Il viaggio



da Jean Baudrillard in “Patafisica e arte del vedere”, trad. di Antonio Bertoli, Giunti Editore, 2006 

Sul viaggio e le altre culture...

“Il viaggio è in primo luogo un modo di sbarazzarsi della propria cultura. Non so se rappresenta un modo di cercare l’altro da sé, ma in questo senso costituisce sicuramente un preliminare: è legato a una forma di negazione, di smentita della propria cultura, una forma di apertura forse un po’ negativa ma certo di propulsione, di espulsione. E’ un’energia che proviene dall’espulsione piuttosto che dalla curiosità, perché questa viene dopo. 
Per me a un certo momento, tutto il viaggio è stato sostituito dalla fotografia, la quale è un modo di temperare il contatto, di averne uno virtuale con l’ambiente naturale. Non posso trarre dai viaggi un arricchimento di tipo etnologico, culturale o sociologico, perché lo considero come un’attività astratta. Si cerca sempre qualcosa, questo è sicuro, ma non ho mai cercato di penetrare in altre culture. Non ho mai cercato, per esempio, di entrare in contatto con gli indiani del Nordamerica. E’ quasi una forma di rispetto che mi fa dire: “In ogni caso questo mi è vietato, non vale la pena di giocare il ruolo di comparsa in una cultura che non è la mia”. 
Mi sembra che l’alterità radicale sia quella di sapere che a un dato momento non si potrà capire l’altro, che siamo comunque incompatibili: bisogna mantenere l’incompatibilità tra le cose affinché custodiscano ciascuna la loro intensità, che altrimenti andrebbe persa.
Oggi la strategia, purtroppo, è invece quella di rendere tutto compatibile, di mescolare tutto in una specie di miscuglio in cui ciascuno prende il peggio dell’altro.
Non ho mai avuto voglia di assimilare un’altra cultura né di aiutarla, e trovo il turismo etno-intellettuale estremamente pretenzioso.
Al cuore stesso del viaggio resta sempre una forma di solitudine, perché abbiamo tagliato con la nostra cultura: credo che questo sia positivo perché possiamo avere solo una posizione ambigua verso di essa, dato che non ci può essere riconciliazione. 
E’ una situazione intellettuale molto esasperata: bisogna prendere in contropiede la propria cultura, ma non per questo aiutarsi con le altre. Il Giappone è affascinante, per esempio, ma si può vederlo solamente a distanza, ed è così affascinante solo perché c’è questa distanza: è ciò che Segalen chiamava: l’esotismo radicale, nel quale bisogna assolutamente restare.
Oggi le culture si consumano. Abbiamo parlato di comunicazione e siamo passati forse dalla comunicazione al consumo e poi alla contaminazione.
In questo tipo di scambi culturali ciascuno scambia i propri virus, in realtà, che alla fine sono solo gli aspetti più negativi...”
 


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