Coi piedi per terra. 759



 

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COI PIEDI PER TERRA

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"

Numero 759 del 30 aprile 2013

 

In questo numero:

1. Alcuni testi del mese di novembre 2000 (parte quarta)

2. Il vocabolario di Scarpantibus: barbarie, cattivo, ipocrisia, totalitario

3. Il vocabolario di Scarpantibus: destino, maiuscole

4. Maestri: Martin Buber

5. Il vocabolario di Scarpantibus: entusiasmo

6. Il vocabolario di Scarpantibus: idiota, realismo, utopia

7. L'antigiubileo degli assassini

8. Breve nota su alcune biografie di Gandhi disponibili in italiano

9. Il vocabolario di Scarpantibus: marxista

10. Abbecedario della nonviolenza: ahimsa e satyagraha

11. Dialoghetto tra il dottor Marx e l'avvocato Gandhi

12. Bibliografia minima su nonviolenza e marxismo

 

1. MATERIALI. ALCUNI TESTI DEL MESE DI NOVEMBRE 2000 (PARTE QUARTA)

 

Riproponiamo qui alcuni testi apparsi sul nostro foglio nel mese di novembre 2000.

 

2. IL VOCABOLARIO DI SCARPANTIBUS: BARBARIE, CATTIVO, IPOCRISIA, TOTALITARIO

 

Barbarie: originariamente e' una voce onomatopeica con cui quei razzisti dei greci arcaici e classici designavano gli altri popoli, cui negavano l'attributo fondamentale dell'umanita', il linguaggio, sostenendo che il loro parlare null'altro fosse che un incomprensibile balbettare "bar bar", che nella nostra epoca di ancor piu' dispiegata egemonia della cultura monosillabica ed ecolalica, e non meno razzista, tradurremmo "bla bla". E quindi cautela nell'uso di un concetto dalla matrice tanto equivoca.

Il concetto di barbarie e' sovente usato in coppia con il suo contrario: liberta' o barbarie; socialismo o barbarie. Ma cosa e' barbarie, e quando e' lecito e necessario usare (e non brandire, e non issare) questa cosi' evocativa ed impegnativa ed ambigua parola?

Qui si propone un criterio: ogniqualvolta si nega ad altri esseri umani la loro qualita' di esseri umani, ogniqualvolta si rifiuta di ascoltare le loro parole (e dunque: le loro ragioni), ogniqualvolta si impedisce la comunicazione, li' si commette un atto di barbarie.

Una piccola inferenza, dunque: anche nel conflitto piu' aspro, mai dimenticare che la parte avversa e' anch'essa di esseri umani, dotati del bene dell'intelletto, e con cui si puo', e quindi si deve, comunicare.

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Cattivo: noi vecchi barbogi sappiamo fin troppo bene che cattivo viene dal latino captivus, che significa prigioniero. Nella cultura cristiana, che ha di certe truci visioni, il captivus per antonomasia e' il "captivus diaboli", il prigioniero del demonio, ed e' questo cattivo che e' all'origine del "cattivo" della nostra lingua quotidiana. Il cattivo e' un prigioniero, un prigioniero del suo stesso male. Ricordiamocene, e cerchiamo di non fare i citrulli, conclude Scarpante.

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Ipocrisia: diceva dunque quel signorotto francese che essa e' l'omaggio che il vizio rende alla virtu', e nel disgusto se ne valorizzi dunque il gesto, poiche' essa puo' divenire - ignaro lo stesso ipocrita - una via al civile convivere, e forse anche al rivolgimento interiore verso il bene (cosi' in quel grazioso raccontino di Max Beerbohm, e in una nota nicciana se non ricordiamo male).

Ma quando essa è l'omaggio che la virtu' rende al vizio, ci sara' consentito di indignarci senza ammiccamento alcuno?

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Totalitario: cio' che pretende di essere tutto. Anche in Parlami d'amore Mariu' vi e' un tratto totalitario; ogni teoria che pretende di fondere il se' e l'altro in un unico magma indistinto e' totalitaria; ogni pratica che muove dal principio dell'eliminazione del diverso, del discreto, dell'irriducibile, e' totalitaria; ogni progetto inteso a ridurre tutto ad una medesima poltiglia e' totalitario. Il binomio apparentemente innocuo e banale "un popolo", composto di un semplice articolo e di uno sdrucciolo sostantivo, se appena e' pronunciato con qualche trasporto da sopra uno scalino gia' reca in se' in nuce i roghi di Auschwitz.

Ogni volta che nelle aule di giustizia o sui campi di battaglia o dalle tribune parlamentari si sente pronunciare la fatidica formula "in nome del popolo" ogni persona onesta trema.

A questo punto della sua tirata, sempre qualcuno obiettava ghignante a Scarpone: E che, preferisci che si dica in nome di Dio e di sua maesta'? E Scarpone irritato quasi abbaia: preferisco che gli uomini restino vivi, e vivano liberi ed eguali, ed eguali perche' diversi, e diversi perche' eguali. Poi se ne andava col suo passo sbilenco borbottando rauco, e se tu ti fossi avvicinato abbastanza da sentire che mai dicesse tra se' e se', avresti scoperto che si canticchiava rauco le vecchie strofe dell'Internazionale.

