30 giorni x 30 articoli: articoli 13-14-15



30 giorni x 30 articoli.
Verso il 10 dicembre 2008: leggiamo insieme ogni giorno un articolo
della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani
Art. 13
“Terra: casa comune”
La Tavola della pace rinnova l’appello ai direttori dei TG della RAI:
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Oggi, sabato 22 novembre 2008, leggiamo insieme il tredicesimo articolo della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.

Articolo 13 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani
“1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato.
2. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese”.

Segue il commento del prof. Antonio Papisca.

“E’ il diritto fondamentale ad abitare la Terra-casa comune di “tutti i membri della famiglia umana”. La libertà di movimento è condizione indispensabile per il libero sviluppo della persona. Il ‘movimento’, evidentemente, non è inteso soltanto in funzione di turismo o di studi e ricerca scientifica. Sempre più numerosi sono coloro che si muovono per emigrare e stabilirsi in altri paesi.
La norma internazionale distingue il movimento a seconda che avvenga dentro il territorio di uno stato o da uno stato all’altro. In questa seconda ipotesi, la libertà è di uscire e di rientrare nel proprio paese.
L’articolo 12 del Patto internazionale sui diritti civili e politici specifica ulteriormente e arricchisce il contenuto dell’articolo 13 della Dichiarazione universale, in particolare stabilendo che la libertà dentro uno stato è dello “individuo che vi si trovi legalmente”, e che tale diritto non può essere oggetto di restrizioni tranne che quelle che, previste dalla legge e compatibilmente con tutti gli altri diritti fondamentali, siano necessarie per proteggere la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, la sanità o la moralità pubbliche, nonchè gli altrui diritti e libertà. Il Comitato diritti umani (civili e politici) delle Nazioni Unite ha affermato che la questione di stabilire se uno ‘straniero’ si trovi legalmente nel territorio di uno stato è materia che rientra nella giurisdizione domestica dello stato interessato, ma che in ogni caso deve essere disciplinata in conformità con gli obblighi internazionali di quest’ultimo. Ha altresì affermato che chi, entrato illegalmente in uno stato, vi è stato successivamente regolarizzato, deve essere considerato alla stregua di chi si trova legalmente nel territorio. Uno straniero espulso legalmente ha il diritto di scegliere il paese di destinazione col consenso di questo.
Anche in questo campo, naturalmente, è vietata la discriminazione. Lo stato deve garantire l’esercizio della libertà di movimento e residenza da interferenze sia pubbliche sia private. Il diritto di una donna di liberamente muoversi e scegliere una residenza non può sottostare alla decisione di un’altra persona, compreso un parente. La garanzia è anche contro ogni forma di trasferimento forzato all’interno dello stato.
Il diritto di lasciare un paese comprende il diritto di ottenere i necessari documenti di viaggio, compreso il passaporto. Uno stato non può rifiutare di prolungare la validità del passaporto di un proprio cittadino che si trovi all’estero e voglia rientrare. Il rifiuto infatti può comportare la deprivazione del diritto di quella persona di lasciare il paese di residenza e di spostarsi altrove.
Le barriere politiche e burocratiche che gli stati frappongono all’esercizio di questo diritto sono praticamente infinite, dalle normative in materia di cittadinanza e immigrazione che ignorano il paradigma dei diritti umani, alle lungaggini e agli ostruzionismi perpetrati in numerosi stati all’interno di ambasciate, consolati, uffici di polizia.
La materia è resa difficile e complicata da un peccato d’origine, cioè dallo spezzettamento della Terra in tanti territori, grandi e piccoli, ciascuno transustanziato insieme con popolo e governo nella “forma” dello stato-nazione-sovrano-confinario. Studiosi hanno teorizzato questa situazione come una generalizzata occupazione coloniale della Terra. Una situazione di difficile perpetuazione, oggi, in presenza dei processi di interdipendenza, globalizzazione, transnazionalizzazione, internettizzazione, low-cost travelling, inquinamento, processi che sbriciolano i confini degli stati e condizionano la governance pervicacemente segnata dall’arroganza, dalla separazione, dalla discriminazione, dall’uso facile delle armi.
Il neoliberismo ha mirato all’abbattimento delle barriere doganali che ostacolano la circolazione delle merci, in nome della libertà degli scambi e della realizzazione del mercato unico mondiale, come dire: sì alla libertà di movimento delle cose materiali in nome della liberalizzazione dei mercati, no a intralci alla libertà di movimento delle persone umane nel rispetto dei loro diritti fondamentali.
Nel sistema dell’Unione Europea c’è un po’ più di coerenza. Come noto, il processo di integrazione economica si è sviluppato all’insegna di “quattro libertà di movimento”: delle merci, delle persone, dei servizi, dei capitali. Un cocktail originale… Con il Trattato di Maastricht è sopraggiunta la ‘cittadinanza dell’Unione Europea”, quale valore aggiunto alle cittadinanze nazionali dei paesi membri. Con la Carta dei diritti fondamentali dell’UE (Nizza, 2000) si è fatto un ulteriore passo avanti sul cammino della civiltà del diritto. Qualcosa di assolutamente innovativo è arrivata nel 2006 con il Regolamento  (congiuntamente deciso dal Parlamento Europeo e dal Consiglio UE), che prevede la creazione del ‘Gruppo europeo di cooperazione territoriale’, dotato di personalità giuridica di diritto comunitario europeo. Si tratta di entità territoriali transnazionali, organizzate con propri statuti ed organi, promosse e composte da enti di governo locali (comuni, province, regioni, lander, contee): insomma le Euro-regioni assumono forma pienamente giuridica. Questi enti sono genuinamente ‘territorio’, ma non ‘confine’. Inizia in Europa la liberazione della territorialità dall’uso monopolistico che ne è stato fatto, con muri e guerre, dagli stati ‘sovrani’.”

