[Nonviolenza] Telegrammi. 2296



 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 2296 del 23 marzo 2016

Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVII)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com

 

Sommario di questo numero:

1. Peppe Sini: Fermare le stragi nell'unico modo possibile

2. "Una meditazione illuminista dopo la strage di Bruxelles". Un incontro di riflessione a Viterbo

3. Al referendum del 17 aprile voteremo si'

4. Costituito il Comitato nazionale "Vota si' per fermare le trivelle"

5. No allo stravolgimento della Costituzione: al referendum di ottobre votiamo no al golpe bianco

6. Il sito del Coordinamento per la democrazia costituzionale

7. Luciana Castellina: Ascoltando Angela Davis a Roma

8. Gabriele Santoro: Ascoltando Angela Davis a Roma

9. Collettivo Militant: Ascoltando Angela Davis a Roma

10. Segnalazioni librarie

11. La "Carta" del Movimento Nonviolento

12. Per saperne di piu'

 

1. EDITORIALE. PEPPE SINI: FERMARE LE STRAGI NELL'UNICO MODO POSSIBILE

 

Le stragi che oggi hanno insanguinato Bruxelles ci colmano di orrore e di terrore, di lacrime e lutto, di un muto sgomento e di un dolore insostenibile.

Ma questo ennesimo abominevole crimine deve anche aprirci gli occhi, il cuore, la mente.

Ad esso occorre rispondere con la forza della verita', della ragione, dell'umanita'.

*

La morte di massa che i criminali terroristi portano nel cuore dell'Europa e' tragicamente la stessa morte di massa che da decenni le armate legali dei governi occidentali e dei loro sanguinari complici e sicari regionali, ed i prodotti letali dei mercanti di armi, spargono nel vicino e nel medio oriente; e le organizzazioni terroristiche che ora portano nelle nostre citta' europee un diluvio di sangue sono state allevate dai nostri governi, dalle nostre guerre, dalle nostre armi, e la politica del terrore globale dei poteri imperiali riproducono specularmente sulla scala ad esse accessibile.

*

Come ci si poteva illudere che quelle guerre non avrebbero raggiunto anche le nostre case?

Come ci si poteva illudere che i terroristi cola' finanziati, armati e addestrati dalle potenze occidentali e dai loro complici regionali non avrebbero prima o poi esteso il loro campo d'azione da quelle terre alle nostre?

Come ci si poteva illudere di essere in un'isola felice, in una campana di vetro, in una torre d'avorio, in una fortezza inespugnabile, quando le tecnologie hanno unificato il mondo e le armi di sterminio sono a disposizione di tutte le mafie cosi' come dell'uomo piu' solo, piu' stolto e piu' disperato? mentre milioni e milioni di esseri umani, gia' oggi vittime delle guerre e della fame, del terrore e delle devastazioni, delle dittature e della schiavitu', hanno perso ogni loro bene e sono costretti a fuggire attraverso deserti e mari, attraverso paesi e continenti, affrontando la morte - e sovente alla morte soccombendo quando ormai la meta agognata sembrava vicina -, perche' i governi dei paesi europei negano loro il primo di tutti i diritti: il diritto a salvare la propria vita, rifiutando ad essi l'approdo in un luogo in cui vivere in pace?

*

C'e' un solo modo per fermare le stragi: cessare di commetterle e di favoreggiarle.

C'e' un solo modo per sconfiggere il terrorismo: scegliere la nonviolenza.

Occorre una immediata politica di disarmo e di proibizione assoluta di produrre, commerciare e detenere armi.

Occorre una immediata politica di smilitarizzazione dei conflitti e di intervento umanitario non armato e nonviolento per salvare tutte le vite.

Occorre contrastare il militarismo, il razzismo e il maschilismo: che sono le reali basi ideologiche e i modelli comportamentali del terrorismo stragista e schiavista (che usa oggi strumentalmente la religione esattamente come appena ieri usava altrettanto strumentalmente le ideologie laiche otto e novecentesche - il patriottismo e il nazionalismo, ma anche il socialismo e l'anarchia).

*

L'Italia decida di contrastare le guerre e le stragi, con la drastica riduzione delle spese militari e l'avvio della Difesa popolare nonviolenta e dei Corpi civili di pace, con gli aiuti umanitari ovunque occorrano, con la cessazione immediata della produzione armiera, con la denuncia e l'impegno per lo scioglimento delle alleanze militari terroriste e stragiste (come la Nato), e convochi l'Unione Europea a fare altrettanto.

L'Italia decida di lottare davvero contro il razzismo, accogliendo tutti i profughi e garantendo loro un servizio di trasporto pubblico e gratuito che consenta a tutte le persone l'ingresso in Italia in modo legale e sicuro - e convochi l'Unione Europea a fare altrettanto.

L'Italia decida di lottare davvero contro il maschilismo, innanzitutto applicando pienamente la Convenzione di Istanbul e sostenendo i centri antiviolenza delle donne, e convochi l'Unione Europea a fare altrettanto.

*

Alla violenza occorre opporre la nonviolenza.

All'odio che uccide occorre opporre la solidarieta' che salva.

Alla barbarie che disumanizza occorre opporre la civilta' che affratella e assorella.

Al male occorre opporre il bene.

Ogni vittima ha il volto di Abele.

Vi e' una sola umanita'.

 

2. INCONTRI. "UNA MEDITAZIONE ILLUMINISTA DOPO LA STRAGE DI BRUXELLES". UN INCONTRO DI RIFLESSIONE A VITERBO

 

Si e' svolto la sera di martedi' 22 marzo 2016 a Viterbo presso il "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" un incontro di riflessione sul tema: "Una meditazione illuminista dopo la strage di Bruxelles".

All'incontro ha preso parte Paolo Arena.

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Paolo Arena, critico e saggista, studioso di cinema, arti visive, weltliteratur, sistemi di pensiero, processi culturali, comunicazioni di massa e nuovi media, e' uno dei principali collaboratori del "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" di Viterbo e fa parte della redazione di "Viterbo oltre il muro. Spazio di informazione nonviolenta", un'esperienza nata dagli incontri di formazione nonviolenta che per anni si sono svolti con cadenza settimanale a Viterbo; nel 2010 insieme a Marco Ambrosini e Marco Graziotti ha condotto un'ampia inchiesta sul tema "La nonviolenza oggi in Italia" con centinaia di interviste a molte delle piu' rappresentative figure dell'impegno nonviolento nel nostro paese. Ha tenuto apprezzate conferenze sul cinema di Tarkovskij all'Universita' di Roma "La Sapienza" e presso biblioteche pubbliche. Negli scorsi anni ha animato cicli di incontri di studio su Dante e su Seneca. Negli ultimi anni ha animato tre cicli di incontri di studio di storia della sociologia, di teoria del diritto, di elementi di economia politica. Fa parte di un comitato che promuove il diritto allo studio con iniziative di solidarieta' concreta.

