[Nonviolenza] Telegrammi. 1629



 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 1629 del 6 maggio 2014

Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XV)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com

 

Sommario di questo numero:

1. Al Presidente del Consiglio dei Ministri: richiesta di un atto normativo per la formazione delle forze dell'ordine alla nonviolenza

2. Per la formazione: sei libri utili

3. Aspetti psicologici dell'impegno nonviolento (1999)

4. Segnalazioni librarie

5. La "Carta" del Movimento Nonviolento

6. Per saperne di piu'

 

1. LETTERE. AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI: RICHIESTA DI UN ATTO NORMATIVO PER LA FORMAZIONE DELLE FORZE DELL'ORDINE ALLA NONVIOLENZA

 

Al Presidente del Consiglio dei Ministri

e per opportuna conoscenza:

al Ministro dell'Interno

al Ministro della Giustizia

al Presidente del Senato della Repubblica

alla Presidente della Camera dei Deputati

a tutte e tutti i Parlamentari della Repubblica

Oggetto: richiesta di urgente emanazione di un atto legislativo ovvero regolamentare che disponga la formazione di tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e all'addestramento all'uso delle risorse teoriche e pratiche della nonviolenza.

Egregio Presidente del Consiglio dei Ministri,

nel 2001, dopo la tragedia delle violenze con esiti anche letali in occasione del G8 di Genova, accogliendo una proposta del "Centro di ricerca per la pace" numerosi parlamentari di tutte le forze politiche presentarono un disegno di legge, primo firmatario il senatore Achille Occhetto, che proponeva la formazione di tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e all'addestramento all'uso delle risorse teoriche e pratiche della nonviolenza.

Quella proposta non fu mai calendarizzata, e sebbene nel corso degli anni in varie realta' locali d'Italia - da Milano a Palermo - si siano sperimentate nelle polizie locali e nazionali attivita' di formazione alla nonviolenza, l'esigenza di un atto normativo nazionale che promuova ovvero istituisca per le forze dell'ordine l'acquisizione di una specifica conoscenza teorica e di uno specifico addestramento pratico alla nonviolenza si pone ancor oggi come una ineludibile urgenza.

In altri paesi questa formazione degli operatori di polizia alla nonviolenza e' una realta' dal secolo scorso. In Italia e' una necessita' da realizzare al piu' presto.

Valuti il Governo quale sia la forma piu' adeguata per introdurre questa attivita' formativa nei percorsi di studio, di formazione e di aggiornamento delle cinque polizie nazionali e delle varie polizie locali; se sia preferibile una legge o un regolamento, se l'atto debba essere promosso con un decreto o con un disegno di legge o sia sufficiente una mera circolare ministeriale; valuti il governo la forma adeguata, ma proceda al piu' presto: formare le forza dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza e' un bisogno non piu' rinviabile.

Distinti saluti,

Peppe Sini, responsabile del "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" di Viterbo

Viterbo, 5 maggio 2014

 

2. INCONTRI. PER LA FORMAZIONE: SEI LIBRI UTILI

 

Si e' svolto lunedi' 5 maggio 2014 a Viterbo presso il "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" un incontro di presentazione di alcuni strumenti utili per la formazione delle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza.

In particolare sono stati proposti alla riflessione (illustrandone i contenuti e leggendone e commentandone alcuni brani) i seguenti libri:

- Vittorino Andreoli, La violenza, Rcs Rizzoli Libri, Milano 1993, 2003.

- Adriana Cavarero, Orrorismo ovvero della violenza sull'inerme, Feltrinelli, Milano 2007.

- Emmanuel Levinas, Ethique et infini, Fayard, Paris 1982, Libraire Generale Française, Paris 1997.

- Stanley Milgram, Obbedienza all'autorita', Einaudi, Torino 2003.

- Françoise Sironi, Persecutori e vittime. Strategie di violenza, Feltrinelli, Milano 2001.

- Edith Stein, L'empatia, Franco Angeli, Milano 1986, 2006.

