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PACEM IN TERRIS: UN IMPEGNO PERMANENTE



In un momento di grande incertezze sia a livello locale che
internazionale, fare gli auguri sembra un fatto formale ed ordinario
legato alla scadenza
temporale, ma mai inquesto momento con una minaccia di guerra alle porte
ed una situazione locale ed internazionale che non induce all'ottimismo,

mi pare opportuno ritornare a ricordarci  del perseguimento continuo
nella nostra vita dei valori della  pace:
- " la pace che deve passare attraverso la difesa e la promozione dei
diritti umani fondamentali, al diritto al cibo, all'acqua potabile, alla
casa, all' auto-determinazione e all'indipendenza"
- " la pace che deve essere il viatico per la creazione un nuovo tipo di
ordine, nel disordine attuale, per dare agli esseri umani la possibilità
di vivere in libertà, giustizia e sicurezza"
- "la consapevolezza che la questione della pace non può essere separata
da quella della dignità e dei diritti umani e che si deve immaginare
nuove forme di ordine internazionale che siano a misura della dignità
umana"
- "l'urgente esigenza di uomini e donne convinti della necessità di una
politica fondata sul rispetto della dignità e dei diritti della persona
che confuta la pretesa che le politiche internazionali si collochino in
una sorta di  zona franca in cui la legge morale non avrebbe alcun
potere e in cui la politica è pensata come territorio svincolato dalla
morale e soggetta al solo criterio dell'interesse"
- la conseguente condanna di ogni forma di guerra preventiva, che si
situa al di fuori della sfera dei valori etici.

Tutto ciò viene detto dal Papa Giovanni Paolo II, troppo spesso negli
ultimi tempi inascolatato dalla politica quando esprime pensieri
"scomodi" e nel suo messaggio per la celebrazione della Giornata
mondiale della Pace, ricordanda il 40° della Pacem in terris e la figura
di Giovanni XXIII, " persona che non temeva il futuro e che aveva un
atteggiamento di ottimismo per la convinta confidenza in Dio e nell'uomo
che gli veniva dal profondo clima di fede in cui era cresciuto".
Un augurio e un saluto di pace                        Nino Lo Bello- Ass
per la Pace e lo sviluppo nel mediterraneo

NB: vi allego il messaggio del papa per la giornata mondiale della pace.



