Londra-Santiago: per chi suona la campana?



Londra-Santiago: per chi suona la campana?

CITTÀ DEL MESSICO – Chi sono i giovani di Londra, Manchester, Birmingham derubricati a criminali dal primo ministro David Cameron, quello della big society escludente? Che relazione c’è tra loro e quelli di Piazza Syntagma ad Atene, bollati come anarchici dal capo di governo Georgios Papandreu o quelli di Piazza Tahrir al Cairo, stigmatizzati come fondamentalisti islamici dalla stampa mainstream? E con gli “indignados” accampati alla Puerta del Sol spagnola? E con gli studenti cileni che da mesi tengono in scacco il più neoliberale dei governi, quello di Sebastián Piñera -che li cataloga come black block- con un programma chiaro come il sole: istruzione pubblica, gratuita e di qualità per tutti?

di Gennaro Carotenuto

Sono gli stessi giovani definiti racaille, la “feccia” delle banlieue francesi del 2005, che permisero a Nicolas Sarkozy di scalare l’Eliseo mostrando il pugno di ferro o in cosa si differenziano? La semplicità con la quale vengono etichettati da politica e media induce alla prudenza. Solo pochi anni fa George Bush inserì tutti i movimenti indigeni nella lista dei terroristi ed era fiancheggiatore di Bin Laden chi, anche in Italia, si dichiarava contro la guerra in Iraq. Ricordano o no l’89 di Caracas quando una turba resa disperata (70% di poveri nel paese con le maggiori riserve di petrolio al mondo) da quel modello di esclusione sociale protestò e saccheggiò -alimenti o sogni griffati – mentre il vicepresidente dell’Internazionale Socialista in carica, Carlos Andrés Pérez, ne faceva massacrare metodicamente a migliaia senza che tale nobile istituzione battesse ciglio? Hanno a che vedere i giovani inglesi col “que se vayan todos” argentino di fine 2001 quando il FMI e le banche imposero al governo la rottura del patto sociale sul quale si basa il capitalismo bloccando i conti correnti delle famiglie?

Sono un nuovo lumpen-proletariato in via di presa di coscienza? Le classi medie impoverite ed impaurite, quelle che in Francia votano Front National e in Italia Lega Nord ne sono controparte o potenziali alleati? Reggerà o crollerà l’odio razzista costruito da anni dal parallelo regime mediatico verso un nemico largamente inventato come collante del sistema? Di nuovo, come nel maggio francese, sarà sufficiente il richiamo all’ordine per le maggioranze silenziose da parte di un nuovo De Gaulle? La rabbia dei giovani inglesi e dei loro omologhi nel mondo è o non è politica?

O è piuttosto l’avanguardia di un nuovo pauperismo settecentesco, quando gran parte delle popolazioni sia urbane che rurali vivevano in stato di indigenza esplodendo periodicamente in jacquerie che l’antico regime aveva gioco facile a reprimere? Dovremo rassegnarci a vivere in società premoderne dove il bisogno torna ad essere stigmatizzato come devianza?

Di sicuro il contemporaneo crollo delle borse (tema che merita trattazione a parte) è funzionale ad un ulteriore irrigidimento del regime neoliberale più che all’apertura di una nuova stagione di giustizia sociale. La politica, negli ultimi trent’anni, ha introiettato nel profondo la sua sottomissione non già all’economia ma alla finanza da disprezzare dichiarazioni come quella di ieri di Amado Boudou, ministro dell’Economia e prossimo vicepresidente argentino, un grillo parlante che ricorda che “compito della politica è fare il bene dei cittadini e non compiacere i mercati”.

Le classi dirigenti verso la preoccupazione, la rabbia semplice della gente comune non provano che disprezzo; scelgono il muro contro muro e aprono praterie alle destre più retrive e essa stessa fa proprie -facendosi scudo dietro emergenze note da anni- scorciatoie antidemocratiche. Dai tea party alla BCE che commissaria grandi paesi come la Spagna o l’Italia, dall’FMI alla stampa di regime, tutti millantano che più privatizzazioni, meno diritti e meno stato sociale sono (per l’ennesima volta) la via d’uscita ad una crisi da loro stessi creata e che loro dovrebbero pagare. Scommettono di poter controllare la racaille con più esclusione sociale di quella che sono riusciti ad imporre negli ultimi trent’anni per continuare la loro festa. I media si occupano di controllare classi medie e fasce elevate di età schernendo la pancia dei protagonisti dei riots: rubano abiti firmati, hanno Nike ai piedi, saccheggiano negozi di CD e di elettronica. Ripetono tra il finto attonito e il falsamente scandalizzato il loro eterno “che roba Contessa”.

