[Nonviolenza] Nonviolenza. Femminile plurale. n. 658



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento del notiziario telematico quotidiano "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVIII)
Numero 658 del 14 dicembre 2017
In questo numero:
1. Ricordando le vittime dell'uranio impoverito. Un incontro a Viterbo
2. La Casa siamo tutte. Un appello
3. Sara De Simone presenta "Le tre ghinee" di Virginia Woolf
1. INCONTRI. RICORDANDO LE VITTIME DELL'URANIO IMPOVERITO. UN INCONTRO A VITERBO
Giovedi' 14 dicembre 2017, come prosecuzione dell'iniziativa territoriale suscitata dalla Carovana delle donne per il disarmo nucleare che ha attraversato l'Italia tra il 20 novembre e il 10 dicembre, si e' svolto a Viterbo presso il "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" un incontro di commemorazione delle vittime dell'uranio impoverito, di solidarieta' con i superstiti ed i loro familiari, di richiesta di un finalmente adeguato impegno da parte dello stato.
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Le persone partecipanti all'incontro, oltre ad esprimere il loro sostegno all'impegno per ottenere verita' e giustizia per la vittime dell'uranio impoverito ed adeguate provvidenze per superstiti e familiari, ed affinche' lo stato finalmente adotti tutti i necessari provvedimenti sia di indennizzo sia di bonifica sia di rigorosa normativa affinche' l'abominevole orrore dell'uso dell'uranio impoverito cessi definitivamente; ed oltre ad esprimere ancora una volta il loro sostegno all'appello affinche' l'Italia ratifichi al piu' presto il trattato Onu di proibizione delle armi nucleari del 7 luglio 2017; hanno espresso altresi' ancora una volta il loro sostegno anche all'appello "Una persona, un voto" per il riconoscimento del diritto di voto a tutte le persone residenti in Italia, all'appello affinche' sia riconosciuto a tutti gli esseri umani il diritto di giungere nel nostro paese in modo legale e sicuro, ed all'appello affinche' il Senato deliberi in via definitiva la legge sullo "ius soli / ius culturae"; hanno espresso altresi' il loro sostegno all'iniziativa per l'abrogazione dell'ergastolo; e la loro solidarieta' alla "Casa internazionale delle donne" di Roma.
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Salvare le vite e' il primo dovere.
Pace, disarmo, smilitarizzazione.
Soccorrere, accogliere, assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Ogni vittima ha il volto di Abele.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.
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Allegato: Una breve notizia sulla Carovana delle donne per il disarmo nucleare
Si e' svolta tra il 20 novembre e il 10 dicembre 2017 la Carovana delle donne per il disarmo nucleare che ha attraversato l'Italia per chiedere che anche il nostro paese ratifichi il Trattato di proibizione delle armi nucleari (Tpnw) adottato il 7 luglio 2017 dall'Onu.
Molte le iniziative realizzate in varie citta' d'Italia: la Carovana, promossa dalla "Lega internazionale delle donne per la pace e la liberta'" (Wilpf), la piu' antica e prestigiosa associazione pacifista internazionale, ha infatti saputo suscitare l'adesione e l'impegno del vasto e variegato arcipelago del "popolo della pace", associazioni, movimenti, istituzioni e persone impegnate in difesa dell'umanita' e della biosfera, per la pace e il disarmo, contro tutte le violenze, per la liberazione comune e per la vita, la dignita' e i diritti di ogni essere umano e dell'intero mondo vivente.
La carovana ha preso avvio il 20 novembre, "Giornata internazionale dei diritti dell'infanzia", e si e' conclusa il 10 dicembre, "Giornata internazionale dei diritti umani"; al suo centro, cuore pulsante, il 25 novembre, "Giornata internazionale contro la violenza sulle donne", con la partecipazione alla manifestazione nazionale promossa dal movimento "Non una di meno" a Roma.
Invitiamo tutte le persone di volonta' buona, tutte le associazioni impegnate per la pace, i diritti umani, la difesa della natura e della civilta' umana, tutte le istituzioni democratiche, a sostenere le ulteriori iniziative della Wilpf.
