PROPOSTA SULLA POLITICA SANITARIA (DI MEDICINA DEMOCRATICA)



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Subject: DOCUMENTO DI PROPOSTA SULLA POLITICA SANITARIA DI MEDICINA
DEMOCRATICA
From:    "maurizio portaluri" <portaluri at hotmail.com>
Date:    Sun, March 18, 2007 10:00 am
To:
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VI INVIO UN DOCUMENTO DI PROPOSTA SULLA POLITICA SANITARIA FRUTTO DI UN
DIBATTITO INTERNO ALL'ASSOCIAZIONE NAZIONALE



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PROPOSTE
PER UN SISTEMA SANITARIO ACCESSIBILE AI CITTADINI
CON PROFESSIONISTI DEDICATI
SOLO ALLA LORO SALUTE











Marzo 2007
Premessa
Circa trent’anni fa, Giulio Maccacaro, fondatore di Medicina Democratica,
denunciava il ruolo della medicina nella società contemporanea. Una
medicina sempre più orientata a curare i sintomi delle malattie e sempre
più lontana dall’essere preventiva, dall’agire, cioè, sulle reali cause
patogene (salubrità dei luoghi di vita e di lavoro e disagio sociale). Una
medicina, dunque, che non serve ad altro se non a <<generare falsa
rassicurazione>>.
Maccacaro estende la sua critica all’organizzazione sanitaria,
all’ospedale che si fa <<fabbrica>> in quanto la gerarchia, la divisione
del lavoro al suo interno e ambizioni personali prevalgono <<sulla logia
di assistenza al malato>>.
Con questo documento, di critica e di proposte, Medicina democratica
intende prendere spunto dalle parole del suo fondatore, provare a
valutarne l’attualità e suggerire forme alternative di organizzazione
realmente orientate alla persona.

