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Perché Dio non manda miracoli a New York?



Perché Dio non manda miracoli a New York?
lanfranco caminiti

Succedono ovunque i miracoli, in Europa, in Africa, persino in Asia
progressivamente e in India. Essi sono segnati da apparizioni, da
visioni, da un improvviso sovrannaturale che supera e lascia ammutolita
la nostra conoscenza delle cose, o dall'incarnarsi in azioni, in opere,
in gesti, in percorsi umani che praticano il bene, il soccorso, la
dedizione, la carità verso gli altri, la speranza in un altro mondo.
Il papa beatifica e quindi presuppone dei miracoli verificabili.
Wojtyla ha beatificato tutto il beatificabile, ha santificato tutto il
santificabile.
Pure lui stesso ha fatto miracoli: li ha fatti in Polonia, li ha fatti
nell'Unione sovietica, ha restituito Dio ai russi e ai bulgari, Dio è
tornato alla luce lì, visibile, tangibile.
Pure lui stesso ha vissuto un miracolo: la pallottola che doveva
ucciderlo è stata deviata dalla mano di Maria, come si può spiegare
altrimenti?
Wojtyla ha cercato e mostrato Dio in tutto il mondo, dove si sa che c'è
e dove a nessuno verrebbe in mente ci sia, a Gerusalemme e in Africa, a
Loreto e nelle Filippine.
Ha pregato con gli ortodossi, con gli anglicani, con gli ebrei, coi
musulmani e col Dalai Lama.
Ha chiesto perdono per Galilei e per gli indios.
Ma non è riuscito a portare Dio in America.
Dio non fa miracoli in America.
L'America è opaca al Dio di Wojtyla. Non ci sono beati da beatificare,
santi da santificare. Non uno che sia uno.
Credo che sia anche il suo grande cruccio, forse non il più piccolo dei
suoi crucci. In questo suo declino, in questa sua "passione", in questa
sua umanissima resistenza alla fine, quasi un peccato d'orgoglio. Ma,
forse, "sente" di non avere fatto tutto, di non avere detto tutto. Di
avere adesso qualcosa di ultimativo da dire. Di indicibile. Il Padre non
lo ha abbandonato, anzi, e il Figlio gli è vicino più che mai. Che
importa non possa parlare, sia senza fiato, afono. Un papa prega. Un
papa chiede perdono.
Credo  che in questi ultimissimi anni Wojtyla si sia molto preoccupato,
come se qualcosa non torni alla fine di tutto, va bene l'ecumenismo, va
bene il culto mariano, va bene il terzo mistero di Fatima, ma l'America
rimane lì.
Il suo 'accanimento' contro la chiesa degli Stati uniti non è
indifferente a questo bilancio - è stato severo come quasi mai.
Qualcosa non torna alla fine di tutto.
Forse il Diavolo non era la bandiera rossa.
L'America rimane lì, opaca a Dio.
Il Dio americano è terribile e devastatore, venticativo, lontano, voce
tonante. Sembra non essersi mai incarnato in Cristo. Dio inflessibile,
Dio degli eserciti. Dio delle conquiste, Dio delle vittorie.
Il generale Boykin - incaricato dal Pentagono di una speciale unità che
dà la caccia ai grandi terroristi - è un fervente credente e un militare
pluridecorato. Parlando della madre e della propria educazione, dice:
".. lei è una guerriera della preghiera..". "She is a true prayer
warrior". La madre. Maria. Guerriera della preghiera: un ossimoro così
stridente e insopportabile per le nostre parole da lasciare senza fiato.
Afoni. Vien voglia di mettersi in ginocchio, pregare e chiedere perdono.
Adesso, non fra cinquecento anni.
Il presidente Bush prega tutte le mattine nella stanza ovale, il centro
del potere del mondo. Se ci si pensa, non è una cosa da poco conto:
avevamo l'immagine di Kennedy che redigeva rapporti mentre il suo figlio
piccolo si nascondeva a giocare sotto la scrivania; poi Clinton ne fece
una stanza dalle luci rosse, letteralmente sputtanandola. Bush deve aver
sentito la "profanazione" di quel luogo, l'avrà fatta benedire e
esorcizzare. Per maggior sicurezza, vi prega tutte le mattine, ripetendo
il rito purificatore. Il centro del potere del mondo non può essere
immondo.
Nella nazione dove il nome di Dio viene più spesso detto e declinato,
evocato e cantato, sbandierato e sovrimpresso, Dio non appare.
Don DeLillo, in 'Underworld', inventa la storia straziante di una
bambina, reietta tra i reietti, in un quartiere americano dove ormai la
vita è oltre ogni immaginazione del degrado, e che pure nella sua
miserabilità avverte quella presenza come un dono. Un angelo tra i
reietti. Qualcuno la uccide, per compulsione all'uccidere, per fastidio,
per indifferenza, per sfregio irrisorio, chissà. E ecco, d'improvviso,
una sera, i fasci di luce delle automobili che corrono veloci su una
highway che passa lì vicino illuminano un enorme cartellone
pubblicitario. E lì, al posto di un viso qualunque che sorride per
reclamizzare un qualche prodotto, appare il volto della bambina
scomparsa e uccisa. E' un miracolo, forse solo il gioco dei fari delle
automobili e della loro particolare inclinazione. La gente si raccoglie
piena di stupore, stupefatta del proprio stupore. Ma è un miracolo. Vede
finalmente quello che vuole vedere. L'unica "apparizione" che possa lì
concepirsi, che possa lì scaturire. Che possa "da lì" scaturire.
Dall'apparenza delle cose.
Forse Wojtyla aspetta, come noi, che un miracolo accada a New York.
Davvero, non nella letteratura. Poi, potrà morire.

Roma, 18 ottobre 2003

-- 
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