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Nel corso dell'incontro e' stato nuovamente espresso l'impegno della struttura nonviolenta viterbese affinche' governo e/o parlamento adottino al piu' presto un provvedimento normativo che istituisca finalmente la necessaria formazione alla nonviolenza nel curriculum formativo e nell'attivita' di aggiornamento per tutti gli operatori delle forze dell'ordine, giacche' la nonviolenza mette a disposizione risorse assolutamente indispensabili per affrontare adeguatamente situazioni critiche e conflittuali.

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Al termine dell'incontro e' stata anche presentata ed approvata all'unanimita' la lettera inviata dal responsabile della struttura nonviolenta viterbese al Presidente del Consiglio dei Ministri recante una "richiesta di urgente emanazione di un atto legislativo ovvero regolamentare che disponga la formazione di tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e all'addestramento all'uso delle risorse teoriche e pratiche della nonviolenza".

 

3. REPETITA IUVANT. ASPETTI PSICOLOGICI DELL'IMPEGNO NONVIOLENTO (1999)

[Estratto dal nostro lavoro "La nonviolenza contro la guerra" del 1999 ripubblichiamo qui ancora una volta il seguente testo]

 

1. Premessa

Rispetto ad altre forme di impegno culturale, politico o sociale, la scelta della nonviolenza ha, secondo la nostra interpretazione, alcune caratteristiche peculiari:

a) si fonda sulla ragione e non sull'entusiasmo: naturalmente valorizza le emozioni ma sempre ricondotte ad un impegno critico;

b) implica una limpida rigorizzazione del ragionamento e della condotta: richiede una severa coerenza intellettuale e morale, e quindi necessariamente anche una grande capacita' di ascolto ed una incondizionata disponibilita' ad apprendere;

c) non offre garanzie ne' consolazioni: ne' certezze di vittoria o di salvezza, ne' autorita' ed automatismi che fungano da cinture di sicurezza; tuttavia, facendo appello a un forte sentimento di integrita' personale intimamente connesso al piu' vasto slancio di solidarieta' e di riconoscimento della comune umanita', consente di gestire le ansie e relativizzare gli scacchi in una piu' profonda ed insieme piu' ampia prospettiva di impegno orientato al bene comune ed all'affermazione della propria dignita' (bene comune e dignita' personale intesi come un inscindibile insieme);

d) propone un impegno di lotta che non terminera' che con la morte: ma questa lotta (contro l'ingiustizia, contro la violenza, contro la menzogna; e quindi: contro la sofferenza, contro il male, contro la morte stessa) e' ineludibile, ed e' coessenziale alla nostra vita di senzienti e pensanti;

e) impone quindi una dialettica tra coscienza e mondo esterno (naturale e culturale) particolarmente impegnativa: ad ogni passo chiede di assumere responsabilita', di giudicare, e quindi di agire; ad ogni passo ci impone un difficile confronto tra liberta' e regole, tra creativita' e necessita', tra dovere morale e condizioni (e codificazioni) date.

In breve, la scelta della nonviolenza richiede studio, preparazione, addestramento, disponibilita' a soffrire, saldezza nel perseverare in cio' che e' giusto ad una analisi onesta, e saldezza nel perseverare in una condotta costantemente benevola, leale e responsabile anche di fronte a condotte scorrette, inique e violente da parte di altri. Infine richiede altresi' una ridiscussione costante della propria condotta ed una continua reinterpretazione e reinvenzione di regole, orizzonti, abitudini, percorsi di ricerca; rileggendo incessantemente la propria esperienza cosi' come faceva Gandhi che non casualmente intitolo' la sua autobiografia "storia dei miei esperimenti con la verita'".

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2. Una sintetica definizione preliminare

2.1. Per nonviolenza intenderemo qui un insieme di valori morali, di tecniche di lotta e di proposte politiche organizzate in una coerente, seppur aperta e sperimentale, teoria-prassi.

