Telegrammi. 1259



 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 1259 del 29 aprile 2013

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com

 

Sommario di questo numero:

1. Peppe Sini: Dopo l'attentato di Roma. Tre semplicette addolorate riflessioni

2. In memoria di Alfio Pannega nel terzo anniversario della scomparsa

3. Un incontro di studio su Antonio Gramsci a Viterbo

4. Alcuni testi del mese di gennaio 2001 (parte seconda e conclusiva)

5. Franco Basaglia, una teoria-prassi di liberazione integrale

6. Una meditazione

7. Il Novecento e la guerra al cinema

8. Opponiamoci all'ampliamento del poligono militare di Monteromano

9. Primo Levi (1998)

10. Il controcanto del Criticone

11. Primo, ricordare (1987)

12. La "Carta" del Movimento Nonviolento

13. Per saperne di piu'

 

1. EDITORIALE. PEPPE SINI: DOPO L'ATTENTATO DI ROMA. TRE SEMPLICETTE ADDOLORATE RIFLESSIONI

 

In primo luogo vogliamo dire la nostra piena solidarieta' alle vittime dell'attentato di Roma.

Ed anche: alle vittime della guerra afgana cui l'Italia partecipa da oltre dieci anni; alle vittime dell'ecatombe e della schiavitu' che i migranti subiscono per le politiche razziste dell'Unione Europea e dell'Italia; alle vittime dei poteri criminali che il regime della corruzione favoreggia; alle vittime del femminicidio che ogni giorno versa fiumi di sangue; alle vittime del totalitarismo comunque si travesta; alle vittime dal sistema del profitto e dello sfruttamento ridotte alla fame, alla disperazione, alla morte.

Tutti gli esseri umani sono un'unica famiglia in un'unica casa comune: il primo dovere e' l'universale solidarieta'.

*

In secondo luogo: poiche' e' con le armi che perlopiu' si uccidono le persone, e' con il disarmo che si salvano le vite.

Cessi la produzione e il commercio di tutte le armi, dalla rivoltella al cacciabombardiere. E si proceda a distruggere le armi gia' in circolazione.

Meno armi vi saranno, piu' persone resteranno vive e incolumi.

*

Terzo: poiche' la violenza e' nemica dell'umanita' e del mondo vivente tutto, alla violenza occorre sempre opporsi; nell'opposizione alla violenza consiste la civilta' umana.

E contro la violenza vi e' una sola scelta intellettuale, morale e politica adeguata, concreta, efficace: la nonviolenza.

Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'. Prima che sia troppo tardi, e' ora che essa governi.

 

2. MAESTRI E COMPAGNI. IN MEMORIA DI ALFIO PANNEGA NEL TERZO ANNIVERSARIO DELLA SCOMPARSA

 

Ricorre il 30 aprile il terzo anniversario della scomparsa di Alfio Pannega, antifascista, militante del movimento operaio, amico della nonviolenza, poeta ed anima delle piu' vive esperienze di lotta e di solidarieta' viterbesi.

Il "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" di Viterbo lo ricorda con inestinguibile gratitudine come uno straordinario maestro di vita e compagno di lotte.

*

Una breve notizia su Alfio Pannega

Alfio Pannega nacque a Viterbo il 21 settembre 1925, figlio della Caterina (ma il vero nome era Giovanna), epica figura di popolana di cui ancor oggi in citta' si narrano i  motti e le vicende trasfigurate ormai in leggende omeriche, deceduta a ottantaquattro anni nel 1974. E dopo gli anni di studi in collegio, con la madre visse fino alla sua scomparsa, per molti anni abitando in una grotta nella Valle di Faul, un tratto di campagna entro la cinta muraria cittadina. A scuola da bambino aveva incontrato Dante e l'Ariosto, ma fu lavorando "in mezzo ai butteri della Tolfa" che si appassiono' vieppiu' di poesia e fiori' come poeta a braccio, arguto e solenne declamatore di impeccabili e sorprendenti ottave di endecasillabi. Una vita travagliata fu la sua, di duro lavoro fin dalla primissima giovinezza. La raccontava lui stesso nell'intervista che costituisce la prima parte del libro che raccoglie le sue poesie che i suoi amici e compagni sono riusciti a pubblicare pochi mesi prima dell'improvvisa scomparsa (Alfio Pannega, Allora ero giovane pure io, Davide Ghaleb Editore, Vetralla 2010): tra innumerevoli altri umili e indispensabili lavori manuali in campagna e in citta', per decine di anni ha anche raccolto gli imballi e gli scarti delle attivita' artigiane e commerciali, recuperando il recuperabile e riciclandolo: consapevole maestro di ecologia pratica, quando la parola ecologia ancora non si usava. Nel 1993 la nascita del centro sociale occupato autogestito nell'ex gazometro abbandonato: ne diventa immediatamente protagonista, e lo sara' fino alla fine della vita. Sapeva di essere un monumento vivente della Viterbo popolare, della Viterbo migliore, e il popolo di Viterbo lo amava visceralmente. E' deceduto il 30 aprile 2010, non risvegliandosi dal sonno dei giusti.

