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(Fwd) [noomc-it] IL FONDAMENTALISMO ISLAMICO FU CREATO DA WASHINGTON
- Subject: (Fwd) [noomc-it] IL FONDAMENTALISMO ISLAMICO FU CREATO DA WASHINGTON
- From: "Davide Bertok" <davide@bertok.it>
- Date: Thu, 01 May 2003 02:09:59 +0200
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Date sent: Wed, 30 Apr 2003 08:04:17 -0000
Subject: [noomc-it] IL FONDAMENTALISMO ISLAMICO FU CREATO DA WASHINGTON
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IL FONDAMENTALISMO ISLAMICO FU CREATO DA WASHINGTON
Intervista a Samir Amin di Anne Marie Mergier
Il terrorismo, il grande alibi
D. All'appello di Washington affinché il mondo firmi un fronte comune
contro il terrorismo si contrappone un'altra opzione: un movimento
mondiale di opposizione alla globalizzazione. Lei critica i leader
occidentali, creatori, a causa della loro non comprensione,
dell'islamismo politico che, adesso, fa loro paura
Non è un fronte unito contro il terrorismo, ciò di cui il mondo ha
bisogno; questo fronte non farà che generare più e più terrorismo.
L'unica maniera per impedire atti violenti, ciechi e disperati è
costruire un fronte unito contro l'ingiustizia sociale internazionale
e contro la guerra. Questa è la meta del movimento mondiale di
opposizione alla globalizzazione neoliberista; la sua mobilitazione è
un ostacolo per i piani di egemonia degli Stati Uniti e lo trasforma
nel bersaglio principale di questa cosiddetta coalizione
internazionale contro il "terrorismo". Bisogna essere lucidi: questa
crociata contro il terrorismo guidata da George W Bush è un alibi per
farla finita con questo movimento.
D. Mi sorprende: lei pare giustificare la violenza dei
fondamentalisti o degli integralisti islamici...
Non giustifico nulla. Lei sa molto bene che ho passato la mia vita
opponendomi ad essi. Contestualizzo il problema. È diverso. Ora,
prima
di proseguire, c'è un punto che mi urge chiarire: i termini
integralista e fondamentalista sono termini assolutamente erronei,
utilizzati esclusivamente dall'Occidente. Nei Paesi arabi, nessuno li
usa, perché il discorso islamico che cerca di fornire un'alternativa
alla modernità capitalistica non ha alcun fondamento teologico. È
meramente politico. È una manifestazione politica del sentimento
religioso dei popoli musulmani. Per questo parliamo di islamismo
politico e non di fondamentalismo o integralismo. Più grave ancora:
gli occidentali, ed in primo luogo gli Stati Uniti, hanno partecipato
attivamente alla strumentalizzazione di questo islamismo.
D. Quali erano i rapporti di queste correnti con l'Islam?
Negli Stati diretti dalla borghesia liberale o dal nazionalismo
populista, i governi diffidavano dell'Islam. Non si trattava di Stati
laici, l'Islam figurava nella Costituzione come religione di Stato,
ma
i governanti lo separavano dalla politica. Quando i loro rispettivi
progetti sono collassati, l'islamismo si è preso la rivincita. Ha
manipolato in modo abbastanza grossolano il sentimento religioso di
ampi strati della popolazione e ha iniziato ad acquisire un sempre
maggiore ascolto. Questo fenomeno si è acutizzato negli ultimi venti
anni, con l'irruzione brutale del neoliberismo, che ha messo fine a
tutti i benefici che gli strati inferiori della media borghesia
avevano potuto trarre dal nazional populismo. Queste sono le ragioni
"interne" della nascita dell'islamismo politico nei Paesi arabi e
musulmani. Ma non bisogna sottovalutare il ruolo che ha giocato
l'intervento esterno.
D. Potrebbe essere un poco più esplicito?
L'Islam politico è prodotto del fallimento di due grandi correnti che
furono molto attive nel Terzo Mondo, in particolare in Asia e Africa,
per buona parte del XX° Secolo... non mi piace il termine fallimento.
Sarebbe più esatto parlare di impossibilità di superare determinati
limiti.