 

3. REPETITA IUVANT. AL REFERENDUM DEL 17 APRILE VOTEREMO SI'

 

Al referendum del 17 aprile voteremo si'.

Per difendere le coste italiane dalle devastazioni, dal degrado e dai pericoli provocati dalle trivellazioni.

Per difendere dall'inquinamento l'ambiente marino e tutte le sue forme di vita.

Per difendere il diritto di tutte le persone alla salute e a un ambiente salubre.

Per difendere il diritto delle generazioni future a un mondo vivibile.

Per difendere la bellezza della natura, un bene comune prezioso e insostituibile.

Per sostenere l'approvvigionamento energetico da fonti pulite e rinnovabili.

Per far cessare lo sfruttamento dissennato e distruttivo delle risorse naturali.

Per far prevalere la ragione, la responsabilita', il diritto, la solidarieta'.

Con la forza della verita', con la forza della democrazia, per il bene comune.

Al referendum del 17 aprile voteremo si'.

*

Osvaldo Ercoli, Antonella Litta, Emanuele Petriglia, Alessandro Pizzi, Peppe Sini

 

4. REPETITA IUVANT. COSTITUITO IL COMITATO NAZIONALE "VOTA SI' PER FERMARE LE TRIVELLE"

 

E' stato costituito il Comitato nazionale "Vota si' per fermare le trivelle".

Per informazioni cfr. il sito del "Coordinamento nazionale No Triv": www.notriv.com

Attenzione: al referendum del 17 aprile per votare contro le trivellazioni occorre votare si'.

 

5. REPETITA IUVANT. NO ALLO STRAVOLGIMENTO DELLA COSTITUZIONE: AL REFERENDUM DI OTTOBRE VOTIAMO NO AL GOLPE BIANCO

 

In tutta Italia si stanno costituendo i comitati locali per la democrazia costituzionale in vista del referendum che si svolgera' in ottobre.

Nel referendum di ottobre votiamo no al golpe bianco, votiamo no allo stravolgimento della Costituzione, votiamo no alla deriva autoritaria; difendiamo la democrazia, difendiamo l'ordinamento repubblicano nato dalla resistenza antifascista.

 

6. REPETITA IUVANT. IL SITO DEL COORDINAMENTO PER LA DEMOCRAZIA COSTITUZIONALE

 

No allo stravolgimento della Costituzione.

Informazioni e materiali utili per il referendum di ottobre per impedire lo stravolgimento della Costituzione sono nel sito del Coordinamento per la democrazia costituzionale: http://coordinamentodemocraziacostituzionale.net

 

7. MAESTRE. LUCIANA CASTELLINA: ASCOLTANDO ANGELA DAVIS A ROMA

[Dal quotidiano "Il manifesto2 del 16 marzo 2016 riprendiamo il seguente articolo dal titolo "La profezia della pantera Davis: Rimpiangeremo Obama" e il sommario "L'incontro. All'universita' Roma Tre e poi a cena con Angela Davis".

Angela Davis (Birmingham, Alabama, 1944), pensatrice, militante, docente universitaria, saggista, insegna attualmente "Storia della coscienza" all'Universita' della California di Santa Cruz, e vi dirige il Women Institute. Ha studiato filosofia con Marcuse e con Adorno, in varie universita' americane, a Parigi, a  Francoforte. Attivista e teorica marxista, femminista, antirazzista, e' stata duramente perseguitata; continua tuttora la sua lotta e la sua attivita' di insegnamento, di studiosa, di militante. Tra le opere di Angela Davis: a) in italiano: Autobiografia di una rivoluzionaria, Garzanti 1975, Minimum fax, 2007; Bianche e nere, Editori Riuniti, 1985; Lady day, lady night, Greco & Greco, 2004; b) in inglese: Angela Davis: An Autobiography, 1974, 1989; Women, Race and Class, 1981; Women, Culture and Politics, 1989; The Prison Industrial Complex, 2000; Are Prisons Obsolete?, 2003. Cfr. anche i materiali nelle "Notizie minime della nonviolenza in cammino" nn. 446-448, la voce nei "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 520, l'intervista nei "Telegrammi" n. 2295]

 

Ma qualcuno di questi studenti nati negli anni '90 lo sapra' chi e' Angela Davis? Parteciperanno all'incontro promosso a Roma 3 dal rettore, il professor Panizza, e dal preside di filosofia Giacomo Marramao (che con lei ha addirittura studiato a Francoforte un secolo fa)? Saranno curiosi di conoscere quella che per noi, gia' maturi negli anni '60 e '70, e' stata un mito? Quando arrivo all'Ostiense mi assale la preoccupazione che siano pochi quelli che verranno ad ascoltarla. Penso ai sondaggi che ci dicono che nessuno sa piU' chi era Berlinguer e crede che a vincere la seconda guerra mondiale sia stata, oltre l'America, anche la Germania.

Mi sbaglio di grosso: l'immensa aula magna dell'Universita' e' stracolma, decine in piedi e a sedere per terra. Ci sono leader politici importanti, ma i miti sono un'altra cosa, non a caso continuano ad apparire sulle t-shirt di tutti i continenti. Angela e' uno di questi miti: bella, nera, intelligente, coraggiosa, combattente del Black Panther Party, sicura di se', oltretutto anche comunista, vittima del piu' orrendo razzismo, che l'ha portata in carcere senza alcuna prova imputata di omicidio, liberata dopo due anni grazie a una delle piU' vaste mobilitazioni innescate dal neonato '68. Non a tutti e' toccato di vedersi dedicare canzoni, diventate famose, dai piu' grandi: Sweet black Angela dai Rolling Stones, Angela da John Lennon, e da Noah, e da Perret, solo per nominarne alcuni. "Persino dal Quartetto Cetra" - ci informa il rettore, e questo significa davvero la popolarita'.

