[Nonviolenza] Archivi. 215



 

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ARCHIVI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVII)

Numero 215 del 19 novembre 2016

 

In questo numero:

1. Alcuni testi del mese di settembre 2016 (parte quinta)

2. Lucio Emilio Piegapini: Missione di soccorso

3. Con Alfio Pannega contro la guerra

4. Opporsi alla guerra, opporsi a tutte le uccisioni

 

1. MATERIALI. ALCUNI TESTI DEL MESE DI SETTEMBRE 2016 (PARTE QUINTA)

 

Riproponiamo qui alcuni testi apparsi sul nostro foglio nel mese di settembre 2016.

 

2. LUCIO EMILIO PIEGAPINI: MISSIONE DI SOCCORSO

 

Parte prima: l'antefatto

Ci aveva telefonato a tutti e due, a me e a Leo, un comune amico per dirci che Franz si trovava nei guai, guai grossi; non so che aveva combinato ma adesso era pieno di debiti, e si trattava di debiti con gente brutta che e' meglio non incontrarla mai.

Era d'estate, Max stava a Gerusalemme e ci aveva chiamato da li' per farci sapere la situazione che l'aveva saputo da Felicetta che gliel'aveva detto Milena che gliel'aveva detto Dora; senza Max di amici veri di Franz qui a Praga c'eravamo solo io e Leopoldo: qualche cosa dovevamo fare.

Leo all'epoca lavorava in banca (lo cacciarono poi, per quella storia che non e' vero che ando' come l'hanno raccontata in televisione, ma semmai ve la racconto un'altra volta), e io mi occupavo di calcolo delle probabilita', ovvero di scommesse - diciamo che aiutavo i risultati delle corse (e anche di questo magari ne parliamo un'altra volta, ma e' una cosa semplice: tu non lo sai mai chi vince, ma il cavallo che perde lo sai di sicuro perche' ci pensi tu a dare una mano a far andare le cose per il verso giusto, ci vuole poco).

Diceva Max che Franz era scappato a Trieste perche' Pippetto - che gestisce la finanza diciamo cosi' "creativa" qui da noi - gli aveva detto che tempo tre giorni e addio al mignolo della mano sinistra, altri tre giorni e partiva il testicolo destro, e cosi' via.

Pippetto lo conoscevamo bene sia io che Leo, perche' con lui, con Franz e con Max eravamo cresciuti insieme, avevamo fatte le scuole elementari tutti dalla sora Amalia, avevamo fatto saltare con le fionde tutte le lampadine dei fanali del quartiere, eravamo pure finiti al riformatorio insieme per quella storia della baby-gang che era veramente una scemenza, ma noi avevamo peggiorato le cose in tribunale quando il giudice dei minori voleva fare il suo sproloquio educativo e noi attaccammo a cantare "I love you baby" che facemmo schiattare dalle risate tutto il tribunale e ci buscammo il supplemento di pena, quei cornuti. Al riformatorio fu dura ma facemmo quadrato, e quando uscimmo eravamo piu' vispi e piu' tosti di prima. Fu al riformatorio che Franz decise di studiare da avvocato, e poi lo fece davvero, pero' poi invece di fare l'avvocato s'impiego' neppure mi ricordo dove, faceva l'assicuratore o si occupava di previdenza sociale, non si capiva mai bene, lo sapete com'e' quando racconta le cose, non sai mai se scherza o se dice sul serio. Pero' siamo restati amici anche se abbiamo fatto carriere diverse.

Insomma andammo a trovare Pippetto per chiedergli che cavolo era successo con Franz. Pippetto lo sapete com'e', e' un fumino della malora, pero' cosi' come prende fuoco subito, dopo cinque minuti la butta a ridere. Quando io e Leo entriamo nel suo ufficio (che poi sarebbe la sala da biliardo del bar di Ceccobbeppe) subito fa: "E te pareva? So' 'rrivati l'imbasciatori". E io: "Ma de che?". E lui: "E 'nnamo, pe' quer pipparolo de Franz, no?". E Leo: "E ppe' cchi senno'?". E allora io e Pippetto in coro: "Pe' ttutto 'r cucuzzaro". Siamo gente cosi', alla buona, ci piace divertirci con queste stupidaggini.