Alcuni testi commemorativi sono stati piu' volte pubblicati sul notiziario telematico quotidiano "La nonviolenza e' in cammino", ad esempio negli "Archivi della nonviolenza in cammino" nn. 56, 57, 58, 60; cfr. anche il fascicolo monografico dei "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 265 ed ancora i "Telegrammi della nonviolenza in cammino" nn. 907-909 e 1172, e i fascicoli di "Coi piedi per terra" n. 546 e i nn. 548-552 (tutti disponibili dalla pagina web http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ ).

 

3. INCONTRI. UN INCONTRO DI STUDIO SU ANTONIO GRAMSCI A VITERBO

 

Il 27 aprile 1937 moriva Antonio Gramsci.

In ricordo del grande pensatore, rivoluzionario e martire antifascista si e' svolto domenica 28 aprile 2013 a Viterbo presso il "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" un incontro di studio sul tema: "L'eredita' di Gramsci nella nonviolenza in cammino".

Nel corso dell'incontro sono stati letti e commentati vari testi gramsciani, sia dagli scritti giornalistici e politici degli anni precedenti la detenzione, sia dalle lettere e dai Quaderni del carcere.

Gramsci - ha detto concludendo l'incontro di studio il responsabile della struttura nonviolenta viterbese - e' un pensatore imprescindibile per la nostra lotta: nell'elaborazione gramsciana, cosi' come nella testimonianza umana gramsciana, la nonviolenza in cammino trova una delle sue decisive matrici: da Gramsci ricavando alcuni cruciali concetti ermeneutici ed operativi, un modello di metodo ad un tempo critico e creativo, una scelta di verita' nitida e intransigente, una lucida concreta coscienza che fonda la Resistenza piu' salda alla menzogna e alla violenza, e che rivendica la dignita' umana e l'umana solidarieta' di fronte all'iniquo e all'insensato, all'inerte e all'inumano.

Nella scelta nonviolenta, nella lotta nonviolenta, nella rivoluzione nonviolenta continua la lezione e l'impegno di Gramsci per la liberazione dell'umanita'.

*

Una minima notizia

Antonio Gramsci nacque ad Ales, in provincia di Cagliari, nel 1891. Muore a Roma il 27 aprile 1937. La sua figura e la sua riflessione, dal buio del carcere fascista, ancora illumina la via per chi lotta per la dignita' umana, per un'umanita' di liberi ed eguali. Opere di Antonio Gramsci: l'edizione critica completa delle Opere di Antonio Gramsci e' ancora in corso di pubblicazione presso Einaudi. E' indispensabile la lettura delle Lettere dal carcere e dei Quaderni del carcere. Opere su Antonio Gramsci: nell'immensa bibliografia gramsciana per un avvio si vedano almeno le monografie di Festa, Fiori, Lajolo, Lepre, Paladini Musitelli, Santucci, Spriano. Un utile strumento di lavoro e' l'edizione ipertestuale dei Quaderni del carcere in cd-rom a cura di Dario Ragazzini, Einaudi, Torino 2007, ed anche in supplemento a "L'unita', Nuova iniziativa editoriale, Roma 2007. Alcuni siti utili: www.fondazionegramsci.org e www.gramscitalia.it

 

4. MATERIALI. ALCUNI TESTI DEL MESE DI GENNAIO 2001 (PARTE SECONDA E CONCLUSIVA)

 

Riproponiamo qui alcuni testi apparsi sul nostro foglio nel mese di gennaio 2001.

 

5. FRANCO BASAGLIA, UNA TEORIA-PRASSI DI LIBERAZIONE INTEGRALE

[Questa nota e' apparsa nel n. 3/2000, p. 238, dei "Quaderni della Fondazione Ernesto Che Guevara", a corredo della ripubblicazione in quella sede, alle pp. 236-237, di un articolo del 1967 di Franco Basaglia e Franca Ongaro Basaglia su "Il corpo morto di Guevara". Nello stesso volume dei "Quaderni" compare anche, alle pp. 37-43, il testo di Peppe Sini, "tre tesi per una riflessione necessaria", gia' anticipato in questo notiziario. Cogliamo l'occasione per segnalare i "Quaderni della Fondazione Ernesto Che Guevara", una pubblicazione con cadenza annuale che presenta materiali di documentazione e dibattito di grande interesse: il numero 3 e' di 400 pagine per 30.000 lire...]