 

3. IL VOCABOLARIO DI SCARPANTIBUS: DESTINO, MAIUSCOLE

 

Destino: e' una di quelle parole che ogni volta che la sento proferire mi viene un attacco d'asma (e gli attacchi d'asma di Scarpantibus, lo sappiamo bene noi suoi compagni di tressette, hanno dell'omerico e del tellurico: subito ci sbirciamo l'un l'altro nel fondo degli occhi e telepaticamente ci diciamo: addio partita).

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Maiuscole: provo per le maiuscole la stessa insofferenza che, se non ricordo male, provava Croce per i punti esclamativi (che descriveva come un punto che si era messo il pennacchio). Reso onore ai nomi di persona che in quanto tali meritano l'iniziale maiuscola, ed accettato che la maiuscola si adotti anche per la prima lettera dei nomi di luoghi e dei titoli di libri, quanto al resto, ahime', ne diffido. Quando leggo Comitato Centrale, Stato, Patria, Chiesa, Nazione, Popolo, in filigrana colgo un residuo di idolatria, e puzza di fumo: del fumo delle vittime agli altari.

E qui casca a fagiuolo una citazione che ho sovente trovato attribuita al buon maestro Dürrenmatt: che quando lo stato si prepara a uccidere si fa chiamare patria.

 

4. MAESTRI: MARTIN BUBER

 

Per almeno tre ragioni Martin Buber e' uno dei nostri maestri piu' grandi.

Per essere il grande filosofo del principio dialogico, che pone alla base del nostro esserci la relazione io-tu.

Per essere il grande uomo di pace che sempre oppose la civilta' e la comprensione alla violenza e alla chiusura.

Per essere il grande amorevole ricercatore delle tradizioni e delle memorie dei pii, degli umili e dei dimenticati.

Martin Buber, filosofo, educatore, scrittore e straordinario uomo di pace, e' nato a Vienna nel 1878 e deceduto a Gerusalemme nel 1965.

Tra le sue opere segnaliamo Il principio dialogico, Comunita', Milano 1958 (contiene anche il saggio Ich und Du); Il problema dell'uomo, Patron, Bologna 1972; Sentieri iin utopia, Comunita', Milano 1967; Immagini del bene e del male, Comunita', Milano 1965; L'eclissi di Dio, Comunita', Milano 1965; Sette discorsi sull'ebraismo, Israel, Firenze 1923, Carucci, Assisi-Roma 1976; Israele. Un popolo e un paese, Garzanti, Milano 1964; Gog e Magog, Bompiani, Milano 1964; La leggenda del Baal-Schem, Israel, Firenze 1925; I racconti dei chassidim, Longanesi, Milano 1962, 1978, Garzanti, Milano 1979; La regalita' di Dio, Marietti, Casale Monferrato 1989; La fede dei profeti, Marietti, Casale Monferrato 1985; Mose', Marietti, Casale Monferrato 1983. Cfr. anche, con Franz Rosenzweig, Prigioniero di Dio, Studium, Roma 1989; e il dibattito con Gandhi, in M. K. Gandhi, M. Buber, J. L. Magnes, Devono gli Ebrei farsi massacrare?, in "MicroMega" n. 2 del 1991 (pp. 137-184).

Per un'introduzione cfr. Clara Levi Coen, Martin Buber, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole 1991.

 

5. IL VOCABOLARIO DI SCARPANTIBUS: ENTUSIASMO

 

Entusiasmo: designava all'origine l'invasamento da parte del dio. L'entusiasmo e' lo stato delle baccanti (di Agave che sbrana suo figlio Penteo, nell'estrema tragedia di Euripide), ed e' la condizione richiesta a tutte le milizie da tutti i capi carismatici, da tutte le gerarchie autoritarie, da tutte le leadership e le organizzazioni che al ragionamento e alla discussione sostituiscono i muti ambigui simboli e gli slogan urlati e percussivi, il delirio e l'obbedienza. L'entusiasmo e' la qualita' degli ubriaconi e degli assassini, del branco vigliacco e  feroce e irresponsabile, taglia corto Scarpante.

 

6. IL VOCABOLARIO DI SCARPANTIBUS: IDIOTA, REALISMO, UTOPIA

 

Idiota: visto che ci siamo diciamolo, nella Grecia antica (che è il pascolo in cui sono cresciute la gran parte delle nostre povere parole) designava la persona che attendeva solo agli affari propri e non a quelli della citta', cioe' si disinteressava del bene comune per attendere solo all'interesse di se medesimo, e idoleggiando l'io che albergava nel sacco del suo corpo, tutti gli altri calpestava e masticava volentieri.

I greci antichi, che con il cumulo dei loro voraginosi difetti e delitti avevano purtuttavia la testa fina (e la lingua lunga), e sapevano ragionar bene anche quando razzolavano malissimo, sapevano che tutti e' il plurale di tu (ci vollero all'incirca venticinque secoli perche' questa piccola fondamentale verita' fosse riscoperta, da Aldo Capitini): e quindi appo loro chi non si occupava di politica era considerato e detto idiota.