MESSAGGIO DI SUA SANTITÀ
GIOVANNI PAOLO II
PER LA CELEBRAZIONE DELLA
GIORNATA MONDIALE DELLA PACE
1° GENNAIO 2003

PACEM IN TERRIS:
UN IMPEGNO PERMANENTE



1. Sono trascorsi quasi quarant'anni da quell'11 aprile 1963, in cui Papa
Giovanni XXIII pubblicò la storica Lettera enciclica Pacem in terris. Si
celebrava in quel giorno il Giovedì Santo. Rivolgendosi "a tutti gli uomini
di buona volontà", il mio venerato Predecessore, che sarebbe morto due mesi
più tardi, compendiava il suo messaggio di pace al mondo nella prima
affermazione dell'Enciclica: "La pace in terra, anelito profondo degli
esseri umani di tutti i tempi, può venire instaurata e consolidata solo nel
pieno rispetto dell'ordine stabilito da Dio" (Pacem in terris, introd.:
AAS, 55 [1963], 257).
Parlare di pace ad un mondo diviso
2. In realtà, il mondo a cui Giovanni XXIII si rivolgeva era in un profondo
stato di disordine. Il XX secolo era iniziato con una grande attesa di
progresso. L'umanità aveva invece dovuto registrare, in sessant'anni di
storia, lo scoppio di due guerre mondiali, l'affermarsi di sistemi
totalitari devastanti, l'accumularsi di immense sofferenze umane e lo
scatenarsi, nei confronti della Chiesa, della più grande persecuzione che
la storia abbia mai conosciuto.
Solo due anni prima della Pacem in terris, nel 1961, il " muro di Berlino "
veniva eretto per dividere e mettere l'una contro l'altra non soltanto due
parti di quella Città, ma anche due modi di comprendere e di costruire la
città terrena. Da una parte e dall'altra del muro la vita assunse uno stile
differente, ispirato a regole tra loro spesso contrapposte, in un clima
diffuso di sospetto e di diffidenza. Tanto come visione del mondo quanto
come concreta impostazione della vita, quel muro attraversò l'umanità nel
suo insieme e penetrò nel cuore e nella mente delle persone, creando
divisioni che sembravano destinate a durare per sempre.
Inoltre, proprio sei mesi prima della pubblicazione dell'Enciclica, mentre
a Roma si era da pochi giorni aperto il Concilio Vaticano II, il mondo, a
causa della crisi dei missili a Cuba, si trovò sull'orlo di una guerra
nucleare. La strada verso un mondo di pace, di giustizia e di libertà
sembrava bloccata. Molti ritenevano che l'umanità fosse condannata a vivere
per tanto tempo ancora in quelle precarie condizioni di " guerra fredda ",
costantemente sottoposta all'incubo che un'aggressione o un incidente
potessero scatenare da un giorno all'altro la peggior guerra di tutta la
storia umana. L'uso delle armi atomiche, infatti, l'avrebbe trasformata in
un conflitto che avrebbe messo a repentaglio il futuro stesso dell'umanità.
I quattro pilastri della pace
3. Papa Giovanni XXIII non era d'accordo con coloro che ritenevano
impossibile la pace. Con l'Enciclica, egli fece sì che questo fondamentale
valore - con tutta la sua esigente verità - cominciasse a bussare da
entrambe le parti di quel muro e di tutti i muri. A ciascuno l'Enciclica
parlò della comune appartenenza alla famiglia umana e accese per tutti una
luce sull'aspirazione della gente di ogni parte della terra a vivere in
sicurezza, giustizia e speranza per il futuro.
Da spirito illuminato qual era, Giovanni XXIII identificò le condizioni
essenziali per la pace in quattro precise esigenze dell'animo umano: la
verità, la giustizia, l'amore e la libertà (cfr ibid., I: l.c., 265-266).
La verità - egli disse - sarà fondamento della pace, se ogni individuo con
onestà prenderà coscienza, oltre che dei propri diritti, anche dei propri
doveri verso gli altri. La giustizia edificherà la pace, se ciascuno
concretamente rispetterà i diritti altrui e si sforzerà di adempiere
pienamente i propri doveri verso gli altri. L'amore sarà fermento di pace,
se la gente sentirà i bisogni degli altri come propri e condividerà con gli
altri ciò che possiede, a cominciare dai valori dello spirito. La libertà
infine alimenterà la pace e la farà fruttificare se, nella scelta dei mezzi
per raggiungerla, gli individui seguiranno la ragione e si assumeranno con
coraggio la responsabilità delle proprie azioni.
Guardando al presente e al futuro con gli occhi della fede e della ragione,
il beato Giovanni XXIII intravide ed interpretò le spinte profonde che già
erano all'opera nella storia. Egli sapeva che le cose non sempre sono come
appaiono in superficie. Malgrado le guerre e le minacce di guerre, c'era
qualcos'altro all'opera nelle vicende umane, qualcosa che il Papa colse
come il promettente inizio di una rivoluzione spirituale.
Una nuova coscienza della dignità dell'uomo e dei suoi inalienabili diritti
4. L'umanità, egli scrisse, ha intrapreso una nuova tappa del suo cammino
(cfr ibid., I: l.c., 267-269). La fine del colonialismo, la nascita di
nuovi Stati indipendenti, la difesa più efficace dei diritti dei
lavoratori, la nuova e gradita presenza delle donne nella vita pubblica,
gli apparivano come altrettanti segni di un'umanità che stava entrando in
una nuova fase della sua storia, una fase caratterizzata dalla "
convinzione che tutti gli uomini sono uguali per dignità naturale " (ibid.,
I: l.c., 268).
Certo, tale dignità era ancora calpestata in molte parti del mondo. Il Papa
non lo ignorava. Egli era tuttavia convinto che, malgrado la situazione
fosse sotto alcuni aspetti drammatica, il mondo stava diventando sempre più
consapevole di certi valori spirituali e sempre più aperto alla ricchezza
di contenuto di quei "pilastri della pace" che erano la verità, la
giustizia, l'amore e la libertà (cfr ibid., I: l.c., 268-269).
Attraverso l'impegno di portare questi valori nella vita sociale, sia
nazionale che internazionale, uomini e donne sarebbero diventati sempre più
consapevoli dell'importanza del loro rapporto con Dio, fonte di ogni bene,
quale solido fondamento e supremo criterio della loro vita, sia come
singoli individui che come esseri sociali (cfr ibid.). Questa più acuta
sensibilità spirituale, il Papa ne era convinto, avrebbe avuto anche
profonde conseguenze pubbliche e politiche.
Davanti alla crescente consapevolezza dei diritti umani che andava
emergendo a livello sia nazionale che internazionale, Giovanni XXIII intuì
la forza insita nel fenomeno ed il suo straordinario potere di cambiare la
storia. Quel che avvenne pochi anni dopo soprattutto nell'Europa centrale
ed orientale ne offrì la singolare conferma. La strada verso la pace,
insegnava il Papa nell'Enciclica, doveva passare attraverso la difesa e la
promozione dei diritti umani fondamentali.
Di essi infatti ogni persona umana gode, non come di beneficio elargito da
una certa classe sociale o dallo Stato, ma come di una prerogativa che le è
propria in quanto persona: "In una convivenza ordinata e feconda va posto
come fondamento il principio che ogni essere umano è persona, cioè una
natura dotata di intelligenza e di volontà libera; e quindi è soggetto di
diritti e di doveri che scaturiscono immediatamente e simultaneamente dalla
sua stessa natura: diritti e doveri che sono perciò universali,
inviolabili, inalienabili" (ibid., I: l.c., 259).
Non si trattava semplicemente di  idee astratte. Erano idee dalle vaste
conseguenze pratiche, come la storia avrebbe presto dimostrato.
Sulla base della convinzione che ogni essere umano è uguale in dignità e
che, di conseguenza, la società deve adeguare le sue strutture a tale
presupposto, sorsero ben presto i movimenti per i diritti umani, che
diedero espressione politica concreta a una delle grandi dinamiche della
storia contemporanea.
La promozione della libertà fu riconosciuta come una componente
indispensabile dell'impegno per la pace. Emergendo praticamente in ogni
parte del mondo, questi movimenti contribuirono al rovesciamento di forme
di governo dittatoriali e spinsero a sostituirle con altre forme più
democratiche e partecipative. Essi dimostrarono, in pratica, che pace e
progresso possono essere ottenuti solo attraverso il rispetto della legge
morale universale, scritta nel cuore dell'uomo (cfr Giovanni Paolo II,
Discorso all'Assemblea delle Nazioni Unite, 5 ottobre 1995, n. 3).