 

L'opera politica, teorica, terapeutica ed antistituzionale di Franco Basaglia costituisce forse il contributo maggiore della cultura italiana al pensiero ed alle pratiche di liberazione nel Novecento.

Lo scriviamo sapendo quanto ai piu' potra' sembrare sorprendente questo convincimento; ma Basaglia non e' stato solo un grande psichiatra che lotto' per abolire la pratica di segregare ed eliminare gli oppressi ed i sofferenti, non solo un grande intellettuale che esercito' una critica serrata delle istituzioni e delle ideologie, ma anche un pensatore imprescindibile per una fondazione materialistica dell'antropologia; per un'analisi critica della societa' a partire dalle specole piu' formidabili: appunto, la condizione fatta all'essere umano denegato nella sua medesima umanita'; per uno smascheramento del ruolo degli intellettuali come tecnici pratici addetti all'oppressione; per una pratica critica ed alternativa condivisa e liberante.

In Basaglia si compie quel fondamentale programma marxiano dell'analisi concreta dell'alienazione, e si svolge in una pratica terapeutica e politica in senso forte che e' pratica di demistificazione e di liberazione, che e' critica delle istituzioni e lotta antistituzionale per restituire solidarieta' ed umanita' agli oppressi ed ai sofferenti, che e' strumento ermeneutico e dispiegarsi operativo di restituzione e riconquista di dignita', atto politico di lotta contro gli ordinamenti dello sfruttamento e della repressione smascherati nella loro dimensione pervasivamente totalitaria e disumanante.

Franca Ongaro Basaglia, che ne e' stata la compagna e la principale collaboratrice, ha proseguito e sviluppato l'opera basagliana anche dopo la scomparsa di Franco, apportando ulteriori fondamentali contributi teorici, svolgendo ed arricchendo altresì il portato grande dell'esperienza delle lotte e del pensiero delle donne.

Aggiungiamo una menoma informazione bibliografica che valga come invito ad una lettura diretta delle opere di questi due valorosi maestri di verita' e compagni di lotte.

Franco Basaglia, nato a Venezia nel 1924 e deceduto nel 1980, e' la figura di maggiore spicco della psichiatria italiana contemporanea: vi e' una pregevole edizione in due volumi degli Scritti, Einaudi, Torino 1981-82. Tra i principali volumi da lui curati (e scritti spesso in collaborazione con la moglie Franca Ongaro Basaglia, e con altri collaboratori) sono fondamentali Che cos'e' la psichiatria, L'istituzione negata (sull'esperienza di Gorizia), Morire di classe, Crimini di pace, La maggioranza deviante, tutti editi da Einaudi. Insieme a Paolo Tranchina ha curato Autobiografia di un movimento, editori vari, Firenze 1979 (sull'esperienza del movimento di psichiatria democratica). Una raccolta di sue Conferenze brasiliane e' stata pubblicata dal Centro di documentazione di Pistoia nel 1984, una nuova edizione ampliata e' stata edita da Raffaello Cortina Editore, Milano 2000 (il volume e' di grande interesse perche' in queste conversazioni Basaglia evidenzia fortemente il nesso tra la sua pratica terapeutica antistituzionale e le lotte antimperialiste - sviluppando anche le intuizioni fanoniane -). Su Basaglia cfr. il bel fascicolo monografico Franco Basaglia: una teoria e una pratica per la trasformazione, "Sapere" n. 851 dell'ottobre-dicembre 1982. Si veda inoltre l'eccellente collana dei "Fogli di informazione" editi dal Centro di documentazione di Pistoia.

Franca Ongaro Basaglia insieme al marito Franco Basaglia e' stata, ed e' tuttora, tra i protagonisti del movimento di psichiatria democratica. E' stata anche parlamentare della sinistra indipendente ed e' tra le voci critiche piu' lucide: tra i suoi libri segnaliamo particolarmente: Salute/malattia, Einaudi; Una voce: riflessioni sulla donna, Il Saggiatore; in collaborazione con Franco Basaglia ha scritto e curato La maggioranza deviante, Crimini di pace, Morire di classe, tutti presso Einaudi; ha collaborato anche a L'istituzione negata e Che cos'e' la psichiatria ed a molti altri volumi collettivi. Ha curato l'edizione degli Scritti di Franco Basaglia.

 

6. UNA MEDITAZIONE

[Pubblichiamo questo testo del nostro collaboratore, gia' diffuso il 25 settembre dello scorso anno nella rete telematica, col titolo "Una meditazione del giorno dopo la marcia Perugia-Assisi per la nonviolenza"]

 

Udii una voce che mi comandava:

che nessun uomo resti solo.

 

Lunga e fredda e' la notte, nessuno

sia abbandonato al freddo e all'orco.

 

Lungo e' il cammino e poche le provviste:

nessuno osi rubare la borraccia.

