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La nonviolenza e' in cammino. 446
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 446 del 15 dicembre 2002
Sommario di questo numero:
1. Lidia Menapace: neutralita' attiva, una proposta per l'Europa
2. Enrico Peyretti, la Costituzione
3. Nicoletta Crocella, costruire un linguaggio di pace
4. Lalla Romano, silenzio
5. Sergio Paronetto: ripudiare la guerra, educare alla pace
6. Rosemary Dobson, la spettatrice
7. Augusto Cavadi, per i poveri e contro la poverta'
8. Maria Pawlikowska, rose per Saffo
9. Francesco Comina: il silenzio di Dio, il mistero dell'uomo
10. "La parabola del patriarcato" di Maria Anna Rosei
11. Letture: Alberto Asor Rosa, La guerra
12. Letture: Jean Baudrillard, Lo spirito del terrorismo
13. Letture: Mimmo Cortese, Roberto Cucchini, La forza lieve
14. Letture: Assia Djebar, La donna senza sepoltura
15. Letture: Tim Judah, Guerra al buio
16. Riletture: Caterina Fischetti, La psicoanalisi infantile
17. Riletture: Alba Marcoli, Il bambino nascosto
18. Riletture: Alba Marcoli, Il bambino arrabbiato
19. Riletture: Alba Marcoli, Il bambino perduto e ritrovato
20. Da tradurre: "La Nouvelle Revue Francaise", novembre 1951, Hommage a
Andre' Gide
21. La "Carta" del Movimento Nonviolento
22. Per saperne di piu'
1. EDITORIALE. LIDIA MENAPACE: NEUTRALITA' ATTIVA, UNA PROPOSTA PER L'EUROPA
[Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: menapace@tin.it) per averci messo
a disposizione la traccia della sua relazione all'incontro della Convenzione
permanente di donne contro le guerre del 13 dicembre. Lidia Menapace e' tra
le figure piu' rilevanti della cultura e dei movimenti impegnati per la pace
e la dignita' umana]
La parola neutralita' non piace e sono sempre disposta a cambiarla, ma prima
vorrei dire chiaramente che cosa significa, per me soggettivamente e secondo
le definizioni del diritto internazionale.
Ricordo che spesso parole innovative vengono caricate all'inizio di
significati non buoni e persino irridenti: cosi' gotico voleva dire barbaro
rispetto al romanico; barocco bizzarro rispetto alla razionale magnificenza
rinascimentale; romantico confuso rispetto a classico; impressionista
ridicolo perche' dipingeva impressioni invece di cose; decadente addirittura
perverso rispetto al normale. Anche nel lessico politico repubblica
significo' disordine rispetto a monarchia; anarchia estremo disordine anche
morale; democrazia confusione; pacifista peggio che mafioso; comunista
compendio di tutte le malvagita'; nonviolenza essere imbelli, vigliacchi o
insopportabilmente ingenui. Neutralita' disinteresse, resa, vigliaccheria,
rispetto a battaglia, patriottismo, eroismo. Lo accenno solo per monito.
*
Per me soggettivamente significa che giudico qualsiasi controversia e me ne
faccio una opinione per quanto possibile bene informata e non settaria ne'
ideologicamente gia' orientata, e attribuisco torti e ragioni secondo quanto
posso e sono capace.
La guerra infinita tra Israele e Palestina serve ottimamente come esercizio
in merito. So che la terra contesa appartiene per ragioni varie e molto
antiche a due popoli, quello palestinese residente e quello israeliano la'
tornato dopo quasi un paio di millenni di diaspora, per riprendere la terra
da Dio promessa al suo popolo, protetto dalla cattiva coscienza europea che
aveva molti debiti da pagare a un popolo spesso perseguitato e infine
colpito dalla tremenda Endloesung hitleriana.
Che l'Europa e il mondo dei vincitori abbiano pensato di uscirne addossando
alla popolazione palestinese residente il carico del risarcimento e' tipico
della storia militare europea e delle dissennate forme di attribuzione dei
territori alla fine delle due guerre mondiali: i confini sono sempre
arbitrari, ma quelli usciti dalla prima e poi dalla seconda guerra mondiale
lo sono al massimo, basta ricordare i Balcani.
I palestinesi resistono a una attribuzione che li trasforma in sudditi di
Israele e lottano per avere riconosciuto un territorio proprio, uno stato;
la strada prima perseguita e' - da ambedue le parti - militare: Israele
costruisce le sue basi territoriali nella forma dei kibbutzim-fortezza; i
palestinesi cercano alleanze tra gli arabi al grido "distruggiamo lo stato
di Israele".
Da qui in poi non seguo piu' le vicende per brevita', e non discuto nemmeno
le ragioni per le quali alla fine della seconda guerra mondiale il Medio
Oriente, decisivo per il petrolio, non sia stato attribuito negli accordi di
Yalta e sia rimasto quindi un'area di continuo confronto e testa a testa tra
le superpotenze.
Mi voglio solo fermare su un paio di osservazioni. Per un bel po' di anni in
Europa e' quasi impossibile non sostenere Israele, dati i complessi di colpa
diffusi; ma i palestinesi sono cosi' palesemente vittime di torti e colpiti
da un esercito israeliano imbattibile, che l'opinione pubblica oscilla.
Tappe decisive di queste oscillazioni sono la guerra dei sei giorni da una
parte e il terrorismo dall'altra. Infatti i palestinesi praticano varie
forme di terrorismo che culminano nella sparatoria contro gli atleti alle
Olimpiadi di Monaco. E perdono consenso internazionale. Israele e' sempre
protetto dal ricordo della Shoah, dalla grande abilita' diplomatica, dal
fatto che ha gia' forma di stato (istituzione alla quale e' delegato
l'esercizio della violenza legale, detta forza): vengono perdonate
incursioni terribili e rappresaglie di stato (o terrorismo di stato)
promosse attraverso il Mossad, il servizio segreto ben presto riconosciuto
come il migliore del mondo. I palestinesi subiscono terribili condizioni di
vita, molti diventano profughi, molti finiscono in campi di concentramento;
e mentre qualsiasi ebreo da tutto il mondo puo' immigrare in Israele, del
quale e' ipso facto cittadino e puo' anche - se e' americano - versare ad
Israele il gettito fiscale dovuto agli Usa, per i palestinesi l'esilio o la
fuga equivalgono a un trasferimento che non ha ritorno. A questo punto i
palestinesi hanno una grande e geniale idea: lanciano l'Intifada
(significa - come sappiamo - indignazione) che e' una forma molto ben
condotta di difesa popolare nonviolenta: davvero popolare, dato che ne fanno
parte bambini, ragazzine, donne, anziani. Qui gli stati europei vengono
meno, cioe' applaudono, ma non fanno un bel niente per far rispettare le
risoluzioni delle Nazioni Unite e gli accordi internazionali che si
riassumono nella frase "due stati per due popoli".