D. Quali erano queste correnti?
Da una parte, quella della borghesia liberale. Si trattava di una
borghesia modernista, non molto democratica, convinta che avrebbe
potuto integrarsi nella globalizzazione capitalista, che non è nata
ieri, e che pensava di poterlo fare negoziando i termini di questa
integrazione nell'ambito di una certa interdipendenza. Accarezzava
l'illusione di non dover obbedire come semplice agente della
colonizzazione. Non vi è riuscita. E ha dovuto sottomettersi alla
volontà imperialista. La seconda corrente è ciò che chiamo il
"nazionalismo populista", la cui prima manifestazione fu, a mio
giudizio, la Rivoluzione Messicana. Questa corrente si opponeva
all'imperialismo ed alla borghesia locale. Non era per forza
socialista nel senso sovietico della parola, ma la sua ideologia
aveva
un forte contenuto sociale. Nei Paesi arabi, questa corrente, si è
manifestata attraverso il nasserismo in Egitto, il baasismo in Iraq e
Siria, il regime di Boumediene in Algeria, eccetera... Neppure questa
corrente si è imposta. Non è fallita del tutto perché ha generato
grandi trasformazioni nelle società, ma non ha completato la sua
missione. Il fatto che si siano esaurite queste due correnti
concomitanti e successive, a volte antagoniste, ha creato un grande
vuoto che l'islamismo non ha tardato a riempire.
L'influenza statunitense
D. Vale a dire?
Fin dalla sua nascita, l'islamismo politico si è inquadrato
perfettamente nel piano di egemonia statunitense. Non metteva in
questione il capitalismo, oggi non mette in questione il
neoliberismo.
Nel suo discorso non critica la globalizzazione economica, attacca
solo quella culturale. Non analizza le contraddizioni sociali né
cerca
di lottare contro di esse. Rinchiude la gente nel comunitarismo,
nella
sottomissione e nella passività.
D. Lei vuoi dire che gli Stati Uniti hanno assistito compiaciuti alla
nascita dell'islamismo politico.
Non si sono limitati a questo. Appena percepiti i primi frutti
dell'islamismo, gli Stati Uniti sono entrati nel gioco e hanno
iniziato a trarre vantaggi dal problema. Ancora una volta bisogna
tornare alla storia. Nel 1955 si è celebrata la Conferenza di
Bandung,
un avvenimento importantissimo, che affermava la solidarietà
antimperialista dei popoli di Asia ed Africa. Questo ha provocato il
panico a Washington. Tre anni dopo fu creato il Congresso Islamico
Mondiale.
D. Chi lo ha creato?
Arabia Saudita e Pakistan hanno finanziato tutto. Ma dietro ad essi
vi
erano gli Stati Uniti. Quando se ne accorse, Nasser si infuriò. Me lo
ricordo ancora che gridava: cos'è questo Congresso Islamico Mondiale?
Chi ne ha bisogno, se già abbiamo la Conferenza di Bandung? È un
colpo
dei Nordamericani! Nasser non ha detto è un colpo dei Pakistani o dei
Sauditi. Ha detto dei Nordamericani. Ha capito subito che Washington
cercava di rompere l'unità e la solidarietà asiatico - africana...
D. Per questo, all'inizio, lei parlava della strumentalizzazione
dell'islamismo da parte degli Stati Uniti.
Ovviamente. Lo fanno da quarant'anni. Lo so anche troppo bene. L'ho
vissuto. Ogni volta che noi, gli avversari dell'islamismo politico,
ci
siamo battuti contro di esso, abbiamo cozzato contro gli Occidentali,
soprattutto contro gli Statunitensi. Negli ultimi decenni,
l'Occidente
in generale ed essenzialmente gli Stati Uniti, hanno appoggiato
questo
islamismo. Hanno mosso milioni di dollari per farlo. Grazie all'aiuto
degli Stati Uniti, di loro alleati in Arabia Saudita e negli Emirati
Arabi Uniti, l'islamismo politico ha potuto dotarsi di scuole e di
centri medici e di assistenza ai più sfavoriti, il che permette loro
di disporre, ora, di una vasta base sociale. Vuole un esempio fra i
mille possibili? Secondo lei, chi riceve il 90% degli aiuti che
Washington fornisce all'Egitto? Ebbene, le organizzazioni islamiste
di
questo Paese...
D. Ancora oggi?
Ancora oggi.
D. Ma non passa giorno senza che le autorità nord americane denuncino
queste organizzazioni di beneficenza islamiche come pericolosi brodi
di cultura del terrorismo...
È tutta una menzogna, ipocrisia pura. Negli ultimi decenni gli Stati
Uniti hanno appoggiato finanziariamente, anche se attraverso Arabia
Saudita ed Emirati, migliaia di islamisti. Li ha protetti sotto
l'aspetto diplomatico e politico. Li ha addestrati. Li ha
organizzati.
