[Nonviolenza] La domenica della nonviolenza. 357



 

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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA

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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVII)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 357 del 7 febbraio 2016

 

In questo numero:

1. Ricordando Nanni Salio

2. Nanni Salio: Il futuro della nonviolenza (2005)

3. Giselle Dian intervista Nanni Salio (2010)

4. Sette domande a Nanni Salio (2011)

5. Nanni Salio: 4 novembre, compresenza dei morti e dei viventi (2011)

 

1. EDITORIALE. RICORDANDO NANNI SALIO

 

Riproponiamo qui alcuni dei molti interventi di Nanni Salio apparsi sul nostro notiziario negli scorsi anni.

Il primo di quelli che seguono e' un saggio originariamente pubblicato nel Grande dizionario del XXI secolo, Utet, Torino 2005.

Nanni e' deceduto il primo febbraio 2016. La sua opera e la sua testimonianza costituiscono uno dei maggiori contributi alla nonviolenza nell'ultimo mezzo secolo. La sua concreta azione proseguira' attraverso il Centro studi "Sereno Regis" di Torino cui dedico' tante energie, attraverso tutte le persone che hanno avuto la gioia grande di conoscerlo ed amarlo, attraverso coloro che ne leggeranno gli scritti e ne mediteranno la persona e il pensiero.

La nonviolenza e' in cammino.

 

2. RIFLESSIONE. NANNI SALIO: IL FUTURO DELLA NONVIOLENZA (2005)

 

Il futuro ha radici antiche

E' celebre l'affermazione di Gandhi, secondo cui i principi della nonviolenza sono "antichi come le colline": un'affermazione che trova testimonianza nel fatto che tutte le religioni sono portatrici di un messaggio di nonviolenza. In alcuni testi esso e' formulato in maniera esplicita, come nel Saman Suttam, il canone jainista che, nel capitolo sui "precetti della nonviolenza" recita: "Caratteristica essenziale di ogni saggio e' non uccidere nessun essere vivente. Senza dubbio, si devono comprendere i due principi della nonviolenza e dell'eguaglianza di tutti gli esseri viventi" (Saman Suttam, Mondatori, Milano 2001, p.67). E' vero d'altro canto che questi precetti debbono essere letti alla luce dell'ultima parte del canone, che tratta della "teoria jainista della relativita' conoscitiva" ( un tema di grande attualita' e rilevanza epistemologica, che probabilmente ebbe una grande influenza sulla formazione del giovane Gandhi) e che, piu' in generale, in molti altri testi religiosi il messaggio appare ambiguo, commisto con affermazioni che giustificano la guerra e l'intolleranza.

Resta indubitabile, in ogni caso, che e' solo nel Novecento che, a cominciare dal messaggio e dall'azione gandhiana, la nonviolenza "non rifiutando ogni forma di forza e di pressione", ma diventando essa stessa una concreta ed efficace forma di lotta e di pressione, acquista dimensione e valenza politica.

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Che cos'e' la nonviolenza

Si possono distinguere due principali concezioni della nonviolenza. La prima, l'ahimsa, indica letteralmente il non nuocere, il non uccidere, l'innnocentia. Essa induce un significato prevalentemente di astensione, di passivita', che riguarda la sfera personale, soggettiva. Dal punto di vista morale si richiama al principio del "non commettere" violenza. Ma la nonviolenza gandhiana introduce esplicitamente una seconda concezione, il satyagraha, intesa come "forza della verita'", nonviolenza attiva, intervento e lotta contro ogni ingiustizia. Essa si richiama al principio morale del "non omettere", non permettere che altri commettano violenza e ingiustizia.

Come ci ricorda Aldo Capitini, la nonviolenza "e' fondamentalmente un

principio etico, l'essenza del quale e' una tecnica sociale di azione...

L'introduzione del metodo gandhiano in qualsiasi sistema sociale politico effettuerebbe necessariamente modificazioni di quel sistema. Altererebbe l'abituale esercizio del potere e produrrebbe una ridistribuzione e una nuova strutturazione dell'autorita'. Esso garantirebbe l'adattamento di un sistema sociale politico alle richieste dei cittadini e servirebbe come strumento di cambiamento sociale" (Aldo Capitini, Le tecniche della nonviolenza, Feltrinelli, Milano, p. 35).

Ma l'intervento, l'interposizione e la lotta nonviolenta in situazioni conflittuali acute debbono essere attuati rispettando il principio generale dell'unita' tra mezzi e fini. Contro il realismo machiavellico del "fine che giustifica i mezzi", vale il principio, in ampia misura verificato pragmaticamente nel corso della storia, che i fini sono gia' contenuti nei mezzi. L'azione politica deve tener conto della fallibilita', delle conseguenze perverse dell'agire umano, della imprevedibilita' del corso dell'azione, che provocano quella eterogenesi dei fini, e dei mezzi, che si e' verificata piu' volte nel corso del Novecento (Marco Revelli, Novecento, Einaudi, Torino 1999).

Tra i lavori teorici sui fondamenti etici della nonviolenza spiccano i contributi del filosofo della morale Giuliano Pontara, uno dei piu' autorevoli studiosi della nonviolenza gandhiana (si vedano: Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino 1973 e 1996, voci gandhismo, nonviolenza, in Dizionario di politica, Utet, Torino 2003). Egli distingue tra nonviolenza pragmatica e negativa, e nonviolenza dottrinale e positiva.

Nella prima, l'azione e' caratterizzata dalla semplice assenza di violenza diretta (il mezzo) ma e' compatibile con qualsiasi fine. Nella seconda ci si propone di "dare una risposta adeguata e comprensiva ai nuovi e gravi problemi posti dall'enorme sviluppo degli armamenti, dall'escalation della violenza politica, sia nelle forme del terrorismo internazionale sia in quelle della 'nuova guerra', dalla crisi dello Stato nazionale, dai drammatici cambiamenti verificatisi nel sistema internazionale in seguito alla fine della guerra fredda, dallo sviluppo incontrollato dell'industrialismo (non solo capitalistico) e dalle conseguenze che esso puo' avere su interessi vitali di molte generazioni future, nonche' dall'ognor crescente divario fra popolazioni povere e popolazioni ricche" (p. 630).

Nella concezione gandhiana, egli individua inoltre tre tipi di nonviolenza: "la nonviolenza del forte, la nonviolenza del debole e la nonviolenza del codardo. Con quest'ultima espressione (Gandhi) intende denunciare l'atteggiamento di coloro che si rifiutano di lottare per i propri legittimi interessi, o per proteggere i legittimi interessi di altri, per pura vigliaccheria o per altri motivi prettamente egoistici... Per nonviolenza del debole, Gandhi intende, invece, la posizione di coloro che in una situazione conflittuale acuta non ricorrono all'uso della violenza per la semplice ragione che non dispongono dei mezzi necessari per condurre la lotta violenta... Da ultimo, la nonviolenza del forte e' la posizione di coloro i quali, pur avendo i requisiti necessari... all'uso della violenza... tuttavia si rifiutano di ricorrere a tale metodo di lotta per determinate ragioni di ordine morale e in quanto ritengono di poter condurre la lotta in modo efficace con metodi diversi" (Pontara, p. 383).

