da alessandra garusi: anticipazioni numero di marzo 2005 di missione oggi



Ecco il primo pezzo tratto dal numero di marzo 2005 di Missione Oggi.
Riprendete pure liberamente.

Grazie mille e a presto
Alessandra Garusi (per la redazione)
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I profitti o la guerra
Cosa viene prima?






Di recente ho avuto una di quelle intuizioni che mi ha fatto cambiare il
paradigma nella mia lotta a favore della giustizia e della pace. Guardavo
giocare una squadra locale; al cancello un poliziotto mi aveva fermato,
dicendomi che non potevo portare all'interno dello stadio la mia bottiglia d
'acqua. Gli avevo fatto presente che era di plastica, e che non l'avrei
gettata in campo, essendo tra l'altro impegnato nel movimento nonviolento.
"Non fa alcuna differenza", mi aveva risposto l'agente. "Puo' acquistarne un
'altra all'interno dello stadio, ma non puo' portarne una dall'esterno".



Ho capito subito cosa gli altri, e qualche volta anch'io, andavamo dicendo
da un po' di tempo. Quest'uomo in divisa non era lì per proteggere gli
sportivi, come sosteneva il dipartimento di polizia: egli difendeva quelli
che stavano facendo profitti con la vendita di bottiglie dentro lo stadio.
Ho cambiato ulteriormente il mio punto di vista durante le ricerche e l'
organizzazione della campagna contro i profitti di guerra promossa dalla
Lega di resistenti anti-militaristi. Si chiama "Ferma i mercanti di morte".
Il mio vecchio modo di pensare mi aveva portato a credere che nel mondo c'
erano sempre state delle guerre, e che certe imprese ne avevano tratto
cospicui profitti. Usando invece il nuovo paradigma, mi sono invece accorto
che quelle stesse corporation sono controllate proprio da coloro che
progettano le strategie militari dell'Amministrazione americana. Queste non
traggono direttamente guadagno dalla guerra, ma il loro potere, la loro
influenza sono così grandi che forse è meglio dire che esse fanno la guerra
per il profitto.

SFRUTTAMENTO E RICOSTRUZIONE

A questo punto bisogna porsi due domande: quali industrie guadagnano di piu'
da una guerra e che cosa fanno per mantenere ed estendere la loro influenza
nel determinare le strategie belliche del nostro Paese? Mi vengono in mente
alcuni esempi, pensando in particolare al conflitto del Golfo: le
multinazionali del petrolio e quelle delle armi. Il Forum per una strategia
globale ha stimato che i profitti delle compagnie di petrolio presenti in
Iraq raggiungono i 95 miliardi di dollari l'anno. Mentre invece, per quanto
riguarda le vendite di armi, se Washington desse un milione di dollari alla
famiglia di ogni soldato ucciso in Iraq, ciò rappresenterebbe solo il 5% del
valore complessivo dei contratti stipulati da una sola fabbrica di armi nel
2003: la Lockheed-Martin.
Nell'ultimo decennio, altre industrie hanno spinto a favore della guerra
perche' in essa vedevano assicurati i loro interessi economici. Il giro d'
affari garantito dagli appalti esterni alle imprese militari rappresenta
questo. Nel 1992, il segretario della Difesa Dick Cheney ingaggiò una
compagnia privata per capire se era più produttivo appaltarle quelle
attività solitamente svolte dal settore militare pubblico. Ovviamente, tale
compagnia non pote' che sostenere la propria efficienza. Quella che Cheney
ingaggiò era l'Halliburton. Due anni dopo, nel '94, sempre il segretario
della Difesa, che non aveva alcuna esperienza precedente di affari, ne
divento' il direttore. Nei dieci anni successivi, vennero stipulati con essa
3mila contratti militari per la costruzione di caserme, servizi igienici, il
trasporto del petrolio, radio, uniformi, per costruire infrastrutture, per
preparare il cibo ecc.
Un terzo di tali contratti, circa 1.000, andò proprio alla Halliburton. Solo
il 17% della logistica impiantata in Iraq era diretta dal personale del
dipartimento della Difesa; il resto era stato appaltato a imprese private.
Nello stesso periodo, Cheney era ritornato al proprio incarico pubblico,
malgrado l'anno precedente avesse ricevuto a rate dalla Halliburton più di
175mila dollari, una cifra pari quasi al suo stipendio come vicepresidente
degli Stati Uniti (189.300 dollari).
Inoltre, in questi anni, abbiamo assistito all'aumento di compagnie
impegnate nella ricostruzione che avevano quindi non pochi interessi nel
sostenere quella guerra. Anche in tale circostanza ci siamo trovati davanti
a un intervento a dir poco lucroso; l'autorita' provvisoria della coalizione
insediatasi a Baghdad ha emesso un decreto che autorizza la proprietà
privata e senza restrizioni di tutti i settori economici iracheni, eccetto
quello petrolifero che era già stato dato a un'azienda legata sempre alla
Halliburton, consentendo il trasferimento totale dei profitti fuori dall'
Iraq. Questo decreto avrà valore per i prossimi cinque anni
indipendentemente dal governo che sederà a Baghdad.