Insomma, era successo questo: che Franz aveva fatto un sacco di buffi in giro, perche' i negozianti gli facevano credito pensando che intanto era avvocato, poi era impiegato imperialregio e quindi aveva lo stipendio sicuro e ci si poteva rivalere sul quinto, e poi alle perse avrebbe pagato suo padre, che aveva una bella attivita' e i soldi non gli mancavano e nel quartiere se lo ricordavano tutti che cento volte aveva cacciato la liretta per sistemare i disastri fatti da quel figlio scapestrato. E qui si sbagliavano: perche' era andata a finire che dagli oggi e dagli domani il padre si era proprio rotto le scatole e un giorno aveva preso Franz e gli aveva detto: "Ah brutto scarafaggio, e mo' basta, eh? I prossimi danni che fai te li paghi da solo". Ma Franz, figuriamoci, continuava come prima, e anzi andava in giro a dire a tutti "E cche 'mme fa' 'l babbo? Me fa 'l processo? Me manna in America? Vojo propio veda, vojo".

Per farla breve: casini su casini e buffi su buffi. Quando ormai erano una valanga una delegazione dell'Associazione commercianti di Praga e provincia guidata dal presidente, che a quel tempo era uno forte che con le chiacchiere ci mandava avanti i treni, ando' a trovare Pippetto e gli disse cosi' e cosi', qui non se ne puo' piu', e non c'e' verso, e le abbiamo provate tutte, eccetera eccetera. Al punto che Pippetto, che gli piacciono le pose da grandone, disse: "Ho capito, ho capito, ve lo stacco io 'n assegno", E cosi' fece, e quelli "Grazie, grazie, Pippe'. Lo sapemme che ce penzavi tu, no quel morto de fame del su' ba' che con tutto che cia' l'autosalone e venne pure le Ferrari e le Jaguar ha detto che se se ripresentamme a casa sua ce tirava co' la doppietta, col quintone, col kalashnikov ce tirava. Quer buzzurro che Dio pero' l'ha castigato, eh, co' quer fijo zzozzone e screanzato".

Pero' a Pippetto gli piaceva si' fare il grandone, ma siccome i soldi non crescono sugli alberi, adesso li rivoleva da Franz, e lo sanno tutti che se hai un debito con Pippetto se non tiri fuori i soldi cominci a perdere qualche pezzo, prima un dito, poi un testicolo, poi un orecchio, Pippetto e' fatto cosi', e' giocherellone, ma quando si tratta di soldi diventa serio, ma serio serio.

Dopo che ci ebbe illustrato il quadro, io dissi: "'Nsomma, Pippe', che s'ha dda fa'?". E lui: "Se ci volete provare a metterci una pezza voi, diciamo che vi do' tre giorni, via, pure quattro. Ma fra quattro o il capitale e' tornato a casa o mando il chirurgo da quel pagliaccio, che e' tanto scemo da essersi andato a nascondere lo sapete dove? al castello, come se non lo sapesse che li' ci lavora mio cugino, quello che fa l'agrimensore che fossi mai riuscito a capi' che lavoro e'; cosi' lo pesco quanno me pare e mme pijo 'n pezzetto de ciccia sua al giorno cosi' la fo magna' ar gatto mio, je fo la ripresa cor telefonino e la metto su Iutubbe". Pippetto non aveva un gatto, teneva nel cortile di casa sua una gabbia grossa quanto un campo da pallacanestro con tre tigri, e quelle diceva che erano i gatti suoi.

Finita la chiacchierata con Pippetto risultava che io e Leo dovevamo trovare entro quattro giorni mezzo milione di euro ("Ma visto che siamo tra noi, accetto pure il pagamento in rubli o in dollari, al cambio del giorno della consegna", aveva detto mentre ci accomiatavamo, gli piaceva dire 'ste spiritosaggini).

Adesso non so voi, ma io mezzo milione di euro, anche fosse in banconote da cinquecento, non so neppure quanto e' grosso. Nel portafoglio mio (che e' l'unica banca e l'unico forziere di cui mi servo) piu' di tremila euro non ce li ho depositati mai, e oggi, per dire, se ci sono piu' di trecento euro mi faccio prete. Leopoldo pero' lavora in banca e li' il conquibus c'e'.

Cosi' andammo all'osteria del Golem e cominciammo a ragionare su quello che si poteva fare per evitare lo sminuzzamento di quell'incosciente di Franz.

*

Cominciammo ad elaborare un piano.

