Stato e società



Stato e società

Nell’Impero attuale, gli Stati sono ridotti a forza, pura potenza. 
Non risultano garanti dell’ordine costituito in quanto non rispettano le Costituzioni sulle quali dovrebbero basare la propria legittimità. 

Le espressioni critiche dell’opinione pubblica e delle sue forme associative viste e trattate come un disturbo anziché uno stimolo; un pericolo da reprimere anziché un contributo da valorizzare. Le uniche risposte sono nuove leggi che – quando non puniscono - ingabbiano e limitano. Rimane un dovere: resistere. Da parte dello Stato, non riconoscere la società equivale a mettere se stesso sotto continuo esame; in discussione, in pericolo. E’ una democrazia che suppone di non aver più bisogno dei cittadini per funzionare.

Lo Stato non tenendo conto della manifesta volontà dei cittadini men che mai esprime validità morale. Dopo lo strappo delle ultime guerre, la legittimazione è in appannaggio della società. Disse  Anne-Robert-Jacques Turgot, ministro francese delle riforme tra il 1774 e il 1776: ‘Essere immorali non è soltanto essere sempre ingiusti: l’immoralità di per sé giustifica già la rivolta’.

La maggioranza è marginalizzata; fuori dalle istituzioni e dai media. 

Il capitalismo in crisi, che si tiene in piedi grazie alla disoccupazione mascherata da precarietà e all’economia di guerra, ha perso la lucidità. E’ incapace di cogliere le idee innovative espresse dai movimenti sociali del pianeta. 

Conviene quindi agire all’interno del capitalismo impiegando la propria vita a lenire?

L’Impero non progetta né pianifica nulla, se non una corsa bendata verso il precipizio. 

Come si potrà venirne fuori? Con la Rivoluzione? Operando – volenti o nolenti – nel segreto? Qual è l’obiettivo: il potere? Di certo, quello fra Stato e società è un rapporto lacerato. Celare la crisi equivale a inasprirla.

Per Kant: ‘La vera politica deve non solo essere onesta ma anche agire apertamente, e non le è consentito di operare secondo massime che debbano essere tenute nascoste’.    

Afferma Koselleck: “La certezza morale che la fine della crisi fosse già racchiusa nella separazione critica tra moralità e immoralità divenne così un fatto storico ed una verità politica per i combattenti della borghesia grazie alla guerra d’indipendenza americana. Nonostante l’impiego della violenza, la vittoria spettò alle bandiere dell’innocenza – ‘quanto più duro il conflitto tanto più glorioso il trionfo’, l’esito dello scontro armato di fatto era già prefissato nella posizione morale di partenza; in tal modo anche una guerra civile poté essere giustificata in base al suo esito moralmente certo – ecco l’insegnamento offerto dall’esempio americano”. 
  
La conservazione verrà battuta dalla tendenza naturale all’emancipazione ma come questa si manifesterà e con quali obiettivi? Come per la Bulgaria socialista, ci sarà un afflosciamento?

Oggi il voto è - anziché l’atto in cui l’individuo esercita un suo diritto sovrano - quel gesto che lo inscrive appieno e come occasionale nel ‘teatrino della politica’.
  
In Italia, chi brucia pezzi di stoffa alle manifestazioni finisce sotto inchiesta, si fanno indagini anche su chi contesta e  fischia. Si devono contrattare, e a volte vengono vietati, cortei politici o striscioni da mostrare negli stadi. I capi del governo - Berlusconi e poi Prodi – quando vengono contestati reagiscono dicendo che si tratta di ‘gruppi organizzati’. Beh, forse bisogna andare dal premier per sottoporgli problemi condominiali e urlargli contro a tu per tu per farsi così cacciare in un’ambulanza diretta verso una casa di cura. Non è mai il momento, il luogo, né il modo per contestare un politico.

Da noi, dove il dominio e la repressione sono più evidenti, nessuno parla di argomenti che possono dare fastidio: è un po' come stare in compagnia di un agonizzante. Le associazioni si adeguano e diventano forme organizzative prive di pensiero, impegnate a consolidare se stesse. Neppure i professori o i giornalisti dicono, attraverso i mass media, ciò che pensano per davvero. Si esprimono in ben altro modo soltanto in assemblee, lezioni o libri. Così però, ben che vada, si rimane ancora un poco nella melma. 

Per Koselleck: ‘...l’uomo, in quanto essere storico, è sempre responsabile, sia per ciò che ha voluto che sia, e in misura forse maggiore, per ciò che non ha voluto’.
 
Dopo due secoli di costruzione del sistema democratico, lo Stato non ha più il riconoscimento. Sappiamo che questa democrazia sopravvive perché al momento non c’è di meglio. A suo favore si combatte per soldi o per un certificato di cittadinanza e contro - pur di non conviverci - c’è chi dona la propria vita.
 
5/5/7 – Leopoldo BRUNO

NOTA: Le citazioni e alcuni concetti sono ripresi da: ‘Critica illuminista e crisi della società borghese’ di Reinhart Koselleck (1959), il Mulino, 1972, introd. Pierangelo Schiera, trad. Giuseppina Panzieri.






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