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UN GOLPE IN PALESTINA?

 

Nel suo discorso di Sabato mattina alla Muqata, a Ramallah, il presidente palestinese Abu Mazen ha convocato nuove elezioni parlamentari e presidenziali a data da destinarsi. L'annuncio giunge dopo giorni di scontri armati tra i militanti di Hamas e Fatah, che hanno lasciato sul campo molte vittime, tra cui donne e bambini. Nella legge elettorale dell'ANP, varata nel 2005, non è previsto il ricorso a elezioni anticipate: il presidente ha il dovere di indire nuove elezioni a tre mesi dalla scadenza naturale del mandato legislativo. Di conseguenza, il governo Hamas non ha riconosciuto la chiamata alle urne e dichiarato che non si presenterà alle elezioni. Questo inaspettato accavallarsi di eventi nei Territori Occupati ammette d'altra parte una possibile spiegazione, se collocato all'interno della situazione mediorientale e in particolare dello scacchiere iracheno. Ma torniamo prima ai fatti.

 

Dopo mesi di tensioni e scontri quotidiani nella Striscia di Gaza, la situazione precipita negli ultimi giorni, durante la visita del primo ministro palestinese Haniyeh (Hamas) a Teheran. L'efferata esecuzione dei tre figli di un funzionario di Fatah, a Gaza City, e la spirale di violenza che ne segue, spinge Haniyeh ad anticipare il suo rientro nei Territori. Giunto al confine di Rafah tra Egitto e Striscia di Gaza, Haniyeh viene respinto alla frontiere dall'esercito israeliano (anche se alcuni funzionari di Fatah rivendicano questa responsabilità), che gli vieta l'ingresso a Gaza con i trentacinquemilioni di dollari in contanti, che il premier aveva ricevuto in Iran. Dopo ore di trattative, Haniyeh lascia i soldi in Egitto e attraversa il confine, ma dall'altra parte avviene uno scontro a fuoco tra il convoglio di Hamas e i militanti di Fatah: viene ferito il figlio di Haniyeh, il quale accusa Fatah, nella persona di Mohammed Dahlan, uomo forte di Abbas a Gaza, di aver cercato di assassinarlo. La tensione cresce nei giorni seguenti, quando poliziotti fedeli ad Abu Mazen sparano sulla folla a Ramallah, durante una manifestazione di Hamas. L'escalation continua con un attentato al ministro degli esteri Zahar (Hamas) e un colpo di mortaio alla residenza di Abbas a Gaza. Dopo i continui appelli alla calma di Haniyeh e del leader di Hamas a Damasco, Khaled Mash'al, un comunicato di tutte le fazioni palestinesi annuncia domenica sera la cessazione delle ostilità tra bande rivali.

 

Dopo aver cercato di rovesciare Hamas in tutti i modi, il presidente Abu Mazen ha infine deciso il tutto per tutto dichiarando nuove elezioni, senza tuttavia specificarne la data (alcuni funzionari dell'OLP indicano Giugno). Nel frattempo, domenica, uomini della guardia presidenziale hanno cominciato a occupare militarmente vari ministeri a Gaza, mentre Hamas urlava al colpo di stato. A prima vista, la scelta così drammatica e radicale di Abbas sembra senza sbocchi, dal momento che la popolarità di Fatah è bassa, come durante le elezioni dello scorso Gennaio. In un sondaggio reso noto domenica, Haniyeh e Abbas si contenderebbero la presidenza dell'ANP con un testa a testa, mentre nelle elezioni legislative Fatah sarebbe leggermente avanti. Tuttavia, alle scorse elezioni, mentre Fatah era dato in vantaggio nei sondaggi, Hamas vinse di larga misura. Quindi la scelta di Abbas di indire elezioni contrariamente al dettato costituzionale sembra dettata dalla disperazione. A meno che la mossa del leader di Fatah non sia stata studiata d'accordo con Israele, che da sempre cerca di rafforzare la leadership moderata e liberarsi del movimento islamico. E' evidente che, quando Abbas afferma che il governo Hamas non riesce a far fronte ai problemi palestinesi e che il parlamento non riesce a funzionare, si riferisce al fatto che Israele ha sequestrato ministri e parlamentari di Hamas, da cinque mesi ormai detenuti come merce di scambio per Gilad Shalit, il caporale dell'IDF ancora nelle mani di Hamas. Una possibile spiegazione della chiamata alle elezioni potrebbe essere un accordo tra Abbas e Olmert per il rilascio di Marwan Barghouti, giovane e popolare leader di Fatah imprigionato in Israele. Da alcune settimane infatti il governo israeliano discute della possibilità di liberare Barghouti, per rafforzare Abbas, in un ipotetico accordo per il rilascio di Shalit. Non si spiega altrimenti l'annuncio di Abbas, anche perché nel sondaggio di domenica Barghouti risulta largamente in vantaggio su tutti gli altri candidati (sia di Hamas che di Fatah) alla presidenza dell'ANP.

