Fwd: L’Europa bendata alla guerra d’Africa,di Barbara Spinelli






L’Europa bendata alla guerra d’Africa
di Barbara Spinelli
in “la Repubblica” del 23 gennaio 2013
È impressionante il mutismo che regna, alla vigilia delle elezioni in Italia e Germania, su un tema
decisivo come la guerra. Non se ne parla, perché i conflitti avvengono altrove. Eppure la guerra da
tempo ci è entrata nelle ossa.
Non è condotta dall’Europa, priva di un comune governo politico, ma è ormai parte del suo essere
nel mondo. Se alla sterminata guerra anti-terrorismo aggiungiamo i conflitti balcanici di fine ’900,
sono quasi 14 anni che gli Europei partecipano stabilmente a operazioni belliche. All’inizio se ne
discuteva con vigore: sono guerre necessarie oppure no? E se no, perché le combattiamo? Sono
davvero umanitarie, o distruttive? E qual è il bilancio dell’offensiva globale anti-terrore: lo sta
diminuendo o aumentando? I politici tacciono, e nessuno Stato europeo si chiede cosa sia
quest’Unione che non ha nulla da dire in materia, concentrata com’è sulla moneta. L’Europa è
entrata in una nuova era di guerre neo-coloniali con gli occhi bendati, camminando nella nebbia.
Le guerre – spesso sanguinose, di rado proficue – non sono mai chiamate per nome. Avanzano
mascherate, invariabilmente imbellite: stabilizzeranno Stati fatiscenti, li democratizzeranno, e
soprattutto saranno brevi, non costose. Tutte cose non vere, nascoste dalla strategia del mutismo. A
volte le operazioni sono decise a Washington; altre volte, come in Libia, son combattute da più Stati
europei. Quella iniziata il 12 gennaio in Mali è condotta dalla Francia di Hollande, con un appoggio
debole di soldati africani e con il consenso – ex post – degli alleati europei. Nessun coordinamento
l’ha preceduta, in violazione del Trattato di Lisbona che ci unisce (art. 32, 347). Quasi
automaticamente siamo gettati nelle guerre, come si aprono e chiudono le palpebre. La mente
segue, arrancando. C’è perfino chi pomposamente si chiama Alto rappresentante per la politica
estera europea (parliamo di Katherine Ashton: quando sarà sostituita da una personalità meno
inutile?) e ringrazia la Francia ma subito precisa che Parigi dovrà fare da sé, «mancando una forza
militare europea». Fotografa l’esistente, è vero, ma occupando una carica importante potrebbe
pensare un po’ oltre.
Molte cose che leggiamo sulle guerre sono fuorvianti: simili a bollettini militari, non sono
discutibili nella loro perentoria frammentarietà. Invitano non a meditare l’evento ma a constatarlo
supinamente, e a considerare i singoli interventi come schegge, senza rapporti fra loro. Anche in
guerra prevalgono esperti improvvisati e tecnici. L’interventismo sta divenendo un habitus europeo,
copiato dall’americano, ma di questa trasformazione non vien detta la storia lunga, che connetta le
schegge e rischiari l’insieme. Manca un pensare lungo e anche ampio, che definisca chi siamo in
Africa, Afghanistan, Golfo Persico. Che paragoni il nostro pensare a quello di altri paesi. Che studi
la politica cinese in Africa, così attiva e diversa: incentrata sugli investimenti, quando la nostra è
fissa sul militare. Scarseggia una veduta cosmopolita sul nostro agire nel mondo e su come esso ci
cambia.
Una vista ampia e lunga dovrebbe consentire di fare un bilancio freddo, infine, di conflitti privi di
obiettivi chiari, di limiti spaziali, di tempo: che hanno dilatato l’Islam armato anziché contenerlo,
che dall’Afghanistan s’estendono ora al Sahara-Sahel. Che nulla apprendono da errori passati,
sistematicamente taciuti. I nobili aggettivi con cui agghindiamo l’albero delle guerre (umanitarie,
democratiche) non bastano a celare gli esiti calamitosi: gli interventi creano non ordine ma caos,
non Stati forti ma ancora più fallimentari. Compiuta l’opera i paesi vengono abbandonati a se stessi,
non senza aver suscitato disillusione profonda nei popoli assistiti.
Poi si passa a nuovi fronti, come se la storia delle guerre fosse un safari turistico a caccia di esotici
bottini. Il Mali è un caso esemplare di guerra necessaria e umanitaria.
