Governo e Regione Puglia concordi su Taranto: all'Ilva non si applica il Protocollo di Kyoto



Corriere della Sera
NAZIONALE
sezione: Cronache
data: domenica 28/1/2007 pag. 19
autore: Carlo Vulpio


Taranto, rivisto il Piano presentato alla Ue per scongiurare il taglio di
4 mila lavoratori

Ilva, ambientalisti e sindacati denunciano «Sì da governo e Regione a
inquinare di più»


DAL NOSTRO INVIATO

TARANTO -- Solo qui si teme il vento di tramontana, vento benedetto perché
spazza via le impurità, e si invoca lo scirocco. E il motivo è semplice e
drammatico: la tramontana soffia dall'Ilva verso la città, lo scirocco in
senso contrario. Farà sudare e anche ansimare, ma almeno risparmia ai
polmoni le polveri sottili che esalano dal centro siderurgico, in una
delle aree a più alta incidenza di cancro in Italia.
L'Ilva è l'acciaieria più grande d'Europa, occupa 15 milioni di metri
quadrati, come 18 mila campi di calcio, e con 10 milioni di tonnellate di
Co2 vomitate nell'aria ogni anno e 7 chili annui di polveri pro capite è
il secondo «grande inquinatore» nazionale (il primo è la centrale Enel di
Brindisi-Cerano, con 15,8 milioni di tonnellate).
In questi giorni lo scirocco è arrivato a Davos, al World Economic Forum.
Perché lì si sta discutendo anche di Taranto, e cioè di emissioni
venefiche, protocollo di Kyoto, energia, clima. E si sta cercando una
nuova via allo sviluppo e agli affari «puliti», con le multinazionali che
non assolvono né il capitalismo né se stesse, ma cercano di progettare un
futuro diverso «perché conviene a tutti». Lì sono le grandi corporation a
chiedere a Bush (gli Stati Uniti non hanno firmato Kyoto) di «fare di
più».
A Taranto, Europa del Sud, invece, le cose vanno molto diversamente
rispetto a Davos. A Taranto, quando Emilio Riva, il patron dell'Ilva, 10
milioni di tonnellate di acciaio l'anno, ha appreso che in base al Piano
per le emissioni di anidride carbonica presentato dall'Italia a Bruxelles
anche l'Ilva doveva rispettare le quote di Co2 previste dal protocollo di
Kyoto, e quindi ridurre del 20 per cento le emissioni, ha scritto al
premier Romano Prodi, ai ministri e al «governatore» pugliese Nichi
Vendola.
Meno Co2 significa meno produzione, ha detto Riva, e quindi «riduzione del
personale di almeno 4.000 unità». Fine di Kyoto. E ritorno al
paleocapitalismo industriale. Per giunta, in una città che ha la più ampia
«forbice» in Italia tra emissioni civili e industriali (7 e 93 per cento),
che è stata dichiarata «area a elevato rischio di crisi ambientale» e che
è all'ultimo posto per «qualità ambientale».
Sul caso Ilva, i governi centrale e regionale «hanno coperto le spalle a
Riva e gli hanno consentito di inquinare di più», dicono Aldo Pugliese,
segretario regionale della Uil, Alessandro Marescotti, presidente di
«Peacelink» e Girolamo Albano di «TarantoViva».
Il governo, in effetti, ha promesso a Riva che le quote di emissione per
la siderurgia non saranno abbassate e che si cercherà di «compensare» da
qualche altro settore. Ma il rischio è che il Piano italiano possa essere
bocciato a Bruxelles. Anche perché, chiusa Cornigliano (Genova), Taranto
aumenterà la produzione di acciaio (e quindi le emissioni) di 2,5 milioni
di tonnellate.
Pugliese, Marescotti, Albano, e tutti quelli che a un nuovo orientamento
in tema di ambiente «ci avevano creduto», sono arrabbiati. Non solo perché
hanno visto Rossana Di Bello (ex sindaco di Taranto, centrodestra) e
Giovanni Florido (presidente della Provincia, centrosinistra) scappare dal
processo che ha condannato Ilva per inquinamento ritirando le costituzioni
di parte civile. Ma anche perché, dicono, «Vendola fa oggi ciò che non osò
fare Fitto ieri». E cioè: mentre Fitto non autorizzò Ilva a costruire una
terza centrale termoelettrica da 150 megawatt, Vendola ne ha permessa una
da 600 megawatt.
«Eppure "i nuovi" avevano promesso una drastica riduzione di emissioni di
Co2 da fonti energetiche tradizionali -- dice Aldo Pugliese --. Invece
adesso scopriamo che il nuovo Piano energetico regionale prevede un
raddoppio delle emissioni».
Secondo Vendola però «l'Ilva nel protocollo d'intesa con la Regione ha
dimostrato la volontà di investire risorse cospicue nei propri impianti».
Impianti che vanno riconvertiti e che potrebbero ridurre le emissioni dal
30 addirittura all'85 per cento. Ma oltre ai soldi occorre fare sul serio.
La UE è pronta a stanziare un miliardo di euro. L'Italia intanto
«aggiusta» gli impegni di Kyoto.