Per contattare le donne della "Lega internazionale delle donne per la pace e la liberta'" (Wilpf-Italia): Antonia Sani: cell. 3497865685, e-mail: antonia.sani.baraldi at gmail.com e Giovanna Pagani: cell. 3201883333, e-mail: gioxblu24 at gmail.com
2. SOLIDARIETA'. LA CASA SIAMO TUTTE. UN APPELLO
[Dalla Casa Internazionale delle Donne riceviamo e diffondiamo]
Sostegno alla Casa
lacasasiamotutte (lacasasiamotutte at gmail.com)
#lacasasiamotutte
A tutte le amiche e gli amici,
come avrai saputo dalla stampa o dalla televisione, la Casa Internazionale delle Donne ha bisogno di aiuto.
Abbiamo ricevuto moltissime dimostrazioni di affetto e vicinanza che ci hanno molto commosso, e ve ne siamo grate, ma anche siamo state sollecitate a richiedere un aiuto economico a quante, come te, ci conosce, ha lavorato nella Casa e con la Casa.
Essere luogo di riflessione politica delle donne, ospitare in modo sostenibile tante associazioni e tante attivita', costruire, produrre attivita' culturali, tenere aperto il piu' grande archivio della storia e della produzione femminista, mantenere decorosamente un edificio storico, farlo restare aperto, fruibile a disposizione delle donne e di tutta la citta', fornire servizi di assistenza, consulenza, sostegno al lavoro e alla vita delle donne e dei bambini, promuovere formazione, costa e costa molto.
Per questo ti chiediamo di contribuire alla sopravvivenza della Casa, per farla essere sempre di piu' e sempre meglio quel luogo unico a Roma, in Italia, in Europa che e' la nostra Casa Internazionale delle donne.
Ringraziandoti fin d'ora e ricordandoti che la Casa si sostiene solo con l'autofinanziamento, ti chiediamo anche di far partecipare le persone a te vicine al sostegno della Casa.
Per la donazione:
http://www.casainternazionaledelledonne.org/index.php/it/sostienici-support-us
IBAN IT38H0103003273000001384280
causale: "Donazione per la Casa Internazionale delle Donne"
3. MAESTRE. SARA DE SIMONE PRESENTA "LE TRE GHINEE" DI VIRGINIA WOOLF
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriradelledonne.it) riprendiamo il seguente contributo di Sara De Simone, dottoranda della Normale di Pisa, al ciclo "Riletture", 11 ottobre 2016, ideato da Alessandra Bocchetti per la Casa internazionale delle donne di Roma; intervento dal titolo originale "Dear Fellow Outsider".
Dalla medesima fonte riprendiamo anche la seguente notizia sull'autrice: "Sara De Simone si e' laureata in Filologia romanza all'Universita' La Sapienza di Roma. Attualmente e' dottoranda in Letterature comparate alla Scuola Normale Superiore di Pisa, dove si occupa, tra l'altro, della narrativa modernista di Virginia Woolf, Katherine Mansfield e Clarice Lispector. Ha fatto parte dell'esperienza di Se non ora quando?, confluendo poi nel gruppo Snoq Factory. Partecipa da anni al Laboratorio di studi femministi Anna Rita Simeone - Sguardi sulle differenze con cui ha realizzato diverse video-inchieste (Di questa donna e delle altre, Chi dice donna dice danno, La parola femminista) e curato alcuni numeri di DWF".
