Stragi in Libia: la voce ai testimoni. Lettera di Marinella Correggia



LIBIA. ULTIME MENZOGNE E OMISSIONI DEI MEDIA E VERITA’ DI TESTIMONI
RAGGIUNTI AL TELEFONO
Marinella Correggia

Menzogne di una notte insonne (anche sotto il fortunato cielo italiano che
nessuno bombarda dal 1945). Menzogne e arroganza fino all’ultimo in una
guerra cominciata e continuata con notizie false, in cui i media hanno
avuto il ruolo dell’aiuto carnefice. Solo la tivù russa Rt e quella
venezuelana Telesur spiegano che è una vittoria dovuta alla carneficina
compiuta dalla Nato anche con droni ed elicotteri Apache soprattutto negli
ultimi giorni. Per la democrazia che il popolo libico merita, dice il
premier britannico Cameron. Peccato che in tutti i mesi scorsi proprio la
Nato e i “ribelli” avessero sempre lasciato cadere le proposte di libere
elezioni con controllo internazionale avanzate dal governo libico.

Cosa dicono i soliti media
La Nato fa strage a Tripoli bombardando di tutto e uccidendo 1.300 persone
in poche ore come denuncia Tierry Meyssan del Réseau Voltaire; ma
Repubblica on line scrive che Gheddafi bombarda la folla. Giusto un
titolo, senza spiegazione, giusto un modo per non perdere l’allenamento.
La stessa Repubblica che non si è mai degnata di chiamare soldati i membri
–decimati - dell’esercito di un paese sovrano (erano sempre definiti
“mercenari e miliziani”), adesso chiama “soldati del Cnt” i ribelli,
tacciando invece di “pretoriani di Gheddafi” i superstiti soldati libici
(quelli non decimati dalla Nato). (A proposito: uno del Cnt, Jibril, ha
fatto appello ai suoi armatissimi “ragazzi” affinché diano prova di
moderazione e non attacchino gli stranieri e chi non li appoggia (il
rischio è certo visti i precedenti).

L’Unità scrive che Tripoli “è insorta”, quando in realtà è occupata dai
cosiddetti ribelli con la copertura aerea della Nato e i civili cioè i
disarmati se ne stanno rintanati nelle case (vedi le testimonianze
ottenute al telefono).

Il Corsera con il suo embedded sceso dalle montagne insieme ai ribelli
spiega enfatico che dopo la “liberazione” di Zawya, “Tripoli si è
sollevata” quando in realtà è stata piuttosto atterrata dai bombardamenti.

E Rai News 24? Peacelink protesta con la redazione: “Nel vostro servizio
avete nascosto il ruolo dei bmbardamenti Nato, presentando i ribelli che
libravano la Libia soli e festanti, per acclamazione popolare; alterato il
senso della risoluzione 1973 che non prevedeva l’appoggio militare Nato
agli insorti; taciuto il massacro in corso a Tripoli; presentato
prevalentemente il punto di vista Nato (e sempre ripetono la storia dei
mercenari neri e dei cecchini). .

Anche il Fatto ci casca: “L'avanzata del Cnt rallentata dal traffico e dal
caos e da centinaia di libici che inneggiano alla fine del regime”
(centinaia, su una città di milioni di abitanti!); “I tripolini sono
usciti per festeggiare l’arrivo dei ribelli”. Ma la foto viene da Bengasi…

Per dare l’idea di festeggiamenti che non ci sono, Cnn mette foto di
festeggiamenti non datati a Bengasi. Mentre la reporter dice “vedo strade
vuote, le immagini sono di folle festanti con bandiera monarchica, però
evocano Tripoli.  In un altro collegamento, la elmettata reporter spiega –
non senza ripetere la solfa del pericolo di cecchini di Gheddafi - che
assolutamente nessun civile nelle strade…allora chi sta festeggiando? Gli
armati. E sempre il titolo è “la Nato teme che Gheddafi possa colpire i
civili”. Quindi pronti al tiro al piccione.

La cronista di Al Jazeera  con elmetto dalla Piazza verde (il nome è già
stato cancellato), parla di festa (e di paura per i soliti cecchini di
Gheddafi…)  del popolo libico, “vedete centinaia di persone” (in una città
con milioni di abitanti)...alle sue spalle si pressano con la bandiera
monarchica  i ribelli armati, ma per lei sono i civili, il “popolo”, “you
can see how people are excited, now they are in control of the capital”.
La confusione voluta fra civili e amati ha fato da leit motiv di questa
guerra. Anche a Baghdad, il giorno della caduta della statua di Saddam a
opera di due marine Usa, gli iracheni presenti si contavano in qualche
decina…Un film già visto.