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L'eredita' di Gandhi e la diffusione globale della nonviolenza

Come gia' si e' osservato e' solo con Gandhi che la nonviolenza assume esplicitamente anche una dimensione politica e comincia ad essere sperimentata su larga scala: dapprima in India, poi nelle lotte per i diritti civili negli Usa con Martin Luther King, in Sudafrica con Nelson Mandela e Desmond Tutu, nelle Filippine (1986) per cacciare Marcos, nei paesi dell'Est europeo per liberarsi dal giogo dell'impero sovietico, imploso nel 1989, nella lotta secolare del movimento delle donne, nelle lotte in difesa dell'ambiente, nella difesa dei diritti umani violati, e cosi' via in un crescendo che attraversa tutto il Novecento e continua ai giorni nostri.

Sull'onda di questi sviluppi, verso la fine degli anni '50 del secolo scorso nascono le prime scuole di peace research, ispirate al paradigma della pace positiva e della nonviolenza, con il contributo determinante del ricercatore norvegese Johan Galtung. Una decina d'anni dopo, Gene Sharp pubblica il suo famoso lavoro sulla Politica dell'azione nonviolenta (Edizioni Gruppo Abele, Torino 1986-1995) che verra' tradotto in decine di lingue e ispirera' gli attivisti dei movimenti per la pace e per la nonviolenza in ogni angolo del mondo. La comunita' di ricercatori, attivisti ed educatori che si richiamano esplicitamente alla nonviolenza si e' man mano estesa sino a costituire importanti reti internazionali che operano sia in campo accademico, dall'alto, sia a livello non istituzionale, dal basso (www.transcend.org, www.transnational.org).

In sintesi, la storia del XX secolo puo' essere interpretata sia come l'esempio della massima violenza, sia come l'inizio di una nuova era, quella delle lotte nonviolente di massa. La documentazione su queste forme di lotta e sulla loro efficacia e' impressionante, tanto da indurre un numero crescente di studiosi e di istituti di ricerca a sottolinearne la rilevanza strategica (United States Institute of Peace, Strategic Nonviolent Conflict Lessons from the Past. Ideas for the Future, special report 87, www.usip.org/pubs/specialreports/sr87.pdf) nel condurre lotte di liberazione, abbattere tiranni, ripristinare e difendere la democrazia, creare condizioni di vita piu' giuste e ridurre la violenza strutturale.

Richard Falk (2003) non ha dubbi nel sostenere che "studiosi e accademici stanno sempre piu' considerando gli obiettivi dell'abolizione della guerra e della geopolitica della nonviolenza come gli unici fondamenti sostenibili dell'ordine mondiale... Se il momento gandhiano si realizzera', esso dovra' preoccuparsi sia della violenza delle armi sia di quella delle strutture ingiuste di dominazione e sfruttamento".

La letteratura su Gandhi e sulla sua eredita' e' sterminata e crescente: l'umanita' e' alla disperata ricerca di una via d'uscita dal vicolo cieco e dalla follia  della guerra preventiva e permanente (N. Radhakrishnan, Gandhi in the Globalised Context, www.transnational.org/forum/meet/2003/Radhakrishnan_Gandhi.htm, www.sarvodayatrust.org)

E tuttavia quella di Gandhi e' un'eredita' controversa. I movimenti integralisti che in India stanno conoscendo un momento di pericolosa affermazione, anche politica, non si riconoscono nel suo insegnamento, e lo accusano di aver travisato l'autentico messaggio dell'induismo. Anche alcuni esponenti del movimento dalit (i senza casta, gli harijan, figli di Dio, come li chiamava Gandhi) sono critici nei suoi confronti, poiche' ritengono che egli non abbia affrontato con sufficiente radicalita' la questione delle caste (Roy, 2004).

D'altro canto, osserviamo come l'eredita' di Gandhi appartiene sempre piu' a tutta quanta l'umanita' e oggi viene raccolta da quel movimento dei movimenti che sta rinnovando le societa' civili nazionali trasformandole in una vera e propria societa' civile globale transnazionale (Kaldor, 2004).

Questa terza onda di cui parla Michael Nagler (2003) e' caratterizzata non solo dall'ampiezza dei nuovi movimenti che, dopo il 15 febbraio 2003, qualcuno ha definito la seconda superpotenza mondiale, ma dal concretizzarsi della capacita' di intervento e interposizione nonviolenta in situazioni di conflitto acuto da parte di gruppi, organizzazioni, movimenti di base. E' il sogno delle "Shanti Shena", i corpi civili di pace che Gandhi immagino' di poter realizzare sin dagli anni trenta. Ora questo sogno si sta concretizzando con le Pbi (Peace Brigades International), con associazioni quali Global Exchange, The Ruckus Society, International Solidarity Movement, che hanno la loro base negli Stati Uniti, la rete internazionale delle Donne in nero e centinaia di altri organismi di base, capaci di intervenire attivamente nelle dinamiche conflittuali per prevenire la violenza, riconciliare dopo la violenza, interporsi durante la violenza (Mathews, 2001). Sino a giungere all'ambizioso progetto internazionale delle Nonviolence Peace Force che si propone di realizzare un contingente permanente di duemila attivisti pronti a intervenire nelle varie aree del mondo, come gia' stanno facendo in Sri Lanka, Colombia, Palestina.

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Quale futuro

Riflettendo sul futuro della democrazia, qualche anno fa Norberto Bobbio scriveva (1991): "sia ben chiaro, non faccio alcuna scommessa sul futuro: la storia e' imprevedibile. Se la filosofia della storia e' in discredito, dipende dal fatto che non c'e' previsione, annunciata dalle diverse filosofie della storia succedutesi nel secolo scorso e all'inizio di questo, che non sia stata smentita dalla storia realmente accaduta".

Parole simili si possono ripetere per "il futuro della nonviolenza": non siamo in grado di fare delle previsioni e in questo campo "tutte le forme ideali [appartengono] non alla sfera dell'essere ma a quella del dover essere". Bobbio osserva inoltre che nel corso del Novecento e' avvenuto un significativo aumento del numero di stati democratici, con una corrispondente democratizzazione del sistema internazionale delle Nazioni Unite, secondo una progressione ideale che avrebbe portato il sistema internazionale da uno stato di anarchia a una condizione di equilibrio delle grandi potenze, al predominio di una potenza egemone e infine a un sistema internazionale democratico condiviso. Se questa successione si rivelasse valida sul piano storico, il passo successivo dovrebbe essere quello verso la nascita di societa' nonviolente e di un sistema internazionale nonviolento.