Passano i secoli e idiota mantiene un significato negativo ma passa a designare tutt'altro; fino ad arrivare a quest'ora presente, in cui chi pensa solo agli affaracci propri e se ne strainfischia del bene pubblico, proprio lui ha conquistato e detiene il potere economico e politico e mediale e mortifero, e domina il mondo; e chi ha a cuore il bene comune il piu' delle volte in gran parte del mondo, e se gli va ancora bene, frequenta la medesima universita' che Giancarlo Pajetta frequento' a Civitavecchia (dove come e' noto non c'e' una sede d'ateneo, ma la galera che ospito' gli antifascisti si').

I piu' assistono e ignorano, meschinetti, che e' innanzitutto grazie alla loro complicita' di vittime passive che i poteri assassini dominano il mondo.

E questo che diamine c'entra con quanto precede? Obietta uno. Anche se non c'entrasse niente, e' bene non dimenticarselo mai, replica Scarpa sbattendo due gran manate a pieno palmo sul tavolino (rovesciando anche stavolta il quartino, per la gioia della sora Amalia, l'ostessa, che pensa: si puo' essere piu' idioti di cosi'?).

*

Realismo: a tutti i signori che con tanto garbo ci chiedono di essere realisti, di adattarci a questo mondo d'inferno, di non pretendere l'impossibile, Scarpante smargiasso risponde che la monarchia e' un istituto per il quale prova un gran ribrezzo, forse perche' da giovine lesse quel Contr'uno di Etienne de La Boétie. E quando i tapini replicano sorpresi: "ma noi non dicevamo realista in quel senso", il vecchio Scarpa rincara ghignante: "ah, lorsignori amano ingannarsi".

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Utopia: e' il luogo che non c'e', e pare proprio che sarebbe bello viverci. Ma e' possibile vivere in un luogo che non c'e'?

E' il luogo in cui vive il nostro non-essere. Ma questo non-essere ci rivela a noi stessi nella carenza che ci e' costitutiva, e in quel bisogno, quell'attesa, quella tensione, che e' insieme presagio ed esigenza del rovesciamento del mondo rovesciato in cui viviamo, e riusciamo a viverci soltanto in virtu' di quel che qui ci manca.

Ovvero: la nostra negativita' ci dice la negativita' del mondo, e ci indica il compito di uscire da questo vacuum (altri disse, si sa, da questa preistoria); ci indica che la nostra verita' e' nella rivelazione dell'alienazione che qui ci vien fatta subire, ed occorre saperne trarre le conseguenze ordunque.

E il sogno di una cosa diviene e dunque e' la cosa di cui consistiamo, e l'utopia e' dunque, piu' che intravisto emblema, la concreta ragione del nostro diritto, lo smascheramento del dolore che uomini impongono ad altri uomini, e il bisogno, e la richiesta, e l'impegno, che a questa iniquita', alla presente inautenticita', uomini pongano fine.

E chi ci capisce e' bravo, conclude Scarpantibus con la solita giravolta da saltimbanco.

 

7. L'ANTIGIUBILEO DEGLI ASSASSINI

 

Il giubileo, dovrebbe essere noto, e' una grande idea ebraica, un dono che l'ebraismo ha fatto all'umanita' intera, una feconda eredita'.

Il mercimonio e il salamelecco tra potentati, cosi' come anche la spettacolarizzazione (consumistica e alienata, l'analisi debordiana non fallisce) di valori profondi, cosi' come l'ostentazione della forza, ebbene, col giubileo inteso nel senso autentico ed originario, francamente non si vede cosa c'entrino.

*

Gli eserciti servono a fare la guerra.

E la guerra, spiegava Gandhi, e' sempre omicidio di massa.

Anche quando non fanno la guerra gli eserciti ne sono parte: la minacciano, la preparano, la esaltano, la giustificano e la sorreggono poiche' ne sono sorretti e giustificati, e sono il volano della produzione bellica, la produzione della morte, e lo strumento e il garante di una politica, interna e internazionale, che sempre opprime i bisognosi e gli sfruttati, e conculca i diritti, e condanna i quattro quinti dell'umanita' all'inferno in vita.

*

Il giubileo: idea della remissione dei debiti, celebrazione del riposo, riconciliazione e riscoperta del limite; riaffermazione del patto, del diritto: del patto solidale, del diritto alla vita.

Gli eserciti: la divinizzazione della violenza, l'adorazione della morte.

*

Il giubileo: atto fraterno di umilta', riconoscimento dell'altro e della comune umanita', responsabilita'.

Lo spettacolo: le parate, l'ostentazione, il dispiegamento della potenza che e' violenza, che e' cristallizzazione ed esibizione spudorata della potenza-violenza.

*

E' lecito a questo povero ateo dire che trova osceno e profanatore veder benedire le armi assassine, il mestiere di uccidere?

E' consentito rammemorare che la pace si costruisce con la pace?

E' concesso ricordar quell'antico principio su cui soltanto puo' fondarsi la civilta', la convivenza, la dignita', quel principio che afferma: tu non uccidere?

Tu non uccidere, suona la voce dell'umanita'; tu opponiti nonviolentemente a tutte le strutture intese ad uccidere; tu chiedilo a tutti di negare complicita' ai signori della guerra, ai facitori di morte.

 

8. BREVE NOTA SU ALCUNE BIOGRAFIE DI GANDHI DISPONIBILI IN ITALIANO

 

I. Una fonte: l'autobiografia

Ovviamente una fonte fondamentale e' l'autobiografia: Mohandas K. Gandhi, La mia vita per la liberta', Newton Compton, Roma 1973, 1989 e piu' volte ristampata.

