La Palestina esiste?




La Palestina esiste?

 

 

 
Ricordo con emozione nel 1990 la proclamazione dello stato nazionale palestinese a Tunisi. Tutto sembrava possibile, la pace sembrava possibile con una OLP forte e con confini ancora chiari per una Palestina che poteva aspirare ad un’indipendenza reale che, se non garantiva un futuro prospero, almeno lasciava sperare nella fine dell’incubo dei campi profughi. Sappiamo com’è andata.
di Gennaro Carotenuto
 

Le responsabilità palestinesi -innegabili- sono una pagliuzza rispetto al trave delle colpe della comunità internazionale e al cinismo di Israele e degli Stati Uniti dello spingere l’avversario alla disperazione e da lì al terrorismo per far passare da vittima il carnefice. Le pietre della prima Intifada sono diventate bombe mentre la preda, buona parte della Cisgiordania, passava di mano. Quelle colonie che crescono ogni giorno di più sono la dimostrazione più evidente di una pre-politica battaglia per la terra, che si continua a combattere in quella regione. Vi è un passaggio interessante di quanto afferma in questi giorni Abraham Yehoshua nel passare dal considerare Gaza e la Palestina da «terrorista» a «nemico». Con inguaribile ottimismo spero possa essere il primo passo per uscire almeno dall’ipocrisia. È una guerra, asimmetrica, che i palestinesi stanno continuando a perdere.

Il voto di ieri dell’ONU, un passo avanti, non la soluzione, testimonia allora 22 anni trascorsi invano nell’ignavia della comunità internazionale di fronte alla sistematica annessione di territori palestinesi da parte di Israele smembrando quello che poteva ancora essere un territorio omogeneo e con un senso. Israele ha vinto e continua a vincere. Chi parla più oggi, chi può ragionevolmente parlare oggi di «diritto al ritorno» per i profughi, che pure il diritto internazionale garantirebbe? Insomma i palestinesi passano oggi dall’essere un «popolo senza stato» ad essere uno «stato senza territorio». Non so se è un passo avanti.

Il voto all’ONU fotografa però anche la fine definitiva della guerra fredda e della pretesa unipolare degli Stati Uniti di essere sovrani dell’intero pianeta nel delirio millenarista del fondamentalismo protestante. Se tanti paesi amici, spesso supini, come l’Italia, possono permettersi di dire a Washington che «sta sbagliando», la politica internazionale sta entrando davvero in una fase nuova. Quel multipolarismo che da più di un decennio vedevamo venire e abbiamo raccontato su queste pagine, descrivendo per esempio l’integrazione latinoamericana, venendo trattati come utopisti nel migliore dei casi e come estremisti nel peggiore, è una realtà.

Però per la Palestina è tardi e l’esistenza di un’entità statuale frammentata, senza economia possibile e dipendente dagli aiuti della comunità internazionale è solo un miraggio di indipendenza. I ragazzi della prima intifada, quelli che nella seconda metà degli anni ’80 tiravano pietre contro l’occupante, sono oggi dei quarantenni che hanno perso la gioventù nella bantustanizzazione del paese e hanno visto la propria gente separarsi fisicamente e non solo. Sono passati dal carcere, dal dolore, dall’odio, hanno visto uccidere i propri cari e a volte hanno ucciso. Una generazione perduta, non la prima, speriamo l’ultima.

Gennaro Carotenuto su http://www.gennarocarotenuto.it

 


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Gennaro Carotenuto
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Gennaro Carotenuto per Giornalismo partecipativo
 

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