Innanzitutto occorreva avvertirlo che Pippetto sapeva dove si era nascosto, ma gia' questo non era facile, perche' il castello era in campagna e bisognava fare un bel viaggio per arrivarci e con Franz succedeva sempre che se tu lo andavi a cercare lui proprio lo stesso giorno era uscito di casa per venire a cercarti a casa tua e insomma non c'era verso di trovarsi anche perche' non e' che faceva la strada piu' breve, ma passava per certi vicoletti che conosceva solo lui e finiva sempre che tu passavi il pomeriggio ad aspettarlo a casa sua, lui passava il pomeriggio ad aspettarti a casa tua, e la sera ognuno tornava a casa propria e non ci si incontrava neppure per strada. Figurarsi al castello, che pare un labirinto a Buenos Aires. E poi che volevi avvisare? Anche se scappava da un'altra parte, dopo dieci minuti Pippetto lo sapeva, perche' c'e' poco da fare, questo e' un paese di spie, e poi Franz quanti posti conosce? Saranno cinque a dir tanto. E con tutte le fregature che ha dato in giro chi volete che lo ospiti? O Milena, o Dora, o Felicetta. E basta.

Bene, non restava che trovare il mezzo milione di euro eventualmente anche in dollari o in rubli. Ma i dollari e i rubli li scartammo subito. Se c'era ancora la zarina Caterina II tanto tanto, ma te lo immagini quel cafone li', quel georgiano coi baffi da film western muto in bianco e nero? ma per favore. E i dollari, magari se si riusciva a piazzare a Hollywood qualche racconto di quelli che quel babbeo di Franz aveva scritto, ma lui non voleva mai pubblicare niente, non c'era verso di fargli finire una storia, e quando insistevamo che doveva scrivere le sceneggiature, che li' si facevano i soldi, lui riattaccava con quelle frescacce sul teatro jiddish. Era proprio un imbecille, diciamolo. E quindi: euro.

Che io li chiedessi al Pomata (che era il capoccia mio che ci lavoravo a truccare le corse) era fuori discussione, il Pomata era un tirchio che ti faceva tagliare la gola per cento lire. Una volta al bar si sbagliarono a dargli il resto del caffe' e lui fece sgozzare la cassiera, che era pure sua cognata. E' fatto cosi' il Pomata, e' che da giovane nessuno lo prendeva sul serio perche' stava nella cricca del Mandrache ed erano tutti morti di fame, ma adesso non divaghiamo, casomai ve lo racconto un'altra volta.

Restava il furto con destrezza o la rapina a mano armata nella banca dove lavorava Leopoldo, ma Leopoldo aveva troppa paura che quando lo diceva alla moglie lei lo piantava, e lo sapete com'e' fatto Leo, e' terrorizzato che la moglie possa lasciarlo, e quello che dice la moglie lui fa. Io cercavo di convincerlo a non dir niente alla moglie, ma lui ripeteva: "E se Ludmilla me lo chiede?". E io: "Se te lo chiede tu stai zitto". E lui: "Ma lei me lo chiede di sicuro, ed io come faccio a non dirle niente?". E io: "Dille un'altra cosa". E lui: "Ma lei se ne accorge se dico una bugia, se ne accorge di sicuro, e se pensa che io le mento mi lascia, me lo ha gia' detto, e poi come faccio?". E io: "Ma no che non ti lascia". E lui: "Ma se mi lascia io mi ammazzo, eh, io mi ammazzo, io vivo solo perche' c'e' lei, lo sai, io mi ammazzo". Era fatto cosi', le avrebe portato l'acqua con le orecchie, erano sposati da dieci, da vent'anni, e lui era ancora impeciato che lei ci faceva quello che le pareva e lo comandava a bacchetta. Ho fatto bene io a non sposarmi.

Visto che non c'era verso di fare 'sta rapina per colpa di Ludmillaccia sua bisognava pensare qualcos'altro, e non era facile.

Per dirvi in che casino ci eravamo messi sentite questa: a un certo punto Leo fa: "E se andiamo da Pippetto e gli chiediamo di prestarci mezzo milione cosi' glielo restituiamo subito a nome di Franz? Eh?". "Leo, svejete. Se Pippetto ce presta mezza botta poi li rivole da noi li rivole, e allora tanto vale che te taji subito 'na mano p'anticipatte". "Ah", disse lui. "Eh", dissi io. Succede di perdere lucidita' quando sei sotto pressione.