I ticket: ostacolo ingiusto alla cura e minaccia all’universalità del SSN
Dai primi giorni di gennaio i cittadini, senza alcun preavviso, si sono
ritrovati a pagare una maggiorazione di 10 euro su ogni prestazione
specialistica e 25 euro per gli accessi al pronto soccorso con “codice
bianco”.
Per l’esattezza, i cittadini che non sono esenti dal ticket pagano una
sopratassa di 10 € per ogni ricetta che si riferisce ad esami di
laboratorio o strumentali specialistici.
Inoltre, tutti i pazienti a cui nel Pronto Soccorso viene attribuito un
“codice bianco” (la situazione è considerata non pericolosa per la vita
del paziente) pagano 25 €. Sono esentati dal pagare il balzello le persone
con meno di 14 anni e quelle che fanno ricorso al pronto soccorso per un
trauma o per un avvelenamento. In questi casi di esenzione, il paziente
che non si ricovera continuerà a pagare, come faceva prima, il ticket
sugli ulteriori esami che il medico di pronto soccorso avrà richiesto per
formulare una diagnosi o, in generale, per completare le indagini.
Rispetto al passato, quindi, oggi si pagano comunque 25 € anche se non
viene eseguita nessuna ulteriore indagine in Pronto Soccorso (per es. una
consulenza ortopedica oppure una radiografia del torace) e se il valore
per le prestazioni eseguite dovesse essere inferiore a 25 €.
Secondo i rappresentanti del Governo l’aggiunta di questa tassa servirebbe
ad alleviare i bilanci delle ASL e quindi delle Regioni in quanto
scoraggia i cittadini dall’eseguire esami inutili (con i 10 € per ricetta)
e dal ricorrere ingiustificatamente al Pronto Soccorso (con i 25 €). I
medici di Pronto Soccorso, è questo il ragionamento di chi ci governa,
lamentano che molti dei pazienti che si rivolgono a tale servizio lo fanno
per problemi che potrebbero essere risolti dal medico di famiglia o dalla
guardia medica. In altri casi, i cittadini si rivolgono al Pronto Soccorso
per superare i lunghi tempi di attesa cercando, cioè, di ottenere la
prestazione desiderata attraverso il passaggio al Pronto Soccorso con
l’evidente intralcio ai casi più gravi.
L’imposizione ai cittadini non esenti dal pagamento del ticket del
supplemento di 10 € a ricetta sta accentuando un fenomeno già nato e
cresciuto in precedenza per il quale può risultare più conveniente per il
paziente acquistare a proprie spese, direttamente e senza lunghe attese,
dalle strutture private la prestazione sanitaria desiderata con un costo
che può essere a volte più basso o uguale a quella derivante dal ticket.
Oggi in una struttura pubblica una radiografia del torace costa 25,49 euro
mentre nel privato 25,00, un emocromo 14,65 contro 13,00, una mammografia
46,15 contro 55,00. Più conveniente il privato, ed anche a fronte di
qualche euro in più come per una mammografia, sempre meglio perchè non ha
lunghi tempi di attesa. Risultato: il cittadino sarà comunque costretto a
spendere di più per tutelare la propria salute, oppure a rinunciare ad
accertamenti o controlli di prevenzione. È così che si vogliono risolvere
i problemi dei tempi di attesa?
In qualche caso potrebbe addirittura essere meno costoso, ma solo di
qualche euro, rivolgersi al Pronto Soccorso per ottenere la prestazione
desiderata. Si realizza così l’effetto contrario a quello voluto dal
provvedimento governativo, l’aumento dell’ingiustificato ricorso alla
struttura del Pronto Soccorso.
Nel mese di gennaio il Governo ha fatto marcia indietro sulla questione
ticket delegando alle Regioni la scelta di applicare o meno la
maggiorazione attraverso il ricorso ad altre forme di compartecipazione
alla spesa. Con l’approvazione del decreto “milleproroghe” la
maggiorazione rimane comunque in vigore fino al 31 marzo. Si rimane quindi
in attesa di nuove soluzioni da parte delle Regioni. Ciò che è certo,
però, è che non si può pensare di risolvere i problemi degli sprechi in
sanità, dell’appropriatezza delle prescrizioni, dei tempi di attesa con
provvedimenti a danno del cittadino!
Con questi provvedimenti il Governo si propone di incamerare 830 miliardi
di Euro cercando di mettere così freno ad una spesa sanitaria che ha fatto
registrare negli ultimi anni una crescita costante. Ma, mentre non vi è
evidenza scientifica della relazione diretta tra aumento del numero di
prestazioni erogate e stato di salute di una persona/ popolazione è il
semplice buonsenso a suggerire che le difficoltà di accesso alle
prestazioni possono pregiudicare lo stato di salute. Ed è sempre il
buonsenso, attraverso un’attenta lettura della realtà che viviamo, a
suggerire che molto del consumo di farmaci e del ricorso ad accertamenti
diagnostici è indotto dalla pressione anche mediatica dell’industria
farmaceutica e biomedica. Anche in questo caso non c’è evidenza
scientifica che a tale abuso corrisponda un reale miglioramento dello
stato di  salute.
Fatte salve tutte queste premesse, non può sfuggire, comunque, il
carattere ingiusto di ogni forma di ticket in un sistema sanitario
universale - come intendeva essere quello italiano nel momento della sua
istituzione con la legge 833/78. I ticket, per il grave e diffuso fenomeno
della evasione fiscale, finirebbe per non essere pagato da chi dovrebbe –
perché è riuscito a sottrarre al fisco parte del proprio reddito - ed
essere invece pagato, con difficoltà che si possono immaginare, da quelle
fasce di popolazione ai limiti, appena superiori, delle soglie di reddito
previste per l’esenzione. Il risultato è quello di ostacolare, tra i meno
abbienti, il ricorso ad accertamenti e ad ogni forma di cura. Non ha,
tutto ciò, un carattere vagamente anticostituzionale? È certo, comunque,
che provvedimenti simili, a carico soprattutto delle fasce più
svantaggiate, indeboliscono il vincolo solidaristico che è alla base di un
sistema sanitario che come il nostro si ispira a principi di universalità.