Art. 14
“Chiedo asilo”
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Oggi, domenica 23 novembre 2008, leggiamo insieme il quattordicesimo articolo della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.

Articolo 14 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani
“1. Ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni.
2. Questo diritto non potrà essere invocato qualora l’individuo sia realmente ricercato per reati non politici o per azioni contrarie ai fini e ai principi delle Nazioni Unite”.


Segue il commento del prof. Antonio Papisca.

“L’articolo 10 della Costituzione italiana stabilisce a sua volta che “lo straniero al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici”.
L’asilo politico è uno dei più antichi, e sacri, istituti di diritto consuetudinario. Nel medioevo Chiese e Conventi erano luoghi deputati ad accogliere e proteggere i perseguitati a causa della giustizia, beneficiando del privilegio di una sorta di extra-territorialità. Sono innumerevoli i casi di personaggi illustri che, nel corso dei secoli, sono andati in esilio e hanno fruito del diritto di asilo. Uno per tutti: Dante Alighieri.
Oggi, è lo stesso Diritto internazionale che obbliga gli stati a proteggere chi ha diritto all’asilo, innanzitutto il ‘rifugiato’ politico quale definito dall’articolo 1 della Convenzione internazionale sullo status dei rifugiati (Ginevra, 1951): una persona  che a causa del fondato timore di essere perseguitata per ragioni di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un particolare gruppo sociale, o opinione politica, si trova fuori del paese di sua nazionalità ed è incapace o, a causa del timore, non vuole avvalersi della protezione del proprio paese; o anche chi, non avendo una nazionalità ed essendo fuori, per i motivi sopra indicati, del paese in cui aveva abituale residenza, è incapace o, a causa del timore, non vuole farvi ritorno.
Oltre alla suddetta Convenzione del 1951, esistono i seguenti strumenti giuridici internazionali: la Convenzione sulla riduzione della apolidia del 1954, il Protocollo relativo allo status dei rifugiati del 1966, la Dichiarazione sui diritti umani degli individui che non hanno la cittadinanza del paese in cui vivono del 1985. Utile anche il manuale del 1996 dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite su procedure e criteri per determinare lo status del rifugiato.
La materia dell’asilo politico è in continua evoluzione a causa dell’esponenziale aumento dei casi legati ai flussi migratori. Dal canto suo il Diritto internazionale riguardante la “protezione” del rifugiato cerca di migliore le procedure e di obbligare gli stati ad armonizzare sempre più le rispettive legislazioni interne con gli standards internazionali.
L’Unione Europea ha adottato nel 2004 una Direttiva che recepisce la definizione di ‘rifugiato’ della Convenzione del 1951 e prevede due separati ma complementari meccanismi di protezione a seconda che si tratti di ‘status di rifugiato’ o di ‘status di protezione sussidiaria’, nell’intento di allargare la tipologia delle persone aventi diritto alla protezione. La protezione sussidiaria, complementare rispetto al regime di protezione (primaria o generale) stabilito dalla citata Convenzione, interpella più specificamente della prima le norme del Diritto internazionale dei diritti umani, per esempio l’articolo 3 della Convenzione internazionale contro la tortura, l’articolo 7 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, ecc. Questa Direttiva presenta aspetti innovativi ad esempio per quanto riguarda il soggetto agente della persecuzione politica, nel senso che questa soggettività criminogena comprende anche agenti non-statuali. Inoltre, gli stati membri dell’UE sono obbligati a non dare asilo a coloro che hanno perpetrato crimini contro l’umanità o altri reati particolarmente crudeli anche se per (presunti) obiettivi politici.
Lo status di ‘rifugiato’ viene riconosciuto in base all’accertamento dei requisiti stabiliti dalle Convenzioni internazionali, accertamento che deve avvenire con la massima accuratezza caso per caso, individuo per individuo. E’ pertanto rigorosamente vietato il refoulement (respingimento) collettivo. L’accertamento va eseguito nel rispetto della dignità umana e dei diritti fondamentali che ineriscono a ciascuno, a cominciare dal diritto alla vita e all’integrità fisica e psichica.
I paesi a regime dittatoriale o comunque autoritario sono grandi esportatori di ‘classici’ richiedenti asilo politico. Tanti altri paesi, compresi naturalmente i primi, sono esportatori di folle di persone che fuggono dalla miseria, dalle pandemie, dalla violenza quotidiana, dalle guerre, dai genocidi.
In Italia, arrivarono a ondate folle di richiedenti asilo politico prima dall’Ungheria (1955), poi dal Cile di Pinochet (inizio anni ’70), poi dai Balcani. In questi ultimi anni ci sono le folle che sbarcano sulle coste italiane. Tra di loro possono esserci, e di fatto ci sono, persone che hanno tutti i requisiti per ottenere lo status di rifugiato e beneficiare quindi della protezione internazionale. E gli “altri”? La ‘protezione sussidiaria’ è sollecitata ad allargare ancor di più la sfera della sua applicazione.”

30 giorni x 30 articoli.
Verso il 10 dicembre 2008: leggiamo insieme ogni giorno un articolo
della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani

Art. 15
"Diritto alla cittadinanza"
La Tavola della pace rinnova l'appello ai direttori dei TG della RAI:
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Oggi, lunedì 24 novembre 2008, leggiamo insieme il quindicesimo articolo della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.

Articolo 15 della
Dichiarazione Universale dei Diritti Umani
"1. Ogni individuo ha diritto ad una cittadinanza.
2. Nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua cittadinanza, né del diritto di mutare cittadinanza".


Segue il commento del prof. Antonio Papisca.

"L'articolo 6 della Dichiarazione parla di "personalità giuridica" distintamente dalla "cittadinanza". Commentando questo articolo abbiamo affermato che in virtù del riconoscimento giuridico internazionale dei diritti che ineriscono alla persona, questa è soggetto (primario) di Diritto internazionale.
Tradizionalmente concepita, la cittadinanza è una sorta di "ruolino di marcia" per l'esercizio di diritti e doveri della persona all'interno dei singoli ordinamenti nazionali per lo svolgimento di ruoli. In questo contesto, cittadinanza equivale ad appartenenza ad un determinato stato, il quale è il regolatore, più o meno 'liberale', più o meno arbitrario, dei diritti di cittadinanza. Cittadinanza nazionale significa diritto-potere di eleggere e di essere eletti in assemblee rappresentative, di ricorrere presso i tribunali, di ricevere certi sussidi in caso di bisogno, di beneficiare della 'protezione diplomatica' del proprio paese se ci si muove all'estero, significa dovere di prestare servizio militare o servizio civile (laddove obbligatori), ecc. La cittadinanza nazionale è una concessione dello stato con riferimento a parametri quali lo ius soli (diritto del territorio) o lo ius sanguinis (diritto di sangue).
Con l'avvento del Diritto internazionale dei diritti umani, fa per così dire irruzione sulla scena delle tipologie giuridiche la cittadinanza universale, ovvero lo eguale status di "tutti i membri della famiglia umana' con corrispettivi ruoli da esercitare dentro e fuori degli stati di appartenenza 'anagrafica'. Dal punto di vista giuridico-formale e naturalmente storico, le cittadinanze nazionali precedono la cittadinanza universale. Oggi, possiamo e dobbiamo parlare di cittadinanza plurale. Questo comporta la ridefinizione, meglio la ricostruzione del concetto di cittadinanza in quanto tale.
E' utile avvalerci della metafora dell'albero. Il tronco raffigura lo status di cittadinanza della persona in quanto titolare di diritti fondamentali internazionalmente riconosciuti. Questi sono le radici del tronco. I rami significano la cittadinanze 'anagrafiche' nazionali: italiana, russa, israeliana, palestinese, cinese. Ci possono essere i rami dei rami: per esempio, la cittadinanza dell'Unione Europea è un ramo della cittadinanza italiana o di qualsiasi altra cittadinanza nazionale dei 27 paesi membri dell'UE. La eventuale cittadinanza veneta o parmigiana o calabrese sarebbe un ramo del ramo 'cittadinanza italiana'. Guardando bene questo "albero", ci accorgeremo che i rami non sono innestati nel tronco ma gli fluttuano intorno, peraltro in uno stato di forte sollecitazione a ricomporre la fisiologia dell'albero. E' la dialettica in atto fra cittadinanza universale e cittadinanze nazionali, come dire tra lo ius humanae dignitatis (diritto della dignità umana) da un lato, e lo ius soli e lo ius sanguinis dall'altra. La sollecitazione che alle legislazioni nazionali - specie in tema di immigrazione - viene dalla cittadinanza universale è a ridefinire la cittadinanza nazionale in termini di inclusione.