 

Chi abbandonera' il ferito verra' abbandonato,

chi irridera' lo zoppo sara' umiliato,

chi osera' colpire uno dei piccoli

sciagura a lui, mai sara' perdonato.

 

L'ombra, la fonte, i frutti del mondo

sono di tutti. Sappia l'ingordo

che cio' che lui di troppo

ha preso, a qualcun altro manchera'.

 

Udii una voce che mi domandava:

tu cosa hai fatto dinanzi al dolore?

 

7. IL NOVECENTO E LA GUERRA AL CINEMA

[Il testo seguente e' stato scritto come annesso alla nota bibliografica di un articolo su "Il Novecento visto dalla pace", ma per l'eccessiva lunghezza dell'articolo l'autore lo ha cassato dalla stesura definitiva di quel testo; gli pare comunque opportuno proporlo alla lettura. Vi si indica in breve qualche riferimento per una riflessione sul "Novecento visto dalla pace" attraverso il cinema; la scansione proposta e' ovviamente legata allo svolgimento del discorso nell'articolo che questa nota avrebbe dovuto accompagnare, e che qui e' omesso (ma il lettore ne ricostruira' agevolmente l'ossatura basandosi sulla successione delle sezioni in cui questi appunti si snodano)]

 

Perche' il cinema e non la musica, la pittura, il teatro, le scienze? Non so. Qui si propone il cinema. Ed ancora: dovessimo ridurre tutto ad un solo autore, sarebbe Truffaut (piu' di Bresson, piu' di Ozu, piu' di Bergman e di Wenders). Ed inoltre: se dovessimo indicare un solo film, che in qualche modo e per quanto possibile tutto racchiuda e lumeggi, esso sarebbe Monsieur Verdoux di Charlie Chaplin. Ma ancora una volta si presume che chi legge queste righe trovi tempo e voglia per accostarsi a piu' opere, a piu' autori, a piu' riflessioni; e dunque si propone un percorso in otto punti.

1. Non credo che l'orrore dei lager possa essere rappresentato cinematograficamente. L'unico film che conosco che mi pare riesca ad accostarsi a quell'irrappresentabilita', appunto dichiarandola, e' Nuit et bruillard di Alain Resnais; sia Kapo' di Gillo Pontecorvo che Schindler's List di Steven Spielberg sono certo film notevoli ma ancor piu' inadeguati (altri film, anche assai noti e fin celebrati, mi sembrano - e chiedo scusa per la franchezza - inaccettabili).

2. Sull'orrore della bomba atomica, ci sono due film che trovo straordinariamente penetranti: Hiroshima mon amour di Alain Resnais e Il dottor Stranamore di Stanley Kubrick. Forse non e' un capolavoro, ma trovo assai commovente altresi' Rapsodia d'agosto di Akira Kurosawa.

3. Sulla guerra e sul militarismo come crimine e follia tra i film a mio parere migliori ci sono Orizzonti di gloria e Full metal jacket di Stanley Kubrick, e specificamente sul militarismo l'allucinato Woyzeck di Werner Herzog.

4. Sull'analisi del potere come legato alla sopravvivenza, e come delirio di sopravvivenza, e quindi sul bisogno del potente di uccidere per confermarsi nel godimento del potere (l'analisi potente di Elias Canetti) un film formidabile e' Aguirre, furore di Dio, di Werner Herzog; si veda anche Apocalypse now di Francis Ford Coppola.

5. Sull'uccidere da parte dell'individuo e da parte dello stato c'e' il Breve film sull'uccidere di Krzysztof Kieslowski, poi divenuto il quinto episodio del suo meraviglioso Decalogo.

6. Kafka, che riteniamo essere stato l'interprete piu' profondo (e nitido e disvelatore, ed enigmatico a un tempo) del XX secolo, ha dato luogo al cinema a due capolavori: Il processo di Orson Welles, e Rapporti di classe di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet.

7. Sulla parabola e la catastrofe jugoslava, ovviamente, il geniale film di Emir Kusturica, Underground.

8. Due autori classici infine: di Fritz Lang Il dottor Mabuse, ed M, il mostro di Duesseldorf; di Roberto Rossellini Roma citta' aperta, Germania anno zero, e, sconvolgenti, il primo e l'ultimo episodio di Paisa'.

9. Mancano ancora almeno certi fondamentali film di Altman, Anghelopulos, Chahine, Dreyer, Ichikawa, Kassovitz, Loach, Losey, Meszaros, Mizoguchi, Pontecorvo, Renoir, Schloendorff, Sembene, Szabo, Wajda, Zhang Yimou, Zinnemann; ma questa nota non puo' divenire un'enciclopedia.

10. Almeno un libro da leggere: Siegfried Kracauer, Cinema tedesco. