Newsletter Sopralluoghi in Palestina N.8



-------- Messaggio Originale  --------
Da: Assopace Jerusalem <jerusalem at assopace.org>

A seguire e in allegato la Newsletter n.8 di "Sopralluoghi in Palestina"


*NEWS n.8
...tutte le notizie da Israele e Palestina della settimana*

*Notizie in breve...*

   1. L'inviato USA in Medio Oriente George Mithell, ha incontrato
      venerdì il Presidente Palestinese Mahmud Abbas. Giovedì ha invece
      incontrato  il Primo Ministro Israeliano Netanyahu, dichiarando
      nel corso dell'incontro la volontà di vedere al più presto la
      creazione di uno Stato palestinese. Da parte sua Netanyahu ha
      affermato che "I palestinesi dovranno prima riconoscere Israele in
      quanto Stato ebraico, come condizione base per andare avanti con i
      negoziati di pace". (fonte Haaretz).
   2. A causa delle festività ebraiche, le autorità israeliane mercoledì
      scorso hanno chiuso i tre passaggi della Striscia di Gaza, che
      erano stati aperti martedì per permettere l'ingresso di 80 camion
      di aiuti umanitari per conto dell'agenzia delle Nazioni Unite -
      UNRWA e di altre organizzazioni internazionali, più altri carichi
      destinati a privati. Ciò aveva permesso l'arrivo di un
      approvvigionamento alimentare minimo di alcuni beni di consumo e
      di granaglie. Prosegue ancora il blocco terrestre, navale e aereo
      israeliano, che dal giugno 2007 ha fatto crollare l'economia e
      intrappolato un milione e mezzo di palestinesi. (Fonte Infopal).
      Il valico di Rafah sarà aperto sabato e domenica 25 e 26 per
      consentire il passaggio di pazienti, studenti e palestinesi con
      permessi di residenza all'estero. (fonti agenzie palestinesi e
      israeliane).
   3. Nel territorio Palestinese si sono svolte venerdì diverse attività
      per ricordare la Giornata dei Prigionieri palestinesi (fonte
      Alquds); sia in West Bank che e nella Striscia di Gaza si sono
      radunati centinaia di manifestanti  per chiedere la fine delle
      sofferenze dei prigionieri palestinesi, che attualmente nelle
      prigioni israeliane ammontano a 9200, includendo 58 donne e 400
      minori (fonte Al-Ayyam).

*Segnalazioni...*
Dal 22 al 24 Aprile a Bi'lin, villaggio vicino a Ramallah (Cisgiordania)
avrà luogo la quarta conferenza dei movimenti di resistenza popolare non
violenta.  Bi'lin è diventato il simbolo sia del furto di terra in
Palestina che del potere dei movimenti non violenti della società
civile, in un processo di costruzione di una resistenza locale e
internazionale contro l'occupazione.
Gli obiettivi della conferenza sono:
1. Mostrare agli internazionali esempi di vita quotidiana delle
battaglie e delle sofferenze dei Palestinesi
2. Ampliare il movimento di resistenza popolare non violenta
3. Rafforzare le relazioni con i movimenti di solidarietà internazionale
e individuare nuove strade per sostenere la resistenza popolare
_ _
_Alcune informazioni:_
QUANDO: 22-24 Aprile 2009
DOVE: Villaggio di Bi'lin, Palestina
COSTI: Costo per l'alloggio, 20 euro per ogni notte + 30 euro per i
costi di registrazione alla conferenza
PER ISCRIVERSI E PARTECIPARE:
http://www.bilin-village.org/english/conferences/conference2009/Fourth-Bilin-conference-on-grassroots-popular-resistance-in-April
*
ARTICOLI*
_Dal mondo..._

*"Gaza -- Aumento della violenza contro le donne"*
(Fonte UNIFEM)

http://www.irinnews.org/Report.aspx?ReportId=83614

I/ Territori palestinesi occupati (TPO): l'ONU segue la traccia
dell'aumento della violenza contro le donne a Gaza/

GAZA-City, 24 marzo 2009 (IRIN) -- Il Fondo di sviluppo dell'ONU per le
donne (UNIFEM) a Gaza, ONG locali e  operatori sanitari riportano un
numero crescente di incidenti di violenza domestica e di attacchi
sessuali contro donne a Gaza dall'inizio del 2009.
Un'inchiesta non pubblicata dell'UNIFEM presso capifamiglia, uomini e
donne, di 1.100 nuclei familiari a Gaza, condotta tra il 23 febbraio e
il 3 marzo indica un aumento della violenza contro le donne durante e
dopo i 23 giorni della guerra terminata il 18 gennaio.
«Secondo la nostra équipe e in base a osservazioni cliniche, c'è stato
un aumento della violenza contro le donne e i bambini durante e dopo la
guerra», ha detto il coordinatore delle relazioni pubbliche per il
Programma di salute mentale comunitario di Gaza (GCMHP), Husam al-Nunu.
«Si può attribuirlo al fatto che la maggior parte delle persone è stata
esposta a eventi traumatizzanti durante la guerra, e un modo per le
persone di reagire allo stress è diventare violenti».
Il GCMHP, che dirige 6 cliniche e segue +/- 2.000 pazienti di salute
mentale all'anno, ha effettuato una valutazione nel dopoguerra
intervistando +/- 3.500 abitanti di Gaza, ha detto al-Nunu. «Questa
guerra è stata estremamente dura, le persone si sentivano in pericolo,
vulnerabili e incapaci di proteggere se stesse, i loro figli e le loro
famiglie; quando le persone erano intrappolate a casa, lo stress e
l'ansietà aumentavano» ha detto al-Nunu.
*
Testimonianze*
Sahar (che non ha voluto che si scrivesse il suo cognome), 36 anni, ha
divorziato da suo marito in febbraio a causa delle violenze fisiche e
psicologiche che ha subito prima e durante la guerra.
«Mi picchiava duramente e io fuggivo in strada» ha detto Sahar. Mi
obbligava ad avere rapporti sessuali contro la mia volontà». Sahar porta
la figlia di due anni al Centro palestinese per la Democrazia e la
Risoluzione dei conflitti per ricevere le visite del padre. Il tribunale
ha ordinato delle visite sotto controllo dopo che l'ex-marito di Sahar
con i suoi fratelli hanno tentato di rapirle la bimba con la forza.
«Prima della guerra, il Centro faceva un servizio di visite controllate
per 30 famiglie, ma ora, lo fa per 60 famiglie» ha detto Bakr Turkmani,
un avvocato del centro. «Il numero di casi di divorzi e separazioni è
aumentato significativamente dopo la guerra, e la violenza domestica ha
un ruolo in questo aumento».
«Mio marito mi picchia e mi insulta» ha detto un'altra vittima di
violenza domestica di Gaza-city, che ha preferito restare anonima.
Divorziata da poco, anche lei porta, ogni settimana, il figlio di 9 mesi
al centro per un incontro controllato con il padre.
«Se io non accompagno le vittime al commissariato di polizia, le loro
denunce di violenza non sono accettate» ha detto Turkmani.
*
Centro dei diritti umani*
Direttrice dell'unità femminile dell'importante organizzazione
palestinese dei diritti umani, il Centro palestinese per i diritti umani
(PCHR), Muna As-Shawa, ha detto che il centro era a conoscenza di un
aumento della violenza domestica e di attacchi sessuali durante e dopo
le ostilità. L'unità ha seguito più di 600 donne. «Durante e dopo la
guerra, le donne hanno lottato per svolgere il loro ruolo materno, e per
prendersi cura dei loro figli senza elettricità e senza acqua durante
gli attacchi» ha detto Muna As-Shawa, e se il marito era morto, a volta
il suocero prendeva l'eredità e tentava di prendere la custodia dei
figli».  Il PCHR fornisce assistenza legale alle vedove. Il Centro degli
Affari femminili (WAC) a Gaza ha detto di aver organizzato incontri con
200 donne a Gaza dopo la guerra.
«Molte donne che non avevano mai subito violenza in casa, sono state
picchiate durante la guerra» ha raccontato a IRIN la direttrice del WAC,
Amal Siam. Decine di donne che hanno perduto il marito sono venute al
WAC per cercare aiuto dopo che i loro suoceri avevano tentato di
prendere la custodia dei loro figli, ha detto Siam, aggiungendo che
durante le ostilità, c'è stato un aumento dei casi di divorzio. Secondo
l'UNIFEM, i risultati della prima valutazione inter-agenzie dell'ONU sui
bisogni di genere è prevista per maggio.

