Fwd: Ilvo Diamanti: evviva i conservatori!






Bravo Ilvo Diamanti! Grazie a chi mi ha mandato l'articolo. Forse esagera qualcosa (comunicare a distanza agevolmente è un bene: qui lo stiamo facendo con gioia), ma ha molte ragioni. Ecco una bella iniziativa (noi al "foglio" di Torino in pratica lo facciamo già: due ore alla settimana): riunioni per solamente conversare, condividere, vedersi, scambiare idee. I cervelli si accendono strusciandoli uno con l'altro. Anche i cuori e le buone volontà. Fare società, nel senso genuino della parola. E quindi anche politica, che è un prodotto sì del confronto dialettico, ma di più dell'amicizia civile, nel rispetto delle diversità. Non "silenziare" nessuno, e non "tagliare le ali", immagine che sa di crudeltà sugli uccelli, quelli che sanno volare più alto di noi, perciò "salire" davvero, e vedere lontano, e sono messaggeri di bellezza. Coraggio, conservatori! Siamo più avanti dei tecnici, perché se conserviamo il meglio della storia sofferta dai popoli vi troviamo i semi dell'avvenire, del vero nuovo che nascerà. Ciao, Enrico
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Ilvo Diamanti

Io sono un conservatore

Repubblica, 4 gennaio 2013

Conservatori. È l'accusa che Mario Monti ha rivolto a Stefano Fassina, Nichi Vendola. E a Susanna Camusso. I quali, da tempo, avevano imputato al Professore, questo stesso peccato capitale. Monti: colpevole di essere un "conservatore". Perché i conservatori, in Italia, sono impopolari. E stigmatizzati. Da sinistra, ma anche da destra. Nessuno che ammetta di esserlo.

Ebbene, vorrei fare coming out. Io sono un conservatore. Non riesco ad accettare i sentieri imboccati dal cambiamento. Molti, almeno. Il paesaggio urbano che mi circonda. E mi assedia. La plaga immobiliare che avanza senza regole e senza soste. L'indebolirsi delle relazioni personali e dei legami comunitari. Il declino dei riferimenti di valore  -  perfino di quelli tradizionali. La famiglia ridotta a un centro servizi, a un bunker sotto assedio. La retorica dell'individualismo esibizionista e possessivo. Che ci vuole tutti imprenditori  -  di se stessi. La Rete come unico "spazio" di comunicazione. Gli smartphone che rimpiazzano il dialogo fra persone. I tweet al posto delle parole. La relazione senza empatia. Le persone sparse che parlano  -  e ridono, imprecano, mormorano - da sole.

In tanti intorno a un tavolo, oppure seduti, uno vicino all'altro. Eppure lontani. Ciascuno per conto proprio, a parlare con altri. In altri luoghi - distanti. Tempi strani, nei quali tanti si sentono "spaesati", perché il "paese" appare un residuo del passato. E la "comunità": un fantasma della tradizione. Il lavoro senza regole e senza continuità. La flessibilità senza fine e senza un fine. Cioè: la precarietà. La politica senza società, il partito personale, riassunto in un volto e in un'immagine. Dove i consulenti di marketing hanno sostituito i militanti. E al posto delle sezioni si usano i sondaggi (d'altronde, quando si dà la possibilità ai cittadini di esprimersi si recano a milioni, alle urne, di domenica e persino a capodanno).

Insomma: i personaggi, gli interpreti e i luoghi della modernità liquida. Non mi piacciono. Li conosco ma non mi ci riconosco. Magari li subisco  -  in silenzio. Ma preferisco  -  di gran lunga - "conservare" quel che resta: del territorio, della comunità, delle relazioni personali, dell'economia "giusta", della politica come identità. Il "nuovo" come valore in sé non mi attira.

Lo ammetto: sono un conservatore. E ne vado orgoglioso.

(04 gennaio 2013)




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