[Nonviolenza] Telegrammi. 2916



 TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 2916 del 15 dicembre 2017
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVIII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com

Sommario di questo numero:
1. L'Italia ratifichi il Trattato Onu di proibizione delle armi nucleari del 7 luglio 2017. Una lettera aperta a tutte e tutti i parlamentari italiani
2. La Casa siamo tutte. Un appello
3. Il Senato approvi la legge sullo "ius soli / ius culturae"
4. "Una persona, un voto". Un appello all'Italia civile
5. Due provvedimenti indispensabili per far cessare le stragi nel Mediterraneo e la schiavitu' in Italia
6. Enrico Peyretti presenta "Il dovere di non collaborare" di Pietro Polito
7. Segnalazioni librarie
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. REPETITA IUVANT. L'ITALIA RATIFICHI IL TRATTATO ONU DI PROIBIZIONE DELLE ARMI NUCLEARI. UNA LETTERA APERTA A TUTTE E TUTTI I PARLAMENTARI ITALIANI

Gentilissime e gentilissimi parlamentari,
si e' conclusa da pochi giorni a Roma la Carovana delle donne per il disarmo nucleare che in queste settimane ha attraversato tante citta' italiane per diffondere e sostenere l'appello affinche' l'Italia ratifichi il Trattato Onu di proibizione delle armi nucleari del 7 luglio 2017, un trattato che costituisce un necessario reale progresso per il bene comune dell'umanita'.
Gia' numerosi parlamentari italiani hanno espresso la loro personale adesione a questo appello, ma riteniamo che l'adesione possa e debba essere unanime.
In queste settimane ripetutamente il pontefice cattolico ha dato voce alla preoccupazione dell'intera umanita' ed invitato a un impegno corale per l'eliminazione delle armi atomiche prima che esse distruggano innumerevoli vite e la stessa civilta' umana.
E mesi fa l'attribuzione del Premio Nobel per la Pace all'Ican - la rete delle campagne, delle associazioni e dei movimenti impegnati per il disarmo nucleare - ha evidenziato come ovunque si avverta che questo impegno e' improcrastinabile.
E non vi e' persona assennata che non tremi dinanzi alla minacciosa escalation della crisi coreana.
All'invito di tante autorevoli istituzioni e personalita' vorremmo aggiungere anche il nostro: vogliate legiferare al piu presto un atto che ogni persona ragionevole ritiene necessario ed urgente: l'Italia ratifichi il Trattato Onu di proibizione delle armi nucleari.

2. SOLIDARIETA'. LA CASA SIAMO TUTTE. UN APPELLO
[Dalla Casa Internazionale delle Donne riceviamo e diffondiamo]

Sostegno alla Casa
lacasasiamotutte (lacasasiamotutte at gmail.com)
#lacasasiamotutte
A tutte le amiche e gli amici,
come avrai saputo dalla stampa o dalla televisione, la Casa Internazionale delle Donne ha bisogno di aiuto.
Abbiamo ricevuto moltissime dimostrazioni di affetto e vicinanza che ci hanno molto commosso, e ve ne siamo grate, ma anche siamo state sollecitate a richiedere un aiuto economico a quante, come te, ci conosce, ha lavorato nella Casa e con la Casa.
Essere luogo di riflessione politica delle donne, ospitare in modo sostenibile tante associazioni e tante attivita', costruire, produrre attivita' culturali, tenere aperto il piu' grande archivio della storia e della produzione femminista, mantenere decorosamente un edificio storico, farlo restare aperto, fruibile a disposizione delle donne e di tutta la citta', fornire servizi di assistenza, consulenza, sostegno al lavoro e alla vita delle donne e dei bambini, promuovere formazione, costa e costa molto.
Per questo ti chiediamo di contribuire alla sopravvivenza della Casa, per farla essere sempre di piu' e sempre meglio quel luogo unico a Roma, in Italia, in Europa che e' la nostra Casa Internazionale delle donne.
Ringraziandoti fin d'ora e ricordandoti che la Casa si sostiene solo con l'autofinanziamento, ti chiediamo anche di far partecipare le persone a te vicine al sostegno della Casa.
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causale: "Donazione per la Casa Internazionale delle Donne"

