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La società argentina in movimento. Intervista a Raul Zibechi



LA SOCIETÀ ARGENTINA IN MOVIMENTO. INTERVISTA A RAUL ZIBECHI

di Nicolas Martino per Nuovi Mondi Media

http://www.nuovimondimedia.it

Intervista all'autore di “Genealogia della rivolta” (Luca Sossella editore,
pagg. 240, 14 euro), un libro importante che ripercorrere il variegato
arcobaleno della società argentina in movimento: madri e figli dei
desaparecidos, giovani e piqueteros, sono i nuovi protagonisti della scena
politica che il 19 e 20 dicembre del 2001 diedero vita all’Argentinazo,
rivolta che costrinse alle dimissioni il presidente De La Rúa e mise
radicalmente in crisi, rifiutandolo, il concetto di rappresentanza.

I movimenti sociali di tutto il mondo stanno cercando di elaborare una nuova
grammatica della politica a partire dai desideri, dalle passioni e dalla
prassi quotidiana, per poi scrivere insieme un dizionario politico
post-leviatanico che sostituisca quello moderno, pieno di lemmi ormai privi
di significato. In questo compito sono impegnati anche i movimenti argentini
che il 19 e 20 dicembre del 2001 diedero vita all’Argentinazo, rivolta che
costrinse alle dimissioni il presidente De La Rúa e mise radicalmente in
crisi, rifiutandolo, il concetto di rappresentanza. A ripercorrere il
variegato arcobaleno della società argentina in movimento è ora Raúl
Zibechi*, giornalista e docente nella Multiversidad Franciscana de America
Latina, in un libro intitolato “Genealogia della rivolta” (Luca Sossella
editore, pagg. 240, 14 euro). Madri e figli dei desaparecidos, giovani e
piqueteros, sono i nuovi protagonisti della scena politica dalla quale sta
emergendo un nuovo tipo di militante (parola quanto mai inadeguata nella sua
radice!) che non impara più l’arte della guerra, com’è sempre stato nella
tradizione socialdemocratica e comunista, e coltiva invece un’attitudine più
leggera, simile a quella di un giardiniere che non pretende di cambiare la
natura violentandola, ma si limita ad “accompagnare” la crescita dei nuovi
germogli sociali, a “innaffiare” e a “eliminare le erbacce”. A Zibechi
infatti non interessa il “Che fare?” convinto, da buon aristotelico di
sinistra, che, come ogni materia, anche il magma caotico delle moltitudini
scaturirà da sé la propria forma. Gli ho rivolto alcune domande.

1) Nel libro insisti molto sul ruolo decisivo che hanno avuto le Madres de
Plaza de Mayo per la formazione dei nuovi movimenti sociali. Si potrebbe
parlare di un “divenire donna” della politica?

Per come la vedo io il ruolo di Madres (www.madres.org) ha un senso più
complesso. A appena un anno di distanza dal colpo di Stato e proprio mentre
si stava perpetrando il genocidio, quel gruppo di donne è stato capace di
scontrarsi apertamente con la dittatura e di aprire uno spazio di resistenza
fisica e sociale. Lo hanno fatto con un’attitudine “infrapolitica”, per
utilizzare un’espressione di J. Scott, facendo leva sulla propria condizione
di madri, utilizzando simboli come il pannolino (si tratta di un fazzoletto
che le donne portano in testa e che rappresenta simbolicamente il pannolino
dei loro figli desaparecidos. N.d.R.) apparentemente molto semplici e
finanche naïf. Hanno utilizzato simboli “deboli” per un’azione molto forte.
Per prime hanno rotto l’assedio militare e per prime si sono poste fuori dal
gioco politico tradizionale lanciando una sfida etica molto importante che
le allontanava decisamente dalla logica strumentale della politica
istituzionale. Esiste anche un altro aspetto: sono loro il filo rosso che
permette di congiungere passato e presente, perché sono state loro, durante
il menemismo, a insistere molto su una lettura del genocidio come strumento
scelto dalle élites per imporre la politica neoliberista e a partire dal
1996 questa idea si è radicata irrevocabilmente in fasce molto ampie della
società argentina. E infine sono state loro, con l’esempio, a educare un’
intera generazione di militanti, com’era successo negli anni ’60 e ’70 con
il Che. Hanno trasmesso un’idea fondamentale: se noi che siamo donne,
vecchie e ignoranti – hanno detto – possiamo sfidare i potenti, allora tutti
possono farlo. Il loro esempio è stato determinante per le centinaia di
migliaia di persone che hanno dato vita alle giornate del 19 e 20 dicembre.