Virginia Woolf, scrittrice tra le piu' grandi del Novecento, nacque a Londra nel 1882, promotrice di esperienze culturali ed editoriali di grande rilievo, oltre alle sue splendide opere narrative scrisse molti acuti saggi, di cui alcuni fondamentali anche per una cultura della pace. Mori' suicida nel 1941. E' uno dei punti di riferimento della riflessione dei movimenti delle donne, di liberazione, per la pace. Opere di Virginia Woolf: le sue opere sono state tradotte da vari editori, un'edizione di Tutti i romanzi (in due volumi, comprendenti La crociera, Notte e giorno, La camera di Jacob, La signora Dalloway, Gita al faro, Orlando, Le onde, Gli anni, Tra un atto e l'altro) e' stata qualche anno fa pubblicata in una collana ultraeconomica dalla Newton Compton di Roma; una pregevolissima edizione sia delle opere narrative che della saggistica e' stata curata da Nadia Fusini nei volumi dei Meridiani Mondadori alle opere di Virginia Woolf dedicati (ai quali rinviamo anche per la bibliografia). Tra i saggi due sono particolarmente importanti per una cultura della pace: Una stanza tutta per se', Newton Compton, Roma 1993; Le tre ghinee, Feltrinelli, Milano 1987 (ma ambedue sono disponibili anche in varie altre edizioni). Numerosissime sono le opere su Virginia Woolf: segnaliamo almeno Quentin Bell, Virginia Woolf, Garzanti, Milano 1974; Mirella Mancioli Billi, Virginia Woolf, La Nuova Italia, Firenze 1975; Paola Zaccaria, Virginia Woolf, Dedalo, Bari 1980; Nadia Fusini, Possiedo la mia anima. Il segreto di Virginia Woolf, Mondadori, Milano 2006; Liliana Rampello, Il canto del mondo reale. Virginia Woolf, la vita nella scrittura, Il saggiatore, Milano 2005. Segnaliamo anche almeno le pagine di Erich Auerbach, "Il calzerotto marrone", in Mimesis, Einaudi, Torino 1977]
"Se dovessi fare un posto a questo capolavoro nelle graduatorie della grande letteratura politica, lo metterei vicino al Principe di Machiavelli"
(Luisa Muraro)
Ho voluto intitolare questo mio breve intervento "Dear Fellow Outsider", riprendendo l'intestazione di una lettera che Virginia Woolf ricevette da una delle lettrici di Le Tre Ghinee, alcuni mesi dopo la pubblicazione del libro.
"Cara compagna estranea" - le aveva scritto questa donna, Constance Cheke - "io non faccio parte della Sua stessa classe sociale, ho dovuto attendere che Smiths (era una catena di librerie) ne riducesse il prezzo da 6 a 2 sterline per comprarlo. Cio' detto, credo che Le Tre Ghinee dovrebbe essere letto in tutte le scuole, in tutti i college, in tutti i seminari".
Furono molte le donne che, dopo l'uscita del pamphlet della Woolf, presero l'iniziativa di scriverle. Le arrivarono lettere da tutta l'Inghilterra, ma anche da California, Michigan, New York. Le scrissero donne impegnate nell'educazione femminile, donne intellettuali, femministe, ma anche impiegate, operaie, e poi alcuni lettori uomini: un libraio - che le assicuro' che avrebbe fatto di tutto per suggerirlo ai suoi clienti - e perfino un autista di autobus, che - le confesso' - aveva faticato tanto a trovare il suo libro ma era ben lieto di esserci riuscito.
Non mancarono le lettere di dissenso, ma ce ne sono poche nel fondo della Woolf. Forse perche' trovarono subito, una volta lette, la via del cestino? O forse perche' chi si prende la briga di scrivere una lettera privata a un autore e', nella maggior parte dei casi, chi si e' sentito veramente coinvolto dalle sue parole e sente il bisogno di comunicarglielo.
Quel che e' certo e' che invece sulla stampa e tra gli amici intellettuali si scateno' un bel putiferio.
In pochi apprezzarono Le Tre Ghinee. Non piacque ai critici, non piacque agli amici. Maynard Keynes, l'illustre economista, appartenente come Virginia al gruppo di Bloomsbury, ne era stato irritato. Quella di Le Tre Ghinee - disse - "era una tesi sciocca e nemmeno ben scritta"; lo scrittore E. M. Forster, anche lui frequentatore del gruppo, lo defini' un libro "bisbetico, risentito e pieno di lamentele". Leonard, il marito, reagi' tiepidamente alla lettura del manoscritto. Il libro non piacque nemmeno a Vita Sackville West.