Il bene comune universale
5. Su di un altro punto l'insegnamento della Pacem in terris si dimostrò
profetico, precorrendo la fase successiva dell'evoluzione delle politiche
mondiali. Davanti ad un mondo che stava diventando sempre più
interdipendente e globale, Papa Giovanni XXIII suggerì che il concetto di
bene comune doveva essere elaborato con un orizzonte mondiale.
Ormai, per essere corretto, il discorso doveva far riferimento al concetto
di "bene comune universale" (Pacem in terris, IV: l.c., 292). Una delle
conseguenze di questa evoluzione era l'evidente esigenza che vi fosse
un'autorità pubblica a livello internazionale, che potesse disporre
dell'effettiva capacità di promuovere tale bene comune universale. Questa
autorità, soggiungeva immediatamente il Papa, non avrebbe dovuto essere
stabilita attraverso la coercizione, ma solo attraverso il consenso delle
nazioni. Si sarebbe dovuto trattare di un organismo avente come "obiettivo
fondamentale il riconoscimento, il rispetto, la tutela e la promozione dei
diritti della persona" (ibid., IV: l.c., 294).
Non sorprende perciò che Giovanni XXIII guardasse con grande speranza
all'Organizzazione delle Nazioni Unite, costituita il 26 giugno 1945. Egli
vedeva in essa uno strumento credibile per mantenere e rafforzare la pace
nel mondo. Proprio per questo espresse particolare apprezzamento per la
Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo del 1948, considerandola "un
passo importante nel cammino verso l'organizzazione giuridico-politica
della comunità mondiale" (ibid., IV: l.c., 295). In tale Dichiarazione
infatti venivano fissati i fondamenti morali sui quali avrebbe potuto
poggiare l'edificazione di un mondo caratterizzato dall'ordine anziché dal
disordine, dal dialogo anziché dalla forza. In questa prospettiva, il Papa
lasciava intendere che la difesa dei diritti umani da parte
dell'Organizzazione delle Nazioni Unite era il presupposto indispensabile
per lo sviluppo della capacità dell'Organizzazione stessa di promuovere e
difendere la sicurezza internazionale.
Non solo la visione precorritrice di Papa Giovanni XXIII, la prospettiva
cioè di un'autorità pubblica internazionale a servizio dei diritti umani,
della libertà e della pace, non si è ancora interamente realizzata, ma si
deve registrare, purtroppo, la non infrequente esitazione della comunità
internazionale nel dovere di rispettare e applicare i diritti umani.
Questo dovere tocca tutti i diritti fondamentali e non consente scelte
arbitrarie, che porterebbero a realizzare forme di discriminazione e di
ingiustizia.
Allo stesso tempo, siamo testimoni dell'affermarsi di una preoccupante
forbice tra una serie di nuovi "diritti" promossi nelle società
tecnologicamente avanzate e diritti umani elementari che tuttora non
vengono soddisfatti soprattutto in situazioni di sottosviluppo: penso, ad
esempio, al diritto al cibo, all'acqua potabile, alla casa, all'auto-
determinazione e all'indipendenza. La pace richiede che questa distanza sia
urgentemente ridotta e infine superata.
Un'osservazione deve ancora essere fatta: la comunità internazionale, che
dal 1948 possiede una carta dei diritti della persona umana, ha per lo più
trascurato d'insistere adeguatamente sui doveri che ne derivano. In realtà,
è il dovere che stabilisce l'ambito entro il quale i diritti devono
contenersi per non trasformarsi nell'esercizio di un arbitrio.
Una più grande consapevolezza dei doveri umani universali sarebbe di grande
beneficio alla causa della pace, perché le fornirebbe la base morale del
riconoscimento condiviso di un ordine delle cose che non dipende dalla
volontà di un individuo o di un gruppo.