3. APPELLI. IL SENATO APPROVI LA LEGGE SULLO "IUS SOLI / IUS CULTURAE"

Non e' possibile che un bambino ovvero una bambina, un ragazzo ovvero una ragazza, nati in Italia, cresciuti in Italia, che studiano in Italia, che vivono nella comunita', nella lingua e nella cultura italiane, possano essere ritenuti alieni: sono con tutta evidenza cittadine e cittadini italiani ancor prima di aver compiuto i diciotto anni, quando la legge vigente gia' riconosce loro il diritto di decidere di essere cittadini italiani con una semplice dichiarazione personale.
Perche' quindi continuare a umiliare e perseguitare dei bambini?
Perche' quindi continuare a negare la flagrante realta' che chi nasce e vive in Italia e' un cittadino italiano?
Ad eccezione di un'infima minoranza di pervertiti, nessuno in Italia vuole essere un persecutore di bambini.
Ad eccezione di un'infima minoranza di razzisti, nessun senatore potrebbe in scienza e coscienza negare il suo voto a una legge che prende atto della realta' e riconosce a bambine e bambini, ragazze e ragazzi, un diritto che loro appartiene: il riconoscimento giuridico del fatto inconfutabile che sono parte del popolo italiano, che sono cittadini italiani.

4. INIZIATIVE. "UNA PERSONA, UN VOTO". UN APPELLO ALL'ITALIA CIVILE

Un appello all'Italia civile: sia riconosciuto il diritto di voto a tutte le persone che vivono in Italia.
Il fondamento della democrazia e' il principio "una persona, un voto"; l'Italia essendo una repubblica democratica non puo' continuare a negare il primo diritto democratico a milioni di persone che vivono stabilmente qui.
Vivono stabilmente in Italia oltre cinque milioni di persone non native, che qui risiedono, qui lavorano, qui pagano le tasse, qui mandano a scuola i loro figli che crescono nella lingua e nella cultura del nostro paese; queste persone rispettano le nostre leggi, contribuiscono intensamente alla nostra economia, contribuiscono in misura determinante a sostenere il nostro sistema pensionistico, contribuiscono in modo decisivo ad impedire il declino demografico del nostro paese; sono insomma milioni di nostri effettivi conterranei che arrecano all'Italia ingenti benefici ma che tuttora sono privi del diritto di contribuire alle decisioni pubbliche che anche le loro vite riguardano.
Una persona, un voto. Il momento e' ora.

5. REPETITA IUVANT. DUE PROVVEDIMENTI INDISPENSABILI PER FAR CESSARE LE STRAGI NEL MEDITERRANEO E LA SCHIAVITU' IN ITALIA

Riconoscere a tutti gli esseri umani il diritto di giungere nel nostro paese in modo legale e sicuro.
Riconoscere il diritto di voto a tutte le persone che vivono nel nostro paese.

6. LIBRI. ENRICO PEYRETTI PRESENTA "IL DOVERE DI NON COLLABORARE" DI PIETRO POLITO
[Ringraziamo Enrico Peyretti per questa recensione, tratta dalla discussione svolta nella Sala Poli, Centro Studi Sereno Regis, Torino, 12 dicembre 2017]