Lungo circa 450 pagine Gandhi si racconta; il libro e' stato scritto negli anni venti; la stupenda introduzione e' datata 1925, la prima pubblicazione e' del 1927-'29 (Gandhi come e' noto e' nato nel 1869 ed e' deceduto nel 1948).

Ricordiamo ancora una volta che il titolo originale e': The Story of My Experiments with Truth (titolo che sottolinea il carattere sperimentale dell'approccio gandhiano, facendo preliminare giustizia degli stereotipi frutto di una tradizione di traduzioni di scritti gandhiani ridotti "in pillole"). Ricordiamo anche che la prima traduzione italiana (ridotta, ma che tiene conto anche dell'altro e precedente scritto autobiografico gandhiano: Satyagraha in South Africa), col titolo Autobiografia, e con prefazione di Giovanni Gentile, apparve presso Treves, Milano 1931, una successiva edizione fu edita da Garzanti nello stesso anno.

II. Le tre migliori biografie disponibili ci sembrano essere le seguenti:

- Judith M. Brown, Gandhi. Prigioniero della speranza, Il Mulino, Bologna 1995: un testo del 1989 di grande impegno, che propone un tentativo di interpretazione oltre che di mera descrizione della vita, l'azione e il pensiero di Gandhi.

Il libro si articola in tre parti: "La formazione di un uomo pubblico"; "Mahatma e nazione (1920-1934)"; "Le crisi della vecchiaia". Sono quasi 600 pagine con ottimo apparato di note (purtroppo manca una bibliografia generale e l'indice dei nomi).

- Yogesh Chadha, Gandhi. Il rivoluzionario disarmato, Mondadori, Milano 1998, seconda edizione negli Oscar Mondadori, Milano 2000: il libro, di oltre 500 pagine con buona bibliografia e indice dei nomi, e' del 1997; l'autore ha un'ottima conoscenza del materiale, il lavoro e' davvero notevole.

- B. R. Nanda, Gandhi il Mahatma, Oscar Mondadori, Milano 1984: e' un libro pubblicato originariamente nel 1958, che segue la vita di Gandhi con criterio rigorosamente descrittivo e cronologico; e' diviso in quattro parti dedicate rispettivamente a "gli anni di formazione", "l'ascesa di Gandhi", "guerra e pace", "l'ultima fase". E' un testo ovviamente superato dalle biografie piu' recenti, ma con le sue oltre 500 pagine (con bibliografia -ovviamente datata-, ed indice dei nomi) resta un contributo fondamentale.

III. Meritano comunque di essere consultate, per vari motivi, anche le seguenti (che ovviamente non sono lavori di rigore scientifico bensi' testi di carattere pubblicistico):

- Louis Fischer, La vita di Gandhi, La Nuova Italia, Firenze 1971; il libro e' del 1954, l'autore, prestigioso giornalista esperto di politica internazionale (ed autore anche di una nota biografia di Lenin), fu vicino a Gandhi nel 1942 e nel 1946; sono 200 pagine prive di apparato.

- George Woodcock, Gandhi, Oscar Mondadori, Milano 1990; il libro, del 1972, e' opera del noto studioso del pensiero libertario, e costituisce un sintetico profilo biografico gandhiano (140 pp., senza note, con un breve bibliografia a cura dell'editore italiano).

IV. Ovviamente notizie biografiche su Gandhi si trovano anche in antologie di scritti gandhiani e in saggi di testimoni, discepoli e studiosi. Offriamo qualche minima segnalazione.

a) tra le testimonianze segnaliamo almeno:

- Lanza del Vasto, Pellegrinaggio alle sorgenti, Jaca Book, Milano 1978; l'autore e' uno delle figure piu' rilevanti della nonviolenza.

- William L. Shirer, Mahatma Gandhi, Frassinelli, Milano 1983; l'autore e' il grande giornalista e storico americano (autore della nota Storia del Terzo Reich edita da Einaudi), che conobbe ed intervisto' lungamente Gandhi; il volume, del 1979, e' di quasi 300 pagine ed ha le caratteristiche dell'affettuosa e commossa testimonianza personale, ed in effetti il titolo originale e': Gandhi, a memoir.

- Vinoba, Gandhi. La via del maestro, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1991. Il libro e' una raccolta di saggi; Vinoba Bhave e' stato il principale prosecutore dell'impegno gandhiano.

b) tra le moltissime monografie segnaliamo almeno le seguenti:

- un buon testo introduttivo e' quello di Gianni Sofri, Gandhi e l'India, Giunti, Firenze 1995.

- Ernesto Balducci, Gandhi, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole (FI) 1988; Ernesto Balducci come e' noto e' stato uno dei piu' grandi pensatori ed operatori di pace del Novecento.

- Giorgio Borsa, Gandhi, Bompiani 1983, 1991; e' fondamentalmente il libro che Giorgio Borsa pubblico' nel 1942, con una nuova appassionata introduzione; sono poco piu' di 200 pagine con note, bibliografia e indice dei noti. Di Borsa cfr. anche il breve profilo Gandhi, Compagnia Edizioni Internazionali, Milano 1966 (pubblicato nei "tascabili doppi" insieme alla monografia di Enrica Collotti Pischel su Mao Tse-tung);

- Enrica Collotti Pischel, Gandhi e la nonviolenza, Editori Riuniti, Roma 1989;

- Johan Galtung, Gandhi oggi, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1987; Galtung e' il piu' grande studioso e promotore di "peace-research" vivente.

