25 aprile anche in Corelli



25 aprile a Milano: per chiudere Corelli
Se non ora, quando?



“Tra un po’ sarà il 25 aprile. Noi, detenuti ed ex-detenuti del Centro di detenzione per immigrati di via Corelli non dobbiamo chiedere a voi italiani se conoscete il fascismo. Perché sappiamo che l’avete conosciuto. Vi chiediamo, però, se l’Italia è un paese democratico o un paese fascista. Perché noi che siamo qui dentro e noi che siamo usciti vi diciamo che in un paese che si definisce democratico non possono esistere luoghi come Corelli e tutti gli altri Centri di detenzione in Italia, nuovi Lager. Perché Corelli e democrazia sono due cose contrarie, così come due cose contrarie sono la democrazia e tutte le ingiustizie che noi immigrati dobbiamo subire in Italia. Se l’Italia si definisce fascista, allora Corelli può esistere, ma in questo caso siamo noi per primi a volere andare via dall’Italia di nostra spontanea volontà. Se invece non è così e vi definite democratici, a questo punto Corelli non deve esistere.


I detenuti e alcuni ex-detenuti del Centro di detenzione di via Corelli, a Milano”


E’ questo che ci chiedono i detenuti e gli ex-detenuti del Centro di detenzione di via Corelli, a Milano. Sapremo rispondere? Da due settimane ormai, dal momento in cui sono riusciti a far pervenire all’esterno la loro rivendicazione di libertà, e a far sapere che per ottenerla erano in sciopero della fame, si è costituito un Comitato d’appoggio alla lotta che, come primo compito, vuole essere il megafono dei reclusi in questo carcere a regime speciale, una prigione di massima sicurezza per immigrati E’ la prima volta, in Italia, da quando esistono i Centri di detenzione, luoghi di non diritto e di continui soprusi, umiliazioni e violenze, istituiti nel 1998 dalla legge Turco-Napolitano, che i detenuti di un Centro riescono a trovare una capacità così compatta di organizzazione. Negli anni passati le rivolte non erano certo mancate, né a Milano né altrove. Ma non erano mai riuscite a dar vita a percorsi continuativi, a costituire soggetti politici in grado di immaginare una prospettiva, di lottare per questa, mettendosi in gioco e arrivando a pagare sulla propria pelle le scelte fatte. Solo a volte il lavoro delle organizzazioni antirazziste era riuscito, dall’esterno, ad aprire una breccia nel silenzio e nell’assoluta impenetrabilità di questi luoghi e a far sapere che cosa davvero accadesse all’interno. Ma poi, tutto, dopo un breve periodo, salvo casi eccezionali, ritornava al silenzio voluto dalla logica della legge che li ha inventati e di quella che l’ha seguita, la Bossi-Fini. Ora non è così. Dopo il primo comunicato dei detenuti di Corelli, anche dal Centro di detenzione di Bologna è arrivato all’esterno un comunicato che raccontava la protesta di coloro che sono rinchiusi lì dentro e faceva conoscere le loro rivendicazioni. Nel frattempo, i detenuti di Corelli hanno cambiato forma di lotta, dallo sciopero della fame sono passati a forme di sciopero meno autolesioniste, continuando, comunque, a rifiutare il cibo della Croce rossa, gestore del Centro. Una lotta che ha già cominciato a produrre dei risultati: la denuncia rispetto al fatto che siamo di fronte a carceri speciali a regime duro ha fatto il giro delle radio e dei mass-media; circa 30 persone sono state liberate prima della scadenza dei 60 giorni di reclusione previsti dall’attuale normativa; la prefettura ha dovuto incontrare i prigionieri e ascoltare le loro pesanti denunce contro il CPT e chi lo gestisce; nel processo a Gisella, una delle leader della rivolta, sono emerse apertamente tutte le contraddizioni delle forze operanti nel CPT, impedendo la sua deportazione già preannunciata. Sono solo dei primi risultati pagati tra l’altro a caro prezzo; il prezzo della deportazione mirata per coloro che più di altri si erano esposti politicamente per organizzare la protesta e per farla conoscere. Ma vale la pena ricordare le parole di Radouan, marocchino, pochi attimi prima di salire ammanettato sulla macchina della polizia in direzione Malpensa: “Parto con serenità perché so che noi tutti abbiamo fatto il nostro dovere. Spero che gli altri che restano continuino questa lotta…..”

Nel giorno del sessantesimo anniversario della liberazione dell’Italia dal fascismo facciamo appello a tutte le forze democratiche perché, proprio in questa giornata, si rinnovi nel presente un’azione di liberazione, per portare a compimento quello che i detenuti di Corelli hanno appena iniziato e che non riguarda soltanto gli immigrati che arrivano in questo paese. Chiudere via Corelli, e tutti gli altri Centri disseminati sul territorio italiano e europeo, significa infatti cancellare una delle continuità con un passato che ci ha consegnato per sempre la domanda di Primo Levi: “se questo è un uomo”, “se questa è una donna”. Una domanda che dobbiamo porci, oggi, in modi diversi, di fronte a tutte le forme di detenzione, deportazione, repressione, guerra messe in atto dai governi europei contro uomini, donne, bambini, che esercitano unicamente il loro diritto a migrare.


Comitato di appoggio alla lotta dei detenuti di Corelli




Dopo la manifestazione del 25 aprile, alla fine degli interventi in piazza Duomo, saremo in tanti davanti al Centro di via Corelli, a partire dalle ore 18 fino a notte.

Prime adesioni (da inviare a semir at libero.it): Via Adda non si cancella, Todo cambia, Sincobas, Attac, Action Milano, Indymedia, Rifondazione comunista Milano, Naga, gli/le occupanti delle case di Sesto San Giovanni, Centro popolare la fucina,