Pietro Polito, Il dovere di non collaborare. Storie e idee dalla Resistenza alla nonviolenza, Edizioni Seb 27, Torino 2017, pp. 180, euro 15.
(Dalla discussione nella Sala Poli, Centro Studi Sereno Regis, 12 dicembre 2017).
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Questo di Pietro Polito e' un libro bello, ricco di letture, di pensieri raccolti, di esperienze narrate, di belle vivide figure storiche. L'Autore dice che e' un libro storico, descrittivo, non a tesi. Io pero' ci vedo tracce di un cammino, una evoluzione, dalla Resistenza alla nonviolenza.
E subito mi viene in mente don Primo Mazzolari (1890-1959) che, nel 1952, a soli sette  anni dalla fine della guerra, scriveva: "Se facessimo la resistenza come l'abbiamo fatta ieri, con l'animo di oggi, saremmo in peccato"  (p. 149 dell'edizione critica, a cura di Paolo Trionfini, di Tu non uccidere, Edb, Bologna 2015). Le prime edizioni di questo libro, dal 1955, uscirono senza il nome dell'autore Mazzolari, a cui la gerarchia aveva proibito di scrivere e predicare: nel clima della guerra fredda, parlare di pace era visto come favorire il nemico. Solo nel 1965, sei anni dopo la morte di Mazzolari, il libretto usci' col suo nome. Mazzolari si avvicinava al concetto di resistenza di Aldo Capitini.
E mi ricordo che Norberto Bobbio, in una piccola cerchia di conversazione, al Centro Gobetti, una volta ci disse:  "A volte mi sono pentito di non avere sparato ad un soldato tedesco, ma so che se l'avessi fatto sarei pentito di averlo fatto". E' l'intelligente pensiero bipolare di Bobbio.
C'e' un uccidere giusto, giustificabile? Il caso estremo lo ipotizza anche Beccaria (qui a p. 10), e anche Gandhi parla di casi tragici estremi in cui "uccidere puo' essere un dovere" (Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi 1996, p. 69), anche se sembra piu' esatto parlare di necessita' che di dovere.
Il "non uccidere" nella Bibbia e' subito delimitato da circostanze: non uccidere l'innocente (Esodo 23) e chi uccide sara' ucciso (Esodo 21). La Bibbia ammette la vendetta privata, ma limitata dalla proporzione: "occhio per occhio", ma non di piu'. Ed anche questo sara' superato. In tutto c'e' movimento, evoluzione, anche nelle cose sacre: "La Scrittura cresce con chi la legge" diceva Gregorio Magno nel VI secolo. Anche papa Ratzinger ha ammesso una evoluzione del dogma, il quale non significa fissita', ma una tappa della comprensione.
Ogni principio morale richiede discernimento nella situazione. Per applicare questo metodo, papa Francesco (p. es. in Amoris Laetitia, cap. 8) viene attaccato dai moralisti assoluti.
Ma le azioni umane hanno un orientamento fondamentale, di principio. Ho raccontato molte volte la mia esperienza infantile dell'aver visto uccidere, a guerra finita, tre soldati tedeschi che avevano perso il contatto coi loro in ritirata, da parte di partigiani, senza alcun motivo, per puro trascinamento della svalutazione della vita nemica. Nel bimbo di nove anni che ero io si stampa il valore: non si deve uccidere. La Resistenza e' stata giusta, il mezzo armato comprensibile, ma l'uccidere esseri umani degrada l'umanita'. Antonio Giolitti (p. 40) non esclude la violenza, ma e' consapevole dei guasti che produce. Il problema non e' "tutto bene o tutto male", ma evoluzione: percio' sottolineo "dalla Resistenza alla nonviolenza".
La "tensione" della ricerca morale e' superiore alla regola formulata, e alla "necessita'" della situazione: se la guerra poteva essere in altri tempi giustificata come necessaria, oggi diventa impossibile sia per l'evoluzione morale, sia per la distruttivita' estrema: Giovanni XXIII dichiaro' "alienum a ratione", fuori da ogni ragionevolezza, il giustificarla. La Resistenza non e' stata solo armata, conteneva gia' ampie forme di lotta nonviolenta, allora non teorizzata come e' oggi.
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Due resistenze in una sola
Il 25 maggio 2015, ci trovammo all'Istoreto, studiosi maturi ed anziani, giovani ricercatori, per conversare con storici di classe come Anna Bravo e Giovanni De Luna, autori entrambi di recenti importanti libri, sulla Resistenza armata, non armata e nonviolenta, detta anche civile.
De Luna, nel suo libro La Resistenza perfetta (Feltrinelli 2015), afferma che senza la Resistenza armata, quella civile non avrebbe avuto ragione di essere. Anna Bravo, come altri autori, da Semelin in qua, afferma che, in tutta Europa,  la Resistenza civile al dominio nazista e fascista, ha avuto una sua autonomia di mezzi e di azione rispetto alla forma armata, pur convergenti entrambe allo stesso fine di difesa e liberazione, e nel rispetto e riconoscimento da parte dei resistenti civili della dedizione e sacrificio dei partigiani combattenti.
E' venuta in discussione la presunta gerarchizzazione delle due forme di lotta, che secondo gli interpreti dell'immagine armata della Resistenza verrebbe compiuta dai ricercatori della nonviolenza nella storia e nella politica. Questi pero' ribadiscono: riconosciamo non solo la scelta delle armi in quel momento da parte dei partigiani, anche per la non conoscenza di esperienze nonviolente, ma riconosciamo pure che esistono tragiche situazioni estreme in cui uccidere diventa una brutta necessita'. Eppure non ci si puo' acquietare in cio', e bisogna cercare, nelle esperienze storiche come nei progetti politici, lo sviluppo di mezzi di lotte giuste, libere dall'uso della morte artificiale aggiunta alla nostra mortalita' naturale. Cio' sarebbe una evoluzione umana, una emancipazione dalla necessita' ripetitiva violenta. Il non uccidere e' un obiettivo irrinunciabile di umanizzazione, non e' un di piu' per anime belle.
De Luna ha ritenuto che gli storici della Resistenza civile, negli ultimi venti anni, abbiano posto come un anatema sulla lotta armata. A me pare proprio di no. Il punto non e' solo la coraggiosa decisione personale-esistenziale di passare la soglia oltre la quale c'e' il morire e far morire (la soglia tracciata da Barbato ben illustrata nel libro di De Luna), ma e' soprattutto lottare, anche a rischio di morire, con la forza e la volonta' umana di giustizia, senza affidare il giudizio alla capacita' distruttiva delle armi, giudizio che per sua natura sfugge al criterio umano e facilmente si ritorce anche in effetti di disumanizzazione di chi usa le armi, pur con giuste ragioni.
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Resistenza guerra giusta?
La Resistenza e' stata (come dice Borgna, a p. 10-11 del libro di Polito) una guerra giusta?  Non la includerei del tutto nella "guerra", ma nella "rivolta" di coscienza (armata o non armata): nelle bande partigiane non vigeva il comando di uccidere, come negli eserciti, secondo quella affermazione del generale Carlo Jean, che ho citato tante volte: "Nell'esercito occorre l'obbedienza automatica, perche' si tratta di uccidere". Ma un'obbedienza automatica non e' umana.
La vittoria della forza non e' mai la pace giusta. E' un puro caso che la forza vincente, perche' e' maggiore, sia quella che difende il diritto e non il sopruso. Il confronto tra due violenze non c'entra nulla col confronto tra due ragioni o diritti. Bobbio ha ripetuto: "La guerra e' l'antitesi del diritto". C'e' una irrazionalita' radicale della guerra, prima di ogni giudizio morale.
Si deve resistere al potere ingiusto, anzitutto non collaborando con la propria obbedienza. Gene Sharp mostra che il potere consiste nell'essere obbedito, per le piu' varie ragioni, dalla convinzione alla convenienza. Non esiste il sangue blu dei re, che renda il potere per sua natura legittimo. Tutti abbiamo, se lo vogliamo, l'arma no, che inceppa il comando ingiusto: e' l'arma che non uccide. Le condizioni per usarla sono il motivo giusto, la consapevolezza, il coraggio.
Si puo' togliere al prepotente il sostegno degli esecutori-collaboratori, ridurlo nudo, metterlo nella necessita' di restituire parita', non occorre ucciderlo. La nonviolenza e' lotta, pura dalla riproduzione della violenza. Non e' sempre facile: si tratta di una  tensione, movimento, avvicinamento, una evoluzione umana. Neppure Gandhi e' assolutista: parla di "ridurre la violenza al minimo possibile". Una evoluzione concreta verso la liberazione da ogni uccidere, non va accusata di utopismo fuori dal mondo, oppure di integralismo morale. La pazienza attiva e costruttiva della nonviolenza si oppone alla follia del pensiero armato, che precipita fino alla catastrofe.
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Gobetti: etica, politica, religione
Mi soffermo sul capitolo "Antifascismo etico", su Gobetti (pp. 63-67). Davanti alla presa di potere di Mussolini, bisognava collaborare (come fecero alcuni popolari, in coscienza cristiani) per moderare, ridurre il danno? Oppure, come fece Gobetti, su base morale civile, bisognava giudicare, opporre "l'opera educativa", essere "esuli in patria"?  Se si vuole comprendere e rispettare la scelta della riduzione del danno, del "minor male", si dovra' almeno altrettanto comprendere e rispettare la scelta di Gobetti. Polito cita una pagina di Gobetti "contro la politica come mera tattica", pagina che "andrebbe rimeditata in questo nostro tempo" (p. 65). Quello di Gobetti "non e' il realismo che viene a patti con la realta', ma e' il realismo che fa i conti con la realta'". Scrive Gobetti: "Bisogna concepire il nostro lavoro come un esercizio spirituale, che ha la sua necessita' in se', non nel suo divulgarsi", cioe' non nel successo. E Polito: "la lotta di Gobetti al fascismo prima ancora che politica e' di natura morale, ha un valore religioso, e' un problema di stile" (p. 66).
E si potrebbe parlare anche dell'antifascismo "religioso" di Capitini (p. 75-88). Entrambi laici, non cattolici, sarebbero moralisti integralisti, con una idea e prassi impropriamente dettata alla politica, o invece appartengono al meglio della politica civile italiana?
La religione non e' solo sudditanza dottrinaria e rituale all'istituzione cattolica in Italia (p. 76), che certo e' stata anche un potere politico, ma da 50 anni si va liberando dal potere, per essere vangelo.
La "religione" in senso serio e spirituale, e' vita della coscienza, e' umanesimo profondo e alto, che "collega" in liberta' e giustizia la persona al tutto sociale e spirituale: "Religiosus esse nefas, religentes oportet" (Aulo Gellio). Ogni diversa religione ha un suo riferimento essenziale - per i cristiani Gesu' di Nazareth, come modello e maestro di uomo compiuto - ma tutte le religioni autentiche sono forme di massima socialita'. Cosi' possono ispirare la politica, la convivenza umana. La politica e' essenzialmente giustizia dei rapporti umani, ben prima che tecnica del potere, e lotta spregiudicata per conquistarlo.
Il potere serve alla giustizia, e non viceversa. La politica non e' una tecnica o una meccanica, ma appartiene all'etica, che cerca l'agire umano migliore. Avessimo oggi un laicismo come quello di Gobetti e Capitini, avessimo - ma sta venendo, specialmente con Francesco - un cristianesimo umano, non sacrale, non autoritario, non politico-potente, e percio' veramente "politico", cioe' servizio fraterno alla convivenza plurale di tutti. Non c'e' nulla da temere se l'universalismo-pluralismo spirituale (di cui ho incontrato maestri come Panikkar, Bori, Kueng) viene ad animare una politica che oggi pare senza idee e progetti, perche' senza anima, ridotta a brevi calcoli interni al sistema ingiusto vigente.