Bisognava telefonare a Max, che almeno non era un morto di sonno e ogni tanto qualche idea ganza gli veniva. Ma li' all'osteria non c'era campo. Cosi' uscimmo sul retro che c'era un pergolato col campo di bocce e visto che c'eravamo ci facemmo una partita a bocce e ci scordammo di telefonare a Max. Quando ci ricordammo era sera e magari davamo fastidio a chiamare a quell'ora e decidemmo che lo avremmo chiamato domani.

Arrivato a casa chi mi telefona? Max. Che voleva sapere che succedeva. Gli racconto tutto e quando stavo per chiedergli che pensava che occorresse fare lui riattacca che deve fare un'altra telefonata. Provo a telefonare a Leo ma e' occupato. Dopo un po' mi telefona Leo che gli ha appena telefonato Max ed era andata come con me, che quando Leo voleva chiedergli un consiglio Max doveva fare un'altra telefonata. Poi mi chiama Pippetto per dirmi che Max e' un rompicoglioni che se ne sta a fare la bella vita a Gerusalemme e rompe i coglioni a lui che invece sta a lavorare qui a Praga per mandare avanti l'economia e costruire l'Europa. Poi mi telefona Leo per dirmi che gli ha telefonato Pippetto che gli ha telefonato Max e io gli dico che gia' lo so che ha detto Pippetto perche' mi ha telefonato pure a me. Non faccio in tempo a riattaccare che telefona Felicetta che l'ha chiamata Milena che l'ha chiamata Dora che l'ha chiamata Max che le ha detto di Pippetto e di me e di Leo e mi chiede se abbiamo un piano. Le dico che io e Leo ci stiamo lavorando. Non passano cinque minuti che mi chiama Leo che Felicetta ha chiamato pure lui. E dopo Leo mi chiama Milena che Felicetta che Leo che Pippetto che tutto il cucuzzaro. Riattacco senza neanche salutarla. E che pensi che succede? Che squilla il telefono e stavolta e' Dora. E poi sempre Leo, e poi un'altra volta Pippetto ("'Ndovina 'n po'? Quel rompicoglioni di Max m'ha fatto chiama' da Dora, da Milena, da Felicetta e 'n altro po' pure da Bricitte Bardo', ma je lo voi di' de piantalla de roppe li cojoni a mme che cio' da lavora'?"), e poi - lupus in fabula - ancora Max, e poi di nuovo Felicetta, e poi ancora Leo, e poi stacco il telefono e vado a dormire un paio d'ore che domattina presto devo essere all'ippodromo, che cio' da lavora' pur'io.

Essere amici di Franz - posso dirlo? - e' un manicomio.

*

Parte seconda: in azione

Era martedi'. All'ippodromo tutto bene. Alle cinque all'osteria del Golem ci vediamo con Leo. "Idee?", chiedo io prima che me lo chiede lui (e' un trucchetto che funziona sempre). "Manco una", dice. E io, magnanimo: "Vabbe', mo' ce penzamo 'nzieme". E intanto ci facciamo portare due mezzi litri e due gazzose. Pensa che ti ripensa ci viene questa pensata: "Pero', quei palandrani dell'Associazione commercianti gliel'hanno fatta sporca a Franz; che non ce lo sapevano che Pippetto poi lo faceva a pezzettini?". Cosi' decidiamo che almeno almeno devono contribuire alla colletta. "Tu quanto ciai?", dico a Leo. E lui: "Qui?". E io: "Ma che qui, in tutto". E lui: "In tutto?". Io. "In tutto, si'". Lui: "In tutto tutto?". Io: "Se dico tutto e' tutto tutto". E lui: "Lo devo chiedere a Ludmilla". E io: "Mannaggia a la malamorte, ma manco sai quanti soldi ciai?". E lui: "Io li do' a Ludmilla". Ecco qua, e questo era un uomo che da ragazzi fulminava le lucertole con una sassata da trenta metri, che dava fuoco ai gatti per strada, che pestavamo i forestieri grossi tre volte piu' di noi, e adesso guardate come s'e' ridotto in dieci, vent'anni di matrimonio. Meglio che non ci penso. Poi lui fa: "E tu quanto ciai?". Io: "Io?". Lui: "Tu, si', e chi senno'? ce sei solo tu qui". Io: "Ce sei pure tu". Lui: "Si', ma io so' quello che ha fatto la domanna". Io: "E che vole di'? Pur'io posso fa' 'na domanna". Lui: "Vabbe', me risponni o nno?". Io: "No". Lui: "'Nnamo bbene". Io: "Almeno io nu' li do' a Ludmilla". Lui: "E ce mancherebbe". Io: "E allora?". Lui: "E allora che?". Io: "Che de che?". Lui: "Ma de che che de che?". Poi la smettemmo perche' ci guardavano tutti e il sor Gustavo faceva segno de nun preoccupasse che eravamo strani ma tranquilli. "E allora?". "Allora intanto annamo da que' bojaccia de' commercianti e vedemo quanto sganceno". "'Nnamo".