Se il sistema internazionale si e' democratizzato, cosa e' avvenuto delle guerre? Sono diminuite o aumentate? Che significato dobbiamo attribuire all'attacco terrorista dell'11 settembre 2001 e alle successive reazioni degli Stati Uniti in Afghanistan e in Iraq? Dall'esame dei dati relativi agli ultimi quindici anni, dopo la fine della guerra fredda, scaturisce un paradosso: stando alla percezione diffusa, le guerre sono aumentate, mentre i dati elaborati dagli analisti affermano un sostanziale congelamento, o addirittura una diminuzione (Labanca, 2003).

Piu' in generale, afferma Richard Falk, "in questo momento della storia umana, sembra che il bicchiere non sia ne' tutto pieno ne' tutto vuoto", ma forse stiamo vivendo un "nuovo momento gandhiano", pur di fronte alla scalata innescata dagli eventi dell'11 settembre 2001. Questo parere e' condiviso da altri autori che interpretano questo evento come una biforcazione. Possiamo procedere verso l'abisso, seguendo il realismo di ieri della violenza che diventera' la ricetta per la catastrofe di domani, oppure considerare il trauma come possibilita' che apre nuove forme di azione: l'utopia di ieri della nonviolenza diventa il realismo di oggi.

Interrogarsi sul futuro della nonviolenza significa anche chiedersi esplicitamente se la guerra ha un futuro. Dato che il XX secolo e' stato il piu' sanguinoso nella storia umana, e che guerre di varia intensita' continuano a uccidere e ferire centinaia di migliaia di persone, prevalentemente civili, chiedersi se la guerra ha un futuro puo' sembrare ridicolo. Ma questo interrogativo e' stato sollevato da troppe persone autorevoli, in tempi diversi e con argomentazioni differenti, per apparire peregrino. Se lo pose Albert Einstein, all'inizio dell'era nucleare. Se lo posero in molti dopo la seconda guerra mondiale (Bauer, 1994), e dopo il 9 novembre 1989, folle festanti gridarono "mai piu' muri, mai piu' guerre".

Saggiamente, Gandhi sosteneva che "o il mondo progredisce con la nonviolenza, oppure perira' con la violenza".

Gli scettici ribaltano l'interrogativo e preconizzano un nuovo secolo di guerre, a meno che non avvengano profondi cambiamenti nella politica internazionale delle grandi potenze, in particolar modo degli Stati Uniti i quali detengono "un potere senza saggezza, e non sono capaci di riconoscere i limiti delle armi nonostante ripetute esperienze. Il risultato e' stato la follia, e l'odio, che sono le ricette per il disastro. E l'11 settembre ne e' la conferma. La guerra e' arrivata in casa" (Kolko, 2002).

Come uscire da questo dilemma?

Nel chiedersi anche lui se la guerra ha un futuro, Sohail Inayatullah, curatore con Johan Galtung di un provocatorio testo di macrostoria (1997) sostiene che "dobbiamo sfidare l'idea che la guerra e' qui per rimanerci come se fosse un fatto evolutivo naturale. Non dobbiamo solo trovare nuovi metodi per risolvere i conflitti internazionali, ma e' necessario sfidare tutta quanta la concezione di conflitto armato, simmetrico e asimmetrico".

Dobbiamo inoltre superare la "litania" della semplice contrapposizione tra pace interiore, dell'individuo, e pace collettiva, internazionale. Ovvero dobbiamo affrontare esplicitamente in chiave sistemica il paradosso "dello yogi e del commissario" sollevato sin dal 1947 da Arthur Koestler (2002), agendo contemporaneamente su tre aspetti principali: trasformare la natura del complesso militare-industriale, dell'industria bellica e del commercio delle armi; trasformare il sistema educativo in un processo di formazione alla pace e alla nonviolenza (come recita il documento Onu sul decennio della nonviolenza) centrato sull'acquisizione di capacita' di trasformazione nonviolenta dei conflitti e su una diversa lettura della storia umana, non piu' vista soltanto come una successione di guerre; creare nuove visioni del mondo. Queste nuove visioni comportano il passaggio da una societa' dominata da strutture gerarchiche patriarcali a una concezione di partenariato (Eisler, 2002); da un'idea di evoluzione intesa come risultato casuale della sopravvivenza del piu' adatto, che giustifica la guerra, a una in cui essa e' frutto della ragione e dell'azione umana; e infine da un'idea di identita' definita solo in termini di razza, lingua, religione esclusiva a una consapevolezza planetaria, "gaiana".

A partire da queste premesse, si possono prefigurare quattro scenari principali: permanenza della guerra, con pericoli crescenti che deriveranno non tanto dalla presenza di leader autoritari, quanto dalla facilita' con cui ognuno di noi potra' accedere a nuove armi di distruzioni di massa e tenere in ostaggio, da solo, un'intera nazione; scomparsa della guerra, mediante un cambiamento del sistema di potere e della cultura che ora la sorreggono; ritualizzazione e contenimento, con un prevalere della cultura di pace e un permanere della guerra per brevi periodi e come opzione meno desiderabile: genetizzazione della guerra, con procedure  invasive di ingegneria genetica alla ricerca del "gene dell'aggressione", nella speranza di eliminare i comportamenti che porterebbero alla guerra.

Oltre a immaginare i possibili scenari futuri, Inayatullah vede cinque principali processi di cambiamento in atto: governo globale, multinazionali dell'economia, ritorno al passato, cyberspazio,  people'power.

Le prime due trasformazioni sono frutto di poteri dall'alto, in mano a piccole elite. Il terzo cambiamento, antitetico e opposto ai primi due e' caratterizzato da forme di localismo e nazionalismo esasperati che si oppongono alle forze dirompenti dei processi di globalizzazione per mantenere barriere e privilegi anacronistici. Il quarto processo, basato sulle tecnologie dell'informazione, ha un carattere orizzontale e potenzialmente puo' coinvolgere chiunque in una grande rete comunicativa con un forte potenziale di democrazia partecipativa. Il quinto processo, infine, e' una trasformazione dal basso, attivata da una miriade di soggetti che Immanuel Wallerstein considera nel loro insieme come la nuova ondata dei movimenti antisistemici che stanno costruendo un nuovo ordine mondiale sulle rovine del cadente disordine creato dal capitalismo selvaggio.

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I prossimi cento anni di peacemaking

Con questo titolo al tempo stesso ambizioso e impegnativo, Johan Galtung si cimenta nel proporre una terapia per curare la malattia della guerra mediante un insieme di politiche di pace che richiamandosi all'insegnamento buddhista, definisce l'"ottuplice sentiero" e riassume nella seguente tabella [Per esigenze grafiche abbiamo rinunciato a riprodurre la tabella, dandone di seguito una sommaria descrizione in forma discorsiva -ndr-].

Politiche di pace per il XXI secolo

1. Militari

1. a. Pace negativa: difesa difensiva, delegittimazione delle armi, difesa non militare;

1. b. Pace positiva: forze di peacekeeping, competenze non militari, brigate internazionali per la pace.

2. Economiche

2. a. Pace negativa: self-reliance I, internalizzare le esternalita', usare i propri fattori di produzione anche su scala locale;

2. b. Pace positiva: self-reliance II, condividere le esternalita', scambio orizzontale, cooperazione Sud-Sud.