I recensori accusavano la Woolf di essere politicamente naif, niente di cui stupirsi visto che era fin troppo una "lady" - dicevano - una signora borghese immersa nel suo reame etereo. C'e' chi, maligno, sul giornale Spectator ironizzava: "a volte risulta difficile credere che la Signora Woolf non sia il personaggio di un racconto inventato da Forster". E continuava: "C'e' qualcosa in lei un po' vecchio stile, un po' provinciale... forse anche un po' stridulo?".
Dal canto suo Virginia, che era stata tanto ostinata e coraggiosa da scriverlo, quel libro, non si fece fiaccare certo dalle critiche che ne derivarono. Anzi prima ancora di pubblicarlo, come ricorda Nadia Fusini in Possiedo la mia anima (p. 257), aveva "profeticamente annunciato" a sua sorella Vanessa: "Non mi rimarra' un amico, dopo che sara' pubblicato il libro".
Ma che cosa fece irritare cosi' tanto critici e amici? Cosa infastidi'? Cosa non piacque?
Molti non tollerarono che Virginia, in un momento tragico come quello, con la guerra alle porte, si mettesse a parlare di diritti delle donne. Insomma, c'era ben altro a cui pensare.
E poi, quel legame che lei aveva voluto vedere tra patriarcato, fascismo e nazismo loro non lo vedevano" o, se lo vedevano, gli sembrava esile, tenue. E i consigli di Virginia su come evitare la guerra? Erano del tutto inadeguati.
Doveva, in effetti, essere molto difficile per un inglese digerire, ad esempio, righe come quelle in cui la Woolf, rivolgendosi all'avvocato antifascista suo interlocutore, proponeva, implacabile, una tale corrispondenza:
"Le femministe in realta' furono le antesignane del Suo stesso movimento. Combattevano il medesimo nemico per i medesimi motivi. Combattevano contro l'oppressione di uno stato patriarcale come voi combattete contro l'oppressione di uno stato fascista. Ma ora, la Sua lettera ci garantisce che oggi voi combattete al nostro fianco, non contro di noi. E' una circostanza cosi' straordinaria [...]. Ora voi provate sulla vostra persona quello che hanno provato le vostre madri quando furono escluse, quando furono imprigionate perche' erano donne. Ora voi siete esclusi, ora voi siete imprigionati, perche' siete ebrei, perche' siete democratici, per ragioni razziali, per ragioni religiose. Non e' una fotografia quella che vi sta davanti, siete voi stessi, che arrancate in fila. Allora tutto cambia. Ora vi appare evidente in tutto il suo orrore l'iniquita' della dittatura, non importa dove [...], non importa con chi [...]. Ma oggi lottiamo fianco a fianco. Si tratta di un fatto cosi' esaltante che se questa ghinea potesse essere moltiplicata un milione di volte, un milione di ghinee sarebbe tutto per voi" (p. 140).
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Una logica cosi' inoppugnabile e uno humor cosi' tagliente dovevano aver fatto saltare i nervi a parecchi fra quelli che leggevano.
Voi combattete il fascismo e il nazismo - parafraso io - che sono in Italia e in Germania ma non vi accorgete del fascismo e del nazismo che e' in tutti i vostri privilegi, in tutte le vostre pompose cerimonie, in tutte le esclusioni, le repressioni, che fate a casa vostra ogni giorno?
E siccome Viginia portava a sua testimonianza fatti concreti (da anni, dal 1931 stava raccogliendo a tale scopo articoli di giornale, fotografie, ritagli di riviste, citazioni da biografie e memoriali) ecco che individua il germe del dittatore in patria in una dichiarazione qualunque sul britannicissimo "Daily Telegraph" del gennaio '36: "Sono sicuro di esprimere l'opinione di migliaia di giovani dicendo che se fossero gli uomini a occupare i posti occupati da migliaia di giovani donne, essi sarebbero in grado di mantenere in modo onorevole quelle stesse donne. Il posto della donna e' in casa, mentre oggi essa obbliga l'uomo all'ozio forzato. Sarebbe ora che il Governo facesse pressioni sui datori di lavoro perche' assumessero piu' uomini..." (p. 79).