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Alcuni punti maggiori
Ritengo importante per me evidenziare e meditare alcuni punti del bel libro di Polito:
Pag. 34 - Oggi manca l'aver fatto l'esperienza di una scelta morale come la Resistenza, di un tale bivio morale, che anche chi allora era giovane o bambino ha respirato nell'aria. Percio' le scelte sono oggi di basso livello, di interesse, di appartenenza: non si trova in gioco la qualita' umana. Non deve esserci bisogno dell'estremo, ma almeno la memoria, e almeno la coscienza che in realta' anche oggi e' in gioco la qualita' e il senso umano: la distruttivita' nucleare insensata, la rovina della natura che e' vita nostra, la mercificazione della vita di persone e popoli assoggettati al potere della finanza, non sono forse un urgente motivo per resistere con forza, costruendo radicali alternative vitali?
Pag. 35-37 - Tra i condannati a morte ci sono testimonianze alte laicamente "religiose" e anche "evangeliche" (p. 36) per la loro purezza morale e dedizione all'umanita'.
Pag. 56 - La Resistenza pensata da Polito, meditata, insieme a profondi testimoni, potrebbe dare a questo libro anche il titolo "Umanita' della Resistenza". Vedi Bianca Guidetti Serra dove parla (p. 54) di "protagonismo femminile senza mai impugnare un'arma"; "riconoscere anche nei nemici delle persone"; "ritrovare la dimensione umana che ci accomuna al nemico". "La democrazia e' il regime delle persone semplici".
Pag. 57-59 - Antonicelli insegna e ammonisce: imparare e' una cosa difficile.  La rivoluzione non e' vendetta, ma lavoro leale del contadino, pero' anche la tempesta potrebbe un giorno essere leale. L'accento non va piu' sulla Patria, ma sull'Umanita'.
Pag. 75-88 - Capitini afferma che in realta' la Resistenza c'e' dal 3 gennaio 1925 (p. 84), e lui l'ha fatta, a caro prezzo personale, fin dal gennaio 1933. Il conflitto armato e' secondario rispetto alla solidarieta' popolare, elemento vincente ( p. 85). "L'altra via" sognata da Capitini: che "gli italiani si liberassero dal fascismo da soli", con una "eroica non-collaborazione e disobbedienza civile... senza torcere un capello a nessuno". Ma questa possibilita' non era conosciuta, e il fascismo era appoggiato da chiesa, monarchia, esercito, intellettuali (p. 86-87).
Pag. 89-96 - La serieta' di Pavone: problema della religione, non necessaria alla morale (p. 95) e problema della violenza: e' contento di non avere ucciso, meglio essere ucciso (96).
Pag 105-111 - Caffi: la violenza perpetua la violenza. Egli conclude ponendo a base gruppi di amicizia: l'amicizia (fratellanza, compassione) e' base di politica umana, e' energia di evoluzione umanizzante.
Pag. 112-115 - Dopo un ricordo di Nanni Salio, Polito legge in Capitini (Tecniche della nonviolenza, Feltrinelli 1967) l'azione della disobbedienza civile e scrive che oggi "possiamo meglio intendere che la violenza perde anche quando vince e la nonviolenza vince anche quando perde". Questo mi ricorda Michael N. Nagler, che, in Per un futuro nonviolento (Ponte alle grazie, 2005), dopo aver esaminato alcuni casi efficaci di resistenza nonviolenta al nazismo, conclude: "la nonviolenza ogni tanto "funziona", ma e' sempre efficace. La violenza ogni tanto "funziona", ma non e' mai efficace".  Che cosa intende Nagler col termine "funzionare", che mette tra virgolette? Vuol dire che la nonviolenza a volte, ma non sempre, ottiene del tutto cio' che vogliamo, ma ha sempre un effetto positivo sull'intero sistema. Neppure la violenza vince sempre (per il vinto in guerra la violenza e' fallita), ma di certo non lascia mai un seme fecondo. Quella che Nagler chiama qui "efficacia", non e' altro che quella "fecondita'" che troviamo detta da Merleau-Ponty: "La regola dell'azione non e' (...) l'efficacia a ogni costo, ma anzitutto la fecondita'" (Segni, Il Saggiatore 1967, p. 102).
