R: [pace] Lettera aperta all’Ordinario Militare d’Italia, S.E.R. Mons. Vincenzo Pelvi.




condivido e sottoscrivo il tuo appello. Ermete
----Messaggio originale----
Da: lombak at libero.it
Data: 26-ott-2011 23.40
A: "ML nonviolenti"<nonviolenti at lists.unbit.it>, "ML pace"<pace at peacelink.it>
Ogg: [pace] Lettera aperta all’Ordinario Militare d’Italia, S.E.R. Mons. Vincenzo Pelvi.

Ho inviato a Mons. Pelvi la seguente



Lettera aperta all’Ordinario Militare d’Italia, S.E.R. Mons. Vincenzo Pelvi.





Caro fratello Vescovo,

le chiedo anzitutto di voler benevolmente accogliere lo stile non formale
che ho scelto per questa lettera, proprio perché in essa esprimo questioni
di fede e dunque di qualcosa che ci tiene strettamente in comunione, appunto
come fratelli nello stesso Vangelo, lei come pastore ed io come semplice
fedele, da decenni impegnato nell’educazione alla pace con il movimento Pax
Christi.

Da tempo pensavo di scriverle per aprire un dialogo sereno, sincero e
fruttuoso in tema di pace e nonviolenza, Chiesa e forze armate. Infine ecco
giunta la decisione di non rinviare più, poiché in questi giorni ho appreso
la notizia che il Beato Papa Giovanni XXIII sarebbe stato proclamato – o
potrebbe esserlo, non mi è ben chiaro- Santo Patrono dell’Esercito Italiano.

Quella dei cappellani militari e di una “Chiesa militare” è una scelta che,
alla luce del messaggio evangelico, proprio non capisco. Sia ben chiaro, non
ho alcuna intenzione di negare che coloro che appartengono alle forze armate
abbiano il diritto di ricevere una cura spirituale; il problema semmai è di
una Chiesa che non si pone coerentemente in maniera dialettica nei confronti
dell’istituzione militare, ma vi prende parte: sceglie di essere militare
tra i militari. E’ come se i sacerdoti che, meritoriamente, lavorano fianco
a fianco coi tossicodipendenti, dovessero necessariamente drogarsi per
svolgere quel loro servizio! Se lo immagina un don Ciotti convinto di
doversi dare all’eroina per poter fondare e animare il Gruppo Abele? Perché,
allora mi chiedo, i sacerdoti che svolgono il ministero pastorale con le
nostre sorelle e i nostri fratelli militari entrano nei ranghi delle forze
armate? Dove va a finire il loro potenziale critico e profetico, se assumono
l’infausta condizione di coloro ai quali dovrebbero anzitutto insegnare,
alla luce della nonviolenza di Gesù, che la divisa e le armi vanno appese
immediatamente e definitivamente al chiodo? Proprio come la siringa. Perché
la guerra è la droga dei potenti: di essa si inebriano e si esaltano, con
essa perseguono e mantengono i loro deliranti privilegi, ma a causa di essa,
poi, finiscono miseramente nella polvere.

In fondo la questione è tutta qui. Ribadire con coraggio che gli eserciti
sono nati per fare le guerre e non la pace e che la violenza è l’elemento
caratterizzante la loro ragion d’essere. E questa cruda e tremenda realtà
non può essere certo annullata o nascosta cambiando nome alle guerre,
chiamandole “missioni di pace”, per renderle più accettabili all’opinione
pubblica e per sottrarle goffamente alla condanna della nostra Costituzione.
E non basta neppure affidare alle forze armate compiti di protezione civile,
per esibire un volto che non hanno e una speranza che non possono né offrire
né costruire. Talora nutro il dubbio che in Italia si mantenga una
Protezione Civile debole, proprio per dare la possibilità ai militari di
beneficiare d’una pennellata di utilità sociale. Auguro al popolo di questo
Paese che sia solo un pensiero esageratamente sospettoso.

E’ ora, fratello Vescovo, di dire una parola chiara: non si può servire Dio
e la guerra. O l’uno o l’altra. Lei ed i suoi cappellani, purtroppo, a causa
del doppio status di pastori e militari, mi sembra che di fatto stiate
confondendo due realtà inconciliabili. E’ ora, invece, di dire la verità a
quei giovani i quali, pur di sfuggire alla disoccupazione nella quale
vengono mantenuti da uno Stato incapace, si affacciano all’idea di entrare
nelle forze armate: la loro attività non avrà nulla a che vedere con la vera
pace, e l’orrore delle armi e della violenza -falsificato da chi è
interessato al grande affare della guerra- sarà il loro pane quotidiano.

Concludo ritornando al punto di partenza: papa Giovanni XXIII. E’ pur vero
che in gioventù egli ha conosciuto la vita militare e la guerra, ed è stato
cappellano militare, ma ciò non basta, a mio avviso, a giustificare la
scelta di farne il Patrono dell’Esercito! Al contrario, voglio immaginare
che proprio il raccapriccio in diretta di tante inutili stragi lo abbia
portato poi, decenni dopo, a promulgare quella lettera enciclica, la Pacem
in Terris, che ancora oggi è un canto di pace inascoltato. E’ proprio lì che
si legge –i cappellani militari dovrebbero insegnarlo nelle loro omelie e
catechesi- che “Quare aetate hac nostra, quae vi atomica gloriatur, alienum
est a ratione, bellum iam aptum esse ad violata iura sarcienda”. Nell’era
atomica, ritenere che la guerra possa ristabilire i diritti violati alienum
est a ratione, è cosa estranea alla ragione. Follia pura. La difesa
nonviolenta, civile e disarmata, è molto più sensata e coraggiosa di quella
militare armata; essa sta dando concretezza agli aneliti di libertà e
riconciliazione ai quattro angoli del mondo, nonostante una cortina di
silenzio gravi su di essa. In Italia la legge 230 del 1998 (art. 8) impegna
lo Stato ad attuare “forme di ricerca e di sperimentazione di difesa civile
non armata e nonviolenta”: perché i cappellani militari non chiedono a gran
voce che cessino le scandalose spese per le armi e si diano ad essa rilievo
e risorse? Questo grido sì che si porrebbe sulla scia di Colui che, senza
ambiguità, disse a Pietro che voleva difenderlo: “Rimetti la spada nel
fodero!” (Gv 18,11).

E’ ora che la "Chiesa militare” chiuda i battenti e si spalanchino le porte
della "Chiesa nonviolenta”, da annunciare  a tutti. Militari compresi.

Con un abbraccio fraterno e sincero ed un vivo ringraziamento per
l'attenzione.



Napoli, 26 ottobre 2011

Antonio Lombardi

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