Un nuovo ordine morale internazionale
6. Resta comunque vero che, nonostante molte difficoltà e ritardi, nei
quarant'anni trascorsi si è avuto un notevole progresso verso la
realizzazione della nobile visione di Papa Giovanni XXIII.
Il fatto che gli Stati quasi in ogni parte del mondo si sentano obbligati
ad onorare l'idea dei diritti umani mostra come siano potenti gli strumenti
della convinzione morale e dell'integrità spirituale. Furono queste le
forze che si rivelarono decisive in quella mobilitazione delle coscienze
che fu all'origine della rivoluzione non violenta del 1989, evento che
determinò il crollo del comunismo europeo. E sebbene nozioni distorte di
libertà, intesa come licenza, continuino a minacciare la democrazia e le
società libere, è sicuramente significativo che, nei quarant'anni trascorsi
dalla Pacem in terris, molte popolazioni del mondo siano diventate più
libere, strutture di dialogo e di cooperazione tra le nazioni si siano
rafforzate e la minaccia di una guerra globale nucleare, quale si profilò
drasticamente ai tempi di Papa Giovanni XXIII, sia stata efficacemente
contenuta.
A questo proposito, con umile coraggio vorrei osservare come l'insegnamento
plurisecolare della Chiesa sulla pace intesa come "tranquillitas ordinis" -
"tranquillità dell'ordine", secondo la definizione di Sant'Agostino (De
civitate Dei, 19, 13), si sia rivelato, alla luce anche degli
approfondimenti della Pacem in terris, particolarmente significativo per il
mondo odierno, tanto per i Capi delle nazioni quanto per i semplici
cittadini.
Che ci sia un grande disordine nella situazione del mondo contemporaneo è
constatazione da tutti facilmente condivisa. L'interrogativo che si impone
è perciò il seguente: quale tipo di ordine può sostituire questo disordine,
per dare agli uomini e alle donne la possibilità di vivere in libertà,
giustizia e sicurezza? E poiché il mondo, pur nel suo disordine, si sta
comunque "organizzando" in vari campi (economico, culturale e perfino
politico), sorge un'altra domanda ugualmente pressante: secondo quali
principi si stanno sviluppando queste nuove forme di ordine mondiale?
Queste domande ad ampio raggio indicano che il problema dell'ordine negli
affari mondiali, che è poi il problema della pace rettamente intesa, non
può prescindere da questioni legate ai principi morali.
 In altre parole, emerge anche da questa angolatura la consapevolezza che
la questione della pace non può essere separata da quella della dignità e
dei diritti umani. Proprio questa è una delle perenni verità insegnate
dalla Pacem in terris, e noi faremmo bene a ricordarla e a meditarla in
questo quarantesimo anniversario.
Non è forse questo il tempo nel quale tutti devono collaborare alla
costituzione di una nuova organizzazione dell'intera famiglia umana, per
assicurare la pace e l'armonia tra i popoli, ed insieme promuovere il loro
progresso integrale? È importante evitare fraintendimenti: non si vuol qui
alludere alla costituzione di un super-stato globale.
Si intende piuttosto sottolineare l'urgenza di accelerare i processi già in
corso per rispondere alla pressoché universale domanda di modi democratici
nell'esercizio dell'autorità politica, sia nazionale che internazionale,
come anche alla richiesta di trasparenza e di credibilità ad ogni livello
della vita pubblica. Confidando nella bontà presente nel cuore di ogni
persona, Papa Giovanni XXIII volle far leva su di essa e chiamò il mondo
intero ad una più nobile visione della vita pubblica e dell'esercizio della
pubblica autorità. Con audacia, spinse il mondo a proiettarsi al di là del
proprio presente stato di disordine, e ad immaginare nuove forme di  ordine
internazionale che fossero a misura della dignità umana.