2.2. Definiamo tale teoria-prassi col termine di nonviolenza, ed usiamo tale grafia per distinguerla dalla mera assenza di violenza (la quale assenza di violenza e' peraltro concettualmente una nozione assai ambigua e sfuggente, e praticamente una condotta semplicemente impossibile) ed indicarne invece la natura positiva e l'impegno attivo; col quale termine di nonviolenza traduciamo due distinti termini gandhiani: ahimsa (che potremmo tradurre liberamente come ripudio della violenza, opposizione alla violenza; che designa la nonviolenza dal punto di vista concettuale, come valore morale e come oggetto logico-ontologico); e satyagraha (che potremmo tradurre liberamente come forza della verita' o anche adesione alla verita'; che designa la nonviolenza dal punto di vista operativo e metodologico, come campo di condotte empiriche, di tecniche pratiche, di orientamenti strategici; ma anche come inveramento effettuale di una scelta morale che per esser tale non puo' restare inoperante nel mero ambito teoretico ma richiede di essere realizzata ed autenticata in un impegno personale immediato, politicamente ed esistenzialmente qualificato).

2.3. La nonviolenza cosi' definita si fonda su un ragionamento, una scelta e una condotta improntati a responsabilita', verita', amore, apertura all'umanita'.

2.4. La nonviolenza cosi' definita si caratterizza per alcuni precisi principi: rifiuto di uccidere e di provocare lesioni fisiche; rifiuto della menzogna; rifiuto di commettere ingiustizia, di subire ingiustizia, di collaborare con l'ingiustizia; coerenza tra mezzi e fini; esemplarita' della condotta e coscienza del costante riflesso educativo dei nostri atti; compiere solo quelle azioni su cui si possa fondare la civile convivenza.

2.5. La nonviolenza cosi' definita si realizza nel conflitto (e non nella quiete); nella comunicazione (e non nella solitudine); nella trasformazione (ne' nella conservazione, ne' nella distruzione); i tre termini indicati: conflitto, comunicazione, trasformazione, costituiscono per la nonviolenza una necessaria unita'.

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3. Scelte morali e coesione psicologica

Poiche' la nonviolenza e' eminentemente opposizione all'ingiustizia, chi la sceglie sa di impegnarsi in una lotta consapevole e quindi intransigente, meditata e quindi assai impegnativa sotto molti profili.

Occorre dunque che chi abbraccia l'impegno nonviolento sia cosciente che cio' implica che dovra' sostenere il peso psicologico di una scelta di lotta che puo' esporre a molti rischi, a condizioni di solitudine e di incomprensione; che impone la rinuncia a vari privilegi, e implica la possibilita' di trovarsi in condizioni di difficolta'.

Occorre quindi avere la capacita' di una adeguata elaborazione dei sentimenti a queste situazioni esistenziali e sociali connessi; la capacita' di una adeguata gestione dell'ansia; la capacita' di efficacemente esercitare il controllo e l'incanalamento costruttivo dell'aggressivita'; un atteggiamento non represso e non repressivo.

E' ragionevole che prima ancora di impegnarsi nella lotta nonviolenta si sia riflettuto su tutto cio' e si sia realisticamente valutata la propria disponibilita' e capacita' a tutto cio'.

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4. La nonviolenza in quanto comunicazione

La nonviolenza e' eminentemente comunicazione; questo implica:

a) il riconoscimento dell'altro, il puntare sulla sua umanita';

b) interpretare la lotta come disvelamento, cooperazione, atto di amore al bene e all'umanita';

c) antiautoritarismo ed antidogmatismo, ovvero atteggiamento critico ed autocritico, contestazione radicale del "principio d'autorita'" (anche verso se stessi).

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5. La scelta nonviolenta nel vivo del conflitto

La nonviolenza si realizza esclusivamente nel conflitto, essa valorizza il conflitto e dove occorre lo suscita. La nonviolenza non e' passivita', fuga, quieto vivere; essa e' azione, impegno, responsabilita' di fronte alle sfide e agli appelli che la realta' pone. L'amico della nonviolenza porta nel conflitto convincimenti profondi, obiettivi ponderati, capacita' operative concrete. Questo implica:

a) vivere positivamente la scelta del conflitto;

b) la consapevolezza che l'azione nonviolenta e' sempre anche educazione (ed autoeducazione),

c) la capacita' di ridefinire i problemi;

d) la capacita' di far evolvere le situazioni e i conflitti;

e) la capacita' di ascolto e cooperazione anche con l'avversario rispetto a fini sovraordinati che entrambe le parti condividono o apprezzano;

f) la capacita' di contestualizzazione di principi, analisi, scelte.