Ecco, commenta Virginia, in queste parole "troviamo in embrione l'insetto che riconosciamo sotto altri nomi in altri paesi. La' sta racchiuso allo stato embrionale l'essere che, quando e' italiano o tedesco, chiamiamo Dittatore. [...] Uno e' scritto in inglese, l'altro in tedesco. Ma che differenza c'e'? Non dicono la stessa cosa? Non sono l'uno e l'altro le voci di due dittatori, anche se l'uno parla la lingua inglese e l'altro la tedesca, e non ci troviamo tutti d'accordo nel ritenere che i Dittatori, quando li si incontrano all'estero, sono animali pericolosissimi, oltre che molto brutti? [...] Eccone uno qui, in mezzo a noi; e' ancora piccolo, arrotolato su se stesso come un bruco su una foglia, ma e' qui, nel cuore dell'Inghilterra" (p. 81).
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Ci vuole molta, spietata, lucidita' per scrivere parole come queste. Ci vuole anche la rabbia, concedersi di provare quello che Luisa Muraro in Dio e' violent definisce il sano "colpo di rabbia che e' la degna e giusta risposta umana all'invasione e alla prepotenza" (p. 59). Ci vuole, in definitiva, un grande coraggio, anche nel senso etimologico della parola, dal latino coraticum, ci vuole molto cuore, bisogna avere il cuore di scrivere parole come queste. Di mettere in fila esempi su esempi, fatti, notizie, dichiarazioni, uno dopo l'altro a riprova del fatto che la culla della democrazia, l'evoluta Inghilterra, aveva dimostrato, in un numero infinito di occasioni, di non essere affatto immune dalla prepotenza sistematica, dalla retorica viriloide, dalla pratica della sopraffazione che tanto indignava e allarmava, a vederla dal di fuori, a vederla da lontano.
Prepotenza e sopraffazione come quando, racconta la Woolf, dopo la fondazione dei primi due colleges femminili di Newhnam e di Girton, le direttrici di quei colleges chiesero al Senato accademico se le proprie allieve, una volta laureate, potevano anteporre al loro nome e cognome il titolo di "Dott.", proprio come facevano i loro colleghi laureati uomini, dato che la cosa le avrebbe molto aiutate a trovare lavoro, e - apriti cielo - alla votazione si presentarono in massa anche i consiglieri che non erano legati direttamente a quella Universita' per votare "no", cosi' da vincere con una schiacciante maggioranza di 1707 contro 661. Allora gli studenti, esaltati dal risultato, si diressero davanti ad uno dei colleges femminili e ne presero a calci e bastonate i cancelli di bronzo, rovinandoli.
O come quando, davanti alla Scuola Reale di Chirurgia di Edimburgo, duecento studentesse i cancelli se li videro sbattere in faccia dai loro colleghi maschi. Le chiusero fuori, e poi schiamazzarono, resero impossibili le lezioni, arrivano a portare una pecora in aula per protestare, perche' quella scuola era stata fondata per gli uomini, e solo loro avevano diritto a goderne.
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E' difficile non indignarsi, anche oggi, leggendo questi episodi. E' estremamente spiacevole anzi, dovrei dire, e' doloroso. E sebbene la lotta per le lauree di Cambridge sia molto lontana, cosi' come le prepotenze alla Scuola di Chirurgia, questi due fatti storici, nel momento in cui li ho letti, mi hanno dato una fitta, e subito dopo una scossa su per la colonna vertebrale. E' una sensazione che mi capita spesso di trovare, quando mi ritrovo davanti a fatti di una storia lontana, che pero' mi riguarda. E ogni volta, tutte le volte, mi accorgo che parlano, in qualche modo, anche di me. Parlano 'a' me.
Mi sono chiesta, mentre leggevo, davanti a quali cancelli chiusi devo aver provato qualcosa di simile a quello che provarono le studentesse della Reale Scuola di Chirurgia.
Mi sembra di vedere le loro facce, la loro espressione amaramente stupefatta. Qualcuna prova vergogna, qualcun'altra trema di rabbia. Qualcuna ha il sorriso obliquo di chi sorride per difesa, e rassicura le altre: "non l'avranno vinta".
Quali sono oggi i cancelli - piu' simbolici che pratici, evidentemente - che mi hanno lasciato fuori mentre io ero sicura che sarei entrata dentro?
Non e' per niente facile rispondere a questa domanda. Si tratta di meccanismi complicati, di dinamiche cosi' subdole e insidiose, spesso si tratta piu' di atmosfere che di situazioni precise. E' talmente tanta la liberta' che abbiamo raggiunto - almeno su un piano del discorso enunciato - che e' diventato cosi' difficile riconoscere e isolare le situazioni in cui non siamo libere. E' un terreno scivoloso, e poi c'e' sempre qualcuno pronto a rispondermi: "Fai un confronto con le tue antenate, anche solo di 40-50 anni fa. Non ti sembra di aver fatto incredibili passi avanti? Non ti sembra che sia tutto superato?".
Agli occhi di chi fa queste obiezioni un testo come questo della Woolf potrebbe apparire datato. Si limiterebbe a registrare i benefici che ha portato, le conquiste che ha ispirato. Ma per il resto... le donne, la guerra, il fascismo? Pratica archiviata.
Invece devo dire che io, se fossi nella condizione di poter inviare la mia lettera personale a Virginia Woolf, e se non temessi di peccare di presunzione, la comincerei proprio con l'intestazione di Constance Cheke, "Dear Fellow Outsider". E poi, scriverei la stessa frase che le scrisse tale Geraldine Ostle, segretaria, nel 1938: "Nessuno e' riuscito ad esprimere le nostre difficolta' nell'affrontare la vita meglio di Lei".
Dico questo ben consapevole del fatto che, pur usando la stessa frase di Geraldine, le mie difficolta' e la mia vita sono completamente diverse dalle sue. Eppure, anche simili. Molte cose sono cambiate, qualcosa invece ha solo mutato aspetto, qualcos'altro si perpetua, identico, qualcosa si e' aggiunto.
Quello che e' certo e' che Le Tre Ghinee continua a parlare, a interrogare, a suggerire, a provocare, a muovere.
E che il suo tesoro, il tesoro della differenza, e' un tesoro anche per me. Un vivo richiamo, un pungolo insistente, una fatica, a volte, ingrata, una necessita' incontestabile.
Credo che anche oggi valga la pena, eccome, di domandarsi: ho voglia di unirmi al corteo degli uomini? E a quali condizioni dovrei unirmi ad esso? E poi, dove mi condurrebbe?
Virginia Woolf rifiuta di unirsi all'associazione dell'avvocato "perche' cosi' facendo annegheremo la nostra identita' nella vostra; entreremo, riproducendoli e rendendoli ancora piu' profondi, dentro i vecchi slabbrati solchi della societa' [...] Cancelleremmo la visione che la nostra esperienza ci ha aiutate a intravedere" (p. 143). Mentre invece, scrive in un'altra pagina la Woolf, e' proprio "da quella differenza che puo' venirvi l'aiuto, se aiutarvi possiamo, per difendere la liberta', per prevenire la guerra. Ma se firmiamo il modulo che ci impegna a diventare membri attivi della Sua associazione, sarebbe come perdere quella differenza e quindi sacrificare la possibilita' di aiutarvi" (p. 141).
*
Mi sembra che quasi tutto, oggi, concorra a volermi far perdere la mia differenza. Che si parli sempre piu' frequentemente solo in termini di uguaglianza. Spesso le mie coetanee, ma ancor piu' le piu' giovani, universitarie o addirittura liceali, fanno riferimento in maniera del tutto naturale, direi distrattamente naturale, al fatto che non ci sono piu' differenze tra loro e il sesso maschile.