2) La logica moderna del potere è fondata sull’autodisciplinamento delle
passioni e sull’interiorizzazione della violenza. Che ruolo hanno dimensione
passionale e violenza nei movimenti argentini e in particolare fra i giovani
e i piqueteros?

La passione è una dimensione fondamentale per comprendere la politica
argentina. Nei movimenti giovanili è il cuore stesso dell’attività politica,
e questo vale anche per i piqueteros (www.piquetesocialista.org). Non
dimentichiamoci che il movimento piquetero è costituito per
un ottanta per cento da donne e giovani e la loro la presenza, tanto nei
picchetti come nelle assemblee, ha femminilizzato e ringiovanito i
movimenti, conferendogli quello stile così particolare che hanno oggi buona
parte delle lotte sociali del continente. La politica istituzionale è sempre
stata una macchina di disciplinamento delle passioni e in questo senso il
ciclo di proteste argentine può essere letto come uno scatenamento
“passionale” che ha spazzato via tutte le istanze disciplinari già messe in
crisi da alcune rotture decisive: la dissoluzione della famiglia patriarcale
nei quartieri più poveri, l’incapacità delle istituzioni tradizionali di
integrare una generazione di giovani scolarizzati che hanno ormai un peso
sociale e culturale determinante. Ma per poter mettere a fuoco tutto questo
è necessario distogliere lo sguardo dallo scenario istituzionale e
concentrarsi sull’osservazione della vita quotidiana.

3) Ciò che stanno costruendo le reti comunitarie in Argentina è un
repubblicanesimo delle moltitudini centrato sull’autonomia. Qual’ è in
questa prospettiva il ruolo dell’autoproduzione?

Inizialmente l’autoproduzione è un modo di rispondere ai problemi della
sopravvivenza quotidiana, ma col tempo inizia ad essere la costruzione di un
mondo nuovo. Le panetterie comunitarie dei piqueteros iniziano a coordinarsi
con la produzione delle fabbriche recuperate (fabbriche chiuse dai padroni e
rimesse in produzione dall’autogestione operaia. N.d.R), con le assemblee
che si offrono di distribuire i prodotti e con le reti del baratto. In mezzo
all’estrema povertà va prendendo forma un tessuto sociale fondato sulla
solidarietà e l’aiuto reciproco piuttosto che sul profitto. Non voglio certo
sostenere che l’autonomia sorga spontaneamente da queste iniziative, è
appena una possibilità che si sta costruendo in maniera diretta a partire
dalla base. Le recenti iniziative degli zapatisti coi loro municipi autonomi
e le loro Giunte del Buon Governo, saranno un riferimento obbligato
(www.carta.org/campagne/diritti/chiapas/030628tredici_sei.htm).

4) Mi sembra che i nuovi movimenti dei quali ti occupi operino in una
dimensione “spaziale” più che “temporale”. Sei d’accordo?

Totalmente. Una delle caratteristiche principali dei nuovi movimenti
latinoamericani è la territorializzazione. In qualche modo si tratta di una
risposta alla fuga del capitale che chiude le fabbriche e le trasferisce in
regioni che non hanno tradizione né memoria della conflittualità operaia. In
questo processo i primi ad indicare la via sono stati i movimenti indigeni e
i sem terra del Brasile, ma ora sono determinanti anche i piqueteros e le
assemblee. D’altra parte il territorio, la dimensione spaziale a cui fai
riferimento, permette alle persone che partecipano ai movimenti di stabilire
relazioni di tipo integrale. Non solo più relazioni corporative come nei
sindacati, o di carattere economico, ma relazioni che abbracciano tutti gli
aspetti della vita: la produzione, la distribuzione ecc… E possono farlo
proprio nello stesso modo in cui lo fanno i giovani all’interno del loro
gruppo di amici e le donne lì dove non vi siano più famiglie nucleari e
patriarcali, ossia in maniera orizzontale. L’orizzontalità che riscontriamo
in alcuni movimenti non è il risultato di un’opzione ideologica, ma
piuttosto una forma legata alle esperienze individuali e collettive che
quelle persone maturano nella loro vita quotidiana.