Per l'inazione di chi avrebbe dovuto richiedere ad Israele di rispettare le
risoluzioni delle Nazioni Unite, la popolazione palestinese precipita in una
disperazione cupa, brodo di coltura per le aree che sostengono la guerra e
il terrorismo: viene lanciata la seconda Intifada, non piu' popolare ne'
nonviolenta, bensi' armata e diretta da correnti fanatizzate fino all'uso
abituale di kamikaze.
Qui si misura l'influsso del fondamentalismo in una popolazione prima nota
per la sua laicita', tolleranza religiosa e avanzatezza dei costumi: sono
ben lontani i tempi nei quali si citava il sindaco di Betlemme palestinese
cristiano e comunista e le donne andavano orgogliosamente a testa nuda,
prendevano la parola in pubblico e respingevano le proposte di Arafat di
rinviare la soddisfazione delle loro richieste a un ipotetico "secondo
tempo". Oggi compaiono quasi solo come madri o vedove di eroi o candidate
kamikaze, scelte da uomini persino per suicidarsi.
Simile deriva avviene anche tra gli Israeliani: prevale la destra religiosa.
Possiamo menzionare - simbolo di questa involuzione - l'assassinio di Rabin
da parte di un fanatico israeliano (o dei servizi segreti?).
A mio parere e' necessario per il bene dei popoli coinvolti che si
attribuiscano chiaramente le responsabilita' ai governi di Israele,
all'Autorita' palestinese, all'Europa, alle Nazioni Unite.
Risulta chiaro che qualsiasi "soluzione di forza" non risolve nulla.
Chi vuole fare qualcosa di utile deve prendere le distanze emotivamente e
politicamente sia dal governo di Israele sia dall'Autorita' palestinese.
Deve scegliere come interlocutori i gruppi che nei due popoli segnalano di
non voler continuare nella distruzione e trovano modi per protestare, per
distinguersi, per rifiutarsi.
E deve cercare una via d'uscita - come si suol dire - "politica", cioe' non
guerreggiata, sforzandosi in ogni modo di non "schierarsi".
E' cio' che hanno cominciato per prime a fare le Donne in nero, poi seguite
da altri, gruppi di parlamentari eccetera: ma non vi e' intorno a loro un
esplicito sostegno politico che allarghi il consenso della cittadinanza a
queste pratiche; che non debbono restare "esemplari", e ammirate come opere
buone o coraggiose o assistenziali, ma diventare politica diffusa.
Altrimenti sono aggiuntive, non sostitutive della guerra, leniscono il
peggio, non risanano la situazione.
Per dirla con Bertha von Suttner (la collaboratrice di Nobel che gli
suggeri' il premio per la pace) non bisogna fare come la croce rossa, che
Bertha considerava una istituzione da non premiare perche' militaresca e
perche' - come diceva con una metafora da donna che cucina -: "se uno viene
fritto nell'olio bollente, che la temperatura sia 300 o 280 gradi fa poca
differenza: la croce rossa abbassa la temperatura dell'olio a 280 gradi".
Se questo e' per me soggettivamente il percorso per diventare una persona
che pratica la neutralita', voglio pero' dire subito che la neutralita' ha
avuto un lungo itinerario storico e nei tempi moderni e' stata anche
definita nel diritto internazionale e li' e' considerata l'unica forma
politica, l'unica istituzione e procedura antagonista alla guerra.
Comunque per me neutralita' significa che anche la causa piu' giusta non
puo' essere sostenuta con le armi, perche' l'intervento militare inquina la
bonta' della causa e la fa degenerare come e' risultato evidente in tutte le
guerriglie, lotte di resistenza, ecc. ecc.
*
Gli antichi non avevano una istituzione giuridica che regolasse la
neutralita': uno stato in guerra poteva stipulare accordi con uno non
guerreggiante per ottenere che non facesse nulla di ostile ne' di
favorevole, si astenesse da azioni belliche: questo era un accordo a due,
non uno status, valeva per quella guerra e magari solo per una sua fase.
Qualcosa di simile - mi verrebbe voglia di dire - alla non-belligeranza che
Mussolini si invento' perche' non era pronto ad entrare in guerra e anche
Hitler gli consiglio' di soprassedere. Ma quando credette che la guerra
stesse per concludersi (nel 1940!), vi entro' rinunciando alla citata
non-belligeranza perche' voleva avere "qualche centinaio di morti da gettare
sul tavolo delle trattative", una delle frasi piu' vigliacche e che piu' gli
alienarono il favore popolare. Neutrale transitorio fu Franco che pure era
un personaggio molto incline alle armi, alla violenza, alla sopraffazione.
Se le prime definizioni giuridiche di neutralita' con le prime precisazioni
(neutralita' transitoria o permanente, volontaria, totale, eccetera)
appartengono al diritto dal XVII secolo in qua, le definizioni piu' precise
sono del secolo XIX e arrivano a compimento nel secolo XX soprattutto nel
periodo tra le due guerre.
Il movimento operaio, i movimenti anarchici e socialisti e il suffragismo
erano neutralisti e la crisi che li spacco' all'inizio della prima guerra
mondiale deve considerarsi una delle piu' serie e non recuperate tragedie
del secolo appena finito.
Significativi rallentamenti del neutralismo sono dovuti alle prime forme di
organizzazione internazionale a tutela di rapporti pacifici tra stati, come
la Societa' delle Nazioni: vi e' infatti una sorta di antagonismo tra
Societa' delle Nazioni che lavora per avere pace tenendo fermo che il
ricorso alla guerra deve essere l'extrema ratio, e il pensiero neutralista
che esclude comunque l'uso della guerra per far trionfare un punto di vista,
un interesse anche legittimo ecc.
Il rapporto conflittuale tra Societa' delle Nazioni e neutralita' e' ben
rappresentato dal fatto che la Svizzera per entrarvi chiese che le fosse
comunque riconosciuto il suo status di paese neutrale e ospitante. La
contraddizione si esprime - sia pure in forma meno accentuata - anche verso
le Nazioni Unite, dato che, ammaestrati dal terribile ripetersi di guerre
sempre piu' tremende, i vincitori mettono in capo del suo statuto la messa
fuori legge della guerra (la guerra e' sempre un crimine). Ma poiche' al suo
interno si stabiliscono poteri legati e legittimati dalla vittoria nella
seconda guerra mondiale, questo compito non puo' essere eseguito e
l'istituzione decade pericolosamente a sede di compensazione tra interessi
forti e di fatto subalterna alla forza delle varie amministrazioni Usa.
