L'Einaudi minaccia di querelare i compagni e il fratello di Peppino Impastato. Avevano chiesto una rettifica a Saviano



La vostra lotta è la nostra lotta, attaccare voi è attaccare la storia dell'Antimafia civile
Saviano scrive che, prima del film "I Cento Passi", la memoria di Peppino Impastato era custodita solo da pochi, mettendo in relazione il film con i processi per l'assassinio di Peppino. Umberto Santino e, successivamente, Giovanni Impastato chiedono che venga riconosciuto la loro più che trentennale battaglia perché Peppino abbia giustizia: il processo era iniziato prima del film, grazie a questa battaglia. L'Einaudi, la casa editrice per la quale Saviano ha scritto il testo incriminato, per tutta risposta minaccia querele.


Quanto sta accadendo in queste settimane è l'emblema dell'Italia di oggi, l'Italia dei salotti e che non si indigna più, un Paese che riconosce una sola narrazione, quella della televisione e del pensiero unico che narcotizza e omologa. Una storia come quella del Centro Siciliano di Documentazione Peppino Impastato e di tutti i compagni di Peppino, del loro coraggio e della loro determinazione nel portare avanti la lotta perché venisse fatta giustizia a Peppino non può esistere. E' molto più comodo far credere che tutto sia avvenuto per un film, che questo film abbia risollevato dall'oblio la storia di Peppino e magicamente tutto è tornato in moto, anche i Tribunali. Perché questa è l'ideologia televisiva, un quarto d'ora di celebrità e tutti hanno diritto ad esistere. Ma prima di quel quarto d'ora, fuori dal recinto dorato non si esiste. Addolora e amareggia che, in questo caso, sia coinvolto Roberto Saviano. Perché tutto è nato da un suo scritto. Saviano, almeno ufficialmente, non ha ancora preso posizione. Possiamo ancora sperare che voglia esprimere forte contrarietà per quanto sta facendo la casa editrice Einaudi e voglia difendere Umberto, Giovanni e il Centro. Umberto, in più riprese, gli ha chiesto un confronto pubblico, un incontro chiarificatore. Lo ha auspicato anche Riccardo Orioles. Sarebbe molto triste se non fosse così. Per Saviano e per tutti noi.

La querela dell'Einaudi, una volta gloriosa casa editrice, riporta alla mente i fatti del 2004, allorquando l'avvocato di Tano Badalamenti querelò Giovanni Impastato per aver dichiarato al Maurizio Costanzo Show che chi sosteneva che Peppino fosse un terrorista-suicida era un imbecille. In quell'occasione Giovanni fu condannato. Oggi l'indignazione non può che essere la stessa. Viviamo tempi in cui due luminose figure dell'impegno civile e dell'antimafia vengono irrise, sminuite, attaccate mentre l'Italia sempre più precipita nell'illegalità, nell'affarismo, nella speculazione, nella penetrazione mafiosa nelle Istituzioni e in economia, nell'avanspettacolo. Il loro impegno, il loro coraggio, la loro trentennale battaglia per la giustizia e per denunciare (e documentare, che al giorno d'oggi è merce rara) i potentati mafiosi dev'essere il nostro. E' un patrimonio dell'Italia migliore, che non si arrende e alza la testa, un patrimonio da difendere e custodire quotidianamente. Persone come Giovanni e Umberto andrebbero sostenute, difese, prese da esempio. E invece, c'è il silenzio (anche di tanti presunti antimafiosi, ma da salotto). Questo silenzio, quest'omertà va spezzata. E' doveroso chiedere a Saviano di esprimersi e chiedere scusa. Tutti possiamo sbagliare, a tutti può capitare di essere fraintesi. Probabilmente, vogliamo crederlo, Saviano non è riuscito ad esprimere compiutamente e correttamente il suo pensiero. Basterebbe un suo gesto, una sua presa di posizione pubblica per fermare l'attacco dell'Einaudi e ripristinare la verità. Sarebbe un atto di giustizia, verso il Centro e verso la memoria di Peppino. Una memoria che non possiamo permettere, e ancor più non può Saviano accettare di esserne strumento, sminuita e offesa. E' la memoria di un sacrificio, assassinato dalla mafia e accusato da morto di essere un terrorista. E' la memoria di un cammino trentennale, una lotta per chiedere giustizia iniziata poche ore dopo l'assassinio e giunta ad oggi ancora in piedi, luminoso esempio di un cammino da seguire per tutti coloro che credono ancora che la mafia, parafrasando Borsellino, è umana ed è destinata a finire. Il l 9 maggio 1978 Peppino Impastato fu ucciso dalla mafia. Il boss Tano Badalamenti decise che Peppino era diventato scomodo. Quel giorno era convinto di aver messo a tacere un uomo che voleva e cercava la giustizia. Invece si sbagliò profondamente. Perché dal sacrificio di Peppino, dall'amore per la giustizia che lui aveva sempre mostrato, tante voci si levarono. Il giorno dei funerali di Peppino, centinaia di persone (in gran parte da fuori Cinisi) accompagnarono la bara. "All'improvviso, come a rispondere agli slogans dei compagni ("Peppino è vivo e lotta insieme a noi"), si levò, alto, deciso, il pugno chiuso di Giovanni. Era una prima risposta. Un filo cominciava a intrecciarsi. Dentro la famiglia Impastato qualcuno dichiarava pubblicamente di prendere il testimone, si schierava apertamente con Peppino e con i suoi compagni. Ai muri del paese in un piccolo manifesto si leggeva: Peppino Impastato è stato assassinato. L'omicidio ha un nome chiaro: Mafia" ricordano Anna e Umberto Santino.