3. Politiche

3. a. Pace negativa: democratizzare gli stati, diritti umani ovunque, deoccidentalizzazione, iniziative referendarie, democrazia diretta, decentralizzazione;

3. b. Pace positiva: democratizzare l'Onu, un paese un voto, abolizione del veto, seconda assemblea Onu, elezioni dirette, confederazione.

4. Culturali

4. a. Pace negativa: sfida: singolarismo, universalismo, idea di popolo scelto, violenza e guerra; dialogo: tra opposti;

4. b. Pace positiva: civilizzazione globale, un centro in ogni luogo, tempo piu' rilassato, approccio olistico globale, alleanza con la natura, eguaglianza e giustizia, miglioramento della vita.

(Johan Galtung, The Coming One Hundred Years of Peacemaking, www.transcend.org).

Gli attori sociali di questo insieme di politiche possono essere, in linea di principio, tutti quanti, ma in pratica vi sono delle difficolta' con coloro che detengono posizioni di potere. Galtung tuttavia sottolinea che i due principali errori che si possono commettere consistono nel credere che tali processi possano essere attivati solo dalle elite oppure da chi non appartiene ad esse: dall'alto o dal basso. Passi importanti sono stati realizzati in passato congiuntamente e/o separatamente, come nell'insieme di eventi che hanno portato alla fine della guerra fredda, con l'azione congiunta del potere dall'alto e di quello dal basso. Se cio' si e' verificato una volta, potra' verificarsi ancora.

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Caratteri di una societa' nonviolenta

La visione di societa' nonviolenta di Gandhi e' espressa in modo sintetico nel seguente passo: "Lo stato - nel passaggio alla societa' senza stato - sara' una federazione di comunita' democratiche rurali nonviolente decentralizzate. Queste comunita' si baseranno sulla 'semplicita', poverta' e lentezza volontarie', cioe' su un tempo di vita coscientemente rallentato, nel quale l'accento sara' sulla autoespressione attraverso un piu' ampio ritmo di vita piuttosto che attraverso piu' veloci pulsazioni nelle avidita' di potere e di lucro" (Gandhi, citato da  Capitini, 1967).

Pontara ne sintetizza l'immagine "nei tre momenti del sarvodaya, dello swaraj e dello swadeshi". Sarvodaya e' l'equivalente di benessere di tutti, ripreso anche da Capitini. Swadeshi si puo' tradurre con self-reliance, ovvero autosufficienza, sviluppo autocentrato, che utilizzi innanzitutto le risorse locali. Infine swaraj significa indipendenza intesa nel senso di autonomia, capacita' di autogoverno, autocontrollo, disciplina. Possiamo riassumere questo insieme di termini nel paradigma della "semplicita' volontaria", uno stile di vita piu' povero esteriormente, materialmente, ma piu' ricco interiormente, spiritualmente.

Una societa' nonviolenta e' dunque caratterizzata dai seguenti elementi: riduzione di ogni livello di violenza (diretta, strutturale, culturale); elevata qualita' della vita e delle relazioni interpersonali; decentramento amministrativo e decisionale, capacita' di autogoverno, elevato grado di partecipazione ai processi decisionali collettivi; sostenibilita' e basso impatto ambientale, rispetto della vita di ogni essere vivente; modello di sviluppo e di economia nonviolenti, autocentrati, autosufficienti su scala locale, regionale, nazionale, a bassa potenza energetica e a bassa densita' urbana; modello di difesa popolare nonviolento, con forze civili di pace che agiscano su scala locale e internazionale.

Sorge spontanea la domanda se esistano o siano esistite societa' di questo tipo, alle quali ispirarsi per apprendere, migliorarne le esperienze e ampliarne la diffusione su scala internazionale. Gli studi antropologici e sociologici hanno portato a classificare un certo numero di societa' che si avvicinano all'ideale descritto piu' sopra. Nei suoi lavori Bruce Bonta ne ha classificate varie decine, che presenta evidenziandone soprattutto i tratti di cooperazione e armonia: "La maggior parte delle societa' nonviolente nel mondo basa le loro visioni di pace sulla cooperazione e si oppone alla competizione. Sebbene siano societa' amorevoli e dedite alla cura, molti allevano i bambini ad essere cauti e ad aver paura delle intenzioni degli altri, in modo tale da interiorizzare i valori nonviolenti e non dare per scontati gli atteggiamenti pacifici propri e degli altri. In queste societa', non vengono dati ai bambini giochi competitivi; sebbene i piccoli siano molto amati, sin da quando hanno due o tre anni si fa in modo che non si considerino piu' importanti degli altri. Queste societa' non attribuiscono alcun valore all'acquisizione perche' essa porta alla competizione e all'aggressivita', che a sua volta scatena la violenza che essi aborriscono. I loro rituali rinforzano la fiducia e i comportamenti ispirati alla cooperazione e all'armonia. Esse hanno talmente interiorizzato i valori di pace e cooperazione che le loro strutture psicologiche sono in sintonia con la loro fede nella nonviolenza".

Queste societa' possono essere classificate in due grandi categorie: quelle che appartengono a popolazioni "altre", che vivono in culture tradizionali, e quelle che invece sono inserite nel contesto della modernita' e stanno sperimentando nuove forme di vita comunitaria.

Le prime comprendono vari gruppi etnici, tra i quali ricordiamo: Balinesi (Bali), Batek (Malesia), Inuit (Alaska, Canada), Jain (India), Kadar (India), King (Boscimani del Botswana e della Namibia), Ladakhi (India), Zapotechi (Messico). Complessivamente, ne sono state individuate una sessantina.

Nella seconda categoria rientrano esperienze e gruppi diversi, molti dei quali di ispirazione religiosa: Mennoniti, Quaccheri (Societa' degli Amici), Amish, villaggi dell'Arca di Lanza del Vasto, villaggi gandhiani dell'Assefa in India, kibbutz in Israele. In questa stessa categoria rientra una molteplicita' di piccole comunita' che stanno sperimentando i principi di uno stile di vita che si richiama alla nonviolenza. Le esperienze sono numerosissime, spesso notevoli, anche se poco conosciute. Una delle piu' affascinanti si volge nientemeno che nella martoriata Colombia, in una zona inizialmente inospitale: Gaviotas e' il nome di questo villaggio dove e' in corso una delle piu' significative esperienze di sviluppo sostenibile, ideata da Paolo Lunari.

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Fondamenti epistemologici della nonviolenza

Caratteristica saliente della nonviolenza e' il suo carattere omeostatico, che consente di ricercare la verita' senza distruggere quella dell'avversario, imparando dagli errori, con comportamenti altamente reversibili. Non siamo sicuri di essere nel vero, non sappiamo se il corso d'azione intrapreso, anche con le migliori intenzioni, produrra' i risultati desiderati, ma utilizziamo una metodologia che consente alla ricerca della verita' di dispiegarsi.

Questo e' l'atteggiamento filosofico ed epistemologico che sta alla base delle procedure della ricerca scientifica per prova ed errore, nella consapevolezza che in campo sociale le sfide sono di vita e di morte, altamente non reversibili.

Nella tradizione gandhiana si invita ad agire senza rivendicare il merito dell'azione e senza aspettarne l'esito, che verra' quando meno ci si aspetta. C'e' una fiducia nel processo di ricerca della verita', che prima o poi si imporra', anche nelle situazioni apparentemente piu' difficili e disperate. Satyagraha vuol dire forza della verita', ma anche "dire la verita'", dirla di fronte ai potenti e all'ingiustizia, tanto quanto basta perche' si imponga. Cosi' come nella propaganda si sostiene che una bugia ripetuta mille volte diventa una verita', si puo' aver fiducia che una verita' ripetuta mille volte finira' per imporsi.

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Bibliografia

- Johan Galtung, Pace con mezzi pacifici, Esperia, Milano 2000.

- Mark Juergensmeyer, Come Gandhi. Un metodo per risolvere i conflitti, Laterza, Roma-Bari 2004.

- Jacques Semelin, Senz'armi di fronte a Hitler, Sonda, Torino 1993.

- Giuliano Pontara, Etica e generazioni future, Laterza, Roma-Bari 1995

- Giuliano Pontara, La personalita' nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996.

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Sitografia

- www.nonviolenti.org e' il sito del Movimento Nonviolento italiano, fondato da Aldo Capitini nel 1962, che pubblica la rivista "Azione Nonviolenta" ed e' il riferimento storico piu' significativo della nonviolenza politica organizzata.

- www.peacelink.it: questo sito svolge un'efficace azione informativa di rete tra i principali gruppi, movimenti e iniziative di pace italiani e contiene molte informazioni anche su quanto avviene su scala internazionale.

- www.arpnet.it/regis e' il sito del Centro "Sereno Regis" di Torino, con il catalogo consultabile in rete della biblioteca italiana piu' specializzata sui temi della nonviolenza.

- www.transcend.org e' la rete di ricercatori ed educatori fondata da Johan Galtung. Vi si trovano centinaia di articoli nelle lingue piu' diverse, e le informazioni sulle principali attivita' promosse da Transcend.

- www.transnational.org e' il sito di una delle piu' significative organizzazioni, svedese, di ricerca, azione e documentazione sui problemi della pace e della nonviolenza. Offre un importantissimo servizio di selezione di materiali dalla stampa e dalle pubblicazioni internazionali sui temi piu' rilevanti della ricerca per la pace.

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Parole chiave

- Nonviolenza: e' il termine convenzionale nelle lingue occidentali con il quale si intende la capacita' di trasformazione costruttiva e creativa dei conflitti dal micro al macro, attuata mediante le tecniche e i metodi dell'azione nonviolenta individuale, diretta, collettiva, organizzata.

- Satyagraha: sta a indicare la "forza della verita'", ovvero la forza interiore che deve animare chi sceglie di lottare mediante le tecniche della nonviolenza, che scaturisce dalla costante e attenta ricerca personale della verita', senza distruggere quella portata dall'avversario in una situazione di conflitto.

- Ahimsa: e' la concezione di rifiuto dell'uccidere, dell'esercitare violenza diretta, che e' ispirata da un rapporto di amore e di compassionevolezza nei confronti di ogni essere vivente.

- Difesa popolare nonviolenta: cosi' come esistono dottrine militari per la difesa di uno stato, anche nel pensiero e nella politica della nonviolenza e' stata elaborata una dottrina che prevede la possibilita' di affrontare conflitti su larga scala addestrando la popolazione in generale e alcune forze specializzate (caschi bianchi, corpi civili di pace) a intervenire in situazioni di potenziale pericolo per prevenire, dissuadere, riconciliare, interporsi mediante tecniche di azione nonviolente.

 

3. RIFLESSIONE. GISELLE DIAN INTERVISTA NANNI SALIO (2010)

 

- Giselle Dian: Quale eredita' ha lasciato nella cultura statunitense e mondiale l'esperienza di Martin Luther King, la lotta contro il razzismo e il movimento per i diritti civili?

- Nanni Salio: La lotta guidata da Martin Luther King, ma, non dimentichiamolo, avviata da una donna, Rosa Parks, ha ridato speranza alle minoranze oppresse in molte parti del mondo, Sudafrica compreso. Come recitava il rap di un famoso rapper, Jay-Z, durante l'ultima campagna campagna presidenziale: "Rosa Parks sat so Martin Luther King could walk. Martin Luther King walked so Obama could run. Obama ran so we can all fly": "Rosa Parks si e' seduta perche' Martin Luther King potesse marciare. Martin Luther King ha marciato perche' Obama potesse correre. Obama corre perche' tutti noi si possa volare".

Ma le altre due lotte importanti avviate da Martin Luther King, contro la guerra (del Vietnam allora, e oggi Iraq e Afghanistan) e contro la miseria estrema dei ghetti e degli slum abitati dalla minoranza nera, non hanno avuto pieno successo. La cultura e la politica Usa e' ancora profondamente permeata di militarismo e di capitalismo estremo (neoliberismo) di cui oggi vediamo e subiamo gli immensi costi.

Negli Usa come in India i grandi personaggi (Martin Luther King e Mohandas K. Gandhi) vengono spesso usati come icone inoffensive dai leader politici al potere, contraddicendo il loro insegnamento.

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- Giselle Dian: La riflessione e la pratica del femminismo hanno avuto un ruolo fondamentale nella formazione dei movimenti sociali impegnati per i diritti umani di tutti gli esseri umani. Come si e' esercitato questo ruolo nel corso degli ultimi decenni a livello planetario?

- Nanni Salio: Gandhi considerava fondamentale il ruolo delle donne nelle lotte nonviolente in India. Piu' in generale, osserviamo che molti movimenti di base sono stati promossi dalle donne: le "Madri e Nonne di Plaza de Mayo" per denunciare le sparizioni e le uccisioni perpetrate dalla dittatura argentina, le "Donne in nero" che lottano e testimoniano in varie parti del mondo contro guerre, militarismo, fondamentalismo. Ma anche qui c'e' molto da fare. Osserviamo anche forme di regressione nella nostra societa', operate da pubblicita' e tv, come denuncia in un bel libro Lorella Zanardo, Il corpo delle donne (Feltrinelli, Milano 2010). Ma la crescita dei movimenti che si impegnano contro la violenza nei confronti delle donne e' un segno positivo e bisogna integrare esplicitamente queste forme di lotta dentro la cultura della nonviolenza.

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- Giselle Dian: L'opposizione alla bomba atomica ha caratterizzato la seconda meta' del Novecento; negli ultimi decenni essa si e' sviluppata anche contro le centrali nucleari, cogliendo una serie di decisivi nessi ed implicazioni. Quali sono state le esperienze cruciali e quali sono le riflessioni fondamentali del movimento antinucleare?

