La Nato pronta a intervenire in Siria



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Date: Mon, 25 Mar 2013 16:05:11 +0100 (CET)
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La Nato pronta ad intervenire in Siria
L’Alleanza Atlantica si prepara alla guerra. Ecco i possibili piani di attacco e le strategie degli Stati coinvolti

di Luciano Tirinnanzi (per LookOut News )

È ufficiale. Anche in Siria siamo a una svolta nella guerra, se è vero quanto ha annunciato l’ammiraglio americano James Stavridis che, la scorsa settimana ha rivelato davanti alla Armed Services Committee del Senato degli Stati Uniti che le forze armate statunitensi e alcuni Paesi NATO stanno preparando un piano di contingenza per un “ipotetico” intervento militare. Che, trasdotto, significa “siamo pronti”.

Nonostante l’equilibrio tenuto per oltre due anni da Washington e le batterie i missili Patriot prudentemente schierate al confine turco-siriano “in funzione difensiva”, nelle ultime settimane le richieste degli alleati si erano fatte sempre più insistenti. Francia e Regno Unito per primi hanno più volte chiesto di togliere l’embargo sulle armi, paventando anche decisioni unilaterali. Ed è noto da tempo che Londra e Parigi premano per un sostegno effettivo alla guerra, risolutivo per la vittoria delle forze di opposizione al regime di Assad.

E, in effetti, la Siria per la posizione che ricopre nel complicato scacchiere mediorientale che affaccia sul Mediterraneo, è un crocevia di interessi non da poco: la Russia sostiene apertamente lo status quo perché desidera da sempre uno sbocco nel mare nostrum e non gradisce la nascita di un altro stato vassallo degli USA, dopo aver faticato tanto per raggiungere pacificamente quella posizione.

Israele non sa ancora se gioire alla notizia perché, da un lato, vuole liberarsi di uno Stato “ballerino” che potrebbe generare un effetto domino nell’area e mal sopporta il continuo passaggio di armi e di jihadisti sotto il suo naso. Ma, dall’altro lato, Tel Aviv teme non poco che a sostituire Assad possa essere un governo pericolosamente infiltrato dai radicali islamisti, con ciò aumentando i sintomi della sua sindrome da accerchiamento.

Egitto e Iraq sono appunto gli Stati ballerini che, insieme al Libano, potrebbero essere i primi a venire contagiati dalla guerra. E la Giordania non è più in grado di sostenere i quasi due milioni di profughi siriani rifugiati nel Paese, che continuano ad ammassarsi al confine.

La Turchia è nella NATO e, oltre al condividere con la Giordania il problema dei profughi, detesta l’idea di non essere protagonista della regione, motivo per cui sarà costretto a prendere una posizione netta, e non sarà facile per il ruolo di “protettore del Medio Oriente” che si sta ritagliando.

L’Iran non ha molto da dire, giacché da tempo rifornisce di armi Assad ed è lieto che possano essere rivolte contro gli americani e l’Occidente. Ciò nonostante, la NATO in Siria significherebbe avvicinarsi a Teheran. Sarà di questo che hanno discusso Obama e Netanyahu, durante la visita di inizio primavera del presidente USA?

I PIANI D'ATTACCO

Ma come si svolgerebbe l’attacco alla Siria? Sono tre le ipotesi in campo più accreditate. Nella prima, avverrebbe quanto già accaduto nell’operazione “Odissea all’alba” in Libia (marzo 2011): unità della marina americana dispiegate nel Mediterraneo potrebbero lanciare l’attacco contro obiettivi precisi, lasciando che l’aviazione francese e britannica spianino la strada alle truppe ribelli già in campo (Washington ha già fornito 3mila tonnellate di armi suddivise in 3 carichi ufficialmente pagati dall’Arabia Saudita e dirette ai ribelli due settimane fa).

A ciò si potrebbero aggiungere o sostituire i droni predator, che la CIA ha predisposto anche per un attacco in massa: in Libia, gli USA bombardarono dal mare e spesero il corrispondente di circa 60 milioni di euro solo per lanciare 110 Tomahawk (uno solo di questi missili costa quasi 750mila dollari) ma, tutto sommato, non dovettero impiegare forze di terra e l’operazione fu vista come un successo dal Pentagono. Dunque, continuare su questa linea potrebbe essere la scelta più ragionata.

In secondo luogo, gli USA potrebbero lasciare davvero a Francia e Regno Unito - che sono impazienti di entrare in gioco - l’onere dell’attacco ma, non disponendo essi di forze adeguate, il risultato potrebbe costringere Parigi e Londra all’invio di ennesime truppe sul campo con risultati imprevedibili: anzitutto, la Siria non è il Mali e poi una guerra di logoramento, non chirurgica, comporterebbe il probabile coinvolgimento degli Stati confinanti e rischierebbe di fare di Damasco la Sarajevo del 1914, trascinando tutti in una “grande guerra”.

L’opzione di coinvolgere da subito i missili Patriot turchi non è remota ma è difficile che sia proprio la Turchia a bombardare per prima: la stabilità del Paese è già minacciata dalla questione curda, dal doppio volto di uno Stato laico e islamico, dagli interessi contrastanti degli alleati europei che vogliono essere protagonisti. Resta allora la possibilità di un inizio cauto, che punti sulla no-fly zone garantita dalla NATO, nella speranza che Assad cada prima di dover impegnare tutte le armi di cui dispone l’alleanza atlantica.

Ad ogni modo, tutto è già pronto e si aspetta solo l’avallo di tutti i membri dell’Alleanza per attaccare, considerato il fatto che ormai Washington si è convinta che anche nel caso in cui Assad si facesse da parte, la Siria conoscerebbe una recrudescenza della guerra civile e una frammentazione del Paese in stile libico che nessuno, col senno di poi, desidera.

Il punto resta comunque questo: prima di partire per l’avventura, si hanno chiari i possibili sviluppi del dopo? L’esperienza libica insegna che quando si libera il genio (islamista?) dalla lampada, poi è difficile ricacciarlo dentro.