Oggi la sua famosa capigliatura afro portata come un vessillo e' grigia - di anni ne ha ormai 73 - ma la grinta le e' restata tutta. I piu' di mille che affollano la sala dominano a stento la loro emozione, fra loro, oltre gli studenti, una quantita' di femministe militanti arrivate da ogni dove, che vogliono sentire lei, solo lei, non gli importa niente di quanto diremo noi, invitati a interloquire dal palco. Vogliono dialogare loro con lei, un'occasione cosi' non vogliono sprecarla, e si capisce. Il programma previsto salta subito - riuscirA' a parlare solo la professoressa Rossini perche' deve parlare del femminismo - e poi, alla fine, si formera' una lunghissima fila in attesa di prendere la parola. Ci riusciranno in poche, quasi tutte nere-italiane, e una straordinaria ragazza kurda, accolta da emozione e applausi incontenibili.

Angela parla naturalmente in inglese e non c'e' traduzione, ma con mio grande stupore scopro che tutti seguono e infatti applaudono e ridono al momento giusto. Ci racconta di quanto il razzismo sia ancora esteso, non solo in America, ma ovunque: "Da voi in Europa - dice - solo ora, con i rifugiati, state facendo i conti col vostro colonialismo". E poi si sofferma molto sui palestinesi colpiti dal piu' indecente razzismo. ("Ma da noi - avverte per ogni buon conto - chi brucia le chiese dei neri brucia anche le sinagoghe").

Parla molto anche del femminismo nero, Angela; e comincia col dare una cifra terribile: un terzo delle donne incarcerate nel mondo, sebbene la popolazione statunitense rappresenti solo il 5%, e' chiusa nelle carceri americane ed e' costituita da nere. "Il genere non sta in piedi da solo" - ripete. "Questa categoria non e' sufficiente a spiegare, occorre inserire anche la classe e la razza". "Guai a cadere nella trappola di un certo femminismo bianco borghese (ma anche guai a restare ciechi di fronte al maschilismo nero, comprese quello dei compagni 'pantere')". "Hillary non ha capito - aggiunge - che il femminismo e' cambiato: la questione di identita' non e' oggi la piu' importante, conta la politica di genere, non il genere in se' ormai scontato. C'e' oggi un femminismo piu' radicale che capisce che la questione va contestualizzata, posta in rapporto al sistema dominante in cui si vive.

Per questo, del resto - dice - le donne operaie nere erano restate lontane dal femminismo, oggi non e' piu' cosi'". Il genere e la razza sono dunque meno importanti dell'appartenenza sociale? "No, sono contraddizioni che si intrecciano, ma che sono cambiate perche' e' oramai emersa una borghesia nera, frutto di una lotta contro la segregazione e che pero' ha significato integrazione dentro la nave del capitalismo". Molti applausi per una sua frase: "Non c'e' un solo femminismo, ce ne sono molti".

L'assemblea finisce in un tripudio che accoglie le sue parole conclusive: "Qualche volta dobbiamo dire anche quello che pure ci appare irrealistico. Il ruolo della filosofia e' anche questo: guardare oltre. Proprio ora dobbiamo ricominciare a immaginare cosa potrebbe essere un mondo diverso da quello in cui ora viviamo".

In queste sue parole sento l'eco forte di Herbert Marcuse, che e' stato suo maestro, prima, negli anni '60, a Francoforte, con Adorno e Oskar Negt, poi negli Stati Uniti. Dico Marcuse perche' ricordo quanto ripeteva sempre: oggi l'utopia ha perduto il suo carattere irrealistico, la scienza e la tecnica permetterebbero a tutti di realizzare quanto sognava Marx, una vita in cui ci fosse il tempo liberato per far musica - aveva scritto nell'Ideologia Tedesca - preparare buoni cibi e addobbare la propria casa. Sono i rapporti sociali di produzione che ce lo impediscono.

Angela, a San Diego, dove il filosofo tedesco aveva trovato il suo rifugio, e' poi andata a insegnare per molto tempo. Quando andai a passare da lui un weekend e lo intervistai per "il manifesto" (che lui amava molto, pur non riuscendo a leggerlo) proprio di Angela mi parlo' a lungo. Perche' lui non era un intellettuale separato, si sentiva parte del movimento di contestazione, che non a caso in quegli anni aveva come emblema "i tre M": Marx, Mao, Marcuse. "Durante gli anni '60, grazie a Marcuse - mi dice Angela - ho capito che un intellettuale puo' essere, anzi deve essere, parte del movimento".

Di questo e di altro chiacchieriamo a assemblea terminata, al tavolo del ristorante Biondo Tevere, in fondo al tratto urbano di via Ostiense, quello dove andava Pasolini e Visconti giro' una indimenticabile scena di Bellissima. Le chiedo perche' i nuovi movimenti che pur hanno animato la scena politica americana in questi anni sono rimasti bianchi o neri, poco mischiati. Per esempio Occupy Wall Street. Le ricordo la testimonianza di una militante nera che resta a disagio perche' a Zuccotti Park vede tutti bianchi. E poi - la incalzo ancora - la grande mobilitazione dei neri contro la catena di assassinii della polizia cominciata con l'omicidio di Mike Brown a Ferguson, il Black lives matters: quasi tutti neri. Un dato confermato dai sondaggi: la solidarieta' con le lotte dei neri da parte dei bianchi era molto piu' forte negli anni '60.

E ancora: le nuove importantissime lotte che si sviluppano a livello locale ma poi si estendono a macchia d'olio, sembrano essere, anche queste, o bianche o nere. Penso - la interrogo - al movimento dei lavoratori dei fast food per i 15 dollari all'ora, un salario minimo e il diritto a darsi un sindacato, che ha per slogan "non mi importa chi sia il candidato alla presidenza, voglio i miei diritti": un movimento quasi tutto nero. E poi penso a quello cresciuto invece nelle universita', animato da un milione di studenti-lavoratori che chiedono di esser pagati meglio e di aver una clausola di "giusta causa" (la scoperta dell'articolo 18!): quasi tutto bianco. E che e' tutto per Bernie Sanders, mentre le comunita' nere votano massicciamente per Hillary. Cosa succede?

"In realta' - mi risponde Angela - i neri in Occupy sono stati molto piu' numerosi di quanto non sia apparso, anche se la scena e' stata presa dai militanti bianchi. Ma e' vero che c'e' separatezza: per culture, per abitudine, per luoghi in cui si abita, per condizioni lavorative. Il razzismo penetra tutto e tutti, ne siamo tutti in un modo e nell'altro infiltrati. Pensa al voto tedesco - mi dice - Non e' forse effetto del razzismo?".

"Quanto a Bernie Sanders - mi spiega - devi tener conto che gioca anche il fatto che tradizionalmente i neri sono restati estranei alla politica elettorale, non ne sono mai stati davvero coinvolti. E poi Bernie Sanders e' espressione della cultura politica del nord, di uno stato molto speciale come il Vermont, che e' come dire 'Trentino in Sicilia'. Lui non sa parlare ai neri, e' daltonico, non ha incorporato la problematica razziale, solo quella sociale, ma il suo universalismo, deve capire, e' falso. E pero' devo dire che sta imparando, ora e' gia' molto meglio di quanto era all'inizio".

Come gioca in questo scenario il presidente nero, Obama? "Io - risponde - penso che lo rimpiangeremo. Lo stesso movimento Occupy non avrebbe potuto svilupparsi se ci fosse stato un altro presidente. Ma, proprio perche' nero, le aspettative fra i neri erano molto alte, forse troppo rispetto a quanto poteva concretamente fare, e quindi ci sono molti delusi e risentiti, cui il presidente appare solo come l'esponente della nuova borghesia nera. Mentre da Clinton non si aspettavano niente, proprio perche' era bianco. E gli sono grati. Cosi' ora votano per sua moglie. Invece che per un socialismo che sentono come cultura estranea".

Ci sarebbero milioni di cose di cui discutere. Mi piacerebbe parlare con lei, che e' stata militante di un partito comunista molto ortodosso come quello americano, di cosa sia oggi il comunismo per lei, di cosa pensa dell'esperienza sovietica. Proprio li' l'avevo conosciuta, a Mosca, nel 1986, in occasione di una conferenza per la pace. C'era Gorbachev e tutte e due eravamo speranzose che qualcosa di nuovo potesse accadere in quel paese. Non e' andata cosi'. Vorrei parlarne. Ma non c'e' tempo: Angela deve prendere il treno perche' l'aspetta l'universita' di Bologna.

 

8. MAESTRE. GABRIELE SANTORO: ASCOLTANDO ANGELA DAVIS A ROMA

[Dal sito www.ilmessaggero.it riprendiamo il seguente articolo del 14 marzo 2016 dal titolo "L'attivista Angela Davis a Roma Tre: Hillary? Ci sono donne che non voterei mai"]

 

"E' difficile da credere, ma questa e' la mia prima volta a Roma". Ad accogliere Angela Davis nell'aula magna dell'Universita' Roma Tre c'era un pubblico che abbracciava almeno tre generazioni. Lei, studiosa e attivista carismatica ancora alimentata da un'energia intellettuale e corporea straordinaria, se n'e' subito resa conto, ricambiando l'affetto: "Non so quante persone presenti in questa sala abbiano sostenuto quarantacinque anni fa la campagna per la mia liberta', ma vorrei esprimere loro la mia gratitudine. Senza la mobilitazione internazionale sarei ancora in carcere. Sabato e' morto David Rice, all'eta' di 68 anni, nel penitenziario dove era recluso. Era un membro delle Pantere Nere e fu arrestato nel mio stesso periodo. Ha sempre rivendicato la propria innocenza di fronte alle accuse mosse. Ho lottato a lungo per la sua liberta'".

Freedom is a costant struggle e' la sua più recente pubblicazione, uscita negli Stati Uniti. Nella mattinata romana Davis ha toccato tutti i principali temi che compongono questa raccolta di interviste, interventi e saggi. Negli ultimi anni ha ribadito spesso quanto fossero errate le valutazioni che associavano il successo elettorale di Barack Obama alla caduta dell'ultima barriera razzistica. Lo ripete: "Roma non e' stata costruita in un giorno". Come dimostrato dal Sudafrica della presidenza Mandela e dalle difficolta' della stagione successiva, gli anticorpi devono essere conquista quotidiana. Lei, critica contro la degenerazione del movimento afroamericano verso il fondamentalismo islamico, e' preoccupata per l'insorgenza di nuove forme di razzismo, qual e' per esempio il virus dell'islamofobia, per il quale accusa anche Donald Trump. Invita movimenti come Black lives matter a contestualizzarsi nello scenario internazionale dal quale trarne sostegno: "Quel che accade in Palestina non e' differente da Ferguson, dalle violenze della polizia di cui sono vittime giovani afroamericani". Occorreva incalzare piu' a fondo Obama sulla questione razziale, metterla al centro dell'agenda, come sulla tutela dei diritti umani nel contrasto al terrorismo, dice.

Una giornalista televisiva prova a rubarle una risposta sulle elezioni statunitensi: "E' una storia complicata, ragazza". Sorride e se ne va. In Freedom is a costant struggle leggiamo: "Certamente non penso che esistano partiti che possano costituire la nostra arena primaria, ma ritengo che l'arena elettorale possa essere utilizzata come terreno nel quale organizzarsi". Enfatizzando sempre la necessita' di indipendenza, esprime pero' la maggiore vicinanza al senatore del Vermont Bernard Sanders. Non risparmia nulla alla famiglia Clinton e alla candidata Hillary: "Ho ascoltato Madeleine Albright invitare a votare Hillary Clinton, in quanto sarebbe la prima donna presidente degli Stati Uniti. Ci sono moltissime donne che non sosterrei mai. Nodi politici tuttora irrisolti rappresentano una precisa eredita' clintoniana". Gli occhi di Davis si illuminano invece alla domanda di una studentessa sulla resistenza delle donne curde all'avanzata di Isis e alla repressione turca.

Davis, allieva di Adorno e Marcuse, studentessa nell'Europa degli anni Sessanta dove viveva quando nel 1966 il Black Panther Party fu fondato, s'iscrisse nel 1968 al Partito Comunista, per poi aderire al Bpp, iniziando a lavorare per l'organizzazione a Los Angeles nell'ambito delle politiche educative. Quando le si domanda dei nuovi muri e dei fili spinati anti immigrati nel Vecchio Continente, Davis invoca il principio della cittadinanza globale: "Le barriere erette colpiscono la progenie storicamente affetta dalle conseguenze del colonialismo in Africa e nel Medio Oriente. Come insegna la storia del movimento per i diritti civili l'affermazione piena dei diritti di cittadinanza rappresenta sempre il primo passo fondamentale".