Non dimentichero' mai le interviste fatte l'anno scorso a un campione casuale di studenti e studentesse de La Sapienza per un inchiesta promossa dal "Laboratorio di studi femministi Anna Rita Simeone - Sguardi sulle differenze", che e' interno alla facolta' di Lettere e Filosofia, proprio sul termine "femminista". Quasi nessuna ragazza si sentiva di dichiararsi tale. Molte rispondevano che era assolutamente anacronistico. Ma la cosa che piu' mi colpi' e' che si evidenziava quasi mai la benche' minima differenza nelle risposte delle ragazze e dei ragazzi: gli studenti di entrambi i sessi ripetevano la stessa formula, quasi fosse imparata a memoria (cito testualmente): "siamo tutti uguali; ormai non c'e' piu' bisogno del femminismo; oggi le differenze sono state appianate".
Io e le tre colleghe responsabili di questa inchiesta tornammo a casa con un senso di sconforto e di prostrazione profondissime.
Che ingenue, qualcuno commentera'. Ma come, nel nostro laboratorio di pensiero e di scambio non ci eravamo accorte che, qualche aula piu' in la', qualche metro distante, sulla stessa scalinata su cui salivamo e scendevamo, le opinioni piu' comuni erano queste? C'era da rimanere cosi' stupite?
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Non era che non mi aspettassi quelle risposte. Mi era capitato cosi' tante volte di sentire affermazioni di quel tipo. Ma ascoltarle a viva voce, una dopo l'altra, consecutivamente, mi aveva spossata. Continuai a rimuginare. Era stata una giornata sfortunata? Non avevamo incontrato nessuna che volesse, anche in semplicita', mettere in parola il suo essere "diversa da"? Forse avevano ragione loro, forse noi con quei questionari inopportuni, da privilegiate, ci ostinavamo a porci un falso problema. Ma no, no, mi rispondevo, rivoltandomi un po' nella rabbia, un po' nell'incapacita', un po' nel terrore di avere davvero assistito ad un reiterato annegamento: l'annegamento di un'identita' nell'altra, il collasso delle differenze, il trionfo della "differenza non saputa", quella che si puo' solo subire e non si puo' pensare.
Siamo dunque condannate all'inefficacia, davanti alla normalizzazione, allo sdoganamento, ingannevole, di tutte le liberta', davanti all'"illusione della simmetria" che ha preso il sopravvento?
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Il potere che livella, che appiattisce, che svuota dall'interno le istanze rivoluzionarie succhiandone l'energia vitale e risputandone il baccello, come se fosse integro, ha tutto da guadagnare dall'indifferenziato, lo sappiamo bene.
E' lo stesso potere che spesso ci fa sentire necessarie, che ci consulta e vuole il nostro contributo di donne quando serve, e che ci ignora completamente quando non serve; lo stesso che molte volte utilizza le candidature femminili come fiore all'occhiello; lo stesso che dunque fagocita e rende inoffensivo l'altro sguardo, quello da cui potrebbe essere arricchito ma che sceglie di ignorare e anzi, se possibile, di includere per disinnescare.
Ma non voglio, ora, parlare ancora del Potere, il potere che ruba tutti i desideri, facendo finta di offrircene un ventaglio infinito; il potere del giogo della tristitia di spinoziana memoria, che deprime, disgrega, rende prigionieri e impotenti; il potere dell'indifferenziato, che nella promessa dell'uguaglianza ha la pretesa di annullare tutte le differenze, anche quelle irriducibili e che, proprio perche' irriducibili, mentre vengono sottratte al piano della consapevolezza, continuano ad agire sotterraneamente senza pero' poter essere pensate, senza avere piu' parole per essere espresse, ne' possibilita' di essere sapute.
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Vorrei parlare adesso di quello che io sento di potere fare. Di quello che un libro come Le Tre Ghinee mi da' le ragioni e gli incentivi e il coraticum, il coraggio del cuore, di voler fare.
Credo che ancora oggi abbia senso parlare di una Society of Outsiders. Non potrebbe e non dovrebbe, certo, essere l'organizzazione segreta di estranee alla guerra, alle armi, di indifferenti al combattimento, di senza patria - perche' in quanto donne la loro patria e' il mondo intero - di cui parlava la Woolf. Ma e' giusto e necessario e fa bene pensare che le donne, alcune donne, anche molto giovani, consapevoli della propria diversita', vogliano e possano "approfittare della differenza", per usare un'indimenticabile espressione di Carla Lonzi.
