[Nonviolenza] Le due Rose. 13



 

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LE DUE ROSE

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La Rosa rossa contro la guerra

La Rosa bianca contro il nazismo

Per la pace e i diritti umani

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVI)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100

Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, centropacevt at gmail.com, web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

Numero 13 del 22 dicembre 2015

 

In questo numero:

1. Peppe Sini: Il nocciolo della questione, ed il resto e' silenzio

2. Un appello alle persone impegnate per salvare le vite

3. Il crollo della diga. Un appello al presidente del Consiglio dei ministri del 18 dicembre 2015

4. Presidente, non ci uccida. Una lettera aperta al Presidente della Repubblica del 21 dicembre 2015

5. Rete italiana per il disarmo: Soldati italiani in Iraq? Errore da non ripetere

 

1. EDITORIALE. PEPPE SINI: IL NOCCIOLO DELLA QUESTIONE, ED IL RESTO E' SILENZIO

 

Senza reticenze, senza ipocrisie, senza eufemismi, il nocciolo della questione e' questo: che l'invio di 450 soldati italiani alla diga di Mosul verra' presentato dalla propaganda dell'Isis come "un'invasione crociata" delle truppe di uno degli stati che dagli anni Novanta ha preso parte alla guerra e alle stragi e successivamente all'occupazione militare neocoloniale, devastatrice, rapinatrice, imperialista e razzista dell'Iraq.

E questa propaganda sara' ovviamente svolta - come e' proprio della strategia terroristica - attraverso sanguinosi attentati che potranno essere diretti contro i soldati italiani, contro la diga, contro l'Italia.

Ogni persona ragionevole e' in grado di prevederlo.

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Cosi' come ogni persona ragionevole sa che l'indispensabile prerequisito per una adeguata operazione di polizia internazionale che contrasti realmente l'Isis in modo appropriato ed efficace e' la cessazione della guerra e di tutti gli atti alla modalita' della guerra riconducibili.

L'insediamento territoriale dell'Isis in una vasta area tra l'Iraq e la Siria e' principalmente la conseguenza delle guerre eseguite in proprio o attraverso mandatari dalle potenze euroamericane che hanno provocato - insieme alle stragi, le devastazioni, la disperazione e la barbarie che tutte le guerre implicano e disseminano - la destrutturazione degli ordinamenti giuridici in entrambi i paesi ed il riprodursi, l'imporsi e l'estendersi della violenza terrorista e schiavista su scala sempre piu' ampia, in forme sempre piu' pervasive.

Qualunque intervento militare europeo e americano nell'area in quanto prosegue la guerra e le stragi segna ipso facto il trionfo dell'Isis, lo rafforza nell'organizzazione e nell'ideologia, nella strategia e nella propaganda, e ne moltiplichera' il reclutamento e gli attentati li' e in tutto il mondo.

Per contrastare la barbarie dell'Isis lo strumento militare e' peggio che inadeguato, e' del tutto controproducente; la presenza in loco di truppe europee o americane, cosi' come la prosecuzione dei bombardamenti che provocano ulteriori stragi di civili, e' il piu' grande aiuto che i governi euroamericani forniscono all'Isis, la piu' sciagurata, infame e insensata forma di complicita' con il terrorismo.

La tragedia dell'Afghanistan dovrebbe pur aver insegnato qualcosa.

La tragedia della Libia dovrebbe pur aver insegnato qualcosa.

L'analisi razionale degli esiti dello scatenamento di tutte le guerre dovrebbe pur aver insegnato qualcosa.

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Il nocciolo della questione e' questo: l'invio di soldati italiani alla diga di Mosul e' un ulteriore passo nell'escalation onnicida, e' un ulteriore passo verso l'estensione della catastrofe.

Occorre invece l'esatto contrario: immediate trattative di pace in Siria, come auspicato dall'Onu; immediate azioni di disarmo e di smilitarizzazione dei conflitti; avvio di un'operazione di polizia internazionale che innanzitutto tagli i rifornimenti all'Isis; immediati ingenti soccorsi umanitari alle popolazioni; azione diplomatica, politica, economica; interventi di pace con mezzi di pace; ricostruzione delle infrastrutture amministrative che forniscano i servizi essenziali alle popolazioni vittime di guerre e dittature, vittime di devastazioni e violenze inaudite, e vittime anche della cinica nostra politica.

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Il terrorismo non si sconfigge con le armi; le armi sono gia' il terrorismo.

Il terrorismo non si contrasta con la guerra; la guerra e' gia' il terrorismo.

L'organizzazione criminale dell'Isis va affrontata con gli interventi e gli strumenti civili e di polizia appropriati: il popolo italiano lo sa, poiche' della violenza terroristica neofascista, della violenza terroristica nichilista, della violenza terroristica mafiosa ha fatto dura esperienza nelle proprie carni; sa che alla mafia non ci si oppone bombardando Palermo o Roma; sa che al neofascismo non ci si oppone dispiegando truppe; sa che il primo dovere di un ordinamento giuridico costituzionale democratico e' operare per salvare le vite. E per salvare le vite non atti di guerra occorrono, ma di pace, di umanita', di civilta'.

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Occorre convincere il governo a recedere immediatamente dall'annunciata dissennata decisione di inviare 450 soldati a Mosul. Ed occorre che receda subito perche' nel perverso intreccio tra guerra asimmetrica, societa' dello spettacolo, terrorismo come propaganda e globalizzazione dei massacri, gli stessi proclami ad uso dei media, gli stessi annunci televisivi, generano immediatamente effetti letali nella realta': il semplice annuncio dell'invio dei soldati puo' gia' scatenare un'escalation, puo' gia' provocare attentati, puo' gia' portare a nuove stragi altrimenti evitabili.

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Occorre convincere il governo a recedere immediatamente dall'annunciata dissennata decisione di inviare 450 soldati a Mosul. Le stupefacenti motivazioni dell'insensata e inammissibile decisione cosi' come esposte dal presidente delle Consiglio dei ministri e dalla ministra della Difesa prostituiscono i soldati italiani (ripetiamolo: mettendo in gravissimo pericolo le vite loro, di ogni cittadino italiano, e di innumerevoli persone abitanti a valle della diga di Mosul) ad un'operazione di accaparramento di una commessa da parte di un'impresa privata: e non e' chi non veda la flagrante illegalita', immoralita' e follia di questa operazione in cui vite umane vengono messe a rischio dallo stato italiano a mero vantaggio dell'arricchimento di un soggetto privato.

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Occorre convincere il governo a recedere immediatamente dall'annunciata dissennata decisione di inviare 450 soldati a Mosul. Il governo deve revocare una decisione che fin d'ora mette in pericolo innumerevoli vite: in tanto un governo democratico in uno stato di diritto e' legittimato a governare in quanto la sua azione e' intesa a rispettare, difendere e salvare le vite; la decisione dell'invio dei soldati a Mosul e' palesemente fuorilegge, e' palesemente scellerata, e' palesemente assurda, e' palesemente in conflitto con il primo dovere del governo stesso: rispettare le leggi, rispettare le vite.

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Occorre convincere il governo a recedere immediatamente dall'annunciata dissennata decisione di inviare 450 soldati a Mosul. Il resto e' silenzio.

 

2. INIZIATIVE. UN APPELLO ALLE PERSONE IMPEGNATE PER SALVARE LE VITE

 

Receda il governo dalla decisione di inviare 450 soldati italiani alla diga di Mosul.

Receda il governo da una decisione insensata e illegale che puo' avere conseguenze catastrofiche.

Receda il governo dal commettere un tragico errore che puo' costare innumerevoli vite umane.

Ogni vittima ha il volto di Abele.

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A chi condivide la persuasione che salvare le vite sia il primo dovere chiediamo di scrivere al presidente del Consiglio dei ministri per chiedere che il governo receda dall'annunciata decisione di inviare 450 soldati italiani alla diga di Mosul.

Si puo' scrivere agli indirizzi di posta elettronica: matteo at governo.it e segreteria.presidente.renzi at governo.it e per opportuna conoscenza ai presidenti del Senato e della Camera agli indirizzi di posta elettronica: pietro.grasso at senato.it e laura.boldrini at camera.it

 

3. INSISTENZE. IL CROLLO DELLA DIGA. UN APPELLO AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DEL 18 DICEMBRE 2015

 

Egregio presidente del Consiglio dei ministri,

receda immediatamente dalla decisione dell'invio di truppe italiane alla diga di Mosul, decisione le cui conseguenze possono essere funeste e fin catastrofiche.