Sulle tecniche di non-collaborazione all'ingiustizia, Polito conclude con Capitini: "Non accettare la realta' cosi' com'e' e' il primo contributo alla sua liberazione" (pp. 113 e 115).
Pag. 116-119 - Calamandrei: la desistenza e' pericoloso oblio; la Resistenza e' memoria religiosa per "una nuova religione civile per gli italiani". "Religione civile", termine usato qualche anno fa dagli "atei devoti" (politici, intellettuali e giornalisti non credenti che vedevano nella chiesa uno strumento di conservazione e difesa dell'"identita' occidentale" e del sistema vigente). Ma quella espressione puo' valere anche come patrimonio morale di una societa' politica. Cosi' Calamandrei capiva l'intenzione di La Pira (che proponeva di aprire la Costituzione con le parole "In nome di Dio, il popolo italiano...", poi ritiro' la proposta "perche' su Dio non si vota") e scriveva: "qualcosa che va al di la' delle nostre persone" un'idea religiosa, perche' tutto e' religione quello che dimostra la transitorieta' dell'uomo ma la perpetuita' dei suoi ideali". Cioe', per Calamandrei, c'e' della sacralita' in un giusto patto di convivenza umana (p. 119).
Pag. 120-123 - Ada Gobetti  auspica un rinnovamento "religioso" dell'umanita', ma non segue Capitini sulla nonviolenza, non esclude casi di necessita' della violenza, pero' ci sono momenti Quando non si deve obbedire (cosi' un suo articolo), ed e' maturita' umana sostituire il ragionamento alla violenza.
Pag. 124-127 - Massimo Mila scrive un manualetto sulla democrazia per l'istruzione dei partigiani che spesso hanno "opinioni piuttosto selvagge" e pensano di vincere la guerra per impiantare "un fascismo con segno rovesciato", e fa l'elogio della opposizione politica in parlamento (anche se non si conquista la maggioranza) per un efficace controllo sull'operato del governo.
Pag. 128-133 - Questo bel capitolo su Danilo Dolci mostra un "nuovo modo di vivere la religione e la politica" (p. 129), una opposizione sociale ispirata a purezza morale e ad una radicale efficacia operativa, con coraggio e sacrificio personale. Dolci preferisce parlare di "azione di coscienza" meglio che "obiezione di coscienza", e subisce 26 processi. Il suo metodo consiste in: 1) realismo, col mezzo dell'inchiesta 2) coinvolgere l'opinione pubblica 3) coltivare valori politici con una rivoluzione permanente 4) comunicare con metodo maieutico, seminare domande per l'autoanalisi popolare e formazione di coscienza.
Pag. 134-138 - Don Lorenzo Milani vuole formare il "cittadino sovrano", responsabile di tutto, non obbediente sempre per supposta virtu', ma critico e attivo, alternativo al cittadino appagato, come al cittadino arrabbiato contro la politica.
Pag. 139-144 - Pietro Polito, nella presentazione del libro, considera centrali le sue pagine su Pier Paolo Pasolini, un'altra figura di "resistente" in senso ampio e profondo: Polito lo sente differente da se', ma "il piu' attuale". Il poeta e' "profeta disarmato", ha solo la verita' della parola consapevole contro il potere, il quale e' "un sistema di educazione che ci divide soggiogati e soggiogatori". Ma l'uso della violenza ribelle non e' il necessario rifiuto essenziale, e "non lascia piu' vedere di che segno sei". "I pochi che hanno fatto la storia sono quelli che hanno detto no". "Il rifiuto, per funzionare, deve essere grande, non piccolo, totale, non questo o quel punto, deve essere 'assurdo', non di buon senso". Cosi' fu il rifiuto di Claudio Baglietto, esule per rifiutare il servizio militare, ispiratore di Capitini (p. 160-166).