5) Rifiuti decisamente una lettura spontaneista dell’ Argentinazo. Perché?

Il termine spontaneismo è compromesso perché si utilizza come aggettivo per
sminuire tutto ciò che non è organizzato, ovvero controllato e disciplinato
dallo Stato. Preferisco usare altri termini come informale, sotterraneo e
anche quello di “infrapolitica”. Al di là dell’azione sindacale
istituzionale, la storia del movimento operaio è costellata da una
molteplicità di ribellioni nelle fabbriche contro l’ordine e la disciplina.
Questa “guerriglia”, come dice A. Gorz, è stata quella che a mio avviso ha
fatto entrare in crisi il modello fordista, molto più dell’azione sindacale.
D’altra parte dobbiamo riconoscere che ogni essere umano è inserito in un
qualche tipo di organizzazione e l’insurrezione del 19 e 20 dicembre si può
comprendere solo, come buona parte delle lotte sociali, tenendo presenti
quelle reti, e qui seguo nuovamente Scott, nelle quali le persone, al riparo
dallo sguardo del potere, poterono sperimentare a lungo comportamenti
alternativi che poi amplificarono sulla scena pubblica. Quando i giovani si
scontrarono con la polizia nei dintorni di Plaza de Mayo seppero come
affrontare la situazione, perché lo avevano già fatto migliaia di volte
negli stadi e nei concerti rock.

6) Sono passati due anni dall’ Argentinazo. Quale è la situazione dei
movimenti e quanta forza continua ad avere la parola d’ordine Que se vayan
todos?

Il valore del Que se vayan todos consiste nell’essere stato pronunciato,
come accadde per il motto trinitario Libertà, Uguaglianza, Fraternità. Credo
che sia servito come detonatore della creatività della gente. Attualmente i
movimenti sono forse meno visibili perché attraversano una fase nuova, molto
importante, di consolidamento interno. Questo processo non darà luogo, a
breve scadenza, a manifestazioni importanti, ma sarà fondamentale per i
prossimi anni. Il mio sguardo è stato “educato” dai movimenti indigenisti e
da quelli delle donne che fanno dei tempi della crescita interiore la chiave
di volta per continuare a esistere e per tornare a occupare la scena
pubblica. E soprattutto è proprio in quella interiorità, nascosta all’occhio
del potere, che si forgiano i cambiamenti sociali più duraturi.

Nicolas Martino per Nuovi Mondi Media
http://www.nuovimondimedia.it

*Raúl Zibechi è nato nel 1952 a Montevideo. Ha iniziato la carriera
giornalistica nel 1985 in Spagna. Tra il 1987 e il 1991 ha percorso il Perù,
l'Ecuador e la Colombia, dove ha intrattenuto rapporti con le comunità
indigene locali.
Dal 1992 vive a Montevideo dove è capo redattore Esteri del settimanale
Brecha (www.brecha.com.uy) e docente della Multiversidad franciscana de
America Latina in Uruguay. Collaboratore del settimanale italiano Carta
(www.carta.org), recentemente ha vinto il prestigioso premio José Martí per
il giornalismo.
Ha pubblicato, in italiano, Il paradosso zapatista. La guerriglia
antimilitarista in Chiapas (Eleuthera, Milano 1998) e Zapatisti e sem terra.
Movimenti sociali ed insorgenza indigena (Zero in condotta, Milano 2001).
Questo suo ultimo libro pubblicato da Luca Sossella
(www.lucasossellaeditore.it) indaga, da un punto di vista interno ai
movimenti, le cause e le dinamiche sociali che sono sfociate in uno degli
accadimenti politico-sociali più originali della storia dell'America Latina,
che ha provocato non solo la caduta di due presidenti, ma anche l'inizio
della fine del modello neoliberista.