- Icilio Vecchiotti, Che cosa ha veramente detto Gandhi, Ubaldini, Roma 1972; sempre di Vecchiotti si veda anche l'agile monografia M. K. Gandhi, Franco Angeli, Milano 1987. Icilio Vecchiotti e' uno dei pochi veri esperti di religioni e filosofie dell'India e dell'Estremo Oriente.

- Segnaliamo anche l'utilissimo volume di Pier Cesare Bori, Gianni Sofri, Gandhi e Tolstoj, Il Mulino, Bologna 1985 (un testo importantissimo); e la puntuale ricerca di Gianni Sofri, Gandhi in Italia, Il Mulino, Bologna 1988.

- Un lavoro di grande utilita' didattica, ma non solo, e' la monografia su Gandhi: pace, ambiente, autosviluppo dei popoli, fascicolo monografico di "Tecnologie appropriate", n. 31-32, Cesena 1992.

- Segnaliamo infine anche l'opuscolo di Giulio Girardi, Riscoprire Gandhi, Anterem, Roma 1999.

c) tra i molti volumi disponibili di scritti gandhiani:

- Naturalmente un punto di riferimento fondamentale e' Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino, 1973 e successive edizioni di cui l'ultima economica; il curatore e' Giuliano Pontara, il  piu' acuto studioso italiano dell'opera gandhiana.

- Tra i volumi in edizione ultraeconomica della benemerita casa editrice Newton Compton segnaliamo particolarmente le seguenti due raccolte di testi gandhiani: La voce della verita', Roma 1991; Il mio credo, il mio pensiero, Roma 1992.

- Inoltre anche: Mohandas K. Gandhi, La resistenza nonviolenta, Newton & Compton, Roma 2000.

- Mohandas K. Gandhi, Villaggio e autonomia, LEF, Firenze 1982;

- Mohandas K. Gandhi, Civilta' occidentale e rinascita dell'India, Edizioni del Movimento Nonviolento, Verona 1984;

- Mohandas K. Gandhi, La cura della natura, LEF, Firenze 1984.

d) tra i repertori:

- Gabriele Rossi (a cura di), "Mahatma" Gandhi. Materiali esistenti nelle biblioteche di Bologna, Comune di Bologna, Centro Amilcar Cabral, Bologna 1989.

e) tra i volumi di storia dell'India contemporanea:

- Francesco Cataluccio, La rivoluzione indiana, Dall'Oglio, Varese 1968;

- Michelguglielmo Torri, Dalla collaborazione alla rivoluzione nonviolenta, Einaudi, Torino 1975;

- si veda anche, con le opportune cautele, il libro di Dominique Lapierre, Larry Collins, Stanotte la liberta', Mondadori, Milano 1975, negli Oscar 1981.

f) tra i volumi su personalita' in contatto con Gandhi:

- Michael Brecher, Vita di Nehru, Il Saggiatore, Milano 1965;

- Shriman Narayan, Vinoba, Cittadella, Assisi 1974.

 

9. IL VOCABOLARIO DI SCARPANTIBUS: MARXISTA

Marxista: aggettivo riferito a Marx e precisamente alle sue teorie; e quindi anche pronome con cui si autodefiniscono coloro che ritengono o pretendono di aderire alle teorie di Marx, ed invece sovente aderiscono al loro preciso opposto: che e' il caso piu' frequente, anche perche' "marxista" e' aggettivo che designa anche quelle correnti di pensiero e di azione che alle teorie di Marx si sono richiamate (piu' spesso a torto che a ragione, ma ogni volta che si feticizza qualcosa o qualcuno e' questo che accade).

Cosicche' vi e' un marxismo che vorrebbe essere riferimento alle teorie di Marx, ed un marxismo che vorrebbe essere prosecuzione dell'opera di movimenti che essi dichiarano di aderire alle teorie di Marx, sovente interpretate liturgicamente o usate come pretesto tanto arbitrario quanto comodo (Marx e' deceduto nel 1883 e il vantaggio dei posteri e' che i defunti non possono smentirli) per giustificare le proprie azioni e finanche i propri crimini.

Il buon Marx, che era un caratteraccio ma amava la ricerca della verita' e voleva che gli uomini avessero una vita degna e non una morte atroce, aveva ben ragione a dichiarare di non essere "marxista".

Cosicche' due cose chiariamole.

La prima: coloro che dichiarandosi marxisti si prosternano alla violenza, fanno l'elogio dell'omicidio, pretendono l'irresponsabilita', divinizzano se stessi ed animalizzano i loro avversari (quella tremenda locuzione: "ti uccido come un cane"), non sono in alcun modo eredi di Marx; cosi' come i sedicenti "socialisti" in camicia bruna non erano socialisti. C'e' un nome preciso per gli adoratori della violenza e della morte, sia che si ammantino di citazioni bibliche, coraniche, marxiane (ed e' possibile anche trovarne di cristiane e di gandhiane: il giochetto delle citazioni estrapolate si puo' fare con ogni parlante, ed il momento dell'ira e del babbeo passa per tutti): e questo nome preciso e': fascista.