*

Non so se ci siete mai stati all'Associazione commercianti. No? E' un palazzotto vecchio che puzza di pesce. Al pianterreno c'e' una bisca clandestina e si entra solo su invito. Al primo piano c'e' uno di quegli ostelli innominabili che non ve lo nomino perche' altrimenti non sarebbe piu' un ostello innominabile. Al secondo piano c'e' l'Associazione commercianti. Come che ci vede la segretaria dice subito "Ah rega', famo i bbravi senno' chiamo la pula, se semo capiti, si'?". Manco ciavessimo tatuato su la fronte che semo du' delinquenti. Allora Leo: "Guardi signora che lei s'inganna...". "Tu nonna", taglia corto la megera. Allora io: "E' che volessimo da vede 'l presidente". E quella: "Nun c'e'". E io: "E quanno c'e'?". E quella: "Nun c'e'". E io allora: "Ma si nun c'e' vor di' che vene doppo, no?". E madama Repetita Iuvant: "Nun c'e'". Allora Leo me fa: "Ce penzo io", e je dice: "Signo', e' cosa de sordi, ma de sordi tanti, tanti, tanti". E quella: "Mo' cc'e'". E Leo a me: "Ha' visto come se fa?".

Insomma ci fanno entrare nell'ufficio del presidente. C'era una scrivania lunga quanto un biliardo, e sopra un cartello con scritto: "Dott. Pres. Ass. Comm. Praga e Provincia. Dottor Angelo Maria Ripellino". Che uno si aspetta che dietro ci trovi Maciste e invece ci trovi quel secchetto li' coi baffetti da guappo.

Quello attacca: "Problemi con la finanza? Col pizzo? La tariffa giusta e' il 5%, eh". "No, no", fa Leo, "E' per via di un amico nostro". "E perche' non viene qui direttamente lui?". "Perche' in questo momento si nasconde". "Ah. Corruzione? Sofisticazione alimentare? Contrabbando? Tranquilli, tutto si risolve coi nostri avvocati". "No, no, anzi, e' avvocato pure lui". "Brutta razza gli avvocati, brutta razza. L'avete letto I promessi sposi?". "No, che e'?". "Un libro, no? voi che leggete, le carte delle caramelle?". Io m'ero gia' stufato, ma Leo mi fa segno di starmene buono. "No, no. Si tratta del figlio di un vostro associato". "I nostri associati sono prolifici, etica protestante e spirito del capitalismo, l'avete letto Weber?". "No, guardi, noi siamo gente che lavora, di libri ne leggiamo pochi". "Male, male. Il buon commerciante deve conoscere il cuore umano per soddisfare i suoi clienti, e come si impara a conoscere il cuore umano?". "Leggendo i libri?". "Bravi, l'avevo capito subito che eravate ragazzi in gamba, sedetevi, sedetevi".

Rotto il ghiaccio il resto fu una passeggiata, finche' arrivammo al punto dolente. "Ah no, questo poi no. E ci mancherebbe. E che gli dico agli associati, che ci facciamo fregare due volte? Sentite, voi siete due bravi giovini ed io voglio aiutarvi con tutto il cuore, ma se convoco il direttivo dell'associazione e gli faccio una proposta del genere, sapete che fine faccio? Che mi cacciano e mi tocca andare a fare lo slavista a Roma mi tocca. Lo fareste voi?". Lo slavista a Roma era un argomento conclusivo. Ce ne andammo con le pive nel sacco e gli chiedemmo pure scusa. E si era anche fatta sera.

Ancora non ero arrivato a casa che gia' cominciavano le telefonate. Ma  io non rispondevo, stavo li' che sentivo squillare e camminavo facendo finta di niente, mentre la gente per strada mi guardava. Arrivato a casa avvolsi il telefono dentro una coperta e misi la coperta dentro un cassetto. Cosi' attutita la suoneria non era sgradevole. Ci avevo la suoneria con "Tutti al mare, tutti al mare...", dicono che e' da borgatari ma a me me piace.