Il legame tra pace e verità
7. Contestando la visione di coloro che pensavano alla politica come ad un
territorio svincolato dalla morale e soggetto al solo criterio
dell'interesse, Giovanni XXIII, attraverso l'Enciclica Pacem in terris,
delineò una più vera immagine dell'umana realtà e indicò la via verso un
futuro migliore per tutti. Proprio perché le persone sono create con la
capacità di elaborare scelte morali, nessuna attività umana si situa al di
fuori della sfera dei valori etici. La politica è un'attività umana; perciò
anch'essa è soggetta al giudizio morale. Questo è vero anche per la
politica internazionale.
Il Papa scriveva: "La stessa legge naturale che regola i rapporti tra i
singoli esseri umani, regola pure i rapporti tra le rispettive comunità
politiche" (Pacem in terris, III: l.c., 279).
Quanti ritengono che la vita pubblica internazionale si esplichi in qualche
modo fuori dell'ambito del giudizio morale, non hanno che da riflettere
sull'impatto dei movimenti per i diritti umani sulle politiche nazionali e
internazionali del XX secolo, da poco concluso. Questi sviluppi, che
l'insegnamento dell'Enciclica aveva precorso, confutano decisamente la
pretesa che le politiche internazionali si collochino in una sorta di "zona
franca" in cui la legge morale non avrebbe alcun potere.
Forse non c'è un altro luogo in cui si avverta con uguale chiarezza la
necessità di un uso corretto dell'autorità politica, quanto nella
drammatica situazione del Medio Oriente e della Terra Santa. Giorno dopo
giorno e anno dopo anno, l'effetto cumulativo di un esasperato rifiuto
reciproco e di una catena infinita di violenze e di vendette ha frantumato
sinora ogni tentativo di avviare un dialogo serio sulle reali questioni in
causa. La precarietà della situazione è resa ancor più drammatica dallo
scontro di interessi esistente tra i membri della comunità internazionale.