Forse un certo risveglio - ambiguissimo e non certo trasparente - e' in
corso appunto intorno alla guerra all'Irak, ma occorre una modifica profonda
della cultura fondativa delle Nazioni Unite per mutare questa debolezza.
*
Intanto si puo' tentare di costruire l'Europa almeno parzialmente in
un'altra logica, inserendo quanti piu' elementi e' possibile di superamento
della sovranita' nazionale e un articolo che ricalchi l'articolo 11 della
nostra Costiuzione italiana.
Certamente una vera neutralita' mette in discussione l'idea stessa di stato
di diritto cosi' come e' stata elaborata, cioe' quella di una istituzione
che garantisce la sicurezza dei cittadini mantenendo il diritto di usare
anche la guerra a questo fine (attraverso le Forze armate) e la repressione
poliziesca e carceraria per i crimini all'interno: tale uso della violenza
legale, detta forza (le "forze dell'ordine") e' un punto che deve far
riprendere una lotta anche culturale nei confronti degli elementi di
assolutismo che ineriscono all'idea di sovranita' statale.
Insomma neutralita' e' tutt'altro che un concetto generico o accomodante: se
si vuole praticarlo bisogna conoscerne idee, dimensioni, ambiti e
potenzialita', e non seguire l'opinione o la vulgata che ne fa un concetto
debole, rinunciatario, e magari persino imbelle.
Io ad esempio sono imbelle nel senso latino di "debole per eta'" e
"disadatta alla guerra per decisione etica e politica", ma mi considero
coraggiosa per aver scelto la pratica della neutralita'. Il coraggio non e'
temerita', eroismo o altre baggianate del dominio culturale del pensiero
bellicista-patriarcale.
Comunque i diritti e i doveri di uno stato che si dichiara neutrale sono: di
astenersi da ogni guerra, ma anche di non firmare in tempo di pace trattati
militari, e di non avere una politica che prepara o si dispone alla guerra;
non puo' consentire il passaggio di truppe sul suo territorio, ecc.; vi e'
un preciso regolamento dei movimenti in mare, del trattamento dei fuggiaschi
dalle guerre altrui, ecc.
Si potrebbe tradurre tutto cio' in: un continente neutrale non puo' ospitare
basi militari di altri sul suo territorio, non puo' firmare trattati
militari, non puo' avere arsenali; pratica il disarmo, vieta costruzione,
progettazione e vendita di armi, trasforma in civile la produzione
militare, ecc.
Il vecchio glorioso motto "Fuori la Nato dall'Italia, fuori l'Italia dalla
Nato" diventa oggi: una Europa neutrale non puo' ospitare le basi americane
e si sgancia dalla Nato, lavora alle Nazioni Unite per cancellare i residui
del diritto fondato sulla vittoria, come il privilegio di essere membri
permanenti del consiglio di sicurezza, di esercitarvi il diritto di veto, di
non mettere in piedi un sistema di magistratura e tribunali internazionali
contro i crimini contro l'umanita', per i diritti civili e sociali ecc. ecc.
Mi pare un complesso di concetti, un ragionamento dotato di grande potere
euristico.
Cosi' la vedo io, e amerei che non mi si ribattesse che neutralita' non
piace (non e' una risposta) o e' generica (che pure non lo e').
2. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: LA COSTITUZIONE
[Da una lettera di Enrico Peyretti (per contatti: peyretti@tiscalinet.it)
riprendiamo queste lapidarie osservazioni. Enrico Peyretti e' una delle
personalita' piu' prestigiose della riflessione e dei movimenti di pace e
nonviolenti]
La Costituzione c'e', in Italia, e preziosissima, forse la migliore del
mondo.
Si possono fare modifiche, nel rispetto dei principi, ma non si puo' fingere
che non ci sia.
Questo fa il gioco degli eversori, nati su un terreno selvaggio, esterno
alla cultura e alla storia costituzionale.
La Costituzione va difesa e attuata, contro gli eversori.
3. RIFLESSIONE. NICOLETTA CROCELLA: COSTRUIRE UN LINGUAGGIO DI PACE
[Ringraziamo Nicoletta Crocella (per contatti: stellecadenti@tiscalinet.it)
per questo intervento. Nicoletta Crocella e' impegnata nell'esperienza della
casa editrice "Stelle Cadenti"]
Colgo lo spunto dalla segnalazione di Ileana Montini sul libro Attraverso il
silenzio, da me scritto su sollecitazione ed incarico delle donne che con me
hanno vissuto per dieci anni l'esperienza del laboratorio psicopedagogico
delle differenze, ideato e condotto da Ileana e poi divenuto anche per noi
strumento di intervento ed azione professionale e non.
L'esperienza ci ha condotto a vivere il confronto e l'ascolto reciproco, lo
spazio di ognuna accettato dall'ascolto delle altre che ne traevano stimolo
e spunto per il proprio spazio personale, ed una relazione tra donne basata
sul riconoscimento e l'incontro delle differenze.
Ci siamo quindi trovate ad auspicare una specie di meticciato culturale in
cui l'intreccio di storie, penseri, esperienze, vite potesse portare alla
realizzazione di un nuovo spazio che non nega le diversita', ma le fa
dialogare e ne accoglie la ricchezza.
Abbiamo anche imparato a riconoscere il senso, la ricchezza, il non detto di
tante parole che quotidianamente usiamo, ed anche la presenza in ognuna di
noi di quella parte oscura, delle ombre, che non riconosciute agiscono in
modo sotterraneo, portandoci dove pensiamo di non voler andare.
Adesso il laboratorio come gruppo ha scelto il silenzio, ma il patrimonio di
quell'esperienza e' vivo come atteggiamento e metodo di lavoro che ci
consente di allargare in cerchi concentrici il sasso allora gettato nello
stagno.
Trasferita a Bassano in Teverina, dove con Mario Palmieri mi occupo
dell'associazione Stelle Cadenti, lavoro in particolare alle piccole
edizioni a tiratura limitata che pubblichiamo. Abbiamo con Miriam Marino ed
altri pubblicato un opuscolo intitolato Un orizzonte di pace dedicato in
particolare alla Palestina, e ne stiamo preparando un secondo su questa
sciagurata vigilia di guerra.
Mi sembra importante sottolineare la necessita' di diffondere e costruire un
linguaggio di pace, che possa sollecitare un immaginario coerente, e svelare
anche come la guerra mediatica, il linguaggio di violenza e prevaricazione,
dove l'uso delle armi viene giustificato e spegnere vite umane viene
considerato uno spiacevole "effetto collaterale", producono un immaginario
violento, e di conseguenza comportamenti di una violenza diffusa nelle
relazioni interpersonali che nei casi piu' gravi si traducono in uccisioni e
stragi casalinghe, senza aspettare interventi esterni di nemici o
terroristi.