Con particolar riferimento a se stessi, tutto questo implica inoltre:

g) rifiuto della subalternita' e del vittimismo;

h) essere consapevoli della propria forza che e' inerente alla propria integrita' (ovvero alla propria onesta' intellettuale e morale);

i) capacita' di mantenere costantemente l'iniziativa.

Con particolar riferimento alla controparte tutto quanto precede implica altresi':

l) non minacciarne l'annientamento in quanto essere umano;

m) offrirgli sempre una soluzione onorevole del conflitto.

Con particolar riferimento al rapporto tra antagonisti nel conflitto:

n) percepirlo e presentarlo anche come occasione di incontro;

o) costantemente mirare ad umanizzare la relazione attraverso un forte impegno comunicativo e propositivo;

p) percepire e presentare il rapporto non in termini di esclusione e di annullamento dell'altro, ma di compresenza e di impegno comunque comune, evidenziando che un conflitto e' sempre anche un atto cooperativo, e che le sue dinamiche sono congiuntamente costruite dalle parti;

q) puntare con la propria azione alla piu' ampia corresponsabilizzazione possibile;

r) saper sempre distinguere l'oggetto contro cui si combatte dalla persona o le persone con cui si combatte, e prefiggersi costantemente un rapporto costruttivo con la parte avversa, riconoscendone le ragioni, offrendo proposte di onesto e valido compromesso, non schiacciandola mai in situazioni insostenibili e senza alternative;

s) mirare costantemente a ridurre la violenza, a ricercare terreni di intesa, a costruire rapporti di fiducia.

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6. Valori e comportamenti nonviolenti

a) La noncollaborazione con l'ingiustizia: che della proposta nonviolenta e' la chiave di volta, infatti l'idea centrale della nonviolenza come forma di lotta contro l'ingiustizia e' che il potere ingiusto per realizzare il suo dominio ha bisogno della complicita' o almeno della passivita' delle sue vittime; il primo passo della presa di coscienza e della lotta nonviolenta e' appunto la rottura della complicita', la cessazione della passivita' dinanzi all'ingiustizia.

b) La nonuccisione e il rifiuto di provocare lesioni fisiche agli avversari: tale scelta ha spesso anche l'effetto di ridurre la violenza dell'avversario, e comunque costituisce gia' essa sola una rilevante umanizzazione del conflitto e riduce consistentemente la violenza complessiva indicando concretamente altresi' una diversa e piu' civile gestione del conflitto.

c) La nonmenzogna: essa e' ugualmente fondamentale, ed implica altresi' il rifiuto del segreto, della sorpresa, del sotterfugio; e' eminentemente democratica, rinforza la nostra autorevolezza morale, favorisce la costruzione della fiducia (e incidentalmente ci mette al riparo dai provocatori).

d) La coerenza tra mezzi e fini: ribaltando la massima secondo cui il fine giustifica i mezzi, la nonviolenza afferma che i mezzi violenti corrompono anche i fini migliori; e' di grande efficacia la similitudine gandhiana per cui tra mezzi e fini intercorre lo stesso rapporto che tra il seme e la pianta.

e) Il principio responsabilita': ognuno deve sentirsi responsabile di tutto; ognuno deve avere a cuore le sorti di tutti; ognuno deve sentire la solidarieta' con l'umanita' intera; ognuno deve agire in modo che la sua condotta e la logica che la ispira possa essere ripetuta e riutilizzata in ogni circostanza analoga ed essere sempre moralmente valida (e possa quindi, per cosi' dire, essere istitutiva di una legislazione universale, echeggiando la formula kantiana).

f) Ogni azione e' anche educazione: quindi ogni azione deve essere motivata, comprensibile, coerente con il fine del riconoscimento e della promozione della dignita' umana.

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7. Dialettiche della nonviolenza

La nonviolenza come tanta parte della cultura contemporanea richiede la capacita' di fronteggiare situazioni caratterizzate da indeterminazione, contraddizione, complessita'; richiede quindi un atteggiamento critico e creativo.

