L’ANNIVERSARIO DELLA CREAZIONE DI ISRAELE: celebrare e continuare la conquista



Io trovo strano che in una lista come questa, dove penso siano presenti persone informate e assetate di notizie e di nonviolenza, si continui a mettere sullo stesso piano Palestinesi e stato di Israele. Ma trovo il dibattito molto arretrato in tutta la sinistra italiana che ancora si attarda nello slogan due popoli e due stati. Gli Israeliani (non gli Ebrei) non hanno lasciato che scampoli desertificati ai Palestinesi. Quale stato è possibile per questi? Ricordo un nonviolento come Tutu che auspica un nuovo stato, in quella terra che adesso è chiamata Israele, in cui Arabi, Ebrei, Cristiani possano vivere assieme dopo un processo di riconciliazione come quello che c'è stato in Sudafrica. Un processo in cui i carnefici devono chiedere scusa alle loro vittime per quello che hanno fatto. Forse non sono molto intelligente, ma sentir parlare di Israele come stato a carattere "ebraico" mi fa un po' effetto. Mi pare una riedizione confessionale come lo Stato Pontificio che aveva chiaramente un carattere "cattolico". Uno stato laico non sappiamo immaginarlo? Sotto un articolo di una Ebrea che per fortuna ha molto più senso etico e politico di tanti laici nostrali che vanno ad inneggiare la nascita di uno stato che è la morte di un altro e le cui vittime non hanno ancora finito di soffrire.

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L’ANNIVERSARIO DELLA CREAZIONE DI ISRAELE: celebrare e continuare la conquista

Michèle Sibony (UJFP - Union Juive Francaise pour la Paix)
traduzione di Marianita De Ambrogio
3 maggio 2008

L’anniversario della creazione di Israele sta diventando una celebrazione internazionale. Per esempio una sfilata è organizzata l’1 giugno prossimo nel cuore di Manhattan con stendardi e grandi ritratti di Israeliani anonimi o celebri, sotto il titolo: «Volti di Israele». La volontà degli organizzatori è di affermare che la società israeliana "…è una società simile sotto molti aspetti a quella di New York – un’affascinante combinazione di immigrati venuti insieme per creare una società dalle molteplici sfaccettature. E’ la storia di Israele”. Tuttavia, nella lista dei ritratti l’unico arabo israeliano (come lo chiamano loro) sarà Rania Jubran una diplomatica. (Israele conquista la 5e avenue: Ynet 21 aprile 2008) Anche la Russia ha previsto di partecipare alla festa con un gran festival culturale destinato a celebrare la nascita d’Israele. Saloni del libro, mostre ed eventi di ogni tipo si organizzano in tutti i paesi europei. Ciò che darebbe il miglior contrappunto a questo concerto mondiale, è un doppio piccolo avvenimento accaduto in Israele nella notte del 24 aprile e riportato da Haaretz. Alcuni anarchici contro il muro, accompagnati da un giornalista amico e simpatizzante sono andati a «attacchinare» a Jaffa, contro la sfilata di commemorazione della… conquista della città nel ‘48 programmata l’indomani da un gruppo di destra, Etzel. Arrestati dalla polizia nel mezzo della notte sono stati imprigionati. Nella stessa notte altri anarchici contro il muro, informati dell’arresto s’impadroniscono con i loro amici palestinesi di un avamposto di colonia «illegale», una sinagoga piantata su una collina e che i coloni non occupano ancora giorno e notte. Essi si arrampicano sul tetto staccano la bandiera israeliana e la sostituiscono con quella palestinese. I coloni allertati arrivano da ogni parte. Comincia la battaglia, coloni contro colonizzati e anarchici. Arriva l’esercito e disperde gli anarchici contro il muro e i Palestinesi sparando proiettili di gomma.