La burocrazia ed il conflitto di interesse dei medici
I lunghi tempi di attesa, anche per prestazioni che dovrebbero essere
erogate con precedenza rispetto ad altre, dipendono pure da un accesso
troppo burocratizzato del paziente ai servizi sanitari. Accesso che non
tiene conto della reale urgenza dell’esame richiesto dal medico curante o
dallo specialista. I Centri Unici di Prenotazione (CUP) così come
organizzati, rappresentano di fatto un ostacolo all’accesso perché non
sono qualificati per comprendere le ragioni cliniche che sottostanno alla
richiesta dell’esame. Se le agende tenute presso i vari servizi potevano
esporre il cittadino al rischio di un rapporto non trasparente con il
servizio sanitario e potevano indurre gli operatori in comportamenti
scorretti con l’utenza, le liste dei CUP, se non adeguatamente gestite,
sono “falsamente” trasparenti perché comprendono anche prenotazioni che
non saranno evase in quanto il cittadino tenterà altre strade per ottenere
la prestazioni senza annullare la sua prenotazione. Si pensi al ricorso, a
proprie spese, alle strutture private; ai viaggi verso altre regioni e
alle raccomandazioni.
Le liste, colme di nomi di pazienti che non eseguiranno mai l’esame,
provocano la sottoutilizzazione delle strutture sanitarie e costituiscono
un ulteriore ostacolo all’accesso alla diagnosi ed alla cura. Tale
situazione di fatto favorisce sia le strutture private sia gli
specialisti-pubblici nello svolgimento della libera professione.
È pura illusione quella di correggere questo fenomeno di malcostume,
tipicamente italiano, riportando all’interno della struttura sanitaria la
libera professione dei primari. Infatti, solo il divieto di libera
professione a tutto il personale dipendente e convenzionato con il
servizio sanitario può permettere un accesso che sia effettivamente basato
sulle esigenze di salute del cittadino.
Non è possibile continuare a pagare i medici dipendenti a stipendio fisso
con l’aggiunta di indennità, per prestazioni ulteriori, sotto la spinta
emotiva dei lunghi tempi di attesa. Tutto ciò non è possibile perché il
risultato è che i tempi di attesa non hanno che una modesta riduzione
mentre non è sufficientemente garantita la priorità dell’accesso al
servizio secondo gli effettivi bisogni.
Chi, infatti, è pagato a prestazione non può avere interesse a ridurre di
molto i tempi di attesa perché ciò farebbe cessare la richiesta di
prestazioni aggiuntive e farebbe calare la richiesta per la propria libera
professione più o meno “intramoenia”. Non si possono, inoltre, continuare
a pagare i medici di medicina generale in base al numero di ammalati e con
ulteriori compensi legati al numero di prestazioni cosiddette aggiuntive.
Anche qui è evidente il forte rischio della proliferazione di prestazioni
ingiustificate e la tendenza alla “caccia” al paziente con la corsa alla
soddisfazione di ogni suo “capriccio”. Infine anche il sistema di
remunerazione oraria degli specialisti ambulatoriali senza un contestuale
divieto della libera professione contiene il germe di un alterato rapporto
con gli interessi del sistema sanitario pubblico.

Il coraggio della politica
Non è possibile continuare a chiudere gli occhi sull’assoluta
incompatibilità tra il servizio sanitario pubblico e i contratti di lavoro
dei diversi tipi di medici e professionisti con esso in rapporto,
contratti che ratificano un sostanziale conflitto di interesse tra le
possibilità offerte ai medici e l’interesse del cittadino, con un sistema
di valutazione dei risultati conseguiti dai medici difficilmente
applicabile per la carenza di un sistema di controlli sostanzialmente
inapplicato e, comunque, poco efficace.
Il medico nel servizio sanitario di qualunque tipo (dipendente o
convenzionato) si comporta di fatto come un libero professionista con
tutte le garanzie del dipendente. Un autogol che nessuna azienda privata
commetterebbe mai. Se la politica continuerà a non mettere mano al tema
del rapporto di lavoro per timore di contraccolpi elettorali sarà
impossibile uscire da questa assurda contraddizione.
Né si può pretendere che il ricorso inappropriato al pronto soccorso, alle
visite ed agli esami specialistici possa essere corretto senza contrastare
la pretesa, sostenuta da sindaci e politici, di riaprire reparti
ospedalieri in strutture fatiscenti e privi tecnologie moderne rincorrendo
campanilismi e logiche elettorali, o peggio clientelari, ispirate da
operatori insoddisfatti per la propria carriera.
Le attività territoriali potranno essere espanse solo a condizione di
ridurre la spesa per l’ospedale, concentrando l’attività ospedaliera in
poche ma qualificate strutture all’interno di ciascuna azienda e, per
alcune alte specialità, imponendo la loro presenza solo in alcuni poli
regionali.