Il volume contiene anche un inedito di Bobbio "Fiori rossi al Martinetto" e poi sviluppa il confronto tra la nonviolenza "pragmatica" di Calogero e la nonviolenza "persuasa" di Capitini (pag. 154-159). Polito dichiara la sua persuasione: "Il 'no' di Baglietto rappresenta l'affermazione purissima del primato della coscienza: la mia propensione e' sempre andata piu' verso i persuasi che verso i pragmatici, verso coloro che, quando e' in gioco un valore, credono che l'etica delle intenzioni viene prima dell'etica del risultato" (p. 166).
La nonviolenza "persuasa" e' l'idea e ricerca preferita anche da me, come piu' profonda, ma sono rimasto un po' perplesso davanti all'affermazione di Capitini che "dal punto di vista religioso, del 'persuaso', il valore della nonviolenza non sta nella sua efficacia" e che "importa sommamente non ottenere una cosa o un'altra, ma il modo di ottenerla. Perche' il modo vuol dire l'ispirazione che vive in quel momento, il senso della vita, l'anima, il centro". "L'atto religioso non vale perche' e' vantaggioso, ma vale in senso assoluto, per un amore che e' superiore a ogni considerazione di utilita'" (p. 159). Questo accento sulla pura testimonianza, o martirio, pero', nel pensiero nonviolento complessivo va pure composto con la ricerca di effetti reali e positivi per la giustizia e la pace, valori che la nonviolenza vuole pure cercare e in diversi casi storici ha saputo ottenere, piu' fecondamente dei metodi violenti.
Leggiamo in conclusione Capitini: "Il principio della nonviolenza e' mettere il bene al posto del male". "Il male si vince accrescendo il bene" (p. 177). Questo e' lo stesso vangelo di Gesu' di Nazareth, e' la fiducia coraggiosa, o fede, che il Bene sia la realta' essenziale, comunque lo chiamiamo, e che sia possibile viverlo, nonostante le offese della storia. Tutto il libro e' percorso da un'idea di religione, vista nei protagonisti, nella loro ricerca, nella loro vita e azione: una religione laica, non una particolare chiesa o tradizione, non una dottrina o istituzione, ma il senso di umanita' sentito in se' e riconosciuto negli altri, come un valore grande, non disponibile ai calcoli utilitari. Potra' sembrare troppo vaga una tale idea di religione, ma io l'apprezzo, perche' ci unisce nella volonta' di verita' e giustizia del vivere. E' "religione vera" (anche secondo la Bibbia) cio' che ci unisce, ci fa solidali, soccorrevoli, attivi per la pace e la giustizia.
Nella discussione sul libro, nel Sereno Regis, il 12 dicembre, qualcuno ha sottolineato la divergenza tra chi crede in Dio (chiamiamo cosi', con nome improprio, la realta' vivente vista come origine e meta e spirito della nostra vita profonda) e chi non crede. Oggi anche la teologia cristiana sottolinea la continuita' tra fede esplicita, che accoglie segni di luce sul mistero, e la fede nel valore umano in tutti come in noi. Non c'e' questo abisso di separazione, quando nel nostro vivere ci riconosciamo tutti poveri cercatori di luce e di bene, e cio' e' anche quel tanto di felicita' che possiamo assaggiare insieme, nella pace.

7. SEGNALAZIONI LIBRARIE

Letture
- Pierantonio Frare (a cura di), Alessandro Manzoni, Rcs, Milano 2017, pp. 168, euro 5,90 (in supplemento al "Corriere della sera").
*
Riletture
- Lewis Henry Morgan, La societa' antica, Feltrinelli, Milano 1970, pp. XXXVIII + 426.
*
Riedizioni
- Oriana Fallaci, Insciallah, Rcs, Milano 1990, 2016, pp. XIV + 866, euro 8,90 (in supplemento al "Corriere della sera").

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 2916 del 15 dicembre 2017
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVIII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

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