In particolare a noi sembra che l'adesione alla nonviolenza implichi altresi' la capacita' di sostenere psicologicamente una scelta che ha caratteristiche esistenziali fondamentalmente connotate da duplicita' e dinamismo, e richiede pertanto un notevole "spirito di finezza", ovvero una duttilita' ed un'attenzione, un atteggiamento di apertura e di interpretazione, che e' del tutto incompatibile con atteggiamenti rozzi ed autoritari, prepotenti o servili, predicatori e dogmatici. La nonviolenza e' rivoluzione aperta, e richiede una personalita' ironica e paziente, serena e tenace, combattiva ed antiautoritaria. Indichiamo qui di seguito alcuni profili psicologici implicati dalla scelta dell'impegno nonviolento:

a) rinnovamento, ma anche ritrovamento;

b) rottura, ma anche fedelta';

c) apertura, ma anche approfondimento;

d) ricerca, ma anche saldezza;

e) responsabilita' come impegno personale nella dimensione collettiva;

f) dialettica tra coscienza (come autonomia morale e responsabilita' personale) e legge (come regole sociali);

g) essere ad un tempo dei persuasi (e' la bella formula di Aldo Capitini) ed insieme dei perplessi (e' la non meno bella formula di Norberto Bobbio).

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8. Un problema persistente: la violenza

Ovviamente la nonviolenza si contrappone alla violenza, ribadirlo e' fin tautologico.

Ma questo non risolve tutti i problemi, poiche' la violenza e' comunque una realta', ed il lottare contro di essa implica evidentemente un certo grado di esercizio della forza, che intende certo essere anche persuasiva, ma che nondimeno e' altresi' coercitiva. Inoltre non e' banale porre il problema che se il fine della nonviolenza e' quello di contrastare la violenza, ovvero di ridurla per quanto possibile, cio' implica necessariamente non una sorta di astensione assoluta dall'azione, ma agire nel modo piu' radicalmente contrario alla violenza, ovvero nel modo piu' efficace e coerente possibile.

Qui si aprono numerosi problemi degni di discussione, su cui ha spesso particolarmente insistito nelle sue fini e rigorose analisi Giuliano Pontara, ma che nessuno dei grandi protagonisti delle lotte nonviolente ha mai eluso, da Gandhi a Lanza del Vasto, da Aldo Capitini a Martin Luther King, da Danilo Dolci a Lorenzo Milani, a molti altri. Le impostazioni sono state molto varie, e le risposte anche. A titolo d'esempio e per un primo accostamento rinviamo a Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino; e ad AA. VV., Violenza o nonviolenza, Linea d'ombra, Milano.

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9. Un'ipotesi etico-politica

9.1. Il nostro approccio alla nonviolenza non e' di tipo essenzialista, o metafisico; non implica un fondamento religioso o ontologico. Il nostro, quello che qui proponiamo, e' un approccio meramente razionale. Naturalmente altri studiosi e soprattutto molti attivisti della nonviolenza, hanno approcci diversi, in cui il riferimento religioso o metafisico e' assolutamente determinante. Il nostro approccio e' piu' modesto e limitato; tuttavia proprio per questo esso presenta forse il vantaggio di essere piu' agevolmente discutibile - ed eventualmente accoglibile - in quanto non presuppone l'accettazione di questioni di principio talmente cruciali, peculiari e impegnative per cui diviene impossibile addivenire ad un accordo se si muove da diverse posizioni filosofiche, religiose, politiche, esistenziali. Abbiamo la presunzione di ritenere che l'approccio da noi proposto consente di discutere la nonviolenza a partire da posizioni anche molto diverse e - cio' che piu' conta - mantenendole (ovviamente, con la nonviolenza arricchendole ed eventualmente approfondendole qualora essa venisse accolta ed integrata nel proprio sistema di idee generali); abbiamo la speranza che l'approccio da noi proposto sia compatibile con diverse posizioni religiose (ateismo compreso), con diverse posizioni politiche (nell'ampio campo che va dal liberalismo al comunismo, dalle varie proposte democratiche, personaliste, socialiste, fino all'anarchia), con diverse posizioni filosofiche e morali (gli studi di Giuliano Pontara, in particolare, hanno apportato decisivi contributi in questo ambito).

