Sul razzismo diffuso e di governo



Sul razzismo diffuso e di governo

18 luglio 2009

 

Per dovere personale di coscienza - e anche ritenendo di interpretare gli amici con cui lavoro solitamente ( p. es. www.ilfoglio.info e altri gruppi di impegno e di studio) – diffondo, tra tanti testi esemplari, due articoli: uno di Livio Pepino, magistrato e studioso autorevole, l’altro di Toni Ferigo, sindacalista esperto di immigrazione.

Sono stati scritti entrambi prima della promulgazione, da parte del Presidente Napolitano, con grave eccezionale riserva costituzionale, della legge detta “pacchetto sicurezza”. Ma sono documenti che denunciano con chiarezza gli sciagurati effetti giuridici del razzismo che infetta lo strato più corrotto e involgarito del nostro popolo, attivamente ubriacato di ignoranza e di egoismo; razzismo che viene esibito e praticato da vari elementi del governo in carica, e passivamente seguito da altri. Anche se quelli della citata legge fossero provvedimenti inefficaci e soltanto demagogici, sarebbero incivili e detestabili.

Leggi che rendono inferiori alcune persone sono leggi contro tutta l’umanità.

Questo governo degrada l’Italia, raccoglie i frutti dell’attiva corruzione popolare compiuta con i media bassamente commerciali e corrivi, e svende ogni valore civile e umano in cambio di potere privato. Grande è la responsabilità delle forze morali, in primo luogo la chiesa cattolica, per avere spesso trescato con questa invasione mercantile della politica.

Oggi la sinistra è di fatto extra-parlamentare, e la maggioranza di governo è extra-costituzionale.

Infatti, il costituzionalismo è, nella sua essenza, limitazione e bilanciamento dei poteri, nessuno dei quali può essere illimitato, accumulato, predominate, a servizio di se stesso, elusivo delle regole, contrario agli universali diritti umani.

Per questi motivi, da tempo abbiamo indicato la illegittimità costituzionale del berlusconismo, se la Costituzione non è solo uno strumento formale manipolabile, ma una linea storicamente obbligatoria di civiltà politica. Da Tocqueville a Rosmini, alle più alte voci contemporanee, è stato segnalato che non c’è solo il dispotismo dei tiranni, ma anche la dittatura delle maggioranze, possibile anche in parlamenti eletti democraticamente, dispotismo rivestito di apparente legalità.

È necessario che ogni cittadino di coscienza e intelligenza, e ogni luogo di riflessione e mezzo di comunicazione, insorgano moralmente e politicamente per salvare e affermare la civiltà costituzionale.

Occorre in Italia una resistenza costituzionale; occorre la disobbedienza civile alle leggi razziali, disobbedienza personale e organizzata, con la forza della nonviolenza; occorre l’opposizione politica consapevole e unitaria di una “coalizione costituzionale”, che faccia estremo appello alla coscienza civile e umana del nostro popolo e della comunità dei popoli.

Saranno capaci le culture democratiche di salvare il Paese dall’assalto della mentalità disumana, della barbarie del potere senza regole, nemico dei deboli e bisognosi?

Nelle piccole possibilità dei nostri mezzi, intendiamo fare la nostra parte di dovere, sia di accusa e denuncia, sia soprattutto di costruzione culturale e morale di ciò che ci fa umani, nella convivenza giusta.

Enrico Peyretti, Torino

 

(Due articoli allegati)

 

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Inferiori per legge

di Livio Pepino, in “il manifesto”, 4 luglio 2009, www.ilmanifesto.it 

 

(da Newsletter A bassa voce - Anno III n. 24 - info at abassavoce.info   www.abassavoce.info)

 

L'ennesimo «pacchetto» sulla sicurezza è, dunque, legge. Gli ingredienti sono quelli di sempre: nuovi reati, inasprimenti di pena (ovviamente solo per alcuni, come i graffitari destinatari di un trattamento per certi aspetti più grave di quello riservato a corrotti e corruttori), accentramento e gerarchizzazione degli uffici giudiziari (con attribuzione al Tribunale di sorveglianza di Roma del controllo sulla applicazione dell'art. 41 bis) e via elencando sulla strada della costruzione di un «codice dei briganti» contrapposto a quello dei «galantuomini».


Ma questa volta c'è di più. C'è da un lato, l'istituzione delle «ronde» (senza neppure le cautele minime di limitazioni e controlli tesi a impedire la costituzione di associazioni gerarchizzate composte da persone condannate per reati di violenza o per il compimento di atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi) e dall'altro una ulteriore escalation della normativa contro i migranti.