La seconda: coloro che dichiarandosi marxisti fanno l'elogio dei regimi fondati sulle galere, della negazione della liberta' e della spietata punizione della fallibilita' (la quale fallibilita' e la consapevolezza di essa e' invece di noi umani il pregio piu' grande e forse la piu' grande gioia), neppure essi sono in alcun modo eredi di Marx; cosi' come l'Unione Sovietica da Stalin a Gorbaciov non era la societa' cui Marx ed Engels aspiravano e per cui hanno lottato per l'intera vita, ma il suo cupo contrario. C'e' un nome preciso per gli adoratori del totalitarismo e dei penitenziari, sia che si ammantino di citazioni platoniche, positivistiche, marxiane (e naturalmente e' possibile trovarne anche di Tolstoj e di Gandhi: il giochetto dei totalitari e' ancora piu' facile, basta irrigidire in ricetta e dogma qualunque proposta o idea o esperienza anche la piu' ragionevole e pretendere di imporla a tutti con la forza): e questo nome preciso e': fascista.

Sono portato a pensare, conclude Scarpante sbadigliando, che un marxista intelligente ed onesto, come un cristiano intelligente e onesto, come un intelligente ed onesto liberale, come un anarchico intelligente e onesto, cosi' come qualunque persona di qualunque convincimento purche' basato sul sentimento della dignita' e dell'eguaglianza fondamentale di tutti gli esseri umani, dopo Auschwitz ed Hiroshima non possa non essere un amico della nonviolenza.

E detto questo, corpo di Bacco, quando arriva 'sto boccale de rosso frizzantino? Che' l'ugola se secca e tanto amara e' la vita.

 

10. ABBECEDARIO DELLA NONVIOLENZA: AHIMSA E SATYAGRAHA

 

1. La parola "nonviolenza" e' un'altra cosa rispetto alle due parole "non violenza". Con la parola "nonviolenza" (un dono onomaturgico di Aldo Capitini) si traducono due diverse parole usate da Gandhi che ambedue designano la nonviolenza evidenziandone caratteristiche diverse e compresenti: "ahimsa" e "satyagraha".

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Ahimsa

"Ahimsa" si compone del prefisso privativo "a", prefisso che nega quanto segue; e della parola "himsa", che significa all'incirca "violenza" (ma avvertiamo che ovviamente il suo campo semantico e' molto piu' ampio). Pertanto "ahimsa" significa: "negazione della violenza", "opposizione alla violenza"; e si potrebbe anche tradurre "non-violenza" (ovvero "no-alla-violenza"), ed essere interpretato come un concetto negativo, derivante dal mero rovesciamento del concetto che nega, cioe' come il puro e semplice contrario della violenza (puro e semplice si fa per dire: poiche' "contrario della violenza", chiunque lo intende, designa non la passivita' ma un'azione positiva, dal momento che la passivita' e' piuttosto consenso alla violenza altrui).

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Satyagraha

Ma a Gandhi il termine "ahimsa" per designare la sua proposta pareva insufficiente, cosi' ne aggiunse un altro per sottolineare il carattere positivo, attivo, autonomo, creativo, della proposta nonviolenta; e conio' il termine "satyagraha". Anche la parola "satyagraha" e' in realta' una parola composta, che fonde due termini sanscriti che vengono solitamente tradotti come "forza della verita'". Ma anche qui il campo semantico e' straordinariamente piu' ampio e mettera' conto essere piu' precisi: "sat" grosso modo significa "cio' che e'", ed anche "cio' che e' vero"; "agraha" significa "adesione", "saldezza". Cosicche' "satyagraha" significa "adesione a cio' che e' vero", "saldo contatto con l'essere" (il vero, l'essere, che possono anche essere interpretati, come e' proprio delle culture religiose, come il Vero Essere, il proprium della divinita').

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Conclusioncella

Cosicche' quando diciamo e scriviamo "nonviolenza" affermiamo qualcosa di diverso rispetto al semplice non essere violenti; e dunque scrivere "nonviolenza" e' un'altra cosa dallo scrivere "non violenza" (con o senza trattino); e chi usa la seconda espressione (come fanno ad esempio quasi tutti gli editori e i giornalisti) dimostra di non aver affatto chiaro cosa significhi la prima.

Essere semplicemente "non violenti" e' dovere di ogni persona civile; cercare di accostarsi alla nonviolenza, cercare di essere "amici della nonviolenza" e' invece una scelta impegnativa e una disposizione alla lotta: richiede quindi una adeguata riflessione, una concreta persuasione, un atteggiamento responsabile, sperimentale e di verifica costante.

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Piccola appendice non richiesta ma forse non inutile

Diciamo "amici della nonviolenza", e non "nonviolenti" tout court, perche' dichiararsi nonviolenti e' una presunzione che persone come Gandhi e Capitini non avevano: chi pretende di essere nonviolento, gia' per questa stessa pretesa dimostra di non esserlo.

 

11. DIALOGHETTO TRA IL DOTTOR MARX E L'AVVOCATO GANDHI

[Un luogo che sembra Londra, in una tipica giornata londinese, eccetera eccetera]

 

Marx: Carissimo avvocato Gandhi, anche lei a passeggio qui?