La ricetta per quel che rientra sotto il termine movimenti e piu' in generale nell'essere pienamente cittadini e' chiara: la battaglia non e' mai del singolo, ma un impegno collettivo: "Dall'affermazione del capitalismo globalizzato e dell'ideologia neoliberista e' particolarmente necessario sottolineare i rischi dell'individualismo - spiega -. Le lotte che siano contro il razzismo, la poverta' o la repressione, sono destinate a fallire se non prendono coscienza dei rischi dell'individualismo capitalista".

 

9. MAESTRE. COLLETTIVO MILITANT: ASCOLTANDO ANGELA DAVIS A ROMA

[Dal sito contro piano.org riprendiamo il seguente articolo del 16 marzo 2016 dal titolo "Angela Davis a Roma. Il significato della supremazia bianca oggi"]

 

"Non sono piu' iscritta al partito comunista, ma sono ancora comunista". Questa una delle affermazioni di Angela Davis durante la lezione magistrale che ha tenuto lunedi' scorso all'Universita' di Roma Tre. Parole decise, prive di ipocrisia e senza toni attenuati, pronunciate in risposta all'intervento polemico del germanista Marino Freschi, che - e la frecciatina anticomunista nelle sue affermazioni era palese - evidenziava i rapporti di Davis con Erich Honecker, segretario della Sed (il partito comunista della Repubblica democratica tedesca) e poi presidente della Ddr, e l'esistenza di una foto che la ritrae con sua moglie Margot. La foto in questione, che vede anche la presenza della cosmonauta sovietica Valentina Tereshkova, e' del 4 agosto 1973, pochi giorni dopo la morte di Walter Ulbricht, fino ad allora presidente della Ddr con pochi poteri effettivi: Freschi non ha potuto fare a meno di fare un po' di polemica, dicendo che Honecker aveva tenuto nascosta questa morte perche' allora nella Ddr non si poteva dire la verita'. La dichiarazione di Davis di essere ancora comunista e l'affermazione precedente sulla possibilita' di un futuro socialista ("Non solo perche' non ci sono piu' paesi socialisti dobbiamo pensare che non ci sara' piu' un mondo socialista in futuro", ma andiamo a memoria) assumono, in questo contesto ufficiale, ancora piu' valore.

Queste parole, infatti, sono state pronunciate da Davis nell'aula magna della facolta' di Lettere dell'Universita' di Roma Tre, nel corso di un incontro ufficiale organizzato dall'istituzione universitaria. Le cinquecento poltrone dell'aula non sono bastate a contenere tutto il pubblico, composto in gran parte di compagne e compagne, e molti si sono seduti a terra o sono rimasti in piedi. Era la prima volta che quell'aula era cosi' piena, come ha notato il rettore dell'Universita' Mario Panizza in una pantomima introduttiva in cui, probabilmente per fare bella figura con l'ospite straniera, invitava a continuare a leggere Marx.

A riempierla per la prima volta, a quanto pare, e' dunque riuscita proprio Angela Davis: e cio' dimostra come la forza del suo esempio e di quello del Black Panther Party sia ancora forte tra i compagni. Militante del Partito comunista dal 1968 e, in seguito, del Bpp (almeno fino a quando le pantere nere decisero che la militanza nell'organizzazione non era compatibile con quella in altri partiti e Davis scelse il partito comunista), a lungo imprigionata per "terrorismo" a causa soprattutto dei suoi rapporti con George Jackson, e poi liberata dopo una vastissima campagna internazionale, Angela Davis e' oggi docente universitaria e attiva nel movimento Black Lives Matter (Blm): da molto tempo e' impegnata nello studio delle interconnessioni tra classe, razza e genere e, negli ultimi anni, nella lotta per l'abolizione del carcere. Una figura di militante politica comunista importantissima, oggi come quarantacinque anni fa, a dispetto della scandalosa "breve biografia" pubblicata sul sito di Roma Tre, in cui la sua figura e' stata quasi completamente depoliticizzata, la sua militanza ridotta a "coinvolgimento" (?) "nei movimenti per la giustizia sociale in tutto il mondo grazie al suo attivismo e al suo impegno decennale" e la sua persona presentata come una che "con il suo lavoro di educatrice - sia a livello universitario che nell'ambito pubblico piu' ampio - ha sempre sostenuto l'importanza di costruire comunita' militanti per la giustizia economica, razziale e di genere" (con il suo lavoro di educatrice?). Una depoliticizzazione cosi' ricercata che, nell'elenco delle sue pubblicazioni, e' persino scomparsa la sua Autobiografia di una rivoluzionaria: forse il titolo sembrava troppo estremista. Una depoliticizzazione che fa il paio con l'intervista a Davis di Antonio Gnoli uscita su "Repubblica", che non ha saputo far meglio che chiedere alla militante afroamericana dei suoi incontri con Adorno e Marcuse, della musica, del suo giudizio sul post-moderno, della sua infanzia.

Invitata dunque come docente universitaria a tenere una lectio magistralis sul Significato della supremazia bianca oggi, le sue parole sono state ricchissime di contenuti, in parte racchiusi nel suo ultimo libro Freedom is a constant struggle, uscito un paio di mesi fa. Davis, per la prima volta a Roma, ha aperto il suo intervento ringraziando quanti, tra i presenti, avevano partecipato alla campagna per la sua liberazione oltre un quarantennio fa. Ha poi annunciato la morte, avvenuta domenica scorsa, di Mondo we Langa (all'anagrafe David Rice), membro delle Black Panthers deceduto in carcere dove, nonostante le gravi condizioni di salute e la continua professione di innocenza, era detenuto da quarantaquattro anni con l'accusa di aver ucciso un poliziotto nel 1970. Una sorte simile a quella di Mumia Abu Jamal, ricordato tra gli applausi. Davis ha quindi iniziato la lezione richiamandosi al marxismo nero di Cedric Robinson e affermando che la supremazia bianca deve essere messa in relazione con il capitalismo globale e le sue trasformazioni, che producono poverta' in tutto il mondo. Secondo Robinson, il capitalismo e' sempre stato un capitalismo basato sul razzismo (racial capitalism), come mostrano le connessioni con il commercio degli schiavi, l'odierna razzializzazione del mercato, ecc.: il razzismo, oggi, e' sempre piu' evidentemente un elemento strutturale non solo negli Stati Uniti, ma anche in Europa, in America Latina, in Medio Oriente ecc.