Mi sembra evidente che cio' sia frutto della assenza di responsabilita'
personali riconosciute, di etica condivisa, e che se le emozioni e le
difficolta' individuali non trovano lo spazio della elaborazione, ma esigono
una immediata azione di riparazione e/o punizione, senza alcuna cura per le
conseguente sproporzionate delle proprie azioni, ecco allora che esplodono
scenari da guerriglia nelle nostre citta', nelle case, ad opera di chi e'
piu' fragile, influenzabile, o semplicemente non vuole riconoscere la
propria responsabilita' verso gli altri, e si sente ferito o defraudato,
magari solo perche' non puo' permettersi il lusso che la pubblicita' ci dice
ovvio per ognuno di noi.
Assistiamo a semplificazioni del linguaggio e ad una comunicazione cosi'
grezza e pesante che forse e' proprio da qui che e' necessario ripartire,
dallo svelare il senso delle parole, dal dare loro importanza, non negando
difficolta' e contraddizioni, in nome di verita' date per scontate. Prima
fra tutte, la differenziazione fra noi, la societa' occidentale organizzata
e considerata giusta, il metro di misura, e gli altri, cui si attribuisce
uno statuto di selvaggi, vittime o carnefici, ma comunque alieno gruppo di
estranei da combattere. Le loro morti sono inevitabili, si chiede
sfacciatamente ad esempio "che altro poteva fare" Putin di fronte alle
giovani morte insieme ai loro ostaggi, volendo dimenticare la possibilita'
di condurre un negoziato, ascoltare, parlare, trovare un punto di incontro,
e si dimentica innanzi tutto che e' maggiore responsabilita' di chi governa
usare metodi leciti, non causare morti inutili, non farsi terrorista.
4. POESIA E VERITA'. LALLA ROMANO: SILENZIO
[Da Lalla Romano, Poesie, Einaudi, Torino 2001, p. 132. Lalla Romano,
pittrice, poetessa, scrittrice, tra le voci piu' vive della cultura italiana
del Novecento]
Perdonami se spesso al tuo silenzio
non so risponder che col mio silenzio.
Vedo trascorrer come un triste fiume
il tuo dolore, e simile mi faccio
a te, muta corrente, e ti accompagno
lungo il tuo stanco, affaticato andare.
5. RIFLESSIONE. SERGIO PARONETTO: RIPUDIARE LA GUERRA, EDUCARE ALLA PACE
[Ringraziamo Sergio Paronetto (per contatti: paxchristi_paronetto@yahoo.com)
per averci messo a disposizione il testo della sua introduzione alla serata
di inaugurazione del centro culturale dedicato a don Lorenzo Milani a S.
Martino Buon Albergo (Vr), in cui e' stato varato il "movimento degli
educatori milaniani". Sergio Paronetto e' impegnato nei movimenti pacifisti
e nonviolenti, e particolarmente in Pax Christi]
Per costruire una nuova cittadinanza attiva, locale e universale, quotidiana
e planetaria, ritengo fondamentale comprendere bene e realizzare la
Costituzione italiana, la Carta dell'Onu e la Dichiarazione universale dei
diritti umani, anzi il Codice internazionale dei diritti umani.
Ognuno puo', ovviamente, avere altri punti di riferimento, aggiungere altri
testi o esaminare i profili di tanti testimoni di pace.
Per me e' anche importante conoscere e sviluppare le riflessioni maturate
nell'ambito della Tavola della pace, dell'Onu dei Popoli, della Rete
Lilliput, dello straordinario Forum sociale europeo di Firenze, del
cantiere di Porto Alegre.
Oggi e' urgente dedicare tempo e spazio all'articolo 11 della Costituzione.
Sta partendo una proposta di legge di iniziativa popolare orientata alla sua
applicazione integrale. A Firenze si e' anche proposto di inserire nella
futura Costituzione europea il contenuto dell'articolo 11 della nostra
Costituzione.
L'articolo 11 della Costituzione e' di grande bellezza. In esso vibra il
dolore per le vittime della guerra mondiale appena conclusa e delle
possibili vittime di guerre future sempre piu' totali, sempre piu' e solo
aggressive. Si agita ancora l'orrore per il massacro atomico di Hiroshima e
Nagasaki. E' presente la dimensione planetaria delle Nazioni Unite, della
lora Carta (1945) e del neonato ma contrastato diritto internazionale. Da
anni, purtroppo, anche l'Onu fa parte dell'infanzia negata o abbandonata.
Nell'articolo 11 si evoca una nuova pedagogia. Si muove un desiderio di
riforma delle menti e dei cuori. Si avverte in profondita' lo spirito della
nonviolenza intesa come azione per la pace con mezzi di pace, nuovo diritto
internazionale, impegno per la liberta', per la giustizia, per la
democrazia, per la solidarieta', per la "convivialita'".
L'articolo 11 si apre con le parole: "L'italia ripudia la guerra".
Ripudiare la guerra e' un'espressione fortissima. Estrema. Vuol dire non
accettare, non riconoscere, rigettare da se' qualcosa di proprio, rinnegare
un'appartenenza ritenuta un tempo importante. Come dire: ora cambia lo
scenario della storia. Si volta pagina. Anzi si cambia libro. Mutano gli
strumenti di scrittura.
Ripudiare la guerra e' rifiutare cio' che sembrava decisivo e necessario ma
che ora, sulla base della novita' della guerra moderna e della complessita'
dei problemi, si ritiene ripugnante.
Ripudio e' rifiuto, ripulsa, ripugnanza... Allontanare cio' che e'
ripugnante.
Ripugnante vuol dire tante cose: refrattario, disdicevole, disgustoso,
incompatibile, nauseabondo, nauseante, odioso, orrido, repellente,
ributtante, ripulsivo, schifoso, stomachevole, sconveniente... Viene in
mente lo stile ironico e sarcastico di Erasmo da Rotterdam.
Ripugnante e' anche avverso, contrario, alieno (alienum a ratione, scriveva
Giovanni XXIII nella Pacem in terris), cioe' assurdo, impossibile.
*
Oggi crollano le teorie delle guerre giuste.
Tanto piu' quelle preventive.
Allora, solo la prevenzione della guerra conta, la guerra non ha piu' un
fine ragionevole ma e' essa stessa la fine. La fine della ragione, della
politica, del diritto, della religione, della vita, dell'umanita'.
Soprattutto quando si teorizza e si pratica l'azione internazionale
unilaterale, la politica di supremazia e di pre-potenza. Soprattutto in
presenza non solo della guerra totale ma della ribadita necessita' della
guerra di aggressione e di aggressione anche nucleare.