Li ha formati per essere terroristi. Ovviamente, non per essere
terroristi contro gli Stati Uniti, ma contro la Sinistra dei paesi
arabi e contro i regimi moderati di questi Paesi.
Qual è l'obiettivo del terrorismo, in Egitto? Indebolire il governo
di
Mubarak, del quale io sono tutt'altro che un sostenitore, ed
obbligarlo ad inginocchiarsi di più di fronte agli Stati Uniti e ad
Israele. Qual è l'obiettivo del terrorismo in Algeria? Impedire la
cristallizzazione di una forza democratica che potrebbe essere
un'autentica alternativa alla dittatura corrotta dei generali dell'ex
FLN (Fronte di Liberazione Nazionale). Il principale appoggio che
ricevono i gruppi islamismi armati algerini viene dagli Stati Uniti.
Lei ricorda il primo attentato contro il World Trade Center, nel
1993?
Fra gli accusati c'erano Egiziani che erano riusciti ad ottenere il
permesso di residenza in quarantotto ore. Un record! Riuscirono a
sfuggire ai servizi di intelligence statunitensi e tornarono in
Egitto. La polizia li arrestò all'aeroporto e li restituì agli Stati
Uniti. Poco tempo dopo, la stampa egiziana pubblicò la lettera che il
capo della polizia aveva inviato alle autorità statunitensi. In
sostanza la lettera diceva: "Vi restituiamo i vostri agenti, che da
tempo abbiamo identificato come terroristi. Vi appartengono. Tocca a
voi giudicarli.". Più chiaro di così...
Ripeto: dalla creazione del Congresso Islamico Mondiale, gli Stati
Uniti non hanno cessato di appoggiare l'islamismo politico, sia
apertamente sia attraverso la CIA. È un fatto provato. Si veda la
storia di Osama Bin Laden. È emblematica. Washington non ha agito
così
solo nell'ambito della Guerra Fredda, come affermano coloro che
cercano di minimizzare la responsabilità nordamericana rispetto a
questo problema.
D. Non si può negare che, fino al crollo dell'Unione Sovietica,
questa dimensione della Guerra Fredda ebbe la sua importanza nella
strategia statunitense.
Non lo nego, ma fu solo una dimensione del problema.
Strumentalizzando l'islamismo, gli Stati Uniti hanno cercato di
contrastare qualsiasi movimento di liberazione nazionale, ma anche
qualsiasi governo borghese liberale e, ovviamente, nazional
populista.
Bisogna sottolineare questa complicità che esiste da decenni fra
l'imperialismo statunitense e l'islamismo politico ultrareazionano.
Fini occulti
D. Come spiega, dunque, gli attentati dell'11 settembre?
Finché non disporremo dei documenti classificati della CIA li avremo
mai? - è impossibile spiegarli. Potremo solo fare ipotesi. Pensi, in
numerosi Paesi arabi e dell' Africa circola, sia nella classe
politica
ed intellettuale che nella stampa seria, non in quella prona al
potere, una tesi che, in Occidente, è assolutamente tabù: quella di
un
possibile ruolo della CIA e del Mossad (servizi segreti israeliani)
in
questa vicenda. Attenzione! Non si suggerisce che uno di questi
servizi segreti abbia organizzato gli attentati, ma che, forse, in un
modo o nell'altro fosse al corrente del fatto che si stesse
preparando
qualcosa, senza avere la misura della natura, delle dimensioni e
delle
terribili conseguenze di questo qualcosa e che avesse deciso di non
intervenire... vi è un'altra tesi, anche questa tabù in Occidente,
che
allude ad una possibile complicità statunitense, nei servizi di
intelligence o nell'apparato militare degli Stati Uniti...
D. Se cita queste tesi vuoi dire che non le scarta del tutto, che non
le sembrano tanto assurde...
Mi fanno pensare. Gli Stati Uniti hanno una strategia egemonica
sistematica. Prima definiscono obiettivi geostrategici e poi si danno
da fare per trovare una situazione che consenta loro di far
progredire
il loro progetto. Ricordi quel che è successo proprio prima della
Guerra del Golfo. Saddam Hussein parlò con l'ambasciatrice degli
Stati
Uniti e le disse che non ne poteva più del Kuwait, che gli rubava il
petrolio. Le annunciò che si apprestava ad invadere militarmente quel
Paese. L'ambasciatrice gli chiese quarantotto ore. Due giorni dopo
tornarono a parlarsi. L'ambasciatrice spiegò a Hussein che nessun
trattato di mutua assistenza legava gli Stati Uniti ed il Kuwait.