Non commetta l'errore piu' grave dell'intera sua vita.

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Egregio presidente del Consiglio dei ministri,

nelle scorse settimane, mentre alcuni suoi ministri deliravano, lei e' apparso essere consapevole degli enormi rischi che una ulteriore escalation dell'intervento bellico euroamericano nel Vicino e nel Medio Oriente avrebbe comportato, con l'esito sia di un'ulteriore estensione delle stragi cola', sia di una ulteriore espansione del terrorismo su scala planetaria. In queste settimane lei e' apparso essere consapevole dei risultati disastrosi delle guerre cui dagli anni Novanta l'Italia ha partecipato (violando la sua stessa legge fondamentale), ed ha piu' volte ricordato la guerra libica del 2011 come esempio di tragico errore da non ripetere.

Ebbene, la decisione di inviare 450 soldati italiani alla diga di Mosul contraddice la prudenza e la ragionevolezza che informavano quelle sue precedenti dichiarazioni.

Questa decisione di dispiegare truppe italiane sul terreno, nel cuore del conflitto in corso nell'area tra Iraq e Siria che - destrutturati gli ordinamenti giuridici di quei paesi dalle guerre euroamericane degli scorsi decenni - e' divenuta base territoriale dell'organizzazione terrorista e schiavista dell'Isis,  puo' avere conseguenze tremende.

Una presenza militare italiana alla diga di Mosul rendera' sia quel luogo e le persone li' schierate, sia l'Italia intera, un primario bersaglio dell'azione stragista dell'organizzazione terroristica.

Come chiunque, immagino facilmente le pressioni che possono avere indotto il suo governo a questa stoltissima e sciaguratissima decisione; ma voglio sperare che lei abbia sufficiente buon senso per capire che deve revocarla immediatamente.

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Egregio presidente del Consiglio dei ministri,

l'Italia ha gia' dato un enorme, scellerato contributo al trionfo dello stragismo e del terrorismo (tanto dei poteri dichiaratamente criminali, quanto degli stati) con la partecipazione alle guerre del Golfo, alla guerra dei Balcani, alla guerra afgana, alla guerra libica; con la fornitura di armi a regimi assassini; con la partecipazione a coalizioni internazionali e organizzazioni armate responsabili di crimini di guerra e contro l'umanita'; con l'abominevole politica razzista che impedendo l'ingresso legale a chi fugge da fame e guerre e dittature ha provocato l'immane strage nel Mediterraneo; con lo sperpero di risorse ingentissime per le spese militari costitutivamente finalizzate alla preparazione ed all'esecuzione della guerra e delle uccisioni di cui essa consiste. L'Italia ha molto da farsi perdonare dai popoli del sud del mondo, di tante stragi e' corresponsabile.

In relazione alla Libia l'Italia sembra ora finalmente seguire una politica ragionevole: di azione diplomatica orientata a far cessare i conflitti e le stragi, a promuovere dialogo e legalita', a salvare le vite e a contrastare il potere delle organizzazioni criminali attraverso la ricostruzione di un ordinamento giuridico che si impegni nella direzione del rispetto e della promozione dei diritti di tutti; perche' non seguire la stessa politica ragionevole anche in relazione all'Iraq e alla Siria?

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Egregio presidente del Consiglio dei ministri,

due sono le dighe di cui deve tener conto nel valutare la situazione.

Vi e' una diga a Mosul da mettere in sicurezza, ma la presenza di soldati italiani ottiene proprio l'effetto contrario.

E vi e' una diga in Italia e in Europa: la diga della civilta' che si oppone all'irruzione della barbarie, del razzismo e del fascismo. Che possa l'ordinamento giuridico costituzionale e democratico italiano resistere a chi vuole trasformarci in mostri, a chi vuole renderci ad un tempo vittime e ausiliari delle sua apocalittica brama di sterminio.

