Firenze, 3 Marzo 2007 - Testardamente sempre contro la guerra



Testardamente sempre contro la guerra

INCONTRO NAZIONALE - Firenze, 3 Marzo 2007
Facoltà di Lettere e Filosofia (via degli Alfani 37) - dalle 13.00 alle 18.30

Per costruire un mondo senza guerra, perché ognuno possa essere protagonista di questo progetto, per ridare la parola a "donne e uomini che sono il movimento stesso"

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Siamo semplicemente donne e uomini contrari alla guerra. Alcuni amici della nonviolenza, altri perplessi della nonviolenza, altri semplicemente consci che la guerra è la massima espressione del degrado dell'umanità.

Siamo consapevoli che nel mondo sono presenti conflitti, molti di questi sono sfociati in guerra. Vediamo che la responsabilità principale di questo stato è la “guerra globale al terrorismo” che l'amministrazione USA sta imponendo al mondo.

Siamo angosciati nel sentire dei preparativi di un attacco all'Iran: bombardamento fino a “riportarlo all'età della pietra”; si prevede addirittura l'uso di armi nucleari.

Vediamo che il nostro paese è impegnato in questo terribile processo: le truppe si sono ritirate dall'Iraq, ma resta la nostra azienda nazionale per l'energia (ENI) a spartire la torta petrolifera; siamo ancora presenti in Afghanistan dove sono in corso combattimenti violenti e dove gli Stati Uniti stanno preparando “l’offensiva di primavera” per la quale hanno richiamato all’ordine gli alleati, nessuno escluso; siamo ambiguamente in Libano, definito dal Pentagono il “terzo fronte della guerra al terrorismo”; ancora l'ENI è implicata nello sfruttamento violento della Nigeria e sta provocando uno stato sostanzialmente di guerra.

Abbiamo visto, nei mesi passati, che il movimento italiano contro la guerra, che era il più forte del mondo, ha perso improvvisamente la voce e non ha saputo balbettare nulla di diverso dalle favolette governative: “siamo in Afghanistan a ricostruire il sistema giudiziario di quel paese”; ma ci vorrebbero avvocati o magistrati, non alpini con armi pesanti...

Un dovere con la nostra stessa coscienza ci ha imposto, qualche mese fa, di lanciare un appello per chiedere il ritiro delle truppe italiane dall'Afghanistan. La risposta delle persone ha stupito noi stessi. Non potevamo lasciare che tante adesioni restassero inascoltate. Avevamo in mente di fare un'assemblea nazionale tra i firmatari di quest'appello; poi è scoppiata Vicenza e quelli ci sono parsi il luogo e il tempo adatti per farla.

Abbiamo verificato l'esigenza di molti di proseguire in un cammino che metta insieme analisi e proposte concrete.

Il precipitare delle cose in queste ultime settimane ci conferma ancor di più la necessità di un percorso che sia alternativo e soprattutto sciolto dai vincoli di una politica istituzionale che non lascia nessuna speranza, ma libero anche dagli ostacoli posti dai “burocrati del movimento”.

A chi scrive, il problema di un Prodi 2 o di un governo di larghe intese, pare una questione secondaria davanti al baratro in cui la politica della globalizzazione sta portando il mondo. Non esistono spazi istituzionali per politiche di pace nell'attuale fase. Il desiderio di eliminare ogni guerra, che è maggioritario tra le persone, non ha nessuna rappresentanza all'interno del parlamento. La logica della riduzione del danno sta spianando la strada al nostro sempre più grave coinvolgimento nella “guerra globale al terrorismo”. Discettare sui senatori dissenzienti, infamandoli o difendendoli, temiamo sia solo provocare una tempesta in un bicchier d'acqua a bordo di un bastimento che sta colando a picco.

La paralisi del movimento per la pace crediamo sia uno specchio illuminante della crisi della democrazia del nostro paese.

Le uniche risposte che vengono a questo pericolosissimo stallo - che è foriero di un pesantissimo spostamento verso l'estrema destra della politica e dell'opinione pubblica - sono esperienze nate sui territori: pensiamo alla Val di Susa, a Scanzano, ma soprattutto a Vicenza, dove la difesa dell'ambiente, del territorio, della città si è sposata perfettamente all'opposizione alla guerra e al riarmo.

Ci colpisce molto positivamente la coscienza, emersa in quei luoghi, che solo i cittadini possono riprendere in mano il loro destino senza delegare nulla a nessuno.

Crediamo sia quella la direzione che il movimento deve prendere, facendo magari un passo ulteriore: legare la difesa del territorio, dell'ambiente, della pace a quello del lavoro e della giustizia sociale. Quando questo saldamento avverrà il movimento sarà maturo per il XXI secolo e potrà ridare speranza all'umanità sull'orlo della guerra nucleare.

In questo quadro non ci poniamo come una struttura organizzata o un ulteriore gruppo nella galassia pacifista, ma solo come momento di elaborazione collettiva di idee e proposte, dando la parola soprattuto ai desideri di donne e uomini testardamente contrari alla guerra, creando momenti di autoformazione per darci strumenti di lotta nonviolenti, efficaci e incisivi.

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