La lettera di Tariq Alì. "Perchè non parteciperò a lla fiera del libro di Torino 2008"



Perchè non parteciperò alla fiera del libro di Torino 2008

di Tariq Ali

Quando ho accettato di partecipare alla Fiera del Libro di Torino, come ho
fatto altre volte, io non sapevo che ‘l’ospite d’onore’ sarebbe stato
Israele nel 60° anno della sua costituzione. Ma questo è anche il 60°
anniversario di quello che i palestinesi chiamano la ‘nakba’…il disastro
che accadde loro quell’anno, quando furono espulsi dai loro villaggi,
uccisi in molti, e alcune donne stuprate dai colonizzatori. Questi fatti
non sono più in discussione. Allora perché la fiera del libro di Torino
non invita i palestinesi in ugual numero? 30 scrittori israeliani e  30
palestinesi (e vi assicuro che ce ne sono e sono eccellenti poeti e
romanzieri) avrebbero potuto essere visti come un segno positivo e di pace
e si sarebbe potuto svolgere un dibattito costruttivo. Una versione
letteraria dell’orchestra Diwan di Daniel Barenboim, metà israeliani, metà
palestinesi. Una tale iniziativa avrebbe messo le persone insieme, ma no. I
commissari culturali sanno che cosa è meglio. Io ho discusso con vigore con
alcuni scrittori israeliani in visita alla fiera in altre occasioni e avrei
fatto volentieri lo stesso di nuovo se le condizioni fossero state
differenti.

Quello che hanno deciso di fare è una brutta provocazione.

Apparirà che la cultura è sempre di più legata alle priorità politiche  di
USA/EU. L’occidente è cieco alle sofferenze dei  palestinesi. La guerra
israeliana in Libano, i rapporti giornalieri dal ghetto di Gaza non
smuovono l’Europa ufficiale. In Francia, sappiamo, è praticamente
impossibile criticare Israele. Anche in Germania, per ragioni particolari.
Sarebbe triste se l’Italia scegliesse la stessa strada. Quante volte
dobbiamo sottolineare che criticare le politiche coloniali di Israele non è
anti-semitismo? Accettare questo significa diventare  vittime spontanee del
ricatto che l’establishment israeliano usa per mettere a tacere i suoi
critici. Ci sono critici israeliani  coraggiosi come Aharon Shabtai, Amira
Hass, Yitzhak Laor e altri che non permettono che le loro  voci siano
soffocate in questo modo. Shabtai ha rifiutato di partecipare a questa
fiera. Come potrei io fare diversamente?

Una cosa è sostenere il diritto di Israele a esistere, che io faccio e ho
sempre fatto. Ma da questo estrapolare che questo diritto a esistere
significhi che Israele ha un assegno in bianco per fare ciò che vuole  a
coloro che ha espulso e a coloro che tratta come Untermenschen (subumani) è
inaccettabile. Personalmente io sono in favore di un unico stato
Israele/Palestina nel quale tutti i cittadini siano uguali. Mi si dice che
è una utopia. Può essere, ma è la sola soluzione a lungo termine. A causa
del contenuto dei miei romanzi mi si chiede spesso (più recentemente in
Madison, Wisconsin) se sia possibile  ricreare i bei tempi della Andalusia
e della Sicilia dove tre culture hanno coesistito per lungo tempo . La mia
risposta è la stessa: l’unico posto in cui oggi si potrebbero ricreare quei
tempi è Israele/Palestina.

Noi viviamo in un mondo di double standards (doppi standard), ma non è
necessario accettarli. Capita alcune volte che individui e gruppi ai quali
è stato fatto del male, lo infliggano a loro volta. Ma il primo non
giustifica il secondo. E’ stato l’anti-semitismo europeo che ha tollerato
il genocidio ebraico della seconda guerra mondiale del quale i palestinesi
sono ora diventati le vittime indirette. Molti israeliani sono consci di
questo fatto, ma preferiscono non pensarci. Molti europei considerano i
palestinesi e i mussulmani come una volta hanno considerato gli ebrei.
Questa è l’evidente ironia nei commenti della stampa  e nelle trasmissioni
televisive praticamente in ogni paese europeo

E’ un peccato che la burocrazia della Fiera del Libro di Torino abbia
deciso di fare da mezzano ai nuovi pregiudizi che spazzano il continente.

Speriamo che il loro esempio non sia seguito altrove.

5 February, 2008

( traduzione a cura di I.S.M. Italia)