LOBBY MILITARE E VOTI

Con tutto il denaro che si recupera facendo la guerra, queste compagnie ne
impiegano una parte cospicua per influenzare la politica bellicista dei vari
apparati dell'Amministrazione attraverso una serie di attività pubbliche e
clandestine. Conosciamo già il peso che le fabbriche di armi esercitano sui
legislatori attraverso il contributo dato a sostegno delle loro campagne
elettorali. La United for a Fair Economy (Uniti per una giusta economia) nel
2003 ha pubblicato uno studio, nel quale si dimostrava come l'apporto alla
campagna elettorale corrispondeva, in gran parte, al valore dei contratti
della Difesa.
Un articolo di Chalmers Johnson, un esperto di relazioni internazionali, ha
rivelato il peso di tali contributi anche sulle elezioni locali, ad esempio
nel 50° distretto della California, in occasione dell'elezione dei membri
del Congresso. Comunque è Cheney ad essere fortemente implicato in questa
strano gioco della "porta girevole" che conduce dagli affari privati al
governo.
Un'altra via meno conosciuta ma che vede le corporation decise a spingere
perche' si facciano le guerre, e' la Commissione consultiva per la strategia
della difesa. I suoi componenti (31) scelti dal Pentagono uno ad uno, si
ritrovano quattro volte l'anno per consigliare il segretario e il
sottosegretario della Difesa; molti di questi sono ex militari d'alto grado,
o altri personaggi come l'ex segretario di Stato Henry Kissinger, l'ex vice
presidente Dan Quayle, o l'ex segretario della Difesa Harold Brown.
Alcuni sono degli industriali. Il Pentagono sostiene che tali esperti siano
la migliore risorsa, cui attingere informazioni per le Forze armate. Ma uno
sguardo sulla loro storia personale fa emergere un problema di non poco
conto: Sheehan, ad esempio, e' stato inserito su consiglio della Bechtel,
uno dei beneficiari dei contratti per la ricostruzione dell'Iraq. Brown e'
stato appoggiato dalla Phillip Morris, che riceve contratti direttamente dal
dipartimento della Difesa Usa. Lo stesso Schlesinger, direttore della Cia ai
tempi di Carter e Nixon, e' uno degli amministratori della Rand, che riceve
decine di milioni di dollari per la ricerca nel settore bellico. Egli è
anche il direttore del Consiglio di amministrazione della Mitre che negli
ultimi due anni ha ricevuto centinaia di milioni di dollari per contratti
sempre sul militare.
Il direttore della Cia, James Woolsey, e' membro del Consiglio per la
strategia della Difesa oltre che vicepresidente della Booz Allen e Hamilton,
che nel 2003 ha ricevuto 680 milioni di dollari per contratti legati a nuovi
armamenti. Christopher A. Wiliams, ex dipendente del Pentagono e membro del
Consiglio per la strategia di difesa, ora lavora per la Johnston e
Associati, che fa lobby verso il Campidoglio a sostegno delle industrie di
armi come la Boeing, la Trw e la Northrup-Grumman. Sembra chiaro che ci
siano dei forti conflitti d'interesse, anche se le storie private dei membri
del Consiglio di Difesa non sono conosciute dall'opinione pubblica, ma solo
dal Pentagono. Con i loro stipendi non pagati dal settore pubblico ma
direttamente dalle corporation, c'e' da chiedersi a chi devono essere fedeli
questi consiglieri.
Forse è esagerato dire che queste compagnie hanno sottomesso il Dipartimento
militare degli Usa ai loro interessi privati. Ma quando guardiamo all'
economia di mercato che gli Stati Uniti stanno introducendo in Iraq,
possiamo trarre delle conclusioni per nulla arbitrarie: l'Amministrazione
Bush sta cercando di dare continuità alla presenza delle imprese americane
in quel Paese. Cosi' le truppe Usa non sono lì per servire e proteggere gli
iracheni, per portare la democrazia, o per liberare l'Iraq dalla tortura o
dalle armi di distruzione di massa. Alla fine, proprio come il poliziotto
che avevo incontrato allo stadio, le nostre truppe non stanno difendendo la
gente, ma quelli che da questa situazione traggono il massimo dei profitti
possibili.
Nella campagna "Ferma i mercanti di morte" abbiamo sviluppato una strategia
nonviolenta a tappe per disarmare le compagnie che fanno la guerra a proprio
esclusivo vantaggio. Se riusciremo a rimuovere la ragione del profitto come
elemento scatenante la guerra, avremo eliminato uno dei principali motivi
per farla.

G. SIMON HARAK