Receda da quella sconsiderata decisione ed impegni piuttosto il nostro paese anche in quell'area ad un'azione diplomatica come quella dispiegata in Libia.

Lei sa che l'azione di polizia necessaria contro i terroristi dell'Isis sara' resa possibile solo dalla fine della guerra in corso, ovvero solo dalla fine della destrutturazione dell'Iraq e della Siria con la ricostituzione in entrambi i paesi di un ordinamento giuridico che si impegni alla ricostruzione dei servizi, delle infrastrutture e dell'amministrazione nella legalita', nella direzione della democrazia e del rispetto dei diritti umani. A tal fine occorre promuovere il dialogo, occorre recare aiuti umanitari, occorre sostenere le esperienze nonviolente di convivenza e di solidarieta', occorre tagliare ai terroristi le fonti di finanziamento, di armamento, di reclutamento - innanzitutto costringendo i governi loro complici (in primo luogo la Turchia e l'Arabia Saudita, il Kuwait e il Qatar) a recedere dalla loro criminale politica.

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Egregio presidente del Consiglio dei ministri,

tragga ispirazione dalla memoria di Giorgio La Pira, faccia della nonviolenza la vera, grande, necessaria, urgente trasformazione - evoluzione, progresso - di cui la politica, non solo italiana ma dell'umanita' intera, ha assoluto bisogno.

 

4. APPELLI. PRESIDENTE, NON CI UCCIDA. UNA LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DEL 21 DICEMBRE 2015

 

Egregio Presidente della Repubblica,

come gia' sa, il governo italiano ha annunciato la decisione di inviare 450 soldati italiani alla diga di Mosul, nel cuore del sanguinario conflitto mediorientale.

Questa decisione dissennata espone quei soldati, quella diga e l'Italia intera ad essere bersaglio privilegiato di attentati terroristici.

Questa decisione dissennata e' del tutto illegale.

Questa decisione dissennata e' del tutto immorale.

Questa decisione dissennata rischia di dar luogo a nuove stragi.

Questa decisione dissennata rischia di promuovere una ulteriore escalation di violenza i cui esiti possono essere apocalittici.

Il governo non puo' prendere questa decisione.

Il governo deve recedere immediatamente da questa decisione.

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Presidente, richiami il governo alla ragione, alla legalita' costituzionale, al comune sentire morale, al primo dovere che e' quello di non uccidere, di non mandare nessuno incontro alla morte, di salvare le vite.

Presidente, faccia sapere al governo che lei non puo' e non intende ratificare una scelta nefasta che puo' provocare innumerevoli vittime.

Presidente, non ci uccida.

 

5. DOCUMENTAZIONE. RETE ITALIANA PER IL DISARMO: SOLDATI ITALIANI IN IRAQ? ERRORE DA NON RIPETERE

[Riceviamo e diffondiamo il seguente comunicato del 21 dicembre 2015 della "Rete italiana per il disarmo"]

 

Rete Disarmo: Soldati italiani in Iraq? Errore da non ripetere

Da Nassiriya a Mosul: nuove "avventure coloniali" di soldati italiani in Iraq sembrano dietro l'angolo, senza che il Parlamento ne abbia discusso e senza alcuna ragione se non vantaggi privati e subalternita' internazionale

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La scorsa settimana il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha annunciato in una trasmissione televisiva che l'Italia tornera' in Iraq con un contingente militare di 450 uomini, con funzione di protezione e scorta ai lavori che una ditta italiana dovrebbe svolgere per la ristrutturazione della diga di Mosul. Purtroppo il Presidente Renzi non ha ritenuto per ora necessario discutere in Parlamento di questa missione, che sembra non sia stata richiesta dai Governi iracheno o curdo ma piuttosto dagli Usa e potrebbe essere stata annunciata da Renzi per fare pressioni sul governo iracheno che non ha ancora formalmente affidato l'appalto all'azienda italiana.

Come ai tempi di Nassiriya, l'Italia intende controllare militarmente un'area interna ad un altro Paese a protezione di interessi economici nazionali: allora erano i pozzi di petrolio che l'Eni voleva sfruttare, oggi il gigantesco appalto di due miliardi di euro per la messa in sicurezza della diga di Mosul che l'italiana Trevi starebbe per aggiudicarsi.