*

Mercoledi'. La giornata comincia subito male. La mattina al galoppatoio Giacchettino mi dice che il Pomata mi cerca. Vado alla sala corse e lui comincia a vomitarmi addosso un sacco di brutte parole piene di emme e di esse e di zeta e a bestemmiare tutto il calendario; dopo che si e' sfogato mi fa: "Perche' non rispondevi al telefono ieri sera?". E io: "Mi si e' rotto il telefonino". E lui: "Ma io te roppo la capocciaccia tua, te roppo. Te dice bbene che adesso nun c'e' tempo che c'e' 'na munchia de lavoro da fa'" e mi passa le consegne. Ed e' stata un'ammazzata che non vi dico. E quindi non ve la dico.

Il pomeriggio aspetto, aspetto, aspetto all'osteria ma Leo non si vede. Insomma, bisogna che lo cerco. Per arrivare a casa sua a piedi ci vuole almeno un'ora, se prendi i mezzi pubblici ci metti almeno due ore, se prendi una carrozzella o un tassi' ti pelano vivo. Che dovevo fare? Sono restato all'osteria e ho aspettato, e per passare il tempo me ne sono fatti quattro di mezzi litri e una gazzosa (per un totale di due litri di rosso e quattro gazzose, e visto che c'ero pure due cognacchini). Verso le sette si presenta tutto trafelato e mi fa: "Ah Marracchio' (Marracchione sono io, ma all'anagrafe risulto Marco Aurelio Marracchi - per gli amici Marracchione), ma che succede?". "Come che succede, tu arrivi dopo li fochi e me lo chiedi a me che succede?". "Ma nun sai gnente?". "No". "Hanno ammazzato l'arciduca a Sarajevo". "Sarajevo, e 'ndo sta?". "Che ne so 'ndo sta, ma hanno ammazzato l'arciduca". "Magari se lo meritava pure". "Ma allora nun voi capi', qui ffinisce che sse fa la guerra". "Seee, la guerra, ma pper favore". Che roba, eh? Ti passa davanti la Storia - quella con la esse maiuscola - e tu non ti accorgi di niente.

"Ma perche' sei venuto cosi' tardi?". "Perche' alla banca era un casino, una valanga, una marea di clienti, e tutti che strillavano: Il giovedi' nero, il giovedi' nero di Wall Street!, che invece oggi e' mercoledi', e oltretutto stiamo a Praga mentre Wall Street e' in America, no? Insomma abbiamo dovuto tenere aperto fino a adesso, e per calmare la gente e' dovuta intervenire la polizia con gli idranti caricati col bromuro".

A me le banche non mi sono mai piaciute, e neppure quei babbei che gli danno i soldacci loro. Io i soldi miei me li tengo nel portafogliaccio mio me li tengo. Pero' mi scocciava che Leo aveva fatto tardi, che ormai che potevamo fare? La giornata era bella che finita. Ed erano gia' due giorni. Lo dissi a Leo: "Ormai la giornata e' bella che finita. E sono passati gia' due giorni". "Due? Tre", risponde lui. E io: "Come tre? Ieri e oggi fa due, uno piu' uno due". "Secondo te che sei restato alla matematica classica, non ti aggiorni sul dibattito scientifico? Qualche volta prendi il treno e fa' un salto a Vienna". "E mo' che c'entra?". "C'entra, perche' ieri sera m'ha telefonato Pippetto pe' sape' a che punto ereme, e mm'ha detto de ricordamme che li giorni finisciono subbito, allora io j'ho detto che era passato un giorno solo e allora lui m'ha detto che 'nvece ereno passati due, perche' ce dovevo conta' pure 'l giorno che s'ereme visti co' llui". "E cche lo decide lui?". "E lo decide lui si'". "Me sa che se mette brutta pe' Franz". "Me sa pure a me". "Annamo a casa, va', ch'e' tardi". "'Nnam'a ccasa, si', ma stasera vedi de risponne ar telefonino". "Vabbe'". "Vabbe'".

Ma io la sera il telefonino l'ho usato solo per chiamare il Pomata, poi l'ho di nuovo avvolto nella coperta, la coperta l'ho messa nel cassetto, io me so' piazzato davanti a la televisione e bonanotte.

Ma non fu proprio una buona notte. Certi incubi, certi incubi, kafkiani, ecco. Per fortuna che poi la mattina uno se li scorda.