Viene a orribile maturazione lo scenario di don Milani descritto nella
pagina conclusiva de L'obbedienza non e' piu' una virtu': ormai la guerra o
e' aggressione o e' vendetta.
La guerra e' uscita per sempre da qualunque criterio di razionalita'.
Oggi la prospettiva militare e' cosi' complicata e terribile che anche
coloro che si rifanno alla teoria della "guerra giusta" non trovano motivi
reali e plausibili per accettare un'azione bellica. La Dichiarazione dei
vescovi statunitensi contro la politica militarista dell'amministrazione
Bush rivela che anche il tradizionale insegnamento sulla guerra ci porta al
rifiuto delle guerre, puu' trasformarsi in tentativo di prevenzione di esse
(cfr. "Adista" n. 85, 30 novembre 2002). Un felice paradosso. Un bel salto
culturale.
*
Che tristezza, allora, sentire molti parlare di revisione demolitrice
dell'articolo 11 della Costituzione.
E' inutile tirar fuori la bandiera italiana se non si tira fuori la
Costituzione. E' inutile voler cantare bene l'inno nazionale se non si canta
la Dichiarazione dei diritti umani che la Costituzione a modo suo ripropone.
Giuseppe Dossetti si alzerebbe in piedi severo e fremente. Ricordo un suo
pensiero poco prima di morire: "In questo momento, se avessi qualche anno di
meno sulle spalle, mi tirerei su' le maniche e cercherei proprio di
promuovere a tutti i livelli una revisione dei nostri comportamenti. Credo
che questo debba essere un compito affidato ai piu' giovani: di non darsi
pace se non facendo veramente opere di pace, in tutti i sensi... E poi... ci
vuole anche fiuto: bisogna esercitarsi un po' a sentire puzza di bruciato,
quando l'incendio e' ancora domabile. E questo non lo stiamo proprio
facendo. Dobbiamo sentirci tutti personalmente e comunitariamente
responsabili di quest'inerzia irrazionale e di questo grande egoismo
paralizzante... di questo fatalismo, per cui la guerra sarebbe una
fatalita', comparabile a quella che grava su quegli animali polari che vanno
incontro periodicamente a un grande suicidio collettivo, per estinguersi o
sistemare lo sviluppo della specie. Cosi' dovrebbero fare anche gli uomini.
Io non posso rassegnarmi a una visione del genere, pero', se non ci
interroghiamo, c'e' il rischio che, senza pensarci, anche noi adottiamo
questo punto di vista".
Penso anch'io che in troppi, anche tra gli "esperti" o gli "opinionisti",
consapevoli o inconsapevoli "cattivi maestri", ci sia un insensato
irrigidimento polare, una specie di "cupio dissolvi", un desiderio di
sparire come se si fosse gli ultimi uomini della storia, quasi un gusto
macabro della fine, un'accidia da rassegnazione e resa.
*
Ecco, bisogna svegliarsi. Alzarsi in piedi. Vegliare. Non rassegnarsi:
"condurre a termine con coraggio quest'opera di immenso amore per gli
uomini". Cosi' la Costituzione conciliare Gaudium et spes descriveva
l'azione dell'operatore di pace spinto dalle novita' del mondo moderno a
"considerare l'argomento della guerra con mentalit' completamente nuova".
Cosi' parlavano Albert Einstein e Bertrand Russell negli anni '50 ai capi
delle nazioni.
L'agire politico dovrebbe incarnare l'idea di liberta' come nascita: "dare
inizio a qualcosa di nuovo" (Arendt), creare storia.
E' urgente farlo a partire dal ripudio della guerra e della sua
preparazione. Anche la corsa agli armamenti, scriveva il documento
presentato all'Onu nel 1976 dalla Santa Sede, costituisce di per se' un
fenomeno di aggressione, un'ingiustizia, un pericolo e un crimine.
Le armi moderne, diceva Paolo VI all'assemblea generale delle Nazioni Unite
il 4 ottobre 1965, "ancor prima di produrre vittime e rovine, generano
cattivi sogni, alimentano sentimenti cattivi, creano incubi, diffidenze e
propositi tristi; esigono enormi spese, arrestano progetti di solidarieta' e
di utile lavoro, falsano la psicologia dei popoli".
Educare alla pace significa anzitutto concepire il sogno buono diurno,
cominciare a far nascere il mondo umano.
Il primo passo e' liberarsi dalla paura, nostro vero avversario, scegliendo
la nonviolenza trasformatrice.
E' tempo di raccogliere le iniziative per la difesa delle leggi 185
(controllo pubblico sul commercio delle armi) e 209 (annullamento del debito
estero di alcuni paesi), quelle contro le mine, le banche armate, le varie
armi, all'interno di una grande campagna per il disarmo.
Occorre prevenire la "guerra totale e infinita" (espressione disumana e
blasfema) con l'azione reticolare e capillare per il disarmo totale e
infinito, partendo da piccoli gesti e dai piccoli passi.
Pax Christi statunitense e inglese, in caso di guerra, invitano alla
disobbedienza civile, all'obiezione di coscienza popolare. Teniamo gli occhi
attenti e freschi. Quelli che don Milani indicava come fonte dell'azione
pedagogica per gli educatori che intendono prendersi cura dei volti e
assumersi la responsabilita' del futuro.
6. POESIA E VERITA'. ROSEMARY DOBSON: LA SPETTATRICE
[Da AA. VV., Da Slessor a Dransfield. Antologia della poesia australiana
oggi, Accademia, Milano 1977, p. 163, riprendiamo questa poesia di Rosemary
Dobson, nata a Sidney nel 1920 ed autrice di varie raccolte poetiche
(abbiamo adottato la traduzione italiana del libro citato, ma ci piacerebbe
cimentarci in altra, nostra, e in cruciali luoghi assai diversa traduzione
che anche questo prezioso testo consentirebbe, fin dal titolo)]
Io sono quella che guarda dall'altra parte
In ogni dipinto si puo' vedere che sto
Rapita al cielo, un uccello, un'ala d'angelo,
Mentre gli altri s'inginocchiano, offrono mirra, ricevono
La benedizione dalla mano luminosa.
Io trattengo i cavalli mentre i cavalieri smontano
E sguainano le spade per vincer la battaglia;
O se no in vaga prospettiva si puo' vedere
La mia figura remota sulla strada di montagna
Quando nelle pianure gli eserciti sono messi in rotta.
Io sono lo spirito stupido che sembra troppo tonto,
L'ottusa sognatrice, seconda da destra.
Seguo la folla, ma non segno
(copricapo sugli occhi) i massacrati Innocenti,
O Icaro, la sua caduta a capofitto.