- Nanni Salio: La questione nucleare e' tale per cui civile e militare sono due facce della stessa medaglia: non c'e' l'uno senza l'altro. Ma il nucleare civile rientra nella piu' ampia questione energetica, che e' segnata dal "picco del petrolio" e dagli effetti climatici (global change) dell'uso dei combustibili fossili (oltre a petrolio, gas e carbone). Il nostro stile di vita e l'attuale modello economico dominante e' totalmente dipendente dai fossili in generale e dal petrolio in particolare. Occorre agire in fretta per evitare che la concentrazione di CO2 e di altri gas serra continui a crescere ulteriormente, raggiungendo un punto di non ritorno. Purtroppo, al momento non ci sono scelte e decisioni incisive.

Il nucleare serve "solo" a produrre energia elettrica che, agli usi finali, conta per meno del 15% di tutto il fabbisogno. Qualora si volessero elettrificare tutti, o gran parte, dei trasporti (punto cruciale dell'intero sistema economico, produttivo, energetico), la quota di energia elettrica salirebbe di molto. L'eventuale scelta nucleare non sarebbe in grado di soddisfare il fabbisogno elettrico, perche' la disponibilita' di Uranio 235 (quello a tutt'oggi usato nelle centrali) si esaurirebbe in poco tempo, un paio di decenni.

Occorrerebbe utilizzare l'Uranio 238 trasformandolo in Plutonio 239 mediante reattori autofertilizzanti, che non sono in commercio. Il Plutonio e' l'elemento piu' tossico che esiste, oltre che radioattivo su tempi dell'ordine delle decine di migliaia di anni.

In breve, la questione energetica e nucleare richiede una totale revisione del nostro sistema socioeconomico: insediamenti urbani e produttivi su piccola scala; efficienza energetica sia nella produzione sia nella progettazione di qualsiasi bene (ciclo di vita dalla culla alla culla) evitando obsolescenza programmata degli oggetti e "usa e getta"; fonti rinnovabili decentrate di piccola potenza. Un modello di questo genere e' possibile e desiderabile, ma non si presta alla concentrazione di potere nelle mani di pochi, ne' a soddisfare avidita' e invidia di altrettanti pochi, come diceva il Mahatma Gandhi. Sta a noi scegliere, e quanto prima opteremo per questa transizione tanto meglio, per evitare di cadere in una situazione fuori controllo che produrrebbe un collasso con conseguenze inimmaginabili.

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- Giselle Dian: La solidarieta' internazionale con il movimento antiapartheid in Sudafrica ha caratterizzato gli anni Ottanta; e ad essa anche gli artisti (delle arti visive, della musica, della letteratura, del teatro e del cinema) hanno dato un contributo rilevante, particolarmente sul versante della sensibilizzazione. Poi, negli anni '90, la liberazione di Nelson Mandela, la sua elezione a primo presidente democratico del Sudafrica, e l'esperienza straordinaria della Commissione per la verita' e la riconciliazione, costituiscono eventi di portata mondiale ed epocale. Quali riflessioni si possono trarre da questa vicenda?

- Nanni Salio: La prima e' la grande capacita' di Nelson Mandela e di Desmond Tutu di avviare un processo di riconciliazione su larga scala. Poi e' stata importante la solidarieta' di esponenti della comunita' bianca, che man mano si sono coinvolti nella lotta. Un terzo elemento importante e' stato il boicottaggio internazionale e l'isolamento che il Sudafrica ha subito rispetto al resto del mondo: Questo e' cio' che si sta tentando di fare anche nei confronti dello stato di Israele, per indurlo ad affrontare seriamente la questione palestinese.

La componente artistica e' anch'essa importante, perche' costituisce una forma di diffusione di un pensiero molto efficace.

Il lavoro di riconciliazione e' lungo e impegnativo, indispensabile se non si vuole ricadere in errori e conflitti laceranti.

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- Giselle Dian: Da alcuni anni si ha la sensazione che almeno in alcune parti del mondo finalmente i diritti delle persone omosessuali vengano almeno formalmente riconosciuti, e che il pregiudizio e la violenza omofoba non godano piu' di una complicita' diffusa. E' realmente cosi'? Ed attraverso quali tappe di impegno civile e di progresso culturale si e' giunti a questa situazione, e quanto cammino c'e' ancora da percorrere, e quali iniziative occorre intraprendere affinche' ad ogni persona sia riconosciuto il diritto alla libera autodeterminazione ed autogestione del proprio orientamento sessuale e delle proprie scelte di vita?

- Nanni Salio: La questione sessuale, oltre a quella piu' specificamente omosessuale, rimane una delle problematiche piu' importanti per uomini e donne, giovani, ragazzi, adolescenti. Nonostante vi sia, soprattutto in Occidente, una diffusa liberta' di comportamenti, non esiste una buona educazione alla sessualita', affettivita', sensualita'. Questa e' una lacuna che riguarda anche i movimenti e la cultura della nonviolenza.

Eppure non mancano opere straordinarie in tutte le principali culture che potrebbero costituire una buona base di riferimento.

In Occidente i processi di liberalizzazione e di maggiore e piu' profonda conoscenza della sessualita' hanno condotto anche a forme, ancora parziali, di riconoscimento della diversita' sessuale e del diritto di scelta in questo campo.

Ovviamente le contraddizioni sono ancora molte e anche gli ostacoli. Da un lato la Chiesa cattolica, stretta tra "pedofilia" e "sessuofobia"; dall'altra forme integraliste di pensiero e di concezione maschilista che continuano a essere presenti in alcuni settori della societa'.

In altre aree culturali il problema e' ancora piu' acuto, anche se lentamente qualcosa sta cambiando.

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- Giselle Dian: E' sempre piu' evidente la coerenza e la saldatura tra impegno per la pace, affermazione dei diritti umani di tutti gli esseri umani, scelta della nonviolenza, femminismo ed ecologia. Come e perche' si realizza questa convergenza? Quali frutti rechera' all'umanita'?

- Nanni Salio: A mio modo di vedere la nonviolenza e' alla base di tutte le altre forme di impegno, ma storicamente molti movimenti e molte lotte si sono sviluppate a partire da temi specifici.

Da un lato assistiamo con piacere al fiorire di molteplici attivita', che Paul Hawken descrive in un suo libro (Una moltitudine inarrestabile, Edizioni Ambiente, Milano 2009) come "la seconda superpotenza mondiale", sorta "senza che nessuno se ne sia accorto", con centinaia di migliaia, addirittura milioni, di gruppi e iniziative sparse in tutto il mondo.

Dall'altra, ci sembra che l'enormita' dei problemi e delle crisi che stiamo vivendo richiedano un impegno coordinato e ancora maggiore.

Che cosa succedera' non lo sappiamo, ma di certo abbiamo bisogno di una nuova tappa evolutiva, e la nonviolenza costituisce il collante e la base di questa evoluzione futura dell'umanita'.

Occorre un impegno ancora maggiore di ricerca, educazione e azione per creare e diffondere una cultura della nonviolenza che ci permetta di vivere in modo piu' armonioso e ricco interiormente.

