Viva il calcio!



Care e cari,

adesso mi sono proprio stufato. Scusate se ve la dico così brutalmente!
Mi sono stancato da quanto vado leggendo in questi giorni nelle varie liste pacifiste e simili sul calcio. Il calcio è uno sport ed è molto più di uno sport, è un grande fatto culturale, che muove passioni, attaccamento alla propria terra e contribuisce a creare legame sociale. Il calcio sta a buon diritto nella storia sociale di un paese, tanto da poter dire che anche nel calcio possiamo ravvisare i caratteri di un popolo. Chi a questo proposito parla di guerra, di odio o di nazionalismo, non ha capito proprio nulla. Le società e le culture hanno bisogno di simboli, passioni, immagini, rappresentazioni e istituzioni per poter vivere, per poter resistere alla sfida dell'incerta presenza, come la chiamava Ernesto De Martino.

Io sono impaurito e spaventato di fronte a coloro che ci vorrebbero essere trasparenti e indifferenziati in equilibrio con la natura. Questi vogliono portarci di nuovo all'immanenza assoluta dei totalitarismi! Quella è la violenza, la violenza dell'indifferenziazione, di un'antropologia della penuria che non vuole concedere agli esseri umani la passione dell'arte, del gioco, dei consumi voluttuari, delle rappresentazioni, dei simboli... Ciò che tiene insieme le società sono i racconti, le storie, gli impegni, le promesse, la fiducia e persino l’odio e il conflitto. «La politica e l’utilità funzionale - dice Caillé - sono dalla parte degli ordini sistemici, il politico e il dono dalla parte delle storie che gli uomini si raccontano». Noi esseri umani siamo liberi, siamo storia di libertà solo se siamo in grado di raccontare storie. Saranno allora quelle parole, quelle azioni e quelle procedure rituali da cui si attendono degli effetti benefici in tutte le sfere e in tutti i momenti dell’esistenza sociale.

Ebbene, il calcio è uno dei racconti che creano passione, investimento affettivo sui propri simili e sul proprio territorio, sulla propria patria (non mi vergogno di usare questa parola, io che sono comunista italiano e gramsciano-togliattiano) e innescano così il legame sociale. Il calcio può essere anche una metafora della guerra, ma sappiate che il conflitto è costitutivo della nostra presenza sulla terra, a fronte delle forze soverchianti della natura (con la quale non siamo mai stati in equilibrio) e a causa del fatto che siamo tutti noi contraddizione irrisolta - ma costitutiva della libertà - fra brama di infinito e condizione mortale. La politica, che del reale sociale è l’unica sfera di riproduzione, è il campo in cui giocare la contraddizione fra finito e infinito. E quei racconti, quelle storie sono il risultato della partita per sopravvivere a fronte di una contraddizione così opprimente. E sono risultato di libertà, percorso di libertà, dal momento che la libertà si fonda su una condizione esistenziale tragica che accetta la politica come unico campo di riproduzione della vita sociale. Le storie e i racconti, così diversi tra loro nello spazio e nel tempo, ci indicano che stare e vivere in quella contraddizione tra desiderio di infinito e condizione mortale ci fa essere capaci ogni volta del nuovo, il radicalmente nuovo, senza bisogno di pensarlo come impossibile. La grande tradizione politica occidentale nasce con l’affermazione della decisione e dell’invenzione. E quella tradizione non dice che l’universo sociale si ordina per cause ed effetti, in un mondo in cui le regole dell’esistenza comune deriverebbero dalla natura delle cose. Al contrario, quella tradizione è tradizione di libertà che si pone in contrasto con l’utilitarismo contrattualista per affermare che gli esseri umani sono sempre in società, esseri sociali. La democrazia diventa allora esaltazione del conflitto a partire da quello tra finito e infinito. E sappiamo bene che proprio Machiavelli ci ha insegnato che il conflitto è il sale della politica.

Vi ricordo inoltre che Pier Paolo Pasolini era un grande giocatore di pallone e che Antonio Gramsci - che sapeva bene cosa fosse il legame sociale e la creazione di soggettività (a differenza della tradizione marxista precedente che considerava tutto sovrastruttura e si affidava al determinismo economicista, così come fanno ora i "nuovi" critici pauperisti della modernità) - era appassionato di calcio.

E allora, per favore, non rompeteci i c... e lasciateci in pace, almeno oggi, a tifare per la nostra nazionale.

Claudio Bazzocchi



Il giorno 09/lug/06, alle ore 15:29, franco borghi ha scritto:

No, non mi riconosco in questa definizione. Preferisco considerare la mia appartenza per altri valori, non per una bischerata COME IL CALCIO, CHE DIVENTA FANATISMO IN QUANTO PORTA AD ATTEGGIAMETI FUORI DI OGNI RAZIONALITà

La mia appartenza l ' ho sentita il 26 giugno, con la vittoria dei NO e la salvezza della nostra Costituzione, la quale sicuramente porta vantaggi politici e sociali, mentre il fanatismo calcistico crea solo dispersione di energie e di soldi e imbestialisce i tifosi.

Io stasera non sarò tra i milioni di pecoroni che portano il loro cervello all' ammasso, dietro ad un pallore calciato da ragazzotti muscolosi e basta.

E poi ci lamentiamo che tanti problemi sociali non si risolvono ? Se una minima parte dei soldi e delle energie e del tempo sprecati per il calcio, fosse impiegata per i disabili, per i carcerati, per gli ammalti terminali, per chi non ha lavoro, ecc. ecc. non sarebbe meglio?

Franco

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Claudio Bazzocchi
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