A questo riguardo la Rete Italiana Disarmo si domanda perche' la ditta in questione non possa ottenere protezione da parte di forze locali riconosciute (peshmerga kurdi o militari dell'esercito iracheno), e richieda invece al nostro Paese, con costi direttamente incidenti sul bilancio dello Stato Italiano, di inviare un contingente a Mosul; iniziativa che potrebbe costare oltre cento milioni di euro all'anno se si considerano anche le spese logistiche per schierare mezzi e armi.

Ma altri sono i costi piu' gravi che l'Italia potrebbe andare a dover sostenere, secondo Martina Pignatti, presidente dell'associazione "Un ponte per..." che segue la situazione dall'Iraq: "Solo 24 ore dopo l'annuncio di Renzi, Daesh (Is) ha sferrato nella zona di Mosul il piu' significativo attacco militare degli ultimi cinque mesi, che e' stato contenuto con una vasta offensiva dell'esercito iracheno e almeno 19 raid americani. Di questi, uno nella provincia di Falluja ha ucciso con fuoco amico circa 20 soldati iracheni, ferendone 30, secondo il presidente della Commissione Difesa del Parlamento iracheno. Per Daesh gli italiani, descritti come 'truppe crociate', sarebbero un obiettivo statico appetibile, mentre il portavoce di un gruppo paramilitare sciita, che pur lotta contro Daesh, ha minacciato di trattare i nostri soldati da occupanti a cui resistere". Con queste premesse e' irrealistico pensare che i militari italiani non andranno a combattere, come ha invece dichiarato la Ministra della Difesa Pinotti, ed e' possibile che si trovino in territorio di guerra senza regole di ingaggio adeguate al livello di tensione, come ai tempi della missione di Nassiriya che fini' in tragedia. Sostanzialmente, per dimostrare ad Obama che l'Italia fara' la sua parte nella lotta contro il terrorismo, mettiamo "gli stivali sul terreno" in un'area a 15 km dal territorio controllato dal sedicente Califfato e diventiamo obiettivo appetibile per le ritorsioni belliche di Daesh.

Don Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi, ricorda la denuncia raccolta in uno dei numerosi viaggi in Iraq: "Una catechista di Mosul, incontrata a casa dell'attuale patriarca caldeo allora parroco in quella citta', mi faceva notare che i governi italiani si sono sempre rapportati all'Iraq privilegiando lo strumento militare: dagli anni in cui vendevamo mine antiuomo a Saddam che le ha usate per minare il confine con il Kurdistan iracheno, al tempo dei bombardamenti della coalizione internazionale e poi dell'occupazione fino all'attuale sostegno in armi e formazione ai peshmerga e alle forze speciali irachene. E non una sola volta questi interventi sono stati programmati per la protezione dei civili vittime della guerra, come ad esempio le donne yazide ancora in mano a Daesh. Quando riusciremo ad articolare risposte politiche e davvero sensate alla crisi irachena?".

Il ritiro della partecipazione italiana all'occupazione dell'Iraq fu decretato dal nostro Parlamento nel 2006 grazie alla grande mobilitazione del movimento pacifista italiano. Ritornarci oggi, con il paravento della possibile catastrofe umanitaria in caso di crollo della diga, rappresenta un clamoroso voltafaccia della politica italiana. Ci si chiede, inoltre, a cosa serva la missione militare in corso - che ci e' costata nel 2015 circa 200 milioni di euro - per contrasto a Daesh e addestramento di militari iracheni e curdi, se questi non sono nemmeno in grado di garantire l'incolumita' dei lavoratori chiamati a riparare la diga di Mosul.

Se il Governo italiano volesse autorizzare nel gennaio 2016 l'invio di un contingente a Mosul, si renderebbe immediatamente necessario un dibattito parlamentare sulla questione e un'informazione chiara circa i soggetti da cui e' venuta la richiesta del contingente, circa il loro mandato e le regole di ingaggio. E' questa la richiesta minima che la Rete Italiana per il Disarmo avanza alla maggioranza politica nelle Camere.

 

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Per la pace e i diritti umani

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVI)

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Numero 13 del 22 dicembre 2015