Alcuni elementi da trarre da questo avvenimento quasi aneddotico: 1 - Si tratta in Israele di commemorare la conquista infischiandosene di tutte le violenze che ha causato, le centinaia di migliaia di palestinesi cacciati, i loro beni distrutti o rubati, centinaia di migliaia poi milioni di Palestinesi in esilio nei campi profughi, che pagano fino ad oggi il prezzo di questa ingiustizia. Loro che vivono in Libano, in Siria, in Giordania, nei Territori palestinesi occupati, in Israele stesso come «cittadini», non esistono e continuano ad essere cancellati dalle memorie, dalla storia, dal presente. Dovrebbero subire questa celebrazione della loro conquista e del loro spossessamento facendo attenzione a non sciupare la festa. Tutto ciò in un contesto non pacificato da una regolazione del conflitto, nel rispetto del diritto, o da un riconoscimento qualsiasi dei torti causati, ma che si caratterizza al contrario per l’aggravarsi della sorte dei profughi del Libano, dei Palestinesi dei TOP e della Striscia di Gaza, e dal rimettere sempre in discussione i diritti dei cittadini palestinesi d’Israele. 2 – La conquista non è terminata e si tratta di continuarla, Esattamente come confidava Sharon nel novembre 2001 al giornale Haaretz: «La guerra d’Indipendenza non è terminata. No. Il 1948 non era che un capitolo». E annunciava una seconda tappa di colonizzazione di almeno 50 anni. Queste due frasi le ha martellate in Israele e in tutte le sue visite all’estero. Le frontiere d’Israele, che non sono mai state fissate, stanno per essere tracciate nel sangue e con la forza, nel disprezzo di tutte le leggi, dal più forte contro il più debole. Ritiro unilaterale da Gaza che fissa la frontiera sud? Ma l’esercito israeliano conserva il controllo terrestre aereo e marittimo di tutta la striscia di Gaza e il governo da mesi ha posto in atto un assedio ignobile che affama tutta la popolazione, uomini donne e bambini, un milione e mezzo di abitanti. In Cisgiordania la colonizzazione prosegue senza tregua e il muro realizza le enclave previste dal piano Sharon. Governi europei come la Germania o il Giappone finanziano già la costruzione di zone industriali sul lato israeliano del muro di fronte alle enclave, partecipando attivamente alla loro bantustanizzazione. Queste enclave costituiscono così delle riserve di lavoratori di cui si possono immaginare i diritti. Davanti a Kalkylia, città di 40 000 abitanti completamente accerchiata dal muro, la porta della prigione si apre una mezzora al mattino per lasciare uscire dalla città i lavoratori prigionieri, e si riapre una mezzora la sera per lasciarli rientrare nella loro città dormitorio. Ma se parli di Apartheid, esageri e sei antisemita. 3 – Le commemorazioni internazionali e nazionali della creazione d’Israele costituiscono così una vera e propria operazione di cancellazione della storia come è avvenuta: si tratta di cancellare, di negare la Naqba palestinese, l’espulsione di massa di 750 000 persone, i massacri di Deir Yassine vicino a Gerusalemme, di Tantura vicino a Haifa, di Dawaimeh vicino a Hebron nel 1948, poi di Kafr Kacem nel 1956, e la seconda espulsione con la guerra del ‘67 di altre 300 000 persone. Dimenticare gli espropri massicci di terre tra il ‘47 e il ‘49, quelle degli inseguiti che si sono rifugiati nei paesi vicini ma anche le terre dei «presenti-assenti» (grazie alla legge eponima che espropria tutti quelli che sono fuggiti dai loro villaggi senza tuttavia lasciare Israele, ma non potevano essere «presenti» ovviamente sulle loro terre e proprietà al momento definito dalla legge. Di tutto ciò non si discuterà. Dopo gli storici palestinesi, ma loro non sono stati ascoltati, i nuovi storici, in seguito all’apertura degli archivi del ‘48 (in particolare quelli dell’esercito) hanno confermato i fatti, Ilan Pappe tra l’altro riferisce minuziosamente nella sua ultima opera «La pulizia etnica della Palestina» Fayard 2008 - l’applicazione del piano Daleth, l’espulsione organizzata e panificata. Una terra senza popolo per un popolo senza terra. E’ quel che era necessario, nella logica sionista al momento del voto per la spartizione nel ‘47 ed è dunque quel che occorreva fabbricare. Non riconoscere questo passato, imporre la perennità della mitologia sionista sulla storia vuol dire installare durevolmente tutta la società israeliana in una negazione della realtà e un’autogiustificazione dei crimini di cui non si possono misurare le conseguenze senza paura. La prima di queste conseguenze è la totale mancanza di comprensione del presente. Che porta a non sorprendersi sentendo giustificare i crimini odierni da una posizione di vittima, dove l’aggressore è presentato come colui che si difende per sopravvivere allo sterminio. 4 - Queste commemorazioni vogliono anche cancellare il presente: quello della colonizzazione che continua, che non è mai cessata, della distruzione dell’economia e della società palestinese, delle migliaia di prigionieri, delle migliaia di civili disarmati uccisi, nei TOP, dell’ignobile assedio di un milione e mezzo di civili indifesi a Gaza. La politca sempre più apertamente discriminante nei confronti dei palestinesi d’israele. E’ tutto questo che la celebrazione israeliane mette in lavatrice, convalidando l’immagine di una società allevata nella negazione della sua stessa storia e del suo presente e nell’angoscia costruita dell’annientamento, necessaria perché è questa angoscia che permette di giustificare tutto e di tollerare l’intollerabile.