Sì, desiderano. Desiderano i lumpen di Brixton o di Tottenham come quelli di Ciudad Juárez spinti nelle mani dei narcos o quelli di Tunisi o Dakar messi di fronte alla non alternativa del migrare in cerca di una vita degna fatta anche di quei consumi a loro negati. Desiderano pantaloni griffati, scarpe di marca, cellulari ultimo modello. Li desiderava anche Mark Duggan, il primo ragazzo assassinato dai Vopos di Cameron, la polizia incaricata di discernere chi deve stare di qua o di là del muro tra benessere e disagio sociale. Desiderano; e allora? La società dei consumi non è forse stata costruita anche per depotenziare ogni ideale di giustizia sociale e di uguaglianza. Se non possiedi non sei nessuno. Adesso quei giovani pretendono l’inclusione sociale che non possono comprare, desiderando essere qualcuno nell’unico modo possibile in una società consumista deculturizzata e depoliticizzata.

Non sognano l’immaginazione al potere come nel 1968 e nemmeno il dignitoso perbenista american dream di una casa, una famiglia e di un lavoro onesto. Ogni menzogna è caduta: sanno che i soldi si fanno solo con i soldi e a loro è toccato pulire cessi.

Ai ragazzi di Tottenham, come a quelli dell’89 a Caracas, non importa nulla di piacerci. Sono brutti, squallidi, a volte violenti come è violenta, sporca, gretta, viscida l’esclusione sociale. Non vogliono apparire rassicuranti né dipingersi le mani alzate di bianco come fece la Rete Lilliput a Genova dieci anni fa. Quella stagione è passata e tutto è infinitamente peggiore come quel nichilismo distruttivo testimonia.

Hanno una rabbia più post che prepolitica di un mondo che dal sinistro 1979, il tempo di Margareth Thatcher e poco dopo di Ronald Reagan, i padri nobili del disastro attuale, ha coscientemente smantellato due secoli di storia, di convivenza civile, di regole condivise, di speranza nella democrazia di un futuro migliore. Mille blairismi hanno venduto loro la fandonia criminale dei “prestiti d’onore” (un eufemismo per privatizzare l’educazione) per poter studiare, un modello infame per il quale prima si esclude chi non se la sente di indebitarsi per tutta la vita (9.000 sterline l’anno se da grande vuoi fare l’infermiere ma almeno 20.000 se sogni di diventare primario) e poi si carica un macigno sulle spalle di chi ha sfidato il destino per studiare, migliorarsi, ascendere socialmente. Non è questo che dicono le nostre costituzioni ed è desolante che il taglio del 90% delle borse di studio voluto da Mariastella Gelmini in Italia sia passato nell’indifferenza quasi assoluta. Così la generazione precaria si trasforma in generazione fallita, impiccata dalle banche prima ancora di poter trovare un lavoro, farsi una famiglia, comprare una casa. Ma è tutto quello che il sistema offre ed in Italia è alle porte. Lo reclamano a gran voce i “maître à penser” del modello come Francesco Giavazzi o i sicari presenti anche nel Partito Democratico, come dimostra la proposta di legge copiata dall’inglese presentata da Pietro Ichino&Co. Magari nella foia da crollo dei mercati il prestito d’onore all’italiana, che comporta l’abbattimento di ogni limite verso l’alto ai costi delle immatricolazioni universitarie, passerà per decreto a Ferragosto.

Ogni paese, ogni rivolta, esprime dunque storie e sensibilità differenti ma classismo, razzismo, esclusione sociale, repressione e criminalizzazione della protesta, meno diritti, più sfruttamento e svuotamento dei processi democratici sono l’unica ricetta che le classi dirigenti occidentali sanno pensare rispetto ad un modello economico che hanno imposto al pianeta negli ultimi trent’anno e che, salvo che per i guadagni smisurati di pochi, ovunque è stato applicato ha causato miseria ed esclusione sociale. Ora in quell’incrudelimento ulteriore del modello che secondo tali classi dirigenti la crisi imporrebbe, c’è il definitivo superamento di due secoli di costruzione della democrazia e il ritorno a quel XVIII secolo nel quale la jacquerie e non la militanza era l’espressione del più debole verso la giustizia sociale e la criminalizzazione e non la politica la forma di risoluzione dei conflitti.

Potremmo dire: “indignazione e poi che?” in Spagna, “libertà per farci cosa?” in Medio Oriente, “saccheggio e adesso?” a Londra. Solo in Cile sanno perfettamente cosa fare con la scuola e l’università pubblica, gratuita e di qualità: riaprire le grandi Alamedas dove passa l’uomo libero preconizzato da Salvador Allende. Dalla lucidità cilena all’ansia di libertà mediorientale al nichilismo britannico vi è un abisso ma anche un filo conduttore comune nella caduta del velo su ogni menzogna neoliberale. Se non hanno pane –direbbe Maria Antonietta- almeno mangino la brioche di un Blackberry. Con il quale si può tessere la Rete di un altro mondo possibile.

Gennaro Carotenuto su http://www.gennarocarotenuto.it




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Gennaro Carotenuto per Giornalismo partecipativo
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