Gandhi: Carissimo dottor Marx, che piacere incontrarla, pensavo non uscisse mai da quella biblioteca.

M.: Sto andando a fare una piccola urgente commissione, esigenze familiari, sa. E poi una boccata d'aria ci vuole, ogni tanto.

G.: Molto ben detto; facciamo due passi insieme?

M.: Anche piu' di due.

G.: Non immagina che gioia incontrarla, e mi permetta di dirmi suo ammiratore e fin debitore per tante e tante feconde idee.

M.: Lei mi confonde con la sua gentilezza; e pensare che c'e' chi dice che io e lei saremmo irriducibilmente avversari.

G.: Cosa vuole, e' che prima ci riducono a caricature, a marionette; poi ci schiaffano nel cassone del teatrino, tirano su il siparietto e ci presentano come Arlecchino e Brighella, che squittendo ingiurie ci pigliamo a mazzate e ce ne diamo di santa ragione. Io poi, prendere qualcuno a bastonate, via...

M.: Se e' per questo neanche io mi diletto di simili esibizioni muscolari. Anzi, se un merito rivendico alla mia azione nel movimento rivoluzionario degli oppressi e' proprio di aver spiegato che la rivoluzione non si fa con le fucilazioni, i pugnali, le forche e le congiure nei sottoscala del palazzo, ma che al contrario essa e' un lungo e profondo processo storico di presa di coscienza della propria condizione da parte delle masse sfruttate, e che quindi il movimento operaio deve acquisire cultura, coscienza e capacita' di costruzione di alternative e di gestione della societa', e per far questo popo' di roba si trova a dover essere, e ad essere obiettivamente se tale programma accoglie, pensi un po', erede dell'economia classica inglese, della riflessione politica francese, e, mi consenta, del pensiero filosofico tedesco.

G.: Lei e' troppo buono con gli intellettuali; forse basterebbe che gli oppressi prendessero coscienza di essere oppressi e che l'oppressione si regge sulla loro sottomissione: il primo passo per liberarsi, lei lo ha spiegato tante volte, e' prendere coscienza dell'ingiustizia che si subisce e quindi, aggiungo, negare il consenso agli oppressori.

M.: Molto ben detto, ma diciamo anche che occorre studiare sul serio per cogliere le menzogne dell'ideologia, per riconoscere l'alienazione e contrastarla; che occorre sforzarsi di cercare ed affermare la verita', senza le presunzioni dei tanti sacerdoti che predicano il sempreuguale e la rassegnazione, o la tracotanza degli scalmanati che scambiano i propri deliri, o sofismi, o anche solo i propri desiderata, per la realta' effettuale (e magari pretendono imporli a forza di plotoni d'esecuzione).

G.: E cosi' e', e sta proprio a noi, rivoluzionari impegnati nella lotta di liberazione per un'umanita' di eguali, contrastare tanto i poteri oppressivi quanto chi a quei poteri oppressivi e' cosi' subalterno da riprodurne e riproporne la logica e la condotta senza neppure accorgersene.

M.: E cosi' sia, abbiamo certo un gran daffare. Ma adesso mi scusi, che qui devo voltare, sa, sto andando al Monte dei pegni a portare un po' dell'argenteria di famiglia...

G.: La vita e' dura per le persone di volonta' buona; a ben rivederci, caro dottore.

M.: A presto ritrovarci, caro avvocato.

 

12. BIBLIOGRAFIA MINIMA SU NONVIOLENZA E MARXISMO

 

Come e' noto i movimenti riformatori, rivoluzionari o comunque di trasformazione sociale e di intervento politico democratico, hanno trovato un ampio repertorio di materiali teorici, strategici, metodologici, esperienziali, nella tradizione dei movimenti di indipendenza nazionale e nella tradizione del movimento operaio.

In queste tradizioni il marxismo e la nonviolenza hanno apportato contributi notevoli, sebbene non sempre chiaramente percepiti e limpidamente agiti.

Un confronto tra le teorie e le tradizioni del marxismo e della nonviolenza e' stato infinite volte proposto, sia per sottolinearne le convergenze profonde, sia per marcarne le differenze sostanziali.

Molti autori, inoltre, hanno cercato di evidenziare due questioni connesse:

a) la non riducibilita' dell'esperienza storica del movimento operaio, dei movimenti di liberazione e della tradizione del movimento socialista al solo marxismo (per quanto ampio possa essere il ventaglio di posizioni che sotto l'etichetta marxismo vengono sovente assai forzatamente ridotte);

b) la caratterizzazione sperimentale ed assolutamente non sistematica della nonviolenza, il quale concetto di nonviolenza designa un campo di principi e di pratiche, di esperienze e di riflessioni, che presentano una varieta' straordinaria e una dialettica interna profonda e complessa, e non sono riducibili in formule dogmatiche ma anzi si qualificano innanzitutto per il loro porsi come esperimento di comunicazione, di ricerca comune, di compresenza di elementi contraddittori e dialettici (ad esempio l'affermazione del nesso conflitto-cooperazione, che della nonviolenza e' un elemento decisivo).