L’attiva complicità della maggior parte dei governi europei e di quello degli Stati Uniti in questa grande operazione di cancellazione rivela anche quanto abbia avuto successo l’ideologia sionista che si è sostenuta sulle conseguenze dell’antisemitismo europeo da esso erette a ricatto permanente, e quanto le «democrazie» neoliberiste odierne impegnate nella distruzione di tutti i diritti umani, sociali, politici, economici, nella distruzione dell’ambiente e nella ricolonizzazione di zone enormi del mondo, si riconoscano in questo modello. Senza tetto, senza documenti, senza lavoro, senza assistenza, senza pensione, i senza voce, i senza diritti abbondano oggi nelle nostre società e si moltiplicano: la figura del Palestinese non è il modello perfetto di questa miseria? Cancellarlo, negarlo, è per questi governi scellerati negare il loro operato quotidiano, renderlo invisibile. Ammirare la forza del più forte, gli permette di colpire e colpire ancora e dettare la storia come decide il presente; è quello che il neoliberismo vuole imporci: una spaventosa regressione, la fine del diritto internazionale, la fine dei diritti tout court. Le affermazioni recenti del presidente francese, in Cina e in Tunisia lo dimostrano, nel loro mondo non c’è posto per i diritti umani. Panem et circenses? Le rivolte della fame che si moltiplicano nel mondo mostrano che non ci sarà pane per tutti. La volontà di cancellare i Palestinesi costituisce la sfida principale della festa, con la celebrazione da parte dell’Occidente del modello che ha ampiamente contribuito a creare e che rivendica oggi come universale: apartheid, negazione dell’altro, distruzione del diritto con la forza. Celebrare tutto ciò? Sicuramente no. La voce palestinese deve essere portata alta e forte nel mondo con tutti quelli che rifiutano il negazionismo in tutti i suoi aspetti, e che rifiutano il progetto di società di un Bush o di un Sarkozy… Poche decine di giovani anarchici israeliani contro il muro, benché allevati nella mitologia sionista, sono riusciti a aprire gli occhi sull’altro, il compagno palestinese colonizzato, e hanno scelto il loro campo: quello di un Futuro con i Palestinesi senza muri, nell’uguaglianza, la dignità e il rispetto. E’ questo programma che deve essere celebrato, perché è l’unica prospettiva di futuro per questa regione, e per noi tutti ovunque viviamo.