I governisti



Ho ricevuto da Leo quanto segue, come mi chiede ve lo inoltro, faccio altrettanto io con voi.Grazie!
Doriana

I governisti

Il 9 aprile 2006 molti di quelli che si sono recati a votare l'’hanno fatto nella speranza che non solo le persone ma in primo luogo i fatti cambiassero, rispetto ai 5 anni di berlusconismo.

Dal lato della compagine governativa, durante i primi giorni d’'insediamento arrivavano timide dichiarazioni di nuova politica che venivano presentate da chi possedeva conoscenza delle materie dei dicasteri. Ultimamente, invece, nel merito delle questioni sembra ci sia calma piatta. Il centrosinistra, in questa ottantina di giorni, non ha così cambiato quasi nulla.

Dall’'altro lato - quello cioè debole della società civile di oggi - c’è invece stato un primo smottamento. Associazioni, gruppi, singoli cittadini prendono a “ragionare in modo concreto sui fatti”. A esaminarne tutte le sfaccettature, i punti di vista, i pro e i contro...Anche nell’ambito del Movimento, accade che si comincia a pensare di entrare a far parte di tavoli, commissioni, comitati, osservatori vari. In se per sé, l’adesione allo schema concertativo ovviamente fa parte di un percorso che chi è disponibile intraprende. Avrebbe una sua logica se, oltre che distribuire pezzettini di potere, tale approccio partisse quantomeno con delle idee, un programma specifico e condiviso, magari con una cornice di valori comuni. Tutto questo non c’è. La tecnica è quella di cominciare con chi ci sta, si lavora per un tot di tempo per poi arrivare a decisioni con chi ancora rimane. Tali decisioni “concertate” sono in genere poi messe concretamente in atto da chi infine ha interesse a! gestirle. Lungo il percorso, i soggetti che decidono di venir fuori dalla concertazione - insieme a quelli che dall’inizio non lo avevano intrapreso - vengono individuati, senza possibilità di replica, come estremisti radicali dopo averci messo impegno, competenza, passioni. Insomma, alla fine decidono e gestiscono sempre i soliti noti, in silenzio; chi cioè in genere si autoreferenzia e rappresenta in primo luogo i propri interessi.

Il secondo smottamento è facile prevedere che ci sarà con l'approssimarsi della Finanziaria. Se la strategia governativa di inizio luglio è stata quella di assumere decisioni in grado di dare un po’ di libero spago ai sindacati, l’orizzonte autunnale si prefigura invece come un vero e proprio richiamo all’ordine, rivolto a chiunque ricopre incarichi di rilievo.

Ma fra i primi giorni del centrosinistra e il futuro del prossimo settembre, c’è il presente. Cosa cambia con il nuovo governo in merito alla guerra in Afghanistan? Gli stessi parlamentari, ora che fanno parte della nuova maggioranza, dopo aver votato per otto volte contro il finanziamento della guerra, adesso votano a favore.

Gino Strada fa notare che se si chiamano pacifisti coloro che antepongono il governo alla guerra, noi allora “non chiamiamoci pacifisti ma diamo vita a un movimento contro la guerra” (il manifesto 16/07/06).

Dal lato opposto, Adriano Sofri, in prima pagina de “la Repubblica” del 17/07/06, dapprima comincia reinterpretando liberamente - in cinque righe - il pensiero dello stesso Strada (senza citarne però alcuna affermazione). E poi sferra subito di seguito il suo attacco: “Gino Strada è molto ammirato, e se lo è meritato. Anch’io lo ammiro, sul serio. Però so che dice delle sciocchezze colossali. L’ammirazione che si è guadagnato gli gioca un brutto scherzo: gli fa spendere il suo credito sostenendo presso un pubblico generoso quelle sciocchezze, diametralmente opposte agli ideali che vuole perseguire”. E Sofri continua il suo pezzo di prima pagina titolato: “Cari pacifisti basta sciocchezze” usufruendo dell'intera pagina 15.

A mio avviso, la libera reinterpretazione in apertura d’'articolo, insieme alle tre righe e mezza che qui ho trascritto, potrebbero essere esaminate nelle università durante un insegnamento su cosa s’intende per mainstream, corrente del pensiero di questo inizio secolo. Si va ben oltre l’arte della retorica. E’ la possibilità di usare i mezzi di comunicazione di massa per reinterpretare, criticare e infine – di fatto - dare del poveretto a una persona che “dice delle sciocchezze colossali... diametralmente opposte agli ideali che vuole perseguire”.