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- Giselle Dian: Quale puo' essere lo specifico contributo dell'arte all'impegno per la pace, l'ambiente, i diritti umani di tutti gli esseri umani?

- Nanni Salio: Una nostra amica, Daniela Minerbi, una pittrice che vive alle Hawaii, ha lanciato un progetto, che abbiamo accolto e contribuito a realizzare in Italia, chiamato Papp (Portable Art Portable Peace). Sono una cinquantina di piccoli quadri, che si possono comodamente spedire e far circolare da una citta' all'altra, da un luogo all'altro, per organizzare iniziative sul tema del rapporto arte-pace, coinvolgendo bambini, studenti, gente comune nel realizzare in modo semplice e spontaneo opere artistiche sulla pace, senza l'ambizione di avere solo grandi artisti.

Abbiamo sperimentato questa proposta in alcune citta', in particolare ad Aosta, con buoni risultati.

C'e' tuttavia una difficolta' che occorre tenere presente: e' piu' facile intendere il rapporto arte-pace come occasione di denuncia della guerra (pace negativa) che come capacita' di rappresentazione di pace positiva e nonviolenza. Ne abbiamo parlato, anche in occasione di momenti seminariali, con la presenza di Johan Galtung che ha contribuito a sviluppare questo nesso problematico.

Le rappresentazioni artistiche invadono anche lo spazio esterno e non solo i musei. Abbiamo contribuito a realizzare un piccolo museo-laboratorio della pace a Collegno, una cittadina vicino a Torino, ma sarebbe molto bello riuscire man mano a trasformare lo spazio esterno in una sorta di museo diffuso che non ricordi solo gli eventi bellici, come oggi avviene con monumenti e altri simboli di guerra, ma diventi capace di veicolare immagini di pace positiva e di nonviolenza. C'e' tanto lavoro da fare e aspettiamo "nuovi artisti di pace".

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- Giselle Dian: L'opera di Keith Haring, e piu' in generale il linguaggio dei "graffiti", pone in evidenza il rapporto tra opera d'arte e dimensione urbana, tra performance estetica e vissuto della strada, tra "nonluoghi" e impegno civile, tra forme della cultura di massa e lotta contro l'alienazione e l'emarginazione, tra strutture della vita quotidiana e nuove modalita' di risignificazione dei luoghi e delle esperienze esistenziali. Quali riflessioni le suscita questa prassi?

- Nanni Salio: Su Keith Haring e' appena stato pubblicato da Feltrinelli un cofanetto (libro + dvd) nella bella collana di Real Cinema, che contiene molti titoli di grande interesse per chi lavora sui temi di pace, ambiente, sostenibilita'.

Non occorrono molte parole per evidenziare la bruttezza che caratterizza gran parte, con poche eccezioni, delle strutture architettoniche delle citta' in cui viviamo. Nulla a che vedere con l'armonia di alcuni piccoli borghi, villaggi, luoghi ancora non distrutti dalla furia del capitalismo.

Si capisce allora che si sia sviluppata soprattutto nelle fasce giovanili una certa attrazione per i graffiti urbani. Ma occorre anche dire che spesso ci si limita a forme di protesta che non riescono a realizzare e veicolare espressioni artistiche autenticamente alternative, creative e positive. E' una ricerca in atto che va coltivata con cura, e forse proprio riscoprire l'opera di alcuni grandi artisti e conoscere forme artistiche presenti in altre parti del mondo, potrebbe aiutarci in questo compito.

Occorre tuttavia non cadere nella trappola del "successo", ottenuto con ingenti capitali e opere faraoniche che riproducono, senza esserne coscienti, le forme dominanti di sfruttamento e potere.

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- Giselle Dian: Nella vicenda di Haring e' rilevante anche il suo impegno nella lotta contro l'Aids (la malattia di cui mori' a trentun anni di eta'). Da allora ad oggi cosa e' cambiato e cosa occorre fare sia sul tema specifico sia piu' in generale per affermare il diritto di tutti alla salute, all'assistenza e alla solidarieta'?

- Nanni Salio: Come noto, la questione Aids prese alla sprovvista proprio quelle comunita' e gruppi, in particolare omosessuali ma non solo, che avevano avviato esperienze di vita all'insegna della liberta' sessuale. Queste sono anche le comunita' che hanno saputo reagire piu' prontamente, pur se con molte sofferenze, perche' piu' benestanti e colte.

Altra cosa e' l'epidemia di Aids tuttora diffusa nelle regioni piu' povere, in particolare l'Africa.

Testimonianze e impegno come quelli di Alex Zanotelli a Korogocho o in altre baraccopoli, favelas e slum nelle grandi periferie di Rio, Mumbai, Kolkata, ecc. sono particolarmente significative.

Ma fame, malattie, miseria estrema sino al degrado caratterizzano ancora una parte consistente dell'umanita' nell'indifferenza quasi totale e nell'incapacita' di prendere alla lettera quel "talismano di Gandhi" che ci dice di "partire dagli ultimi", dai piu' bisognosi, secondo quell'insegnamento evangelico tanto disatteso nella nostra folle civilta' che osa dichiararsi "cristiana".

Nella forma piu' incisiva il programma di cio' che dovremmo fare e' contenuto nelle parole che Gandhi ci ha lasciato pochi giorni prima di essere ucciso.

Vale la pena di ricordarle e di farne un piccolo poster da tenere sempre con noi: Il talismano di Gandhi.

"Ti daro' un talismano.

Ogni volta che sei nel dubbio

o quando il tuo 'io' ti sovrasta,

fa questa prova:

richiama il viso dell'uomo piu' povero e piu' debole

che puoi aver visto

e domandati se il passo che hai in mente di fare

sara' di qualche utilita' per lui.

Ne otterra' qualcosa?

Gli restituira' il controllo

sulla sua vita e sul suo destino?

In altre parole,

condurra' all'autogoverno

milioni di persone

affamate nel corpo e nello spirito?

Allora vedrai i tuoi dubbi

e il tuo 'io' dissolversi".

 

4. RIFLESSIONE. SETTE DOMANDE A NANNI SALIO (2011)

 

- "La nonviolenza e' in cammino": Quale e' stato il significato piu' rilevante della marcia Perugia-Assisi in questi cinquanta anni?

- Nanni Salio: Don Milani era scettico a proposito delle marce, ma la prima marcia ebbe un significato di rottura in un clima politico assai difficile e Capitini seppe fare un lavoro straordinario per mettere insieme componenti diverse e superare molte avversita'. In seguito la marcia e' stata sempre piu' edulcorata e sebbene in alcuni casi molto partecipata, i contenuti e la qualita' della partecipazione (soprattutto da parte di personaggi politici di rilievo che intervenivano pur essendo responsabili di decisioni nient'affatto condivisibili) lasciava a desiderare. Pur con questi limiti, la marcia e' stata un punto di riferimento soprattutto nei momenti piu' cruciali.

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- "La nonviolenza e' in cammino": E cosa caratterizzera' maggiormente la marcia che si terra' il 25 settembre di quest'anno?