Finché coloro che occupano posizioni di responsabilità non accetteranno di
porre coraggiosamente in questione il loro modo di gestire il potere e di
procurare il benessere dei loro popoli, sarà difficile immaginare che si
possa davvero progredire verso la pace.
La lotta fratricida, che ogni giorno scuote la Terra Santa contrapponendo
tra loro le forze che tessono l'immediato futuro del Medio Oriente, pone
l'urgente esigenza di uomini e di donne convinti della necessità di una
politica fondata sul rispetto della dignità e dei diritti della persona.
Una simile politica è per tutti incomparabilmente più vantaggiosa che la
continuazione delle situazioni di conflitto in atto. Occorre partire da
questa verità. Essa è sempre più liberante di qualsiasi forma di
propaganda, specialmente quando tale propaganda servisse a dissimulare
intenzioni inconfessabili.

Le premesse di una pace durevole
8. C'è un legame inscindibile tra l'impegno per la pace e il rispetto della
verità. L'onestà nel dare informazioni, l'equità dei sistemi giuridici, la
trasparenza delle procedure democratiche danno ai cittadini quel senso di
sicurezza, quella disponibilità a comporre le controversie con mezzi
pacifici e quella volontà di intesa leale e costruttiva che costituiscono
le vere premesse di una pace durevole. Gli incontri politici a livello
nazionale e internazionale servono la causa della pace solo se l'assunzione
comune degli impegni è poi rispettata da ogni parte. In caso contrario,
questi incontri rischiano di diventare irrilevanti e inutili, ed il
risultato è che la gente è tentata di credere sempre meno all'utilità del
dialogo e di confidare invece nell'uso della forza come via per risolvere
le controversie. Le ripercussioni negative, che sul processo di pace hanno
gli impegni presi e poi non rispettati, devono indurre i Capi di Stato e di
Governo a ponderare con grande senso di responsabilità ogni loro decisione.
Pacta sunt servanda, recita l'antico adagio. Se tutti gli impegni assunti
devono essere rispettati, speciale cura deve essere posta nel dare
esecuzione agli impegni assunti verso i poveri. Particolarmente frustrante
sarebbe infatti, nei loro confronti, il mancato adempimento di promesse da
loro sentite come di vitale interesse. In questa prospettiva, il mancato
adempimento degli impegni con le nazioni in via di sviluppo costituisce una
seria questione morale e mette ancora più in luce l'ingiustizia delle
disuguaglianze esistenti nel mondo. La sofferenza causata dalla povertà
risulta drammaticamente accresciuta dal venir meno della fiducia. Il
risultato finale è la caduta di ogni speranza. La presenza della fiducia
nelle relazioni internazionali è un capitale sociale di valore fondamentale.

Una cultura di pace
9. A voler guardare le cose a fondo, si deve riconoscere che la pace non è
tanto questione di strutture, quanto di persone. Strutture e procedure di
pace - giuridiche, politiche ed economiche - sono certamente necessarie e
fortunatamente sono spesso presenti. Esse tuttavia non sono che il frutto
della saggezza e dell'esperienza accumulata lungo la storia mediante
innumerevoli gesti di pace, posti da uomini e donne che hanno saputo
sperare senza cedere mai allo scoraggiamento. Gesti di pace nascono dalla
vita di persone che coltivano nel proprio animo costanti atteggiamenti di
pace. Sono frutto della mente e del cuore di "operatori di pace" (Mt 5, 9).
Gesti di pace sono possibili quando la gente apprezza pienamente la
dimensione comunitaria della vita, così da percepire il significato e le
conseguenze che certi eventi hanno sulla propria comunità e sul mondo nel
suo insieme. Gesti di pace creano una tradizione e una cultura di pace.
La religione possiede un ruolo vitale nel suscitare gesti di pace e nel
consolidare condizioni di pace. Essa può esercitare questo ruolo tanto più
efficacemente, quanto più decisamente si concentra su ciò che le è proprio:
l'apertura a Dio, l'insegnamento di una fratellanza universale e la
promozione di una cultura di solidarietà. La "Giornata di preghiera per la
pace", che ho promosso ad Assisi il 24 gennaio 2002 coinvolgendo i
rappresentanti di numerose religioni, aveva proprio questo scopo. Voleva
esprimere il desiderio di educare alla pace attraverso la diffusione di una
spiritualità e di una cultura di pace.

