanza in quelle situazioni di estremo e prolungato
disagio per le quali, al contrario, il microcredito risulterebbe
inappropriato, poiche' non e' possibile poter sviluppare una cultura del
risparmio, cioe' di un differimento della necessita' di soddisfare i propri
bisogni, quando invece, al cospetto del cooperante, si presenta l'urgenza di
sfamare e curare in maniera tempestiva le vittime del sottosviluppo.
Percio', e' bene sempre avere chiaro il concetto che nessuna pratica attuata
esclude l'altra.
L'ambiente rurale e' il luogo in cui i programmi di microcredito
principalmente operano. Esso - nei paesi poveri cosi' come nelle zone
colpite da qualche conflitto - e' caratterizzato da bassa produttivita',
scarsa o inesistente applicazione delle tecnologie, ineguale distribuzione
del reddito, elevata disoccupazione. Le procedure utilizzate dal settore
formale per la concessione di prestiti impongono la presenza di requisiti e
di vincoli che inducono gli operatori del settore agricolo, senza garanzie,
a rivolgersi a prestatori locali. A tale situazione vanno aggiunte la
carenza di infrastrutture, quali strade e sistemi di comunicazione in
generale, la dispersione geografica della popolazione, l'alta percentuale di
analfabetismo, la scarsa informazione.
L'economia informale, in un quadro in cui non e' possibile creare
agevolmente un mercato, e' l'oggetto di intervento delle operazioni di
microcredito, le quali puntano quindi a provvedere quel sostegno finanziario
capace di alleviare e nel lungo tempo superare le difficolta' incontrate
dalla popolazione nella creazione di un processo di sviluppo autosostenuto.
Chiaramente, l'istituzione di microfinanza deve affiancare alla mera
concessione di credito, una costante attivita' di assistenza tecnica e
consulenza "aziendale", ed ottimale sarebbe anche l'erogazione di servizi di
educazione sanitaria e che conducano all'alfabetizzazione dei beneficiari,
in un'ottica di approccio integrato che si differenzi dall'approccio
minimalista tipico degli istituti che si limitano a fornire esclusivamente
servizi di tipo finanziario.
Lo strumento in questione, dunque, presenta la caratteristica essenziale di
essere applicabile nei piu' diversi contesti, sia normativi che di settore
economico, ed ha la forza per essere considerato una metodologia efficace
per lo sviluppo sostenibile.

8. RILETTURE. MUHAMMAD YUNUS: IL BANCHIERE DEI POVERI
Muhammad Yunus, Il banchiere dei poveri, Feltrinelli, Milano 1998, 1999, pp.
272, lire 35.000. L'esperienza delle Grameen Bank raccontata dal suo
fondatore.

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it

Numero 453 del 22 dicembre 2002