Per parte mia, io vorrei poter approfittare della storia differente di coloro che sono venute prima di me, vorrei poter approfittare delle mie antenate, cosi' come della mia esperienza altra, dell'altro sguardo... anche, dunque, di tutti gli svantaggi che la Storia ha comportato nel tempo, molti dei quali sono stati superati, mentre altri sono rimasti, e altri ancora sono mutati, ma di cui posso approfittare volgendoli in positivo, non in maniera consolatoria, ma come un autentico slancio di indipendenza.
*
Dico vorrei perche' non so se saro' in grado di fare tutto questo. Tradirsi e' dietro l'angolo, bisogna saperlo. E' cosi' faticoso essere fedeli a se stesse, cosi' tante donne mi e' parso di vedere mentre si mettevano in fila per essere ammesse al corteo degli uomini, che un giorno per stanchezza, per economia, per sfiducia, potrebbe capitare anche me. Spero in quel caso ci sia una voce cosi' amica da poter essere sufficientemente spietata nel ricordarmi qual e' il prezzo da pagare, quali sono le condizioni a cui stare, quali sono le mancanze del potere con cui io, dando la mia adesione senza portarmi dietro la mia differenza, colluderei.
A volte ho la sensazione che non siamo abbastanza amiche da essere spietate con quelle donne che ci pare scendano a compromessi... e che avrebbero bisogno, parlo soprattutto di quelle che scelgono di essere dentro le istituzioni, di un sostegno autentico, di sentire dietro di se' la pressione e l'energia della Societa' delle Outsiders.
*
Mentre iniziavo a preparare questo intervento e sfogliavo alcune pagine sulla Woolf mi ha fatto sorridere ritrovare una definizione che suo marito, Leonard, aveva scritto nella sua biografia riguardo al rapporto di Virginia con la politica: aveva scritto "Virginia era l'animale meno politico mai comparso sulla terra da quando Aristotele aveva inventato la definizione".
Certo, lui si riferiva al fatto che Virginia non era, come lui, cosi' politicamente impegnata, coinvolta, competente. Faceva spesso confusione tra uno schieramento e un altro. Non era un'esperta, come lui sentiva di essere e come lei stessa riconosceva lui fosse. Eppure... l'animale meno politico mai comparso sulla Terra sta all'origine della politica delle donne.
C'e' un segreto in quel meno che forse Leonard non coglieva. Un meno che proprio nella sua inadeguatezza, nel suo non fare parte e non mettersi in fila per fare parte di quel "politico" che era sempre esistito, fin dai tempi di Aristotele, trova le ragioni e le esperienze per crearne uno nuovo. Per "non ripetere - dice la Woolf dice nella conclusione di Tre Ghinee - le vostre parole e i vostri metodi, ma trovare nuove parole e inventare nuovi metodi".
*
Vado a concludere.
Essere fuori dal cancello puo' essere utile per guardare meglio. Le cose si vedono in una prospettiva diversa. Essere out-siders, rimanere fuori dal centro, mantenersi eccentriche, permette una visione binoculare che chi e' dentro non sempre riesce ad avere.
Accettare di essere incongruenti, difendere la propria differenza senza cedere all'inclusione nell'indifferenziato, comporta una non indifferente fatica.
Significa riconoscere di essere straniere, e volerlo restare.
Ma come scrive Hannah Arendt, nella sua biografia di Rahel Vernagen, una donna, e un'ebrea, "Fremdsein ist gut" (p. 85): "'Essere stranieri' fa bene; immergersi, [...] e sperimentare, tentare quello che procura piacere; non lasciarsi aggredire, essere senza pretese, perdersi in tutte le cose belle del mondo. Di tante cose ci si puo' innamorare; di un bel vaso, del bel tempo, di persone belle. Tutte le cose belle hanno il loro potere, ogni cosa del mondo ha un suo volto e puo' essere bella".
Per tutto questo e per molto altro, cara compagna outsider, essere fuori, non essere a casa, certe volte, oltre che una cosa faticosa e necessaria, mi pare anche una cosa bella.
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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 658 del 14 dicembre 2017
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