*

Giovedi'. la mattina solito tran tran, qua un'iniezioncina, la' una parolina al fantino, io agli animali gli voglio bene e non li sgarretto quasi mai. Con le persone e' diverso, perche' la regola e' rimuovere gli ostacoli e se uno fa l'ostacolo vuol dire che proprio se la cerca. All'ora di pranzo faccio un salto al baretto dietro la banca e chiedo a Leo se ci sono novita'. E lui mi dice che tra Max, Felicetta, Milena, Dora, pure Ottilia ci si e' messa adesso, sono due notti che non lo fanno campare. Figlio mio, l'hai voluto il telefonino... Restiamo d'accordo di vederci alle cinque e mezza all'osteria del Golem.

Cinque e mezza, all'osteria del Golem. "Qui serve un piano". "E pure urgente". "Si'". "Si'". Silenzio. "Insomma che si fa?". "E che ne so?". "E perche', lo so io?". "Non lo so se tu lo sai". "No, io non lo so, e tu lo sai?". "Manco io lo so". "E allora?". "E allora che?". E il sor Gustavo che faceva cenno agli avventori di stare tranquilli che non e' niente, facciamo sempre cosi' ma non facciamo male a nessuno.

Alla fine decidiamo che bisogna andare a parlare con Pippetto. Non si puo' dire che non ce l'abbiamo messa tutta, ma quel bamboccio di Franz se l'era proprio cercata, e alla fine puo' scrivere pure senza un dito o una palla, no?

*

Parte terza: epilogo

Saranno state le sei e mezza quando arriviamo al bar di Ceccobbeppe e gia' mentre entriamo c'e' qualcosa di strano. La gente fa finta di non vederci, ma intanto si danno di gomito e fanno certe smorfie d'intesa e ridono sotto i baffi.

Apriamo la porta che da' sulla sala da biliardo e che ti troviamo? Pippetto, Franz, Max, Dora, Milena, Felicetta, Ottilia, Angelo Maria Ripellino, il Pomata e pure il padre di Franz, e proprio il padre di Franz fa: "Eccoli qua i due fregnoni campioni del mondo dei fregnoni di tutto il mondo che c'e' e di infiniti altri". E tutti a ridere.

Era un cavolo di scherzo. Che poi ce lo sapevamo pure che a Franz gli piace organizzare gli scherzi.

Pippetto aveva fatto portare pasticcini e spumante, e mentre ci strafogavamo mi capito' di dare un'occhiata al giornale che era sul tavolino delle paste: c'era scritto che in una birreria a Monaco un tizio coi baffetti di Charlot non so che aveva combinato.

 

3. CON ALFIO PANNEGA CONTRO LA GUERRA

 

Si e' svolto nel primo pomeriggio di mercoledi' 21 settembre 2016 a Viterbo presso il "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" un incontro in memoria di Alfio Pannega, di cui ricorreva l'anniversario della nascita; tema dell'incontro: "Con Alfio Pannega contro la guerra. Riflettendo sul lascito morale e politico di un militante comunista amico della nonviolenza".

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Nel corso dell'incontro e' stata rievocata la personalita' di Alfio Pannega mettendone particolarmente in rilievo la riflessione e l'agire nell'impegno per la pace e contro tutte le uccisioni; per la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri viventi; in difesa dell'umanita' e della biosfera.

Dai partecipanti all'incontro un ringraziamento e un saluto e' stato inviato a Pietro Benedetti, ad Antonello Ricci, all'editore Davide Ghaleb e al gruppo teatrale della "Banda del racconto" per l'impegno a tener viva - nei modi a ciascuno propri e specifici - la memoria di Alfio Pannega; cosi' come e ancor piu' a quanti hanno condiviso con lui l'esperienza del centro sociale occupato autogestito "Valle Faul" da anni trasferitosi nella campagna di Castel d'Asso.

Nel corso dell'incontro sono stati anche letti e commentati i testi dei discorsi tenuti ad Assisi martedi' 20 settembre da papa Bergoglio, di nitida denuncia della guerra e del razzismo, e di appello alla lotta comune dell'intera umanita' contro tutte le guerre, contro tutte le uccisioni, contro tutte le violenze; per salvare tutte le vite; per soccorrere, accogliere, assistere ogni persona bisognosa di aiuto.