*

Due libri fondamentali:

- AA. VV. (a cura del Movimento Nonviolento), Marxismo e nonviolenza, Editrice Lanterna, Genova 1977. Il volume, di 256 pagine, raccoglie nella prima parte "i contributi principali al dibattito su marxismo e nonviolenza che intorno al 1974 si e' sviluppato quasi parallelamente sulle due riviste Alternatives non violentes, francese, e Azione Nonviolenta, italiana"; nella seconda parte "i principali contributi al convegno su marxismo e nonviolenza organizzato nel '75 dal Movimento Nonviolento in collaborazione con l'Istituto di Pedagogia della facolta' di Magistero di Firenze"; come introduzione al volume un saggio di Bobbio che  sulla rivista Il Ponte faceva il punto "dello stato del dibattito tra marxismo e nonviolenza all'indomani del convegno stesso". Alcuni interventi sono di grande valore; gli autori ospitati sono Norberto Bobbio, Alberto L'Abate, Roger Garaudy, Vincent Laure, Maurice Debrach, Giuliano Pontara, Michele Moramarco, Domenico Sereno Regis, Antonino Drago, Lorenzo Barbera, Pietro Pinna, Nicola Badaloni, Franz Amato, Leonardo Tomasetta, Ernesto Balducci, Umberto Vivarelli, Arnaldo Nesti.

- AA.VV. (a cura della Fondazione "Centro studi Aldo Capitini" e del Movimento Nonviolento), Nonviolenza e marxismo, Libreria Feltrinelli, [Milano] 1981. Il volume, di 216 pagine, "raccoglie gli interventi centrali al convegno Nonviolenza e marxismo nella transizione al socialismo, tenutosi a Perugia nell'ottobre 1978". Alcuni interventi sono di grande interesse; gli autori ospitati sono Giuliano Pontara, Antonino Drago, Alberto L'Abate, Lelio Basso, Adalberto Minucci, Luciano Capuccelli, Lucio Lombardo Radice, Norberto Bobbio, Giacomo Zanga, Giovanni Cacioppo, Italo Mancini, Gianni Baget-Bozzo, Giovanni Franzoni, Andrea Vasa, Matteo Soccio, Guido Calogero.

*

Un repertorio di materiali su violenza e nonviolenza:

AA. VV., Violenza e nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1991. La rivista "Linea d'ombra" animata da Goffredo Fofi ha pubblicato nel corso del tempo una serie di volumetti di grandissimo interesse, tra cui questo, che raccoglie " i testi fondamentali di un dibattito attualissimo". Nelle due pagine di introduzione cosi' si esordisce: "Il dibattito che si e' aperto nei due mesi della guerra del Golfo sui temi della pace e della guerra, della violenza e della nonviolenza, e' sembrato a molti di noi ampio e importante, ma talvolta pretestuoso, ideologico, superficiale. I movimenti pacifisti e nonviolenti ne sono usciti degnamente, tuttavia mostrando delle carenze nella riflessione teorica, carenze che si vorrebbe poter contribuire a colmare e superare per il rafforzamento delle posizioni, per la maggior chiarezza delle scelte. Che sono delicate e difficili, che richiedono convinzione e persuasione profonde".

L'antologia presenta "una selezione di testi la cui rilettura ci e' sembrata oggi significativa, ordinandoli cronologicamente". Il libro, di 240 pagine, propone scritti di Friedrich Engels, Lev Tolstoj, Mohandas Gandhi, Walter Benjamin, Simone Weil, Dietrich Bonhoeffer, Andrea Caffi, Aldo Capitini, Frantz Fanon, Primo Mazzolari, Hannah Arendt, Norberto Bobbio, Günther Anders.

*

Un pensatore imprescindibile:

E' ovviamente Aldo Capitini, che e' stato non solo uno dei promotori dell'antifascismo piu' rigoroso e conseguente, non solo l'apostolo della nonviolenza in Italia, ma anche un militante della sinistra e un pensatore rivoluzionario che ha dato contributi di chiarificazione essenziale sia alla cultura socialista (intendendo per essa quell'insieme di teorie e pratiche del movimento operaio, dei movimenti di liberazione degli oppressi, delle esperienze rivoluzionarie che comprende ad un tempo Marx e Bakunin, Mazzini e Gandhi, Rosa Luxemburg e Sankara), sia alla fondazione teorica della lotta politica e dell'agire sociale.

Per un primo accostamento alla poliedrica opera di Capitini, in attesa che prosegua e si completi la grande edizione in piu' volumi delle opere scelte, resta fondamentale la bella antologia Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977 (540 pagine di testi capitiniani ordinati tematicamente a cura di Giovanni Cacioppo, Luisa Schippa, Alberto Granese, Pietro Pinna, Angelo Savelli, con una ottima bibliografia capitiniana a cura di Aldo Stella ed una serie di testimonianze di Francesco Berti Arnoaldi, Giovanni Maria Bertin, Walter Binni, Norberto Bobbio, Danilo Dolci, Alberto L'Abate, Lucio Lombardo Radice, Elisa Spano Nivola, Bruna Talluri, Giacomo Zanga).

*

Un altro libro particolarmente utile:

E' quello di Giulio Girardi, Sandinismo, marxismo, cristianesimo: la confluenza, Borla, Roma 1986. Oltre 450 pagine di analisi approfondita e senza reticenze, una lettura a nostro parere imprescindibile.

 

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Numero 759 del 30 aprile 2013

 

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