IRONICA STORIA: LA NATO IN SIRIA CREA VUOTO DI POTERE NEL LEVANTE



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IRONIA DELLA STORIA: L’INTERVENTO NATO IN SIRIA HA CREATO UN VUOTO DI POTERE NEL LEVANTE E LA TURCHIA NON RIESCE A RIEMPIRLO. GLI USA COMINCIANO LA MARCIA INDIETRO E ERDOGAN TORNA A BUSSARE ALLA PORTA DELLA U.E. di Antonio de Martini

La Strategia del supporto americano al ” regime change” in Siria, ma con coinvolgimento indiretto, ha creato al premier turco Erdoghan un problema di dimensioni inattese.
L’analisi politica che lo ha portato a rinnegare la dottrina Davitoglu ( nessun problema alle frontiere coi paesi vicini) si è rivelata errata ed ora è in crisi palese con tutti i vicini, eccezion fatta della Grecia, cui la Turchia è già legata da odio secolare ( l’ultimo scontro armato data dal 1974 per Cipro).
La frizione con la Siria ha portato alla luce il fatto che tutti gli alleati di Assad confinano con la Turchia: Russia, Iran e l’Irak sciita.
La capacità di resistenza del regime di Assad é stata decisamente sottovalutata, così come il numero dei siriani che avrebbero accolto l’invito a rifugiarsi in Turchia. La siccità indotta dalla penuria d’acqua provocata dalle dighe turche ( vedasi il post ” la prossima guerra sarà per l’acqua”) ha indotto i contadini, in gran numero, a cercare aiuti.
Accanto a questi due grossi errori di sottovalutazione, ce ne sono stati altri due di segno contrario: Erdoghan ha sovrastimato la volontà di intervento militare diretto del governo americano nella lotta e la possibilità – rivelatasi illusoria – di provocare un golpe dall’interno del regime siriano.

Per allinearsi alla politica USA che gli ha permesso di liquidare senza troppe scosse la possibile fronda dei militari – di cui adesso sente però la mancanza – il premier turco ha dovuto annacquare il business strategico dell’oleodotto italo-russo-turco ( accettando francesi e tedeschi) , trascurare la minoranza sciita ( che comincia a farsi sentire) , ignorare la fronda degli arabofoni della zona frontaliera che appoggiano la Siria, sobbarcarsi l’assistenza all’ondata dei profughi ( quasi nulla nel primo semestre, ora incontenibile causa i danni ai raccolti).

L’intercettazione dell’aereo di linea siriano costretto ad atterrare e perquisito senza trovare nulla, si è rivelato un boomerang propagandistico indotto dalla intelligence alleata, di cui ha fatto le spese la Turchia, violentemente attaccata dal ministro degli esteri russo Lavrov che continua a chiedere ai turchi di dire ” cosa hanno trovato” sull’aereo che giustificasse l’arrembaggio. In Europa occidentale è una notiziola, nel Levante è una importante perdita di prestigio con un tradizionale avversario.

Il governo americano comincia intanto a rendersi finalmente conto del ginepraio in cui si è cacciato e sta cercando di lenire le ferite all’amor proprio dei turchi, oltre che una exit strategy.

Il Vice comandante degli Stati Maggiori riuniti americani Ammiraglio James Winnefeld, è venuto ad Ankara il 23 ottobre per un lungo incontro con una serie di accademici turchi coi quali ha discusso una possibile ” road map” da attuarsi nel dopo elezioni USA che tenga conto della esperienza della Turchia e del sostanziale fallimento della politica seguita finora.
Il 25 ottobre, il capo degli Stati Maggior Riuniti Martin Dempsey ha reso un pubblico omaggio alla ” capacità di Erdoghan di combattere il terrorismo” durante un briefing alla presenza del ministro.
Il 26 ottobre, il comandante della VII armata USA e delle truppe USA in Europa, tenente generale Mark Hertling ha definito ” non chiara ” la provenienza dei colpi di mortaio partiti dalla Siria verso la Turchia ) elencando almeno tre fonti di fuoco: i siriani, i ribelli, i kurdi.

Le uscite contemporanee dei tre più alti ufficiali americani, mostrano la volontà di sganciamento, la serietà del problema e tradiscono il desiderio di un rapido ” dietro front” : la Turchia è stufa di fare da ” safe heaven” alla ribellione ed ha capito di non essere in grado di riprendere da sola il controllo del Vicino Oriente, che era il piano alternativo di Erdogan rispetto alla adesione alla UE.
Sono disposti a perdere la partita siriana, ma non l’alleato turco.

L’ambasciatore USA ad Ankara Francis Ricciardone che aveva proposto ” un cambiamento di tecniche, tattiche e procedure” nella lotta al PKK usando la ” tecnica Ben Laden” ( leggi: il ricorso ad omicidi mirati in serie come in Palestina ) , ha ricevuto un rifiuto insolitamente secco, che ha provocato il briefing riparatorio del 25 ottobre con Panetta e Dempsey.
Il commento di un alto ufficiale turco che non nomino, è stato ” siamo dei soldati, non dei gangster” la dice lunga su come anche i più ” occidentali” tra gli orientali considerino la strategia ” Made in Israel” delle uccisioni mirate in Afganistan, Pakistan e Palestina.

Quel che ha provocato l’irrigidimento della Turchia nei confronti dei ” consigli” statunitensi è stato un sondaggio svolto secondo tutti i canoni scientifici : un campione di 1500 persone in 18 provincie: alla domanda ” quale debba essere l’atteggiamento della Turchia nei confronti del dopo Assad”. La ricerca svolta da TNS-Turchia per conto del ” Centro per le ricerche economiche e di politica estera”( EDAM) ha dato risultati univoci: Il 51% chiede che la Turchia sia ” imparziale e non coinvolta”, il 18% valuta con favore un ruolo di mediazione, mentre il 7% propende per la concessione di aiuti economici alla Siria.
Il centro ha svolto parallelamente una stessa indagine su 266 analisti di politica estera per verificare l’impatto degli opinion leaders sulla gente: in questo segmento, il 36 % propone un ruolo di mediazione, mentre il 26% chiede il non coinvolgimento. Il 21% si dichiara favorevole ad un intervento di peacekeeping assieme a USA e NATO.

Notevole il fatto che questa voce ( intervento ) non abbia incontrato il favore del campione popolare, in palese distonia con gli addetti ai lavori evidentemente influenzati.
Una inchiesta simile condotta a giugno dallo stesso ” centro di analisi politiche” ha mostrato una netta maggioranza del 56,2% nettamente contraria ad ogni ipotesi di intervento militare , contro un 11,3% favorevoli ad un intervento.
A settembre il “German Marshall Fund” ha registrato una opposizione all’intervento pari al 57% netto.
Nel AKP partito di Erdogan, il 40% è ostile all’intervento in ogni forma e il 27% è favorevole alla mediazione imparziale.
Nell’opposizione, il CHP ( partito repubblicano del popolo , erede dei laici filo Ataturk, fondato dal generale Inonü ) la percentuale dei non interventisti è del 60% e dei mediatori del6%.
Il MHP ( partito del movimento nazionalista) ha anch’esso il 60% di non interventisti, che sale all’83% nel BPD ( partito della pace e della democrazia).

Di fronte a queste percentuali plebiscitarie ( gli interventisti in pratica irrilevanti politicamente ) a Erdogan non è rimasto che annunziare per martedì il suo arrivo a Berlino per incontrare la Cancelliera Mekel, il cui portavoce Steffen Siebert ha confermato che ” si parlerà anche di Siria” .
Erdogan ha fatto riferimento ai ” 3 milioni di Turchi già residenti in Germania in virtù dell’accordo sul lavoro del 1960 La più grande colonia di Gestarbaiter residente in Germania.”
Si parlerà di aiuti ai profughi e…di adesione alla U.E.?

Per capire meglio o ricordare alcuni aspetti della crisi siriana, puoi vedere i seguenti post:il 12 febbraio ” Syriana” in due puntate; il 3 marzo: ” la Siria resiste alla guerra, ma alla fame?” ; il 26 maggio, l’equilibrio siriano sta saltando. Il vaso di Pandora si sta aprendo”; il 28 maggio: ” un testimone italiano dalla Siria” ; il1 luglio: ” Da Damasco a Islamabad” ; il 6 luglio ” Fortress Israel”, un articolo dell’ex vice capo del Mossad.