9.2. Detto questo, vorremmo tuttavia aggiungere due specificazioni ulteriori che in qualche misura contribuiscono a fondare il nostro approccio, che proponiamo come ipotesi di lavoro ma alle quali almeno noi siamo molto legati, e che sono le seguenti:

a) un'etica della felicita' sobria;

b) un fondamento gnoseologico fallibilista.

9.2.1. La prima, un'etica della felicita' sobria: e' resa particolarmente necessaria dalla consapevolezza ecologica; dall'esigenza di una giusta ripartizione delle risorse e dalla cognizione della loro scarsita' ed esauribilita'; dall'impegno al riconoscimento ed alla promozione dei diritti umani per tutti gli esseri umani. La scelta della nonviolenza non e' una scelta masochista, ma di liberazione; la sua prospettiva e' la felicita' umana per quanto essa sia realizzabile nel quadro di una condizione biologica caduca e peritura. La felicita' possibile e generalizzabile e' una felicita' sobria, e quindi saggia, rispettosa degli altri e della biosfera, conviviale, accogliente, sollecita, sensibile.

9.2.2. Il secondo, un fondamento gnoseologico fallibilista: che e' indispensabile cuore della democrazia: la coscienza della nostra fallibilita' e' l'assioma su cui fondiamo il nostro atteggiamento razionale e ragionevole tanto in ambito teoretico quanto in ambito pratico, nella logica, nella morale, nella politica; senza questa consapevolezza non si da' democrazia, non si danno piene liberta', non si danno uguaglianza e diversita'. La pretesa di infallibilita' e' sempre antiscientifica, immorale, antidemocratica, totalitaria; coercitiva e coatta sul piano della psicologia come su quello del diritto, sul piano sociale come su quello esistenziale; essa lede radicalmente lo sviluppo della cultura e la civile convivenza, e denega la dignita' personale. Poiche' nelle aree culturali di prevalente riferimento per le persone maggiormente impegnate per la pace e la liberazione frequentissimamente dominano visioni del mondo chiuse, rigide, con pretese onniresponsive, ci permettiamo di insistere energicamente su questo punto: il nesso tra liberta' e fallibilita', la necessita' di un approccio fallibilista (non ci dilunghiamo oltre rinviando piuttosto al brillante agile libro di Dario Antiseri, Liberi perche' fallibili che segnaliamo in bibliografia).

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10. Per l'approfondimento, una bibliografia essenziale

10.1. Per un percorso minimo

- Giuliano Pontara, La personalita' nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996 (particolarmente il capitolo secondo);

- Dario Antiseri, Liberi perche' fallibili, Rubbettino, Soveria Mannelli 1995;

- Alberto L'Abate (a cura di), Addestramento alla nonviolenza, Satyagraha, Torino 1985.

10.2. Per un approfondimento piu' rigoroso

- Gene Sharp, Politica dell'azione nonviolenta, tre volumi, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1985-1997;

- Immanuel Kant, Critica della ragion pratica, disponibile in varie edizioni;

- Paul Watzlawick, Janet Helmick Beavin, Don D. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio-Ubaldini, Roma 1971;

- Theodor W. Adorno, Minima moralia, Einaudi, Torino;

- Giovanni Jervis, Manuale critico di psichiatria, Feltrinelli, Milano, piu' volte ristampato;

- Guenther Anders, Tesi sull'eta' atomica, Centro di ricerca per la pace, Viterbo 1991;

- Hans Jonas, Il principio responsabilita', Einaudi, Torino 1993;

- Franco Fortini, Una voce: comunismo, Centro di ricerca per la pace, Viterbo 1990;

- Primo Levi, I sommersi e i salvati, Einaudi, Torino, piu' volte ristampato.

 

4. SEGNALAZIONI LIBRARIE

 

Riletture

- Mateo Aleman, Guzman de Alfarache, Catedra, Madrid 1987, 2 voll. per complessive pp. 516 + 576.

- Anonimo, Lazarillo de Tormes, Sociedad General Espanola de Libreria, Madrid 1983, pp. 172.

 

5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

 

6. PER SAPERNE DI PIU'

 

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it

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