L'eredità della "Pacem in terris"
10. Il beato Giovanni XXIII era persona che non temeva il futuro. Lo
aiutava in questo atteggiamento di ottimismo quella convinta confidenza in
Dio e nell'uomo che gli veniva dal profondo clima di fede in cui era
cresciuto. Forte di questo abbandono alla Provvidenza, persino in un
contesto che sembrava di permanente conflitto, non esitò a proporre ai
leader del suo tempo una visione nuova del mondo. È questa l'eredità che
egli ci ha lasciato. Guardando a lui, in questa Giornata Mondiale della
Pace 2003, siamo invitati ad impegnarci in quei medesimi sentimenti che
furono suoi: fiducia in Dio misericordioso e compassionevole, che ci chiama
alla fratellanza; fiducia negli uomini e nelle donne del nostro come di
ogni altro tempo, a motivo dell'immagine di Dio impressa ugualmente negli
animi di tutti. È partendo da questi sentimenti che si può sperare di
costruire un mondo di pace sulla terra.
All'inizio di un nuovo anno nella storia dell'umanità, è questo l'augurio
che mi sale spontaneo dal profondo del cuore: che nell'animo di tutti possa
sbocciare uno slancio di rinnovata adesione alla nobile missione che
l'Enciclica Pacem in terris proponeva quarant'anni fa a tutti gli uomini e
le donne di buona volontà. Tale compito, che l'Enciclica qualificava come
"immenso", era indicato nel "ricomporre i rapporti della convivenza nella
verità, nella giustizia, nell'amore, nella libertà". Il Papa precisava poi
di riferirsi ai "rapporti della convivenza tra i singoli esseri umani; fra
i cittadini e le rispettive comunità politiche; fra le stesse comunità
politiche; fra individui, famiglie, corpi intermedi e comunità politiche,
da una parte, e, dall'altra, la comunità mondiale". E concludeva ribadendo
che l'impegno di "attuare la vera pace nell'ordine stabilito da Dio"
costituiva un "ufficio nobilissimo" (Pacem in terris, V: l.c., 301-302).
Il quarantesimo anniversario della Pacem in terris è un'occasione quanto
mai opportuna per fare tesoro dell'insegnamento profetico di Papa Giovanni
XXIII. Le comunità ecclesiali studieranno come celebrare questo
anniversario in modo appropriato durante l'anno, con iniziative che non
mancheranno di avere carattere ecumenico e interreligioso, aprendosi a
tutti coloro che hanno un profondo anelito a "superare le barriere che
dividono, ad accrescere i vincoli della mutua carità, a comprendere gli
altri, a perdonare coloro che hanno recato ingiurie" (ibid., V: l.c., 304).
Accompagno questi auspici con la preghiera a Dio Onnipotente, sorgente di
ogni nostro bene. Egli, che dalle condizioni di oppressione e di conflitto
ci chiama alla libertà e alla cooperazione per il bene di tutti, aiuti le
persone in ogni angolo della terra a costruire un mondo di pace, sempre più
saldamente fondato sui quattro pilastri che il beato Giovanni XXIII ha
indicato a tutti nella sua storica Enciclica: verità, giustizia, amore e
libertà.




Dal Vaticano, 8 Dicembre 2002.
GIOVANNI PAOLO II

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