Con l'elezione di Obama alla presidenza degli Usa - come, in precedenza, con quella di Nelson Mandela in Sud Africa - sembrava essere caduta l'ultima barriera del razzismo e sembrava iniziata l'era post-razziale: ma non e' stato cosi' perche' il razzismo non puo' essere distrutto da un'elezione, per quanto importante. Ci sono stati di certo dei passi avanti, ma il cammino e' ancora lungo: del resto, "Rome wasn't built in a day". Ad esempio, tanto Clinton quanto Obama hanno piu' volte espresso la necessita' di public conversation on race, ma queste affermazioni non hanno portato a nulla. Anche la lotta per i diritti civili e' insufficiente se non si accompagna a una lotta che pretenda i diritti sostanziali (nel lavoro, nelle politiche abitative, nella salute, nell'istruzione) e cerchi di cambiare le strutture della societa' originatesi nel periodo della schiavitu': la distruzione degli apparati legali razzisti o una vittoria elettorale come quella di Mandela o di Obama non sono sufficienti al superamento del razzismo, che sopravvive in una cornice molto piu' vasta.

Il razzismo, quindi, continua a essere presente negli Stati Uniti, come dimostrano le proteste che si sono succedute in tutto il paese nell'ultimo anno e mezzo, in seguito all'uccisione del giovane Micheal Brown a Ferguson, nel Missouri. Queste mobilitazioni hanno esteso il loro raggio d'azione, diventando una protesta totale contro la violenza razzista dello Stato negli Usa: Ferguson si e' cosi' trasformata in un simbolo attraverso cui cercare una soluzione al problema del razzismo, rifiutando le scorciatoie "naif" come quelle che, prima dell'omicidio di Brown, si limitavano a chiedere "giustizia", cioe' la punizione del singolo poliziotto responsabile della singola uccisione di un nero. Il problema del razzismo e', infatti, strutturale e non individuale. Il caso di Ferguson ha avuto rilevanza in tutto il mondo: Davis ha ricordato quando, nel 2014, durante un'iniziativa a Savona nella quale doveva parlare dei Cinque cubani, il pubblico era in realta' piu' ansioso di sentirla parlare di Ferguson e di Micheal Brown. Cio' indica che le proteste di Ferguson sono considerate un soffio per la liberta' di tutti in tutto il mondo, compresi i Cinque. Il movimento nato a Ferguson ha cercato, dunque, di costruire campagne collettive contro il razzismo, che mirassero a garantire a tutti le stesse possibilita', ad abolire la pena di morte (che e' connessa col razzismo strutturale e incorpora la memoria storica della schiavitu') e a modificare quel complesso industriale-carcerario che colpisce per la maggior parte le persone di colore.

Davis ha piu' volte ribadito come il razzismo e la supremazia bianca siano elementi strutturali della societa' statunitense: essi agiscono attraverso l'imprigionamento di massa degli uomini e delle donne di colore, che costituisce quindi un modo per gestire una certa parte della societa'. Ci sono oggi piu' neri in carcere negli Usa di quanti fossero schiavi nel 1850. Il razzismo fornisce il carburante per il mantenimento, la riproduzione e l'espansione del sistema carcerario-industriale: per questo, l'abolizione delle prigioni costituisce un passo per l'abolizione del razzismo. La richiesta dell'imprigionamento dei poliziotti implicati nell'uccisione di neri, invece, non farebbe altro che ribadire i meccanismi della "giustizia" razzista gia' applicata dallo Stato.

Davis ha quindi riportato - tra gli applausi - un commento di Lenin alla rivoluzione russa del 1905, secondo cui "alcuni mesi di rivoluzione a volte educano i cittadini piu' velocemente e in modo piu' completo di decenni di stagnazione politica": il discorso e' cosi' passato - senza con questo voler affermare che si tratti di una rivoluzione - allo sviluppo del movimento Blm, nato nel 2013 dopo l'assoluzione del vigilante che aveva ucciso il diciassettenne disarmato Trayvon Martin in Florida e consacrato dopo l'omicidio di Micheal Brown. Secondo Davis, l'affermazione del Blm ha comportato alcuni importanti cambiamenti nel discorso pubblico, nel vocabolario, nel modo in cui i media coprono le notizie relative alle violenze delle forze dell'ordine nelle strade e in carcere, nel modo in cui il razzismo e l'idea della supremazia bianca sono percepite in rapporto all'azione delle forze dell'ordine.

E' cambiato, anche, il modo in cui i movimenti neri percepiscono l'importanza, nella lotta, della solidarieta' internazionale. Anche negli Usa, quindi, i movimenti antirazzisti si sono fatti sempre piu' radicali, comprendono sempre meglio il ruolo coloniale della riproduzione del razzismo nel resto del mondo e sono finalmente promotori della richiesta di giustizia per la Palestina e di forme di solidarieta' verso i palestinesi, come il sostegno per la campagna Bds (Boicottaggio, disinvestimento, sanzioni) contro Israele. Si tratta di un movimento in crescita, mentre parallelamente anche il razzismo si sta riproducendo in tutto il mondo. Secondo Davis, non e' casuale che questa richiesta crescente di giustizia e uguaglianza si stia affermando proprio ora: l'elezione di un presidente nero, infatti, ha reso piu' evidente il razzismo strutturale del paese, ha attribuito alla violenza statale un maggiore impatto, ha spinto sempre piu' persone di colore a chiedere istruzione, case, cure mediche, ecc. Anche se, negli ultimi decenni, molti neri sono entrati a far parte delle gerarchie militari, politiche ed economiche mondiali, infatti, la stragrande maggioranza delle persone di colore e' ancora soggetta al razzismo economico e penale, oltre che svantaggiata nel campo dell'educazione, nella disponibilita' di abitazioni, nell'accesso alla sanita'. L'obiettivo di movimenti sorti spontaneamente dopo l'omicidio di Micheal Brown e' quello di diffondere la coscienza del carattere strutturale della violenza razzista dello stato.