_Dall'Italia..._
*Articolo del Manifesto del 9 aprile 2009
"Un lungo cammino verso la pace"
di Daphna Golan **

/L'appello dall'Università ebraica di Gerusalemme: anche durante i
massacri di Gaza, abbiamo continuato a far finta di niente. Una tregua
non basta più: come per il Sudafrica, è necessaria una Commissione per
la verità che aiuti ebrei e arabi a vivere assieme. Ma prima il mondo
dovrà smettere di venderci armi e, se non rispetteremo i diritti degli
arabi, isolare i nostri cantanti, sportivi e turisti/

In lingua ebraica «va' a Gaza» è un modo di dire comune, sinonimo di
«va' all'inferno».
Quasi nessun israeliano ha mai vissuto nella Striscia, mentre molti
palestinesi di Gaza vivono in campi profughi e Israele lì controlla
ancora la vita di 1,5 milioni di arabi anche in seguito al «disimpegno»,
dopo che nell'estate 2005 i coloni furono costretti a lasciare i loro
insediamenti. La maggior parte degli israeliani è stata a favore della
guerra contro Gaza anche se non è mai stato chiaro quali fossero gli
obiettivi della guerra - nonostante i media ripetevano che c'era «una
quantità d'obiettivi» - quale il suo scopo finale e perché non fossero
state intraprese strade alternative ai bombardamenti. La maggior parte
degli israeliani semplicemente sosteneva: «Non possiamo continuare a non
fare nulla mentre Hamas tira razzi nel sud d'Israele». Anch'io ero
d'accordo che bisognasse fare qualcosa per fermare il lancio di Qassam
contro Sderot e Beersheva. Ma perché, invece di dialogare con la gente
di Gaza - inclusa la leadership di Hamas - abbiamo sparato e bombardato?
Nelle giornate di protesta contro l'attacco più devastante a cui abbia
mai assistito ho continuato a chiedermi: come è possibile? Come è
possibile che la maggior parte degli israeliani appoggi questa guerra
dannosa e stupida? Come possiamo vivere quest'incubo senza immaginare
come fermarlo? Perché i figli dei miei amici stanno partecipando a
questa guerra malvagia? Come possiamo continuare normalmente la nostra
vita quotidiana in mezzo a tutto questo? Penso che all'origine di tutto
ciò ci sia una combinazione - condivisa dalla maggioranza degli
israeliani - di paura, pregiudizio e mancanza di speranze e futuro. A
Gerusalemme abbiamo continuato a insegnare, come sempre. Al sicuro, a
poche decine di chilometri dall'area di guerra. Insegno diritti umani e
i miei studenti sono sia arabi sia ebrei. Israeliani e palestinesi,
religiosi e laici, erano tutti depressi, spaventati e arrabbiati. Ma
abbiamo continuato a lavorare, come sempre. Ormai siamo così abituati
alle guerre che non ci siamo fermati nemmeno in questo caso. Ma ora io
vi prego di fermarci. Nella prima settimana del conflitto avevo
pubblicato un intervento sul quotidiano Ha'aretz proponendo uno sciopero
dei campus finché la guerra non fosse finita. Ho ricevuto lettere da
università della California e della Gran Bretagna che ci proponevano
scioperi di solidarietà, ma qui a Gerusalemme soltanto quattro membri
dell'Università hanno aderito allo sciopero di un'ora che stavamo
organizzando e, alla fine, nemmeno questa protesta ha avuto luogo.
Sono un'ebrea israeliana, nata e cresciuta in Israele. Avevo dieci anni
quando scoppiò la Guerra dei sei giorni, 16 quando iniziò il conflitto
dello Yom Kippur. Durante la prima guerra del Libano ero una studentessa
e ho conosciuto l'uomo che sarebbe diventato mio marito. Mia figlia è
nata pochi mesi prima che, nel 1987, scoppiasse la prima Intifada e, nel
1991, ogni volta che l'allarme suonava ci rifugiavamo con lei e il suo
fratellino in una tenda di plastica a prova di armi chimiche. I miei
figli sono cresciuti a Gerusalemme negli anni degli attentati suicidi e