Un decennio di proibizionismo non ha impedito né limitato l'immigrazione. Semplicemente - come era ovvio - ha aumentato a dismisura le situazioni di irregolarità. Il «braccio armato» per fronteggiare (o fingere di fronteggiare) tale situazione è stato, all'inizio, il meccanismo delle espulsioni rafforzato dal trattenimento di una quota di irregolari nei Cpt. Ma anche questo non è bastato, non poteva bastare. Così viene ora messo in campo l'armamentario del diritto penale: non contro il migrante che delinque ma contro il migrante in quanto tale. Con l'introduzione del reato di «immigrazione irregolare», infatti, è il migrante che diventa reato.

Inutile minimizzare con il rilievo che il reato prevede come sanzione la sola ammenda, quasi si trattasse di un semplice proclama. La nuova fattispecie è, infatti, il tassello centrale di un mosaico inquietante. In particolare: a) il reato si aggiunge alla detenzione amministrativa nei Cpt (modificati solo nel nome), confermata e dilatata nel tempo fino a un massimo di sei mesi; b) l'esistenza del reato vale a legittimare, a fronte degli altrimenti evidenti profili di incostituzionalità, la cosiddetta aggravante della irregolarità, introdotta con la legge n. 125/2008, in forza della quale ove un reato sia commesso da uno straniero privo di titolo di soggiorno la pena è aumentata di un terzo (con conseguente significativo aumento del carcere per la sola condizione di "irregolarità"); c) la criminalizzazione dello status di irregolare porta con sé conseguenze gravissime per la vita del migrante privo di titolo di soggiorno, tra cui la assoluta impossibilità di sanare la propria posizione anche in caso di sopravvenienza delle condizioni che astrattamente lo consentirebbero, la sostanziale preclusione all'accesso in concreto ad alcuni servizi pubblici essenziali (anche in tema di sanità) dato l'obbligo di denuncia gravante sul pubblico ufficiale che tali servizi deve rendere, l'impossibilità di contrarre matrimonio e, addirittura, di riconoscere i figli essendo richiesta, per il compimento di tali atti, l'esibizione all'ufficio dello stato civile del titolo di soggiorno.

Dunque, non solo reato di immigrazione clandestina ma sistema teso a realizzare una condizione permanente di inferiorità del migrante irregolare: considerato ad ogni effetto «un delinquente», assoggettabile ad libitum a detenzione amministrativa per mesi, privato della possibilità di regolarizzare la propria posizione, espropriato di alcuni diritti fondamentali (che, come tali, competono a tutti e non ai soli cittadini). Così si porta a compimento il disegno di considerare il migrante un nemico da cacciare e, ove ciò non sia possibile (sappiamo tutti - e il governo per primo - che l'immigrazione non si cancella con le espulsioni...), un cittadino inferiore, titolare di diritti dimezzati. Inutile dire che entrambi i profili hanno ricadute drammatiche sul sistema complessivo. Anzitutto, considerare il migrante come nemico ha un effetto devastante, descritto in maniera icastica da Primo Levi in «Se questo è un uomo»: «a molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che ogni straniero è nemico. Quando questo avviene, allora, al termine della catena sta il lager...». In secondo luogo, la inferiorizzazione del migrante comporta una grave torsione del sistema democratico e delle regole della convivenza. La modernità ha come segno caratterizzante, nel diritto, l'uguaglianza dei cittadini mentre la nuova condizione giuridica dello straniero ci riporta a situazioni premoderne caratterizzate da un doppio livello di cittadinanza, come quella dell'antica Atene in cui la piena partecipazione dei cittadini era assicurata dalla mancanza di diritti dei meteci.

Se così è non basta considerare l'approvazione della legge una semplice battaglia perduta.

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Il reato di clandestinità
di Toni Ferigo  (responsabile dell'Area immigrazione, Cisl) 8 luglio 2009
 
Ingiusto perché: gli irregolari presenti in Italia quando sono entrati non hanno commesso alcun reato e però, una volta qui, non possono regolarizzarsi. Infatti, anche trovando un lavoro, quest'ultimo non può che essere "in nero". In assenza di una "sanatoria", gli irregolari non possono uscire dalla condizione di clandestinità.
In anni passati si usavano i "decreti flussi" decisi ogni anno; ciò permetteva di regolarizzare coloro i cui datori di lavoro desideravano mettere in regola dopo averli "provati" in nero. In altre parole, si faceva finta che un datore di lavoro volesse assumere una persona chiamandola dal suo Paese di origine, anche se in realtà da anni si trovava in Italia dove lavorava  in nero. Con la Bossi-Fini si era anche abolita la possibilità di "invitare con garanzia" (attraverso lo sponsor) un cittadino straniero. Insomma, oggi in Italia si entra regolarmente solo se un datore di lavoro si impegna ad assumere uno sconosciuto....
Da quasi due anni il governo non emana decreti flussi, le domande presentate nel 2007 devono ancora ottenere risposta. Ecco come si è fatto aumentare il fenomeno della clandestinità.