Davis, inoltre, ha anche ribadito che il razzismo, negli Usa come nel resto del mondo, non e' solo diretto contro i neri, ma sempre di piu' anche contro gli immigrati (ad esempio contro i messicani, come dimostrano alcune affermazioni di Donald Trump) e, in particolare, contro gli islamici. Ed e' proprio l'islamofobia a giustificare sempre piu' spesso l'imprigionamento indiscriminato dei migranti (come mostrano l'Italia e l'Europa), le torture, le violenze, ecc.

Secondo Davis, non e' casuale che i giovani stiano sempre piu' protestando contro la supremazia bianca e il razzismo proprio mentre l'islamofobia e il razzismo anti-islamico stanno crescendo sempre piu'. Dopo l'11 settembre, infatti, la "guerra al terrore" ha giustificato il razzismo antimusulmano, ha legittimato l'occupazione israeliana della Palestina, ha dato nuove forme alla repressione degli immigrati, ha portato alla militarizzazione delle polizie locali in Usa: inoltre, come affermato in altri contributi, ne sono state vittime retrospettive anche la quasi settantenne Assata Shakur, che nel 2013 e' stata inserita nella lista dei dieci maggiori terroristi cercati dall'Fbi, e i Cinque cubani, la cui detenzione e' stata giustificata nel nome dell'antiterrorismo. Cio' si lega indissolubilmente all'occupazione della Palestina da parte di Israele e alla guerra contro l'Irak, che hanno condotto a una crescente militarizzazione della polizia anche negli Usa, come dimostra il fatto che anche i poliziotti siano ora equipaggiati per "combattere il terrore" (tute mimetica, veicoli militari, ecc.) e il fatto che la polizia israeliana abbia addestrato quella statunitense: il risultato e' stato la crescita di omicidi come quello di Micheal Brown. Il razzismo dell'inizio del XXI secolo e', quindi, legato alla guerra contro il terrore: sempre piu' spesso, alcuni privati cittadini  vogliono difendere le loro comunita' contro il presunto terrorismo e, in generale, contro lo straniero, il diverso. La morte per mano di un vigilante privato di Trayvon Martin in Florida e' frutto di questo clima.

Davis fa riferimento al G4S (Group for security), una societa' - anzi, la terza societa' privata piu' grande del mondo dopo Walmart e Foxconn - di sicurezza privata che ha impiantato prigioni e prigionieri in tutto il mondo: come affermato dalla militante afroamericana in un'altra intervista, gettare uno sguardo su di essa e' importante non solo per capire come alcune modalita' di infliggere terrore siano state adottate dalla polizia, ma anche per guardare alla dimensione economica di tali processi. Come spiegato da Davis nel suo ultimo libro, infatti, la G4S ha imparato a "trarre profitto dalle pratiche razziste e contro gli immigrati e dalle tecnologie penitenziarie in Israele e in tutto il mondo. G4S e' direttamente responsabile delle caratteristiche che assume l'incarcerazione politica in Palestina, tanto quanto degli aspetti del muro dell'apartheid, della reclusione in Sud Africa, delle scuole simili a prigioni negli Usa e del muro lungo il confine tra Messico e Usa. Sorprendentemente, abbiamo imparato durante la conferenza di Londra che G4S gestisce anche centri che ospitano le vittime di violenza sessuale in Gran Bretagna".

Il legame dell'occupazione della Palestina e della guerra "contro il terrore" con la militarizzazione della polizia e' evidente anche nelle risposte a esso: i militanti palestinesi negli Usa hanno espresso la loro solidarieta' per le proteste di Ferguson e vi hanno partecipato, e viceversa. Del resto, quando un anno e mezzo iniziarono le manifestazioni a Ferguson, furono i palestinesi dei Territori occupati a twittare per primi la propria solidarieta' a coloro che erano coinvolti nelle proteste, mentre alcuni attivisti di Ferguson e del movimento Blm hanno fatto un viaggio in Palestina per esprimere il proprio supporto alla causa palestinese. Lottare contro il razzismo negli Usa e' la stessa cosa che lottare contro la repressione israeliana in Palestina: e non a caso Davis e' membro del comitato per la liberazione del palestinese Marwan Barghouti.

In questo periodo, negli Usa, c'e' una nuova attenzione all'opposizione all'incarcerazione di massa nei movimenti antirazzisti, soprattutto tra i giovani neri, tra le donne nere e le queer nere. Allo stesso modo, sempre piu' spesso si chiedono cambiamenti nel sistema dell'istruzione: all'Universita' del Missouri, gli studenti hanno ottenuto le dimissioni del preside che non aveva voluto condannare pubblicamente alcuni episodi di razzismo nel campus. Questi movimenti riconoscono la necessita' di una intersezione delle lotte. Emblematica e' l'assenza, in questi movimenti, della tradizionale leadership nera carismatica, riconosciuta e maschile, in nome di una leadership collettiva e prevalentemente femminile: il movimento Blm, ad esempio, e' stato fondato da tre donne nere, Patrisse Cullors, Opal Tometi e Alicia Garza. Non si tratta di un movimento leaderless (senza leader), ma di un movimento leader-full (pieno di leader): si e' cosi' assistito alla valorizzazione di donne nere, queer, ecc. non per motivi identitari, ma perche' cio' aiuta a superare la cornice assimilazionista. In questi movimenti, il femminismo assume un valore molto importante: esiste, infatti, uno stretto legame tra la lotta anticapitalista, la lotta antirazzista e la lotta contro la violenza di genere e per l'uguaglianza di genere. Il concetto di intersezione, sulla cui elaborazione ha contribuito il femminismo, ha un valore molto importante: Davis fa riferimento alla necessita' di una intersezione delle lotte, in cui quella contro la violenza di genere si unisca a quella contro la violenza dello Stato, contro gli abusi della polizia e contro i corpi delle donne.  Tutti i nuovi movimenti antirazzisti riconoscono l'importanza del femminismo anticapitalista e antirazzista, come riconoscono il legame dell razzismo con lo sviluppo del capitalismo e con l'attacco al lavoro. E' significativo che mentre negli anni '70, quando solo duecentomila persone erano imprigionate, un lavoratore su tre era membro di un sindacato, mentre oggi - che ci sono 2,5 milioni di detenuti e 7 milioni sotto liberta' vigilata - solo 1 su 10 lo e'.

La cornice dell'intersezione fa comprendere che la lotta contro il razzismo e per la giustizia negli Usa e' la stessa lotta per la giustizia in Palestina: secondo Davis, la lotta per la Palestina ha oggi lo stesso valore di quella contro il razzismo in Sud Africa. Infine, Davis ha evidenziato la necessita' di incorporare nella lotta e in tutti i nostri sforzi la routine del self-care: gli attivisti politici devono imparare a prendersi cura di se', del loro corpo, del loro spirito, della loro immaginazione. Non possiamo impegnarci fino a morirne: la lotta deve continuare e, se distruggiamo noi stessi, il movimento ne risente.

Nella successiva tavola rotonda, Luciana Castellina ha chiesto a Davis di esprimersi sulle difficolta' degli afroamericani a riconoscersi nella candidatura del socialdemocratico Bernie Sanders. L'attivista afroamericana - che nei mesi scorsi ha piu' volte sostenuto l'appoggio ad alle istanze del programma elettorale di Sanders relative all'istruzione e alla sanita' pubbliche e gratuite, che sono richieste storiche dei movimenti afro-americani - ha affermato che l'importanza della giustizia economica come la base per la giustizia di razza o di genere. Ha poi fatto riferimento all'influenza del razzismo nella societa' statunitense, nonostante il ruolo attivo dei giovani neri nel movimento Occupy senza il quale i movimenti di oggi - Blm, ma anche quelli in sostegno di Sanders - non sarebbero neanche pensabili. Questa influenza e' balzata agli occhi qualche giorno fa, quando i contestatori di Donald Trump che hanno interrotto la sua campagna presidenziale a Chicago si sono uniti cantando il brano Alright del rapper afroamericano Kendrik Lamar contro la violenza della polizia, il razzismo e la repressione sistematica negli Usa: una canzone che e' diventata uno dei simboli del Blm. Alcuni nodi politici irrisolti, comunque, possono essere attributi a una precisa eredita' della stagione di Clinton. Davis ha cosi' affermato che e' necessario riconoscere la specificita' del razzismo espressa nello slogan Black Lives Matter ("le vite dei neri sono importanti"): convertirlo - come ha fatto Hillary Clinton, definita da Davis "una donna che non voterei mai", anche alla luce del sostegno per lei, in quanto donna, espresso da Madeleine Albright - nello slogan All Lives Matter ("tutte le vite sono importanti") non significa renderlo universale perche', anzi, e' proprio il riconoscimento della particolarita' del razzismo contro i neri a esprimere un valore universale dopo che, per secoli, i neri sono stati considerati "non umani". Inoltre, proprio perche' non e' vero che all lives matter e' necessario affermare che black lives matter.

Particolarmente interessante e' stato poi l'intervento della studiosa americanista Daniela Rossini, che ha affermato come la leadership femminile collettiva dei nuovi movimenti implichi l'abbandono del tradizionale separatismo femminista ed evidenzi sempre piu' le differenze tra il femminismo bianco e il femminismo nero. Il femminismo di Davis, infatti, si e' posto spesso in polemica col cosiddetto "femminismo bianco", come evidenziano alcune sue affermazioni come quella secondo cui "il genere non sta in piedi da solo". Con questa frase Davis ha voluto dire che la categoria di genere non sia sufficiente a leggere il mondo contemporaneo e come essa vada intrecciata anche con la categoria di classe e con quella di razza. La denuncia di Davis dell'"anima bianca e borghese, bianca come un giglio" del femminismo suffragista  si è accompagnata a quella degli atteggiamenti classisti e razzisti del femminismo storico: anzi, una troppo rigida visione femminista ha spesso impedito di vedere la connessione tra l'oppressione delle donne e quelle basate sulla razza e sulla classe, facendo cadere il movimento in trappole ideologiche e strategiche che hanno rischiato di mettere in discussione tutte le conquiste. Ne e' un esempio l'atteggiamento delle femministe storiche degli stati nord-orientali degli Usa che, invece di sostenere le rivendicazioni delle donne nere, hanno cercato il sostegno delle femministe razziste degli stati del sud. Se trasportata nella comunita' nera, dove risale a quaranta anni fa la lotta contro il maschilismo nel Bpp e contro la visione della "matriarca nera svirilizzante", questa analisi di Davis di polemica col femminismo bianco è perfettamente femminista perche', al suo interno, non si puo' trascendere dalle categorie di razza e di classe.

Infine, come gia' affermato in passato dal Bpp, Davis ha ribadito la necessita' che la lotta contro il razzismo negli Usa si ponga in una prospettiva globale. Non e' possibile, infatti, sconfiggere il razzismo guardandolo solo in una cornice ristretta (quella che ha definito "negro-Us frame"), ma bisogna volgere lo sguardo a tutti i razzismi, compresa l'islamofobia: le lotte contro il capitalismo globale e contro l'ideologia neoliberista devono essere delle lotte contro l'individualismo, altrimenti sono destinate a fallire. Il messaggio, concludiamo noi, e' ancora quello che affido' quarantadue anni fa alle pagine conclusive della sua Autobiografia di una rivoluzionaria: "Tutti noi sappiamo che l'unita' e' l'arma piu' potente contro il razzismo e la persecuzione politica".

 

10. SEGNALAZIONI LIBRARIE

 

Riletture

- Carlo Sgorlon, Il trono di legno, Mondadori, Milano 1973, Mondadori - De Agostini, Milano-Novara 1986, pp. II + 270.

- Carlo Sgorlon, Invito alla lettura di Elsa Morante, Mursia, Milano 1972, pp. 144.

- Carlo Sgorlon, La notte del ragno mannaro, Edizioni Studio Tesi, Pordenone 1976, 1995, pp. 180.

- Carlo Sgorlon, L'armata dei fiumi perduti, 1985, Mondadori, Milano 1990, Il sole 24 ore, Milano 2012, pp. XXIV + 364.

- Carlo Sgorlon, Le sorelle boreali, Mondadori, Milano 2004, 2005, pp. 280.

- Carlo Sgorlon, Voci a Jerushalajim, Edizioni Studio Tesi, Pordenone 1986, 1995, pp. 112.

- Claudio Toscani, Invito alla lettura di Carlo Sgorlon, Mursia, Milano 1994, pp. 208.

 

11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

 

12. PER SAPERNE DI PIU'

 

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 2296 del 23 marzo 2016

Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVII)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

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