Conclusioni e proposte
Per queste ragioni Medicina Democratica chiede al governo ed alle regioni di:
1)Abolire la maggiorazione del ticket di 10 euro sulle prestazioni
specialistiche senza ricorrere all’adozione di misure alternative a carico
del cittadino. L’orientamento delle Regioni è quello di non applicare la
maggiorazione chiedendo al governo di eliminare la richiesta di 811
milioni di euro di risparmio previsti dalla finanziaria per il 2007. Il
risparmio, comunque, non può essere garantito a danno delle fasce deboli
della popolazione mettendo a rischio la tutela della salute.
2)Abolire ogni imposizione di ticket. La spesa farmaceutica può essere
ridotta facilmente adottando alcuni sistemi come ad esempio la
distribuzione dei farmaci da parte delle farmacie degli ospedali e ancora
di più tramite l’adozione della DCI (denominazione comune internazionale).
Essa si traduce nell’obbligo di prescrivere farmaci utilizzando il nome
del principio attivo piuttosto che quello commerciale. A questo deve
seguire un lavoro di educazione e indicazione nei confronti dei
prescrittori, dei farmacisti e della popolazione attraverso una
informazione indipendente sui farmaci.
3)Orientarsi alla tutela e alla promozione della salute. Siamo stati
abituati ad un sistema che “paga la malattia”, ovvero a forme di
finanziamento alle strutture basate su elenchi che descrivono malattie ed
interventi chirurgici. Abbiamo visto, nel corso del tempo, come questo
sistema abbia portato a moltiplicare ingiustificatamente le prestazioni
sanitarie.Ci sono lunghe code, tempi di attesa impossibili, non sappiamo
quanto effettivamente tali prestazioni siano utili, o meglio siamo sicuri
statisticamente che buona parte di questi esami, visite, interventi e
altro è privo di validazione scientifica. Proponiamo, pertanto, di
contrapporre a ciò un sistema “che paga la salute” cioè che misura
risultati quali: l’efficacia delle cure; il gradimento dei cittadini,
quale prima forma di partecipazione e valutazione e la sostenibilità dei
servizi in termini di spesa. Si tratta, pertanto, di modificare - da
subito - la modalità di retribuzione dei direttori generali, dei dirigenti
e delle strutture in funzione di queste parole: efficacia, gradimento e
sostenibilità.
4)Correlare la salute della popolazione alla condizione ambientale del
territorio in cui vive, agli stili di vita che segue e alla conoscenza di
salute. Si devono, quindi, introdurre provvedimenti finalizzati ad
eliminare le esposizioni nocive in ambienti di vita e di lavoro e a
bonificare i siti inquinati.
5)Procedere alla pubblicizzazione dell'Istituto Chimico Farmaceutico
Militare di Firenze, pressoché in via di smantellamento. Tale Istituto
dovrebbe passare al ministero della salute ed essere potenziato al fine
di:
	a) produrre farmaci generici a cominciare da quelli che non vengono più
prodotti perchè 	poco conveniente per le industrie farmaceutiche,
	b) produrre farmaci orfani,
	c) avere un rapporto privilegiato con gli istituti di ricovero e cura a
carattere scientifico 	che, invece di farsi immediatamente carpire le
loro scoperte dalle industrie, potrebbero 	cedere il brevetto
all'Istituto soprattutto per quei farmaci che hanno un'utilità sociale,
	soprattutto per il terzo mondo cui vanno ceduti con la possibilità di
fabbricarseli a casa 	loro.
6)Istituire centri di medicina generale e di specialistica ambulatoriale
(casa della salute) in cui il paziente possa eseguire tutti gli esami e le
visite di cui ha bisogno senza peregrinazioni tra strutture ospedaliere e
strutture sanitarie pubbliche o private.
7)Ridurre il numero degli ospedali qualificandoli nelle tecnologie e nel
personale.
8)Prevedere per i medici che vogliono lavorare nel servizio sanitario
pubblico un rapporto di lavoro davvero esclusivo, valutabile in base agli
obiettivi raggiunti attraverso seri criteri di verifica, un rapporto che
veda il medico non solo impegnato a produrre prestazioni (ricoveri o
esami) ma soprattutto a fornire risultati di salute e quindi coinvolto
nello studio e nella ricerca all’interno del servizio sanitario.
Attach Rimosso