- Nanni Salio: Il tema centrale e' ancora una volta quello della nonviolenza e del ripudio della guerra. Per ragioni di compromesso, non si e' giunti a delineare contenuti piu' avanzati, come quello della difesa popolare nonviolenta, che bisognerebbe sempre avere presente, e dei corpi civili di pace.

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- "La nonviolenza e' in cammino": Quale e' lo "stato dell'arte" della nonviolenza oggi in Italia?

- Nanni Salio: Sul piano teorico abbiamo buone elaborazioni e riflessioni. Molto meno sul piano dell'azione collettiva e su quello organizzativo. Per queste ragioni siamo poco appariscenti nella societa'.

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- "La nonviolenza e' in cammino": Quale ruolo puo' svolgere il Movimento Nonviolento fondato da Aldo Capitini?

- Nanni Salio: Deve continuare a proporre e riproporre il messaggio capitiniano e andare oltre, verso la realizzazione di alternative nel campo della difesa, della trasformazione nonviolenta dei conflitti e della costruzione di una societa' e di una economia sostenibili e nonviolente. Occorre riprendere con forza il tema dell'obiezione di coscienza, estendendolo anche ai militari in servizio (obiezione selettiva), ai lavoratori nelle fabbriche belliche, ai ricercatori. Inoltre, bisogna promuovere forme di organizzazione tra i vari gruppi e movimenti che condividono la cultura della nonviolenza per rendere piu' efficace e incisivo il lavoro collettivo.

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- "La nonviolenza e' in cammino": Quali i fatti piu' significativi degli ultimi mesi in Italia e nel mondo dal punto di vista della nonviolenza?

- Nanni Salio: In Italia: il successo dei movimenti promotori dei referendum e la capacita', nonostante tutto, del movimento No Tav di continuare a resistere. Sul piano internazionale la primavera araba sta dimostrando che e' possibile lottare mediante la nonviolenza collettiva su larga scala, in ogni ambiente culturale, smontando le tesi di coloro che hanno relegato l'islam in una concezione violenta. Infine, l'Islanda ha indicato la strada da seguire per non accettare supinamento il ricatto e l'esproprio operato dai centri criminali della finanza internazionale.

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- "La nonviolenza e' in cammino": Su quali iniziative concentrare maggiormente l'impegno nei prossimi mesi?

- Nanni Salio: Organizzare la protesta e l'opposizione alle manovre finanziarie, seguendo l'esempio islandese, degli indignados, ecc. Continuare l'opera avviata con i referendum per concretizzare le alternative. Tessere una rete di movimenti di base per un'alternativa che dia speranza e metta fuori gioco l'attuale sistema di potere politico.

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- "La nonviolenza e' in cammino": Se una persona del tutto ignara le chiedesse "Cosa e' la nonviolenza, e come accostarsi ad essa?", cosa risponderebbe?

- Nanni Salio: La nonviolenza e' la capacita' di trasformazione creativa e costruttiva dei conflitti, dal micro al macro, per ridurre ogni forma di violenza e pertanto di sofferenza e accrescere le possibilita' di vita felice e armoniosa. La inviterei al nostro Centro Sereno Regis, dove vedrebbe cosa significa operare quotidianamente nella ricerca, nell'educazione e nell'azione e chiederei di coinvolgersi man mano nel nostro lavoro.

 

5. RIFLESSIONE. NANNI SALIO: 4 NOVEMBRE, COMPRESENZA DEI MORTI E DEI VIVENTI (2011)

 

Chi meglio di Aldo Capitini ha saputo esprimere le insufficienze della realta' che ci circonda, sino a includere la vita di ogni essere, in una visione che anticipa quella di Raimon Panikkar della cosmoteandria (cosmo, divino, umano)?

Dice Capitini: "Quando incontro una persona, e anche un semplice animale, non posso ammettere che poi quell'essere vivente se ne vada nel nulla, muoia e si spenga, prima o poi, come una fiamma. Mi vengono a dire che la realta' e' fatta cosi', ma io non accetto. E se guardo meglio, trovo anche altre ragioni per non accettare la realta' cosi' com'e' ora, perche' non posso approvare che la bestia piu' grande divori la bestia piu' piccola, che dappertutto la forza, la potenza, la prepotenza prevalgano: una realta' fatta cosi' non merita di durare. E' una realta' provvisoria, insufficiente, ed io mi apro ad una sua trasformazione profonda, ad una sua liberazione dal male nelle forme del peccato, del dolore, della morte. Questa e' l'apertura religiosa fondamentale, e cosi' alle persone, agli esseri che incontro, resto unito intimamente per sempre qualunque cosa loro accada, in una compresenza intima, di cui fanno parte anche i morti...".

La compresenza capitiniana si applica a ogni vittima di tutte le guerre, passate presenti e future, e si applica in particolare anche a quei personaggi che il nostro mondo mediatico deumanizzante ha trasformato in icone, positive e negative: Che Guevara, Saddam Hussein, Osama Bin Laden, Gheddafi, per ricordarne solo alcune.

Vedere i corpi straziati di queste persone e delle innumerevoli vittime delle guerre dovrebbe muoverci a un rifiuto integrale della violenza in tutte le sue forme. Non meno drammatiche sono infatti le immagini delle innumerevoli vittime della violenza strutturale nella sua forma piu' endemica, quella della fame.

Ma tutto cio' non succede, o meglio non succede ancora, nonostante l'enorme quantita' di documentazione e di denunce degli orrori della guerra, da Bertha von Suttner (Abbasso le armi! Storia di una vita, a cura di Giuseppe Orlandi con prefazione di Laura Tirone, Centro Stampa Cavallermaggiore, 1996) alla raccolta di fotografie che illustrano il libro di Ernst Friedrich, Guerra alla guerra (Mondadori, Milano 2004), con la bella prefazione di Gino Strada (www.carmillaonline.com/archives/2004/11/001068.html ), alle immagini della distruzione nucleare di Hiroshima e Nagasaki, a tantissime altre.

L'umanita' e' affetta da una sorta di patologia dalla quale deve riuscire a guarire, se non vuole autodistruggersi. Oggi, la lotta contro la guerra e' una lotta contro il potere del complesso militare-industriale-corporativo-scientifico-mediatico. Siamo entrati in una pericolosa fase di crisi sistemica, prevista quarant'anni fa dal Club di Roma.

I movimenti che da piazza Tahrir a Wall Street stanno coinvolgendo soprattutto giovani e donne fanno ben sperare, ma a condizione che sappiano assumere pienamente mezzi e fini della lotta nonviolenta, seguendo le orme dei grandi maestri, da Gandhi a Capitini, da Mandela a Dolci. Anche i movimenti nonviolenti italiani debbono coinvolgersi in tali lotte, per aiutare a elaborare modelli di sviluppo, di difesa e di trasformazione nonviolenta dei conflitti che traducano in termini politici i principi fondamentali della nonviolenza.

 

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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA

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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVII)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 357 del 7 febbraio 2016

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