Alla luce del 'nuovo' Diritto internazionale non c'è posto neppure per la apolidia, o, per meglio dire, l'apolide è cittadino universale allo stato puro.
La cittadinanza universale delle persone sollecita ad aprire spazi per l'esercizio dei corrispettivi diritti, in particolare dei diritti democratici per la legittimazione e il corretto funzionamento delle Istituzioni multilaterali. A livello regionale europeo, uno spazio si è aperto con l'elezione diretta dei membri del Parlamento Europeo. L'azione dei difensori dei diritti umani, come previsto dalla Dichiarazione-Magna Charta delle Nazioni Unite del 1998 che li riguarda, esperita a titolo individuale o tramite organizzazioni non governative, è un modo concreto di realizzare i diritti di cittadinanza universale. Così anche per i ricorsi giudiziari alle Corti e ai Tribunali internazionali o per le 'comunicazioni individuali' ai vari Comitati diritti umani delle Nazioni Unite.
La cittadinanza mondiale o planetaria o cosmopolitica preconizzata da personalità carismatiche quali Giorgio La Pira, Padre Ernesto Balducci e Papa Wojtyla è realtà giuridica. Si tratta di rimuovere la pigrizia e il conservatorismo degli adoratori dello stato-nazione-sovrano-armato-confinario con relativa cittadinanza 'ad alios excludendos' (costruite nel segno dell'esclusione dell'"altro").
Partendo dai diritti umani non c'è neppure posto per la 'reciprocità' nel trattamento dei cittadini da parte degli stati, all'insegna di: io tratto i tuoi, come tu tratti i miei, se tratti male i miei, io tratto male i tuoi. E' un parametro mercantile, valido per gli scambi commerciali. Il Diritto internazionale dei diritti umani obbliga lo stato a dire all'altro stato: io tratto i tuoi cittadini nel rispetto dei loro diritti fondamentali, a prescindere da come tu tratti i miei.

Nota bene. Siamo giunti a metà strada della piccola maratona "30 giorni x 30 articoli". Proseguiremo nella seconda parte sempre più consapevoli di esercitare diritti di cittadinanza universale, anche avvalendoci dell'articolo 7 della Dichiarazione delle Nazioni Unite "sul diritto e la responsabilità di promuovere e proteggere i diritti umani e le libertà fondamentali internazionalmente riconosciuti" (1998, Magna Charta dei difensori dei diritti umani che abbiamo prima richiamata): "Ciascuno ha il diritto, individualmente e in associazione con gli altri, di sviluppare e discutere nuove idee sui diritti umani e di operare per la loro accettazione". Come dire: quod in are auditis, praedicate super tecta. Traduzione libera: se apprendiamo qualche idea buona - per esempio che la cittadinanza universale esiste giuridicamente come superiore grado di cittadinanza e le leggi degli stati in materia di immigrazione e cittadinanze nazionali devono adeguarvisi - facciamolo crescere dicendolo e amplificandolo nella comunità. Ricordandoci anche che l'articolo 10 della Costituzione della Repubblica Italiana stabilisce che "la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali"."

Antonio Papisca
Cattedra UNESCO "Diritti umani, democrazia e pace" presso il Centro interdipartimentale sui diritti della persona e dei popoli dell'Università di Padova (
antonino.papisca at unipd.it).

Tutte le attività promosse in vista del 10 dicembre sono pubblicate sul sito: www.perlapace.it.

Perugia, 24 novembre 2008

Ufficio Stampa Tavola della pace
Floriana Lenti 338/4770151
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