La mattina la Cnn parla al telefono con la solita plurintervistata ottimo
inglese libica diciannovenne che dice che dopo 42 anni sono liberi di
parlare al telefono (ricordo però che gli oppositori a Gheddafi più che la
mancanza di libertà mi evocavano, settimane fa, “gli ospedali che non
funzionano e le scuole dove non si studia bene l’inglese”!); la tivù le
chiede: “ma non c’è gente in strada, solo fighters?” e lei conferma.
Allora, le folle festanti?

Anche la Reuters scrive: “I ribelli entrano in Tripoli, la folla celebra”.
Quale folla? Non c’è nessun video né foto!

Parlano i testimoni
Molti telefoni di persone incontrate a Tripoli poche settimane fa non
rispondono più. Per esempio Rafika, tunisina, ottimo italiano, che
lavorava alla mensa dell’ospedale Tebbe, chissà quanti feriti ci sono
adesso là (vedi sua testimonianza nel file allegato). Ma qualcuno
risponde.

Mohamed, giovane del Niger che vive a Tripoli da 3 anni (lavorava con i
cinesi) e che si arrovellava settimane fa su come spiegare al mondo la
verità (vedi la sua testimonianza di allora nel file allegato), adesso è
rintanato in casa: “Siamo impotenti anche noi. Chi è disarmato non può
avventurarsi fuori, dove tutti sono armati e si combatte. E’ terribile ma
non possiamo che aspettare. Spero che non ci sia un’altra carneficina”. 
Ieri diceva “hanno bombardato intensamente anche vicino a casa mia, si è
levata una grande polvere, impossibile respirare. Stiamo in casa, e
preghiamo, è il ramadan”. L’altro ieri, prima degli ultimi sviluppi,
chiedeva: “MA si sono viste lì le immagini della strage di 85 civili a
Mejer, sotto le bombe della Nato fra l’8 e il 9 agosto? Sono sconvolto,
anche perché qui i media internazionali non ne hanno parlato”.

Era impaurito sabato sera il cristiano pakistano Nathaniel, che già
settimane fa si chiedeva dove sarebbe andato con la famiglia dopo 21 anni
in Libia se gli islamisti fossero arrivati (vedi sua testimonianza nel
file allegato): “My sister qui bombardano di continuo, e sembra che i
ribelli siano vicini…non so cosa fare, dove andare, chi ci proteggerà?
Starò in contato con la cattedrale”. Oggi il suo cellulare non sembra aver
copertura.

Se Nathaniel sapesse che forse è stata saccheggiata la chiesa a Dara (e
monsignor Martinelli è in Italia)…Così dice la statunitense JoAnne, da
mesi a Tripoli con suo marito per documentare negli Usa i crimini di
guerra della Nato e dei ribelli: “Siamo chiusi nell’hotel Corynthia, al
centro di Tripoli. Nessuno si avventura fuori. Gli Apache hanno ucciso
molte persone e i ribelli hanno armi pesanti…Doveva partire una nave
proveniente da Malta, per evacuare gli stranieri ma i ribelli l’hanno
bloccata”. Chiusa in casa anche Tiziana Gamannossi, imprenditrice
italiana, l’unica rimasta a Tripoli, dove vive a Tajura: “Sto in casa, non
si chiude occhio. I festeggiamenti per l’entrata dei ribelli?  Ma se non
c’è nessuno per strada, ho faticato a trovare un amico che mi riportasse a
casa ieri. La disinformazione continua”.

Anche Hana, libica che lavorava per una compagnia petrolifera, è chiusa in
casa, da parenti: “Ci siamo spostati perché la nostra casa è troppo vicina
a Bab El Azyzya”, qui è tranquillo ma nelle strade non c’è nessuno. Mi
hanno detto che volavano anche gli Apache, io non li ho visti vicino a
casa. Sì, abbiamo l’acqua e la luce e cibo abbastanza. Stiamo ancora
digiunando per il ramadan…fino a fine mese. Non avrei mai pensato che
finisse così”.

Lizzie Phelan, giovane giornalista inglese indipendente, aveva un blog che
le è stato bloccato: “Poco prima avevo denunciato alla tivù russa RT il
fatto che Al Qaeda sia ben presente fra i ribelli arrivati a Tripoli. Qui
intorno al Rixos la situazione sembra adesso calma. Ma non si sa come
evolverà. Aspettiamo di andare, noi stranieri, in un’ambasciata, forse
quella russa”.

Non risponde il telefono di Zinati, quarantenne libico che da mesi
“abitava” con il suo computer su un tavolo all’hotel Rixos cercando di
aiutare il portavoce Mussa Ibrahim nei difficili rapporti con i
giornalisti e con le delegazioni: “Ero tornato qui in febbraio per
sistemare delle cose e ripartire per il Canada dove vivo da anni; invece
sono rimasto, non potevo lasciarli così” diceva settimane fa.