Hussein suppose che l'ambasciatrice si fosse consultata con
Washington
ed invase il Kuwait. Cadde nella trappola.
D. Dunque lei non scarta alcuna macchinazione...
Infine, che importanza ha che io scarti o no questa o quella ipotesi?
Chi sa cosa sta dietro gli attentati dell'11 settembre? Il fatto è
che
gli Stati Uniti hanno colto immediatamente questa possibilità per
lanciarsi nella guerra in Asia Centrale.
D. Vuoi dire in Afghanistan?
No. Non mi sono sbagliato. Dico intenzionalmente guerra in Asia
Centrale. Negli ultimi dieci anni, celebri esperti statunitensi hanno
pubblicato un'infinità di libri e relazioni per spiegare che gli
Stati
Uniti devono assumere il controllo dell'Asia Centrale ex sovietica e
del Caucaso. Secondo alcuni, è indispensabile farlo per impadronirsi
del petrolio e del gas del Mar Caspio. Per altri, fra i quali molti
militari, stabilirsi in modo duraturo nel cuore dell'Eurasia è la
chiave che permetterà agli Stati Uniti di stringere in una morsa tre
Paesi importanti: Russia, Cina ed India. Gli ultimi due e, forse,
domani, la Russia, se riesce ad uscire dal caos nel quale si trova,
hanno la capacità di resistere alla globalizzazione transnazionale
che
Washington vuole imporre sul Pianeta. Ciò ostacola i piani
statunitensi.
Controllare il petrolio ed il gas dell'Asia Centrale non è solo
redditizio economicamente, ma può risultare un'arma di pressione
poderosa. Cina ed India hanno bisogno di queste risorse energetiche.
Ne dipendono sempre più. Se si mostrano troppo recalcitranti O
indipendenti, Washington chiuderà i rubinetti del gas e del
petrolio...
Consolidando il loro insediamento nella regione, Gli Stati uniti
potranno, inoltre, seminare zizzania fra Cina e Russia o fra India e
Cina, per evitare un eventuale avvicinamento strategico fra quei
Paesi.
D. Questa presenza statunitense in Eurasia pare inquietare molto
l'Iran...
L'Iran ha anche troppe ragioni per preoccuparsi, perché si sente
accerchiato. Una volta insediati in Asia Centrale, gli Stati Uniti
potranno mettere l'Iraq ancora più alle strette e fare più pressioni
su Siria ed Egitto. Questa prospettiva riempie di soddisfazione
Israele.
L'imperialismo collettivo
D. Nel suo libro "L'egemonismo degli Stati Uniti e la scomparsa del
progetto europeo", pubblicato due anni fa in Francia e l'anno scorso
in Spagna, lei spiega che, con la Guerra del Golfo, gli Stati Uniti
hanno inaugurato una terza fase di conquista imperialista del
Pianeta...
La prima si è avuta nei secoli XVII° e XVIII°, con la conquista
dell'America e la tratta dei neri. La seconda si è sviluppata nel
XIX°
Secolo, con la conquista di Africa ed Asia. Poi si è avuta una
controffensiva dei popoli: indipendenza americana, rivoluzione degli
schiavi haitiani, grandi movimenti di liberazione nazionale in Asia
ed
Africa... Ora stiamo entrando nella terza fase, che definisco
"imperialismo collettivo della triade".
D. Stati Uniti, Europa e Giappone?
Esattamente. Oggi, ad imporre la sua legge, è il capitale
transnazionale e multinazionale statunitense, europeo e giapponese,
che a volte può avere le sue divergenze mercantili ma che ha
interessi
comuni rispetto al Sud. Questo imperialismo della triade ha bisogno
di
una punta di lancia, per continuare ad imporsi: è il ruolo che assume
l'egemonismo statunitense. Senza la forza militare degli Stati Uniti,
l'imperialismo della triade non può avanzare. Ho trattato brevemente
la questione nel libro che lei cita ed è il tema centrale di quello
che ho appena terminato.
D. Potrebbe sintetizzare le sue tesi?
Il periodo seguito alla Seconda Guerra Mondiale (1945 1980), si è
caratterizzato per l'egemonia della Sinistra. Ciò si è dovuto alla
doppia sconfitta del fascismo e del vecchio colonialismo come alla
vittoria dell'Unione Sovietica. Si crearono sistemi di regolazione
sociale: il welfare state nel mondo occidentale, il sistema sovietico
e le diverse varianti nazional populiste nel Sud. Questo capitolo
della storia è terminato. Le forze che hanno animato questa fase si
sono erose. Il loro declino ha creato le condizioni per un'offensiva
della Destra. Il momento storico che viviamo oggi è quello
dell'egemonia della Destra, una Destra brutale che mobilita tutti i
mezzi politici e militari a sua disposizione per imporre un nuovo
ordine economico e sociale.