Inutile perché: trovato un clandestino si dovrebbe fare un processo davanti al giudice di Pace, si dovrebbe far pagare una multa, si dovrebbe trattenere il clandestino in un Centro e poi accompagnarlo nel suo Paese. Gli irregolari in Italia sono circa un milione, moltissimi sono noti alle forze dell'ordine, ne fermeranno 100, 200 mila? Quante multe saranno davvero pagate? Quanti processi (esame di incostituzionalità)? Quanti posti da creare nei Centri di espulsione?

Intollerabile perché: un effetto il provvedimento lo produrrà. Farà paura soprattutto ai clandestini onesti. Saranno questi infatti a rischiare la perdita di servizi anche minimi che oggi comunque hanno, per la salute, per la scuola dei figli, la possibilità di movimento senza paura. Se lavorano per datori di lavoro senza scrupoli saranno più ricattabili. Lo stesso per proprietari di casa. Insomma, saranno i più deboli e onesti a rischiare e pagare di più.

Pericoloso perché: il rischio è che i clandestini si nascondano sempre di più e che nascano organizzazioni di servizi clandestini per la sanità, per la scuola, per la sicurezza; e che in queste organizzazioni (già esistenti in qualche comunità straniera) si infili la malavita. Certamente queste norme del "pacchetto sicurezza" regalano un milione di potenziali clienti a servizi privati. Le mafie ringraziano!

Dannoso perché: diffonde la falsa idea che gli immigrati irregolari siano pericolosi, da cui difendersi e di cui diffidare; fra gli immigrati semina paura e diffidenza, la sensazione di essere malvisti e addirittura odiati. Insomma, si genera un clima di reciproco sospetto che produrrà solo cattivi frutti.

Ma chi è il clandestino?
E' una persona che nella stragrande maggioranza dei casi è venuto in Europa per lavorare onestamente, che ha cercato e cerca di regolarizzarsi, ma non riesce a farlo perché le nostre leggi non glielo permettono. La sua massima aspirazione è proprio quella di essere in regola, poter camminare per strada senza paura di essere fermato, di poter portare qui la famiglia, oppure di poter tornare al Paese con qualche risparmio per lavorare e vivere nella sua terra. E' uno che sta male ogni volta che sente che un connazionale ha combinato un reato, un delitto. Ha paura che pensiamo male di lui. Non ha molti amici, spesso si sente osservato, guardato male, con diffidenza, ha paura di essere giudicato male.

Perché fermare gli sbarchi a Lampedusa?
Ogni anno (da vent'anni) entrano in Italia almeno 100 mila immigrati. Negli ultimi anni sono quasi tutti clandestini (esclusi i pochi ricongiungimenti familiari). A Lampedusa ne arrivano poche migliaia, gli altri entrano dalle frontiere di terra (da Ventimiglia a Trieste) o di cielo (aereoporti), o di altri mari (nascosti in camion su traghetti).
Alcuni entrano con visto (che lasceranno scadere diventando irregolari) o senza visto.
Lampedusa è una goccia.
Lampedusa è il posto di arrivo dei più disperati che scappano da guerre e persecuzioni (Somalia, Eritrea, Etiopia, Darfur, Sudan).
Lampedusa non è certo il posto di arrivo di malintenzionati desiderosi di vivere di crimine.
Lampedusa però è il posto ideale per far vedere i muscoli (loro sono deboli e indifesi), per far credere che ci invadano (arrivano a centinaia e si vedono) per far credere che è lì che si ferma l'entrata di clandestini (anche se la maggioranza che entra non passa da Lampedusa e non si vede)

Ma hanno tutti diritto d'asilo?
Certamente no, ma se non si consente loro nemmeno di chiederlo e raccontare la loro storia, non si saprà chi si respinge. Gli ultimi respingimenti sono avvenuti esattamente così.

Ma un Paese avrà ben il diritto di respingere...
Un conto è respingere uno che viene dalla Svizzera, o dal Marocco, o dal Senegal, una cosa completamente diversa è respingere chi viene dal Darfur, dalla Somalia, dall'Iran, dall'Afghanistan. Chi scappa da guerre e persecuzioni non può essere respinto. Un conto è rimandare un iraniano in Svizzera o in Francia, un altro è rimandarlo in Iran o in Libia.
Secondo la convenzione di Ginevra, accettata dall'Italia, il Paese che respinge deve accertarsi che la persona respinta non corra rischi per la sua vita e i suoi diritti umani a causa del respingimento: questo principio è stato violato dal nostro governo.

Ma dietro gli sbarchi ci sono organizzazioni criminali
Certo, ma il modo di combatterle non è quello di rimandare chi fugge nelle loro braccia. Chi fugge può essere un prezioso collaboratore, una persona che dà notizie su percorsi, luoghi dove si incontrano le organizzazioni criminali, modi, tariffe, complicità, ecc. Se davvero si vogliono combattere le organizzazioni della tratta occorre allearsi con le vittime e non punirle a nostra volta.

Toni Ferigo
 

 

Allegato Rimosso