Come fiori in primavera gli amici di Peppino decisero di proseguire il suo impegno, la sua lotta contro l'oppressione e la violenza mafiosa. Questo gruppo di irriducibili cercatori di giustizia hanno da subito trovato un motore inesauribile nella famiglia di Peppino. L'anziana mamma Felicita e il fratello Giovanni decisero di non lasciar morire la sua voce. Anche grazie a loro, oggi digitanto su un qualsiasi motore di ricerca "Peppino Impastato" si trova subito tantissime testimonianze di una Sicilia che non si arrende alla mafia. Il primo impegno fu quello di rendere giustizia proprio a lui. I mandanti del suo assassinio, insieme ai loro appoggi istituzionali accusarono Peppino di essere un terrorista e di essere morto mentre stava preparando una bomba. Si voleva infangarne la memoria, cancellare il suo impegno antimafia. Ma i suoi amici non si arresero e condussero una battaglia legale durissima. Nonostante i boicottaggi e i depistaggi alla fine la giustizia prevalse. Alle ore 17,15 dell'11 aprile 2002 la Corte d'Assise di Palermo condanna Gaetano Badalamenti all'ergastolo in quanto mandante dell'omicidio Impastato. 24 anni dopo finalmente era giustizia. Quelle poche parole di Saviano, e il comportamento dell'Einaudi, nascondono e non riconoscono tutto questo.

In questo ultratrentennale cammino, tantissimi sono i momenti che andrebbero ricordati, momenti straordinari che testimoniamo la limpidezza e l'umanità di chi lo sta conducendo. Tra i tanti pubblici, a me piacerebbe ricordarne uno quasi privato: l'incontro tra Haidi Giuliani e Felicetta, la mamma di Peppino. Le parole con le quali Umberto testimoniò l'incontro tra le due madri, l'abbraccio tra la resistenza contro la mafia e la resistenza contro la globalizzazione, due imperi economici e politici che si incontrano e fanno affari insieme da sempre. Dalla loro umanità possiamo, e dobbiamo, ripartire. Con coraggio, ovvero col cuore.

Chiediamo giustizia per Peppino, ieri, oggi e sempre. Al fianco di Umberto e Giovanni, al fianco del Centro Siciliano di Documentazione Peppino Impastato e dei compagni di Peppino. Perché esiste un'Italia migliore, un'Italia che non accetta di piegarsi e il compromesso interessato, che non si arrende e s'indigna. Quest'Italia va ringraziata, va difesa e va seguita.


I dettagli della vicenda
http://www.radiocittaperta.it/index.php?option=com_content&task=view&id=5420&Itemid=9



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