(Samir Amin riflette qualche secondo)
Certo, non è nulla di nuovo. Cose simili sono già accadute nella
storia. Gli ultimi a cercare di imporre con la forza i loro progetti
di "ordine nuovo" furono la Germania di Hitler ed il Giappone
imperiale. Cozzarono contro la resistenza dei popoli e contro altri
imperialismi che aspiravano all'egemonia.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, l'esistenza stessa dell'URSS obbligò
gli Stati Uniti a limitare le loro ambizioni. Ciò che risulta nuovo e
sommamente pericoloso, oggi, è che gli Stati Uniti, che dominano la
triade, pensano di non dover rendere conto a nessuno.
(Da una pila di libri estrae "Lo scontro fra le civiltà" di Samuel
Huntington. È un libro molto significativo, dice guardandolo). La
tesi
di quest'uomo, che non è un cattedratico indipendente, ma un
funzionario al servizio dell'establishment statunitense, mi ricorda
il
"Mein Kampf", di Hitler...
D. Ho sentito bene?
Sì. Mi ha sentito bene. Ricorrere al razzismo è il mezzo che il
blocco della triade imperialista ha ora deciso di usare per
consolidarsi: i civilizzati sono minacciati dai barbari (tutti i
popoli di Asia ed Africa e, forse potenzialmente, i Russi). In questo
senso, la tematica de "Lo scontro fra le civiltà" mi fa pensare al
"Mein Kamp". In entrambi i casi si giunge alla stessa logica banale:
i
popoli superiori (ieri i nazisti, oggi gli Statunitensi e gli
Europei)
hanno il diritto di sottomettere i popoli selvaggi alla loro
dittatura. I popoli superiori possono continuare a godere del loro
modo di vita solo privando gli altri di qualsiasi speranza di
condividere i loro vantaggi. È la logica semplice di un razzismo
fondamentale, che si esprime con tutta la volgarità della quale sono
capaci Bush o Silvio Berlusconi. Anche "Mein Kamp" è stato un libro
banale e volgare. Da ciò ha tratto gran parte della sua forza.
D. È un paragone violento.
Non è il mio paragone ad essere violento, ma sono il contenuto di
questo libro e l'ideologia repubblicana statunitense, condivisa o
tollerata dagli Europei, ad essere violenti. Per eseguire il loro
compito, i dirigenti del blocco occidentale pensano che non basti
questo richiamo sfacciato al razzismo. Ritengono, inoltre, che sia
urgente imbavagliare i movimenti sociali e politici di resistenza che
si stanno consolidando nel seno dello stesso Occidente civilizzato.
La
lotta contro il terrorismo ha dato loro un pretesto d'oro per farlo.
Si assiste già alla rinascita del maccartismo, negli Stati Uniti. E
in
Europa, i provvedimenti molto antidemocratici adottati contro il
terrorismo, presto si rivolgeranno contro l'opposizione al modello
neoliberista. Si inizia a demonizzare la corrente
antiglobalizzazione.
Si fanno mescolanze perverse fra la violenza degli scontri fra
manifestanti antiglobalizzazione e polizia e le operazioni
terroriste... Berlusconi è un esperto in questo campo. Ma non è
l'unico.
D. Immagino che il tema sarà ampiamente dibattuto nel Secondo Forum
Sociale Mondiale, che inizierà a fine gennaio, a Porto Alegre.
Ovviamente. La strategia di costruzione di un fronte internazionale
dei popoli contro il progetto della triade e l'egemonia nordamericana
richiede che la battaglia sia sistematica, contemporaneamente contro
il liberismo economico e contro la guerra. Per noi risulta evidente
che la globalizzazione neoliberista e la militarizzazione di questa
forma di globalizzazione sono divenute inseparabili. Non si può
lottare solamente contro una o l'altra dimensione del liberismo
economico nei centri del sistema (Stati Uniti o Europa) e tralasciare
gli interventi armati nelle periferie. Questi interventi non
rispondono ad una logica indipendente; al contrario, sono parte
integrante del dispiegamento dell'economia liberista.
25 gennaio 2002
Tratto dal libro "Guerra Globale" Edizioni Punto Rosso
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