Il responsabile della struttura nonviolenta viterbese nel suo intervento ha messo in rilievo di Alfio Pannega particolarmente due caratteristiche del suo impegno morale e politico: il suo essere un militante comunista che lottava per l'eguaglianza di diritti di ogni essere umano e per la liberazione dell'umanita' intera da ogni oppressione, ed il suo essere un amico della nonviolenza, che quella lotta per l'eguaglianza di diritti e la liberazione dell'umanita' aveva saputo rendere cosi' ancor piu' concreta e coerente; le due cose in lui erano una sola, e lo erano in virtu' della sua chiarezza di analisi e profondita' di riflessione, che si traduceva altresi' nei suoi comportamenti quotidiani e nella sue scelte di vita; riflessione, comportamenti e scelte tutti informati a un limpido e rigoroso impegno di verita' e di solidarieta', di amore per l'umanita' e per il mondo, di generosita' assoluta, di lotta senza illusioni contro ogni menzogna, di lotta senza illusioni contro ogni violenza.

Nel ricordo di Alfio Pannega, alla scuola di Alfio Pannega, continua la nostra lotta contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni, in difesa della dignita' e dei diritti di ogni essere umano e dell'intero mondo vivente.

Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nella lotta per la comune liberazione.

Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

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Una breve notizia su Alfio Pannega

Alfio Pannega nacque a Viterbo il 21 settembre 1925, figlio della Caterina (ma il vero nome era Giovanna), epica figura di popolana di cui ancor oggi in citta' si narrano i motti e le vicende trasfigurate ormai in leggende omeriche, deceduta a ottantaquattro anni nel 1974. E dopo gli anni di studi in collegio, con la madre visse fino alla sua scomparsa, per molti anni abitando in una grotta nella Valle di Faul, un tratto di campagna entro la cinta muraria cittadina. A scuola da bambino aveva incontrato Dante e l'Ariosto, ma fu lavorando "in mezzo ai butteri della Tolfa" che si appassiono' vieppiu' di poesia e fiori' come poeta a braccio, arguto e solenne declamatore di impeccabili e sorprendenti ottave di endecasillabi. Una vita travagliata fu la sua, di duro lavoro fin dalla primissima giovinezza. La raccontava lui stesso nell'intervista che costituisce la prima parte del libro che raccoglie le sue poesie che i suoi amici e compagni sono riusciti a pubblicare pochi mesi prima dell'improvvisa scomparsa (Alfio Pannega, Allora ero giovane pure io, Davide Ghaleb Editore, Vetralla 2010): tra innumerevoli altri umili e indispensabili lavori manuali in campagna e in citta', per decine di anni ha anche raccolto gli imballi e gli scarti delle attivita' artigiane e commerciali, recuperando il recuperabile e riciclandolo: consapevole maestro di ecologia pratica, quando la parola ecologia ancora non si usava. Nel 1993 la nascita del centro sociale occupato autogestito nell'ex gazometro abbandonato: ne diventa immediatamente protagonista, e lo sara' fino alla fine della vita. Sapeva di essere un monumento vivente della Viterbo popolare, della Viterbo migliore, e il popolo di Viterbo lo amava visceralmente. E' deceduto il 30 aprile 2010, non risvegliandosi dal sonno dei giusti. Alcuni testi commemorativi sono stati piu' volte pubblicati sul notiziario telematico quotidiano "La nonviolenza e' in cammino", ad esempio negli "Archivi della nonviolenza in cammino" nn. 56, 57, 58, 60; cfr. anche il fascicolo monografico dei "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 265 ed ancora i "Telegrammi della nonviolenza in cammino" nn. 907-909, 1172, 1260, 1261, 1272, 1401, 1622-1624, 1763, 1971, 2108-2113, 2115, 2329, 2331, 2334-2335, 2476-2477, i fascicoli di "Coi piedi per terra" n. 546 e 548-552, e "Voci e volti della nonviolenza" nn. 687-691, 754-755.

 

4. OPPORSI ALLA GUERRA, OPPORSI A TUTTE LE UCCISIONI

 

Riconoscere ad ogni persona il diritto di vivere.

Riconoscere che tutti abbiamo bisogno dell'altrui aiuto.

Agire da esseri viventi razionali, da esseri viventi morali.

Non fare del male a se stessi, non degradarsi a bruti.

Soccorrere, accogliere, assistere ogni persona bisognosa di aiuto.

 

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ARCHIVI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVII)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 215 del 19 novembre 2016

 

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