Per rispondere in qualche modo a Sofri o, meglio, allo studioso Gianfranco Pasquino che ormai un giorno sì e uno no pubblica ne “l’'Unità” articoli sul tema Afghanistan e in generale sul tema della tenuta del centrosinistra, potrei – nel mio piccolo – argomentare in merito ai gorvernisti, a chi pensa di ridurre il danno di una guerra inviando qualche aereo in meno, ai semestrali (oggi diciamo di sì, ma al prossimo finanziamento della guerra fra sei mesi vedrete che casino che faremo), a chi dice di sì soltanto se la guerra è concertata (multilaterale sì, unilaterale no), a chi le vuol certificare col Bollino Nato o quello Onu, a chi soffre della sindrome da governo amico.

Invece, per quanto mi riguarda, in questa occasione preferisco esclusivamente citare l’ultima frase dell’intervento di Strada, letto da lui stesso in collegamento da Kabul durante l’assemblea nazionale del 15 luglio 2006 a Roma: “Cacciare la guerra dalla storia degli uomini, prima che la guerra cacci fuori gli uomini dalla storia”. Dario Fo, nella stessa occasione, ha inoltre affermato che: “Il popolo non è degno della storia che ha dietro; ci siamo dimenticati del sapere”.

L’individuo sarà in grado di elevare l’impegno pubblico allo stesso livello dell’attività d’acquisizione di beni e interessi personali? Sarà capace di tornare a rendere la sfera pubblica almeno pari di quella privata nei valori della vita? Non aspettare più, come fanno in molti, di arrivare verso la fine dell’esistenza per far del bene e per impegnarsi socialmente ma iniziare da subito o – come minimo - da quando ognuno, ancora carico di energie, occupa il rispettivo posto di potere.

Io, signor nessuno, alle soglie dei cinquant’anni mi riconosco nei concetti di Strada, e ciò nasce non solo – come dice Sofri - dall’'ammirazione, ma è dapprima in me stesso orgoglio e senso dell'essere.

Al suo esterno, vista la deriva democratica puramente mediatica-elettorale, il Movimento ha da porsi al più presto il problema se lavorare oppure no nella logica parlamentare. Se cioè è il caso di andare ancora a votare o, dichiaratamente, boicottare. Fare attenzione così alle esperienze portate avanti in Chapas, Brasile, ecc In altre parole, l’obiettivo è quello di contribuire a prendere il potere portando per qualche anno il Governo un po’ più verso sinistra oppure è quello di demistificare, disperdere, destrutturare il potere? Se si pensa che l’indagine telefonica ISPO - pubblicata su “Il Corriere della Sera” del 18/07/06 - rileva che il 61% degli italiani vorrebbe il ritiro delle truppe sia dall’Iraq sia dall’Afghanistan, si ha l’idea di come il parlamento rappresenta i suoi cittadini. Chi convincerà il ministro Arturo Parisi che le spese destinate agli armamenti rappresentano un danno per l'’umanità e non vanno aumentate, come lui invece si appresta a chiedere nella prossima finanziaria?

Al suo interno, il Movimento ha da prendere esplicitamente atto di quella divisione che già in questi anni - secondo me - si è verificata più volte. Ad esempio a Roma nel settembre 2004, con la decisione di rilasciare a Bertinotti la delega a rappresentare di fatto il Movimento presso il Governo Berlusconi per la liberazione di Simona e Simona (senza indire più alcuna iniziativa di livello nazionale) oppure a Firenze, quando c'’era da decidere su quali contenuti far riferimento per organizzare la manifestazione del 18 marzo scorso contro la guerra (senza far riferimanto esplicito all'’appoggio alla Resistenza irachena). Posizioni - queste prima messe fra parentesi - solitamente rappresentate in pubblico da “Arci”, “Un Ponte per...” e un consigliere regionale della Lombardia.

Oggi, infine, nell’'ambito del Movimento c’è chi mette al primo posto gli interessi e gli accordi internazionali, invece che il ripudio per la guerra. Questo è tema che semplicemente recide quel legame che Max Weber identificava essere “una comune appartenenza soggettivamente sentita”. Parafrasando Malcom X, è possibile dire a quei “pacifisti di sincere intenzioni” di fare il proprio cammino, lavorando in stretto contatto. Se sfera pubblica vuol dire discutere e poi scegliere liberamente, l’'idea di tenere distinti e separati i percorsi, potrà portare anche a momenti di incontro.

27/7/6 – Leopoldo BRUNO