In questo decennio l’aggettivo umanitario s’è imbruttito, ha perso l’innocenza, e annebbia la storia
lunga: le politiche non fatte, le occasioni mancate, le catene di incoerenze. Era necessario
intervenire per fermare il genocidio in Ruanda, nel ’94, e non si agì perché l’Onu ritirò i soldati
proprio mentre lo sterminio cominciava. Fu necessario evitare l’esodo – verso l’Europa – dei
kossovari cacciati dall’esercito serbo. Ma le guerre successive non sono necessarie, visto che
manifestamente non fermano i terroristi. Non sono neppure democratiche perché come si spiegano,
allora, l’alleanza con l’Arabia Saudita e l’enormità degli aiuti a Riad, più copiosi di quelli destinati
a Israele? Il regno saudita non solo non è democratico: è tra i più grandi finanziatori dei terrorismi.
La degenerazione del Mali poteva essere evitata, se gli Europei avessero studiato il paese:
considerato per anni faro della democrazia, fu sempre più impoverito, portandosi dietro i disastri
delle sue artificiali frontiere coloniali. Aveva radici antiche la lotta indipendentista dei Tuareg,
culminata il 6 aprile 2012 nell’indipendenza dell’Azawad a Nord. Per decenni furono ignorati,
spregiati. Per combattere un indipendentismo inizialmente laico si accettò che nascessero milizie
islamiche, ripetendo l’idiotismo esibito in Afghanistan. Sicché i Tuareg s’appoggiarono a Gheddafi,
e poi agli islamisti: unico punto di riferimento, furono questi ultimi a invadere il Nord, all’inizio
2012, egemonizzando e stravolgendo – era prevedibile – la lotta tuareg. È uno dei primi errori
dell’Occidente, questa cecità, e quando Prodi approva l’intervento francese dicendo che «non
esistevano alternative all’azione militare», che «si stava consolidando una zona franca terroristica
nel cuore dell’Africa», che gli indipendentisti «sono diventati jihadisti», dice solo una parte del
vero. Non racconta quel che esisteva prima che la guerra fosse l’unica alternativa. I Tuareg non
sono diventati terroristi; blanditi dagli islamisti, sono stati poi cacciati dai villaggi che avevano
conquistato. La sharia, nella versione più cruenta, è invisa ai locali e anche ai Tuareg (sono tanti)
non arruolati nell’Islam radicale. Vero è che all’inizio essi abbracciarono i jihadisti, e un giorno
questa svista andrà meditata: forse l’Islam estremista, col suo falso messianismo, ha una visione
perversa ma più moderna, della crisi dello Stato-nazione. Una visione assente negli Europei,
nonostante l’Unione che hanno edificato.
Ma l’errore più grave è non considerare le guerre dell’ultimo decennio come un tutt’unico. L’azione
in un punto della terra ha ripercussioni altrove, i fallimenti in Afghanistan creano il caso Libia, il
semifallimento in Libia secerne il Mali. Il guaio è che ogni conflitto comincia senza memoria critica
dei precedenti: come scheggia appunto. In Libia il trionfalismo è finito tardi, l’11 settembre 2012 a
Bengasi, quando fu ucciso l’ambasciatore Usa Christopher Stevens. Solo allora s’è visto che molti
miliziani di Gheddafi, tuareg o islamisti, s’erano trasferiti nell’Azawad. Che la guerra non era finita
ma sarebbe rinata in Mali, come in quei film dell’orrore dove i morti non sono affatto morti.
È venuta l’ora di riesaminare quel che vien chiamato interventismo umanitario, democratico,
antiterrorista. Un solo dato basterebbe. Negli ultimi sette anni, il numero delle democrazie elettorali
in Africa è passato da 24 a 19. Uno scacco, per Europa e Occidente. Intanto la Cina sta a guardare,
compiaciuta. La sua presenza cresce, nel continente nero. Il suo interventismo per ora costruisce
strade, non fa guerre. È colonialismo e lotta per risorse altrui anch’esso, ma di natura differente.
Resilienza e pazienza sono la sua forza. Forse Europa e Stati Uniti si agitano con tanta bellicosità
per contendere a Pechino il dominio di Africa e Asia. È un’ipotesi, ma se l’Europa cominciasse a
discutere parlerebbe anche di questo, e non sarebbe inutile.

--
www.peacelink.it/tools/author.php?l=peyretti ---------------- www.ilfoglio.info -----------wikipedia----------- www.serenoregis.org ---------------------- http://cisp.unipmn.it ------- www.rocca.cittadella.org-------- Rassegna stampa: www.finesettimana.org