delle esplosioni sugli autobus. Accompagnarli a scuola rappresentava
ogni giorno un viaggio spaventoso. Abbiamo continuato la vita di sempre
durante la seconda guerra del Libano nel 2006 - mentre decine di
operazioni militari causavano enormi distruzioni - perché durante tutti
questi anni ci hanno raccontato che non abbiamo scelta, che Israele
vuole la pace ma non ha un partner con cui siglarla e che quindi
dovevamo andare avanti, tenendo alto il morale. Ma ora dico che dobbiamo
essere fermati, che non possiamo andare più avanti così. Nessun'arma
deve più essere data a Israele per iniziare altre guerre. E se i
cantanti israeliani vogliono gareggiare in Eurovisione, gli sportivi
giocare nelle leghe europee e i turisti spostarsi da un paese all'altro
dell'Unione europea senza bisogno di visto, devono rispettare i diritti
di tutti, porre fine all'occupazione militare nei confronti dei
palestinesi che va avanti da 42 anni, smettere di fare la guerra e
trovare nuovi modi di negoziare il nostro futuro assieme ai palestinesi.
Perché nei colloqui di pace - tutti falliti finora - si è sempre
discusso di dove tracciare i confini, come separare i popoli, mai di
come ebrei e arabi vivranno assieme. La Commissione per la verità e la
riconciliazione sudafricana dovrebbe essere assunta come modello per
permettere a ebrei e arabi, a palestinesi e israeliani di smettere di
sparare e onorare la memoria dei propri cari morti nel conflitto.
Piangere i caduti, curare le ferite, ammettere le sofferenze inflitte a
un popolo innocente, discutere del passato e sognare assieme un futuro
condiviso. Le guerre contro Gaza non saranno fermate finché non sarà
riconosciuto che la Striscia di Gaza è stata creata da Israele. Durante
il conflitto del 1948, che i palestinesi chiamano Nakba (catastrofe) e
gli israeliani Guerra d'indipendenza, centinaia di migliaia di
palestinesi furono deportati o scapparono dalle loro case e non fu più
permesso loro di farvi rientro. Le loro terre furono confiscate e la
maggior parte dei loro villaggi distrutti e ripopolati da ebrei nel
momento della nascita dello Stato d'Israele. Molti dei rifugiati
scapparono proprio a Gaza e alcuni di loro hanno abitato in campi
profughi negli ultimi 60 anni. Per i primi 19 hanno vissuto sotto
occupazione egiziana e, da quel momento in poi, per oltre 40 anni, sotto
occupazione militare israeliana. I profughi palestinesi, che
rappresentano la maggioranza della popolazione di Gaza, sognano di
tornare ai loro villaggi e alle loro terre in Israele, ma Israele non
vuole nemmeno ascoltare i loro desideri, perché Israele rifiuta
qualsiasi discussione sul passato. Un cessate il fuoco è necessario, ma
lo è, allo stesso modo, un percorso di discussione sul nostro passato e
sul nostro futuro. E questa trattativa dovrebbe aver luogo tra il
maggior numero di parti possibile tra quelle che hanno dato vita a
questo conflitto. Dovremmo discutere della fine dell'occupazione
militare a Gaza e in Cisgiordania, del futuro dei profughi e della
condivisione di Gerusalemme. Dovremmo discutere di come vivere assieme
secondo giustizia, ebrei e arabi, in Medio Oriente. Spero che non sia
ormai troppo tardi. Forse ci vorranno molti anni prima che le ferite si
rimarginino ma, col vostro aiuto, col vostro rifiuto di appoggiare la
guerra, possiamo trovare la via della riconciliazione. Spero di poter
continuare a insegnare a studenti ebrei e arabi che quella dei diritti
umani non è una lingua straniera, estranea alla nostra realtà e che il
loro sarà un futuro di pace e non più di guerre. Per favore, aiutateci a
fermare la guerra e costruire la strada per un futuro di giustizia.

/*Daphna Golan insegna diritti umani all'Università ebraica di
Gerusalemme ed è autrice di «Next year in Jerusalem-Everyday life in a
divided city» (New press)
/
_Da Israele..._
*"Il boss è Lieberman"
di Uri Avnery

*
«Si vis pacem, para bellum -- se vuoi la pace, prepara la guerra» ha
dichiarato il nuovo ministro degli esteri israeliano Avigdor Lieberman.
Quando un diplomatico cita questa massima latina, il mondo non presta
attenzione alla prima parte,ma solo alla seconda. Provenendo dalla bocca
del già tristemente famoso Lieberman, la frase era chiaramente
unaminaccia: il nuovo governo sta imboccando un percorso di guerra, non
di pace. Con queste parole Lieberman ha negato il discorso di Netanyahu
(che aveva affermato di volere la pace coi palestinesi) e ha conquistato
i titoli di tutto il mondo.Ha confermato le peggiori preoccupazioni
legate alla nascita di questo esecutivo. Non contento di citare i
latini, egli ha spiegato specificamente il motivo per cui ha usato
questa massima. Le concessioni, ha detto, non portano la pace, ma
piuttosto il suo contrario. Il mondo ha rispettato e ammirato Israele
quando ha vinto la guerra dei sei giorni. Due ragionamenti falsati in
una sola frase. Restituire i territori occupati non è una «concessione».
Quando un ladro è obbligato a restituire una proprietà rubata, o quando
una persona sgombera un appartamento che non le appartiene dopo averlo
occupato abusivamente, questa non è una «concessione ». E l'ammirazione
per Israele nel 1967 proveniva da un mondo che ci vedeva come un paese
piccolo e coraggioso, un paese che aveva resistito a eserciti potenti
decisi a distruggerci.Ma oggi Israele appare come un brutale Golia,
mentre i palestinesi sotto occupazione sono visti come un Davide con la
sua fionda, che combatte per la propria vita. Con questo discorso,
Lieberman è riuscito ad attirare l'attenzione del mondo, maancor più è
riuscito a umiliare Netanyahu. Ha dimostrato che le dichiarazioni
pacifiche del nuovo primo ministro non erano altro che bolle di sapone.
Tuttavia ilmondo vuole essere ingannato. Un portavoce della Casa Bianca
ha annunciato che per quanto riguarda l'amministrazione americana, è il
bla-bla-bla di Netanyahu che conta, e non il linguaggio diretto di
Lieberman. EHillary Clinton non si è vergognata di chiamare Lieberman
per fargli le congratulazioni nel giorno dell'insediamento. Questa è
stata la prima prova di forza dentro il triangolo Netanyahu-Lieberman-
Barak. Lieberman ha dimostrato il suo disprezzo sia per Netanyahu che
per Barak. La sua base politica è salda, perché lui è l'unica persona
che può far cadere il governo in qualunque momento. Dopo il dibattito
della Knesset sul nuovo governo, solo 69 membri hanno votato a favore.
Se aggiungiamo i cinque membri laburisti che «erano presenti ma non
hanno partecipato al voto» (un espediente meno negativo
dell'astensione), il governo ha 74 voti. Ciò significa: senza i 15
membri di Lieberman, il governo non ha la maggioranza. Col suo discorso
Lieberman ha detto a Netanyahu: Se pensi di chiudermi la bocca,
scordatelo. Di fatto, ha puntato una pistola alla testa diNetanyahu --
in questo caso, potrebbe essere una Luger Parabellum tedesca, una
pistola il cui nome deriva dal motto latino. La portata della
sfrontatezza di Liebermanè risultata evidente solo un'ora più tardi. Dal
ministero degli Esteri, egli è corso a un'altra cerimonia per il
passaggio delle consegne tra iministri, questa volta al ministero per la
Sicurezza interna. Che cosa doveva fare lì? Niente. È estremamente
inusuale che unministro partecipi alla cerimonia in un altro ministero.
È vero, il nuovo ministro della sicurezza interna, Yitzhak Aharonovitch,
appartiene al partito di Lieberman,ma questo non è rilevante. L'enigma è
stato svelato il giorno dopo, quando il neo-insediato ministro degli
Esteri ha trascorso sette ore in una stanza degli interrogatori della
polizia, rispondendo a domande su sospetta corruzione, riciclaggio di
denaro sporco e simili, in relazione a ingenti somme di denaro che sono
state trasferite dall'estero a una società appartenente alla sua figlia
23enne. Sarebbe difficile vedere la sua apparizione alla cerimonia del
ministero della polizia come qualcosa di diverso da una minaccia cruda e
sfacciata contro coloro che avrebbero dovuto interrogarlo il mattino
dopo. La sua presenza equivaleva a dichiarare sono io l'uomo che ha
nominato ilministro che ora decide di ciascuna delle vostre carriere,
che decide se dovete essere promossi o se la vostra carriera deve
finire. E lo stesso messaggio è andato ai giudici: ho nominato io il
nuovoministro della Giustizia, e sarò io a decidere sulla promozione di
tutti voi. Tutto questo mi ricorda un ricevimento diplomatico presso
l'ambasciata egiziana, esattamente 10 anni fa. Lì incontrai lamaggior
parte dei membri del nuovo governo che era stato appena varato da Ehud
Barak. Erano tutti depressi. Barak aveva fatto una cosa al limite del
sadismo: aveva nominato ogni ministro al posto meno adatto. Il professor
Shlomo Ben-Ami, una persona gentile ed educata, era stato nominato
ministro della Sicurezza interna (e in quell'incarico fallì miseramente
durante i disordini dell'ottobre 2000, quando non riuscì a impedire che
la sua polizia uccidesse una dozzina di cittadini arabi). Yossi Beilin,
un diplomatico dalla mente molto fertile, candidato naturale per il
ministero degli Esteri, fu nominato ministro della giustizia. E così
via. In privato, tutti espressero la loro amarezza nei confronti di
Barak. Ora Netanyahu ha battuto Barak. La nomina di Lieberman come
ministro degli esteri sconfina nella perversione. La nomina di Yuval
Steinitz, professore di filosofia e amico personale della moglie di
Netanyahu, Sarah, un uomo privo di qualunque esperienza in campo
economico, comeMinistro del Tesoro, all'acme della crisi finanziaria
mondiale, oltrepassa il limite dell'assurdo. La nomina del numero 2 del
Likud, Silvan Shalom, a due nuovi incarichiministeriali ha fatto di lui
un nemico mortale. Creando una lunga lista di ministeri, tanto nuovi
quanto vuoti, solo per distribuire poltrone ai suoi sodali, ha
trasformato il governo in una barzelletta («un ministro per la posta in
entrata e un ministro per la posta in uscita»). Ma un governo non è una
barzelletta. E Lieberman non è una barzelletta. Tutt'altro. Già al suo
primo giorno ha chiarito che lui -- lui e nonNetanyahu o Barak --
deciderà lo stile del nuovo governo. Eglimanterrà in vita questo governo
finché gli converrà, e lo farà cadere nel momento in cui sentirà di
poter conquistare il potere assoluto andando a nuove elezioni. Il suo
stile rude e violento è naturale e calcolato a un tempo. Punta a
minacciare, a fare leva sui tipi più primitivi presenti nella società,
ad attirare l'attenzione pubblica e a garantire la copertura dei media.
Questa settimana sono state citate ripetutamente alcune passate
dichiarazioni di Lieberman. Una volta ha proposto di bombardare l'enorme
diga di Aswan, un atto che avrebbe causato una terribile inondazione,
uno tsunami, uccidendo molti milioni di egiziani. Un'altra volta ha
proposto di intimare un ultimatum ai palestinesi: alle otto del mattino
bombarderemo i vostri centri commerciali, a mezzogiorno i vostri
distributori di benzina, alle due del pomeriggio le vostre banche, e
così via. Ha proposto di affogare migliaia di prigionieri palestinesi,
offrendosi di fornire gli autobus necessari per portarli fino alla
costa. Un'altra volta ha proposto di deportare il 90% dei cittadini
israeliani arabi, che sono un milione e duecentomila. Recentemente ha
detto al presidente egiziano, HosniMubarak, uno degli alleati più fidati
della leadership israeliana, di «andare all'inferno ». Nella recente
campagna elettorale il suo programma ufficiale conteneva la richiesta di
annullare la cittadinanza di qualunque arabo che non abbia dimostrato la
propria lealtà a Israele. Questo è stato anche il suo slogan principale.
Un altro richiamo alla memoria dei programmi di certi partiti consegnati
alla storia. Va poi aggiunta la sua aperta ostilità nei confronti delle
«élite» israeliane e di tutto ciò che è legato ai fondatori dello stato
di Israele. Qual è la soluzione di Lieberman allo storico conflitto
arabo-israeliano? In passato ha parlato di un sistema di «cantoni» per i
palestinesi. Dovrebbero vivere in varie enclave in Cisgiordania e nella
Striscia di Gaza, scollegate tra loro e dominate da Israele. Nessuno
stato palestinese, naturalmente, nessuna Gerusalemme Est araba. Ha
persino proposto di aggiungere a questi cantoni alcune zone di Israele
densamente abitate dalla popolazione palestinese, la cui cittadinanza
israeliana verrebbe revocata. Tutto ciò non è così lontano dalle idee di
Sharon né da quelle di Netanyahu, il quale dichiara che i palestinesi
«si governeranno da soli» -- naturalmente senza uno stato, senza una
moneta, senza poter controllare i propri confini, senza porti né
aeroporti. Durante la cerimonia presso il ministero degli Esteri,
Lieberman ha dichiarato che l'accordo di Annapolis, che era stato
dettato dal presidente Bush, non è valido, e che solo la «Road Map»
conta. I portavoce del ministero degli Esteri si sono affrettati a
spiegare che la «Road Map» parla anch'essa di «due stati». Essi hanno
dimenticato di ricordare al mondo che il governo israeliano ha
«accettato» la Road Map solo con 14 clausole che la privano di qualunque
contenuto. Ad esempio: che i palestinesi devono «distruggere
l'infrastruttura terroristica» (in che consiste? chi decide?) prima che
Israele faccia qualunque mossa, compreso il congelamento degli
insediamenti. (Torna alla mente quell'ebreo ricco dello shtetl che
dettava il suo testamento suddividendo le sue ricchezze tra parenti e
amici, e aggiungeva: «In caso dimia morte, questo testamento sarà
nullo».) Per quanto riguarda il conflitto israelopalestinese, la
controversia tra Olmert e Livni da una parte, e Netanyahu e Lieberman
dall'altra, riguarda la tattica piuttosto che la strategia. La strategia
che li accomuna tutti quanti è impedire la creazione di uno stato
palestinese normale, libero e praticabile. Tzipi Livni era per una
tattica di negoziati infiniti, abbellita da pronunciamenti sulla pace e
sui «due stati nazionali». Non per niente, Netanyahu la prende in giro:
«Hai avuto tanti anni per raggiungere un accordo con i palestinesi.
Perché allora non l'hai fatto?». Questo non è un dibattito sulla pace,ma
su un «processo di pace». Ma nel frattempo Tzipi Livni si dedica al suo
nuovo ruolo di leader dell'opposizione. I suoi primi discorsi sono stati
vigorosi, incisivi. Presto vedremo se saprà riempire questo ruolo di
contenuti. Se dover parlare di pace la convincerà del suo valore, e farà
di lei una alternativa reale al governo di Lieberman e della Liebermania.
/(*Uri Avnery è un giornalista israeliano, scrive per il quotidiano Haaretz)
/
*Di seguito alcuni link utili: *
http://www.menareport.com/en/business,real_esta/241251
http://www.haaretz.co.il/hasen/spages/1068545.html
http://www.bdsmovement.net


*PER SAPERNE DI PIU'...*

_In italiano:_
http://www.assopace.org/
http://www.actionforpeace.org/
www.infopal.it
www.osservatorioiraq.it
www.lettera22.it
www.dagaza.org
http://www.associazionezaatar.org/index.php
www.cipmo.org
www.luisamorgantini.net
http://www.aprileonline.info/print_article.php?id=11438


_In inglese:_
http://www.passia.org/
www.palestinemonitor.org/
http://www.maannews.net/en/
http://www.haaretz.com/
http://www.btselem.org/English/
http://www.phr.org.il/phr/
http://www.adalah.org/eng/index.php
www.thisweekinpalestine.org
www.alternativenews.org
www.icahd.org/
http://www.end-gaza-siege.ps/
www.freegaza.org
www.stopthewall.org