 

Che la mossa di indire nuove elezioni, destituendo il governo democraticamente eletto di Hamas, sia stata concordata con Israele e Stati Uniti è supportato da numerose altre considerazioni. Innanzitutto dal frenetico susseguirsi di contatti tra Abbas, Condoleezza Rice e funzionari israeliani dei giorni scorsi. Inoltre, in un viaggio lampo di due giorni in Medioriente, Blair ha lodato il discorso di Abbas per la sua moderazione, mentre risulta chiaro che chiedendo le elezioni Abbas metteva in conto lo scoppio della guerra civile nei Territori. La scelta dei tempi nella strategia della tensione, da parte di Abbas, si può attribuire all'ultima possibilità di bloccare Hamas prima che sia troppo tardi. L'argomento principale che Abbas oppone ad Haniyeh è l'embargo internazionale che, a causa della vittoria elettorale di Hamas, ha prosciugato i fondi dell'ANP e sta portando i palestinesi verso una catastrofe umanitaria. Tuttavia, negli ultimi mesi Hamas stava riuscendo a creare un canale parallelo di finanziamenti da parte dei paesi arabi, bypassando il blocco occidentale. Pagando gli stipendi dei dipendenti statali, infatti, il governo aveva in parte messo fine ai continui scioperi. Nel suo viaggio diplomatico, Haniyeh era finalmente riuscito ad ottenere una grossa donazione dall'Iran di Ahmadinejad, con una promessa di trecentocinquanta milioni di dollari di aiuti in contanti. A questo punto, Abbas probabilmente ha temuto il venir meno del ricatto monetario che pende su Hamas e ha deciso di giocare il tutto per tutto.

 

La drammatica decisione di Abbas, oltre che da Israele, è attivamente appoggiata dagli Stati Uniti. Domenica Israele ha reso noto che cercherà di realizzare lo spostamento di una brigata speciale di Fatah (la brigata Bader) dalla Giordania a Gaza e contemporaneamente la Rice ha chiesto al Congresso americano un finanziamento straordinario di alcuni milioni di dollari per rafforzare Abbas. Questo si aggiunge al continuo rifornimento americano di armi agli uomini della Forza 17, la guardia presidenziale palestinese. E' chiaro che Olmert e Bush vedono come fumo negli occhi la possibile alleanza tra Iran e Hamas, anche se per ora soltanto economica e non politica, che rafforzerebbe ancora di più la proiezione del regime di Teheran su Israele, già minacciato a nord da Hizbullah. Nonostante la differenza religiosa tra l'Iran sciita e Hamas sunnita, il consolidamento di potenza regionale del primo e l'assoluta necessità di rompere l'embargo del secondo potrebbero portare infatti ad una nuova fase del conflitto mediorientale. Queste considerazioni si situano all'interno della crescente difficoltà americana in Iraq e del rifiuto da parte dell'amministrazione Bush di implementare il rapporto Baker, che suggeriva una trattativa con Siria e Iran per superare il disastro iracheno. Nella visione neo-con e israeliana, una guerra civile nei Territori porterebbe dunque considerevoli vantaggi. Da una parte, metterebbe fine all'egemonia di Hamas, riportando il controllo del territorio nelle mani dell'alleato Abbas. In secondo luogo, indebolirebbe l'altro attore regionale, la Siria, che ospita Khaled Mash'al, leader di Hamas e artefice della linea dura del movimento islamico. Il presidente siriano Assad da alcuni mesi propone l'apertura di una trattativa senza precondizioni con Israele, mentre Olmert ripete che, finché Damasco darà asilo a Mash'al, non sarà possibile alcun dialogo. La settimana scorsa, Assad ha rilasciato un'intervista ad un quotidiano italiano, ribadendo la volontà di aprire la trattativa. Non è un caso infatti la scelta dell'Italia, dal momento che fra alcuni mesi il comando italiano subentrerà a quello francese sulla missione UNIFIL in Libano, terreno in cui si gioca l'altra guerra sporca tra Stati Uniti e Siria-Iran.

 

La situazione nei Territori Occupati dunque si fa più difficile e intricata di giorno in giorno. Gli israeliani continuano le operazioni militari in West Bank, arrestando e uccidendo quotidianamente militanti palestinesi. Olmert ha dato ordine ai ministri di non rilasciare dichiarazioni su quanto sta accadendo, poiché "è una questione interna palestinese." Da più parti ci si chiede se stia per deflagrare una guerra civile fratricida tra Hamas e Fatah. Per il momento, gli scontri armati giornalieri assomigliano più a una guerra tra clan per il controllo del territorio: la gran parte della popolazione subisce la violenza, senza prendere parte per l'uno o per l'altro schieramento. Tuttavia, in questi mesi Hamas è andato accumulando a Gaza tonnellate di armi, in previsione di una guerra civile, mentre dall'altra parte Fatah riceveva armi da Israele e Stati Uniti. Il ritiro israeliano dalla Striscia di Gaza della fine di novembre sembra a questo punto quasi sospetto, dal punto di vista della tempistica. Pare che gli israeliani abbiano voluto farsi da parte per qualche tempo, aspettando di vedere il cadavere del nemico scorrere non lungo il fiume, ma lungo le coste della Striscia.

 

Gerusalemme, 18.12.06