Una volta in un Giardino - vista di schiena li' soltanto -
Che bene il pittore mi rese, pennellata su pennellata,
Eppure appena visibile tra i fiori e l'erba -
Udii una voce, "Mangia", e avrei voluto voltarmi -
Spesso mi chiedo chi fu che parlo'.
7. RIFLESSIONE. AUGUSTO CAVADI: PER I POVERI E CONTRO LA POVERTA'
[Ringraziamo Augusto Cavadi (per contatti: acavadi@lycos.com) per averci
messo a disposizione questo suo articolo gia' apparso nell'edizione
palermitana de "La Repubblica" l'11 dicembre. Augusto Cavadi e' una delle
figure piu' vive dell'impegno educativo e antimafia e delle esperienze di
solidarieta' ed impegno civile a Palermo]
Un vivace, ma civilissimo scambio di opinioni tra Maurizio Barbato e Biagio
Conte sulle pagine palermitane de "La Repubblica" ha riproposto la questione
del volontariato nel nostro Paese e, in particolare, nel contesto siciliano.
La stima che nutro per entrambi gli interlocutori puo' giustificare, se non
addirittura sollecitare, qualche considerazione supplementare e, ritengo,
non del tutto scontata.
Premessa indispensabile e' che ormai l'etichetta "volontario", come
recentemente notava in un suo commento anche Ferdinando Siringo, copre una
miriade caotica - e contraddittoria - di figure: dalle piu' "nobili" e
disinteressate alle piu' equivoche e compromesse in logiche clientelari. E,
dunque, non ha senso ne' difendere ne' condannare in blocco questo fenomeno
sociale che - in varie forme e in diversa misura - coinvolge, solo nella
nostra regione, centinaia di migliaia di cittadini.
Se in questo magma multicolore ritagliamo il volontariato "puro" - messo in
opera, voglio dire, da uomini e donne che gratuitamente prestano ore del
loro tempo per un servizio socialmente utile -, troviamo al suo stesso
interno una differenza fondamentale.
Per una fetta, tutto sommato ritengo ancora numericamente maggioritaria, il
volontariato e' un'alternativa alla politica. Piu' o meno delusi dalla
militanza in nome delle utopie del Sessantotto, diffidenti rispetto alle
strutture partitiche a forte connotazione ideologica ancora presenti nella
Prima Repubblica, questi operatori ritengono piu' concreta ed efficace la
beneficenza (nel senso etimologico di "fare del bene") rivolta agli
indigenti presenti qui ed ora fra le pieghe del sistema economico-sociale.
Tale impostazione assistenziale si inserisce, senza fratture di rilievo,
nella plurisecolare tradizione cattolica che e' stata sempre sensibile
all'appello - tanto piu' eloquente quanto talora ammutolito dal dolore - del
volto sofferente incontrato nella strada della vita. Essa puo' essere
difficilmente criticata per quello che fa (e lo stesso Barbato da' atto alla
Missione di Biagio Conte fra i barboni di svolgere un ruolo rispettabile di
tamponamento delle emergenze e di supplenza dello Stato): ma lo puo' essere
per quello che non fa, o che distoglie dal fare. Puo' essere criticata,
intendo, per quel tanto che si accontenta, in maniera miope, di soccorrere i
feriti senza chiedersi perche' ci sia una guerra in atto. Per quel tanto che
tappa le falle della nave senza approntare le condizioni, neppure remote,
per una sua ristrutturazione radicale.
Di questi limiti del volontariato "assistenzialistico" si sono accorti da
decenni quelle frange, tutto sommato minoritarie, che vedono nella loro
scelta un modo altro di fare politica rispetto al monopolio tradizionale dei
partiti: che dunque ritengono necessario partire dalla piaga del singolo
indigente ma vedono in esso il sintomo di un malessere complessivo di
dimensioni territoriali e sociali ben piu' ampie. E' la prospettiva del
volontariato "critico" che ritiene di dover entrare in sinergia
complementare rispetto ad ogni altra organizzazione (scuola, partiti,
sindacati, movimenti politico-culturali, comunita' religiose...), tendente a
far prendere coscienza dei propri diritti e delle proprie responsabilita'.
E' la logica di un volontariato che, per dirla con don Luigi Ciotti, punta
alla propria estinzione: perche' mira a stimolare i meccanismi istituzionali
in modo che, una volta riformati e attivati, rendano superflua l'azione di
protesta, di proposta e di controllo dell'associazionismo.
Si puo' capire facilmente perche' questa seconda impostazione non trovi il
consenso dei ceti dominanti: gia' il vescovo brasiliano Helder Camara
confessava, con un sorriso amaro, che quando invitava ad aiutare i poveri
veniva applaudito come "un santo prete", ma quando si chiedeva come mai ci
fossero ancora dei poveri veniva accusato di essere "uno sporco comunista".
Meno facilmente si capisce pero' la diffidenza che il volontariato critico
incontra ancora negli ambienti "laici", specie se di formazione marxista.
Essi temono che, comunque, contribuisca a sopportare lo smantellamento dello
Stato sociale operato dai governi di centro-destra e sottragga energie al
lavoro "politico" di lungo periodo. Il pericolo di questa assuefazione c'e'
sicuramente e gli intellettuali acuti come Barbato faranno bene a non
allentare la vigilanza affinche', nonostante le migliori intenzioni
soggettive, non si finisca col diventare gli "utili idioti" di una
mentalita' conservatrice che accetta la poverta', nel proprio Paese e ancor
piu' nel mondo, come un dato ineliminabile. Ma e' altrettanto effettivo,
almeno a mio parere, il pericolo simmetrico - non estraneo a generazioni di
militanti di sinistra - di discutere del futuro del pianeta in condizioni
individuali di privilegio economico e di insensibilita' verso quanti, gia'
ora e qui, sono stritolati dai meccanismi strutturalmente ingiusti del
capitalismo "reale".
Forse il mondo diverso per cui si battono, talora anche con modalita'
aggressive e in ultima analisi autolesionistiche, i movimenti
anti-globalizzazione si costruisce attraverso micro- esperimenti parziali di
democrazia e di partecipazione: aprendo un centro di accoglienza per
immigrati a Mazara del Vallo, organizzando un'associazione di sostegno ai
cerebrolesi a Palermo o una cooperativa di operatori turistici a S. Stefano
Quisquina o una bottega per il commercio equo e solidale a Trapani.
E' importante non perdere di vista la meta, ma altrettanto fare un passo
dopo l'altro. Come si diceva tempo fa, pensare globalmente ma agire
localmente.
8. POESIA E VERITA'. MARIA PAWLIKOWSKA: ROSE PER SAFFO
[Da AA. VV., L'altro sguardo, Mondadori, Milano 1996, 1999, p. 184; la
traduzione e' di Krystyna Jaworska. Maria Pawlikowska (Cracovia 1894 -
Manchester 1945), poetessa e commediografa polacca, che sarebbe ora di
tradurre piu' ampiamente]
Come osasti scrivere delle rose,
quando la storia ardeva come un bosco nell'arsura estiva?
Oggi in biblioteca l'addetto spolvera il ciclo della storia,
e oltre la finestra - Saffo, primaverilmente
di ritorno, canta con l'usignolo,
come le comanda cuore.
9. RIFLESSIONE. FRANCESCO COMINA: IL SILENZIO DI DIO, IL MISTERO DELL'UOMO
[Ringraziamo Francesco Comina (per contatti: f.comina@ilmattinobz.it) per
questo intervento. Francesco Comina e' giornalista e saggista, impegnato in
Pax Christi e nella cultura e la prassi di pace e di nonviolenza]
Mai come in questo avvio del Terzo Millennio il silenzio di Dio si e' fatto
cosi' grave, cosi' muto, cosi' rassegnato. Con sofferto dolore il Papa l'ha
registrato nel corso dell'udienza generale in Vaticano: "Dio non si rivela
piu', sembra nascondersi, in silenzio, quasi disgustato dalle azioni
dell'umanita' (...). Ormai ci si sente soli e abbandonati, privi di pace, di
salvezza, di speranza. Il popolo, lasciato a se stesso, si trova come
sperduto e invaso dal terrore". Dalle nuvole pesanti di questo tempo
taciturno, cala il lamento di Geremia sul popolo naufrago verso la Terra
Promessa: "I miei occhi grondano lacrime notte e giorno, senza cessare,
perche' da grande calamita' e' stata colpita la figlia del mio popolo, da
una ferita mortale. Se esco in aperta campagna, ecco i trafitti di spada; se
percorro la citta', ecco gli orrori della fame" (Geremia 14, 17-18).
Era dai fumi del genocidio di Auschwitz che il silenzio di Dio non si
manifestava in modo cosi' netto, cosi' perentorio, cosi' drammaticamente
sconvolgente. Ma li', almeno, quel silenzio lasciava intravvedere, dietro di
se', il pertugio della consolazione nell'atto salvifico della
presenza-assenza di un Dio bruciato, insieme alla sua creatura, nel forno
crematorio o appeso, come il bimbo di Wiesel, sulla forca in mezzo al campo:
"Ma dov'e' Dio? Dov'e' il buon Dio?... E' li' appeso a quella forca".
C'era, insomma, nella melma della spietatezza nazista, la convinzione che la
mancanza di segni divini fosse in realta' supportata dalla presenza di un
Dio nonviolento, pronto a chinarsi verso il prigioniero ucciso, massacrato,
maciullato.
E Simone Weil ce lo ricordava, in chiave cristiana, in un verso stupendo di
una sua litania: īL'abbandono supremo nel momento della crocifissione, quale
abisso d'amore fra le due parti". L'uomo appeso alla croce muore
abbandonandosi a Dio nel momento stesso in cui Dio si piega abbandonandosi
all'uomo. "E nel cielo ci fu silenzio".
Ma il silenzio di oggi, sottolinea il pontefice, e' un silenzio
"disgustato", e' il silenzio di un Dio che guarda il mondo con il volto
corrucciato e preoccupato dalla negligenza di un uomo incapace di fare pace,
capacissimo, invece, di fare guerre, proteso come un uccello rapace
nell'intento di sottrarre alle viscere della terra le sue risorse
energetiche e protervamente abituato a ragionare in termini di competizione
fra ricchi sempre piu' ricchi e poveri sempre piu' poveri.
Il disgusto di Dio si fa silente presa di coscienza che a quasi sessant'anni
dall'apocalisse di Hiroshima e Nagasaki tornano ancora attuali e
politicamente praticabili proclami infausti come quello fatto
dall'amministrazione del presidente Bush nelle stesse ore in cui Wojtyla
gettava il suo amaro sguardo sul mondo: "Siamo pronti ad usare la bomba
atomica per fermare l'Irak". E cosi' si arriva al paradosso che per bloccare
la minaccia di un ricorso di Saddam alle armi di distruzione di massa,
l'occidente risponda con l'arma piu' micidiale che si conosca: la bomba
nucleare.
E allora la pace non solo diventa un grido di speranza per toglierci di
torno il silenzio disgustato di Dio, ma assume un realismo sconvolgente, una
sorta di messaggio a salvare la terra alle radici, l'umanita', che ne
costituisce il tessuto connettivo, perche' i politici non vedono dai loro
palazzi di vetro quello che il popolo sperimenta sulle pendici della storia.
Ma la guerra e' solo un aspetto della civilta' del male che provoca il
ritiro di Dio dal mondo. Il passo del profeta Geremia commentato da Giovanni
Paolo II lega in un intreccio mortale la guerra e l'ingiustizia, "la spada e
la fame", perche' questo binomio e' il risultato, non della crudelta' di un
Dio maligno, ma della perversione di un ordine del mondo partorito
dall'azione umana, troppo umana. "La poverta', che sia determinata da eventi
naturali o dalla guerra - ha affermato don Ciotti commentando il grido del
Papa - non e' mai un fatto biologico. Si e' poveri perche' si e'
impoveriti". E si e' poveri - potremmo aggiungere - perche' i programmi
politici ed economici delle istituzioni deputate allo sviluppo dei popoli,
sono stati appositamente strutturati per avvantaggiare una porzione di
umanita' e per penalizzare la parte piu' consistente, una parte dove vivono
e muoiono nell'assoluto silenzio milioni e milioni di esseri innocenti. Come
riferivano ieri, negli articoli di taglio basso dei giornali, le statistiche
Unicef sul genocidio dei piccoli nell'era della manipolazione dei geni e
della clonazione degli embrioni umani: 11 milioni di bimbi morti nel sud del
mondo per via di malattie curabilissime; 14 milioni di orfani dell'Aids in
massima parte bimbi abbandonati al loro destino in quel grande continente
alla deriva che si chiama Africa; 300.000 bimbi soldato educati a uccidere e
ad essere uccisi; 120 milioni di fanciulli che non possono andare a scuola
(il 50% concentrati nell'Africa subsahariana).
Per non parlare delle vittime che cadono ogni giorno per le infinite
tragedie della fame e della violenza nell'assoluto silenzio dei mass media e
nel totale menefreghismo della nostra societa' e della nostra politica.
Ma e' in questo vangelo segreto che continua ad essere scritto, che si
nasconde il mistero di Dio in quanto amore loquace e - nel contempo - si
cela il mistero dell'uomo che vive, lotta e spera nel silenzio di un respiro
vitale.
10. LIBRI. "LA PARABOLA DEL PATRIARCATO" DI MARIA ANNA ROSEI
[La seguente breve nota di presentazione del libro di Maria Anna Rosei, La
parabola del patriarcato. Dall'invenzione della techne alla restituzione dei
panieri, Quaderni di Via Dogana (supplemento al n. 30 di "Via Dogana",
febbraio-marzo 1997, lire 5.000) abbiamo tratto dal sito della Libreria
delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)]
Maria Anna Rosei (Ascoli Piceno, 1946) e' professoressa associata di Chimica
biologica e Metodologia biochimica presso l'Universita' La Sapienza di Roma.
Autrice di numerose pubblicazioni scientifiche apparse su riviste
internazionali e di un libro didattico (Manuale di metodi biochimici, Roma
1992), e' stata invitata in Europa e in Canada a tenere conferenze e a
trascorrere periodi di ricerca, soprattutto nel campo della sintesi e
struttura di melanine.
Laureata in Scienze biologiche e in Medicina e chirurgia, Maria Anna Rosei
si e' anche interessata attivamente di problematiche nutrizionistiche: oltre
a insegnare, per dieci anni, biochimica della nutrizione presso la Scuola di
specializzazione in scienza dell'alimentazione di Roma, si e' dedicata a
conferenze (presso Usl, consultori, scuole ecc.), collaborazioni ("Il
manifesto", "Nuova Ecologia") e un libro, Alimentazione e benessere (Milano
1982). Fa parte del consiglio scientifico della Legambiente.
Nel movimento delle donne degli anni settanta, ha partecipato a gruppi di
studio e di self-help, ha scritto di femminismo e di politica della scienza,
e dal 1975 al 1983 ha operato come medica e nutrizionista presso il Centro
Simonetta Tosi di Roma.
La polemica suscitata dal suo articolo "La differenza dei sessi in biologia"
(in "Via Dogana" n. 16, 1994) e' all'origine di questo Quaderno di Via
Dogana, in cui l'autrice sviluppa la tesi che il patriarcato "e' una
struttura pensata e costruita per bilanciare il sentimento di esclusione del
maschio dalla generazione".
11. LETTURE. ALBERTO ASOR ROSA, LA GUERRA
Alberto Asor Rosa, La guerra, Einaudi, Torino 2002, pp. VI + 240, euro 13.
Asor Rosa riprende e prosegue la riflessione di Fuori dall'Occidente (il suo
libro del 1992 suscitato dalla guerra del Golfo) alla luce delle guerre, dei
conflitti e dell'inquietante "nuovo ordine" imperiale e terroristico
attuale.
12. LETTURE. JEAN BAUDRILLARD: LO SPIRITO DEL TERRORISMO
Jean Baudrillard, Lo spirito del terrorismo, Raffaello Cortina Editore,
Milano 2002, pp. 52, euro 6,50. Un utile articolo del celebre intellettuale
francese, originariamente apparso su "Le monde". Una sola obiezione, alla
casa editrice (peraltro benemerita): aver trasformato in volumetto, ed aver
messo in vendita quindi ad un prezzo in proporzione decisamente eccessivo,
un testo che si poteva stampare su un solo grande foglio e far circolare
assai piu' ampiamente a un costo minimo.
13. LETTURE. MIMMO CORTESE, ROBERTO CUCCHINI: LA FORZA LIEVE
Mimmo Cortese, Roberto Cucchini, La forza lieve, Edizioni la meridiana,
Molfetta (Ba) 2001, pp. 144, euro 12,39. "Tre esperienze di volontariato
pacifista nei Balcani", una testimonianza e una riflessione di grande
valore.
14. LETTURE. ASSIA DJEBAR: LA DONNA SENZA SEPOLTURA
Assia Djebar, La donna senza sepoltura, Il Saggiatore, Milano 2002, pp. 192,
euro 14. La storia di Zoulikha, eroina della resistenza algerina, narrata da
Assia Djebar, una delle voci decisive di questo momento dell'umanita'. Da
leggere e meditare.
15. LETTURE. TIM JUDAH: GUERRA AL BUIO
Tim Judah, Guerra al buio, Adelphi, Milano 2002, pp. 108, euro 7. Quattro
reportage dall'Afghanistan gia' apparsi sulla prestigiosa "New York Review
of Book".
16. RILETTURE. CATERINA FISCHETTI: LA PSICOANALISI INFANTILE
Caterina Fischetti, La psicoanalisi infantile, Newton Compton, Roma 1996,
pp. 98, lire 1.500. Un'agile introduzione alla riflessione sull'universo
psichico infantile in ambito psicoanalitico, con particolar riferimento a
Sigmund e Anna Freud, Melanie Klein, Donald Woods Winnicot e brevi cenni ad
altre autrici ed autori (tra cui Bruno Bettelheim, Wilfred Bion, Frances
Tustin).
17. RILETTURE. ALBA MARCOLI: IL BAMBINO NASCOSTO
Alba Marcoli, Il bambino nascosto, Mondadori, Milano 1993, 2000, pp. 320,
euro 6,71. "Favole per capire la psicologia nostra e dei nostri figli",
recita il sottotitolo. Alba Marcoli e' psicologa clinica di formazione
analitica, vive a Milano dove da trent'anni lavora nel campo
dell'insegnamento, della psicoterapia e della formazione psicologica degli
adulti; questo e gli altri volumi sotto indicati raccolgono alcuni materiali
di un'esperienza di formazione psicologica per genitori ed educatori
condotta attraverso l'uso di favole costruite su storie reali.
18. RILETTURE. ALBA MARCOLI: IL BAMBINO ARRABBIATO
Alba Marcoli, Il bambino arrabbiato, Mondadori, Milano 1996, 2000, pp. 352,
euro 7,75. "Favole per capire le rabbie infantili".
19. RILETTURE. ALBA MARCOLI: IL BAMBINO PERDUTO E RITROVATO
Alba Marcoli, Il bambino perduto e ritrovato, Mondadori, Milano 1999, 2002,
pp. 336, euro 6,80. "Favole per far la pace col bambino che siamo stati".
20. DA TRADURRE. "LA NOUVELLE REVUE FRANCAISE", NOVEMBRE 1951: HOMMAGE A
ANDRE' GIDE
"La Nouvelle Revue Francaise", novembre 1951, Hommage a Andre' Gide, pp.
424. Testimonianze, saggi, omaggi a Gide, pagine e lettere fino allora
inedite di Gide: l'omaggio della "NRF" al suo grande animatore scomparso
quell'anno. Non solo un documento della vita civile europea, ma una miniera
di gemme e di idee. Metterebbe conto tradurlo e farlo circolare anche da
noi, mezzo secolo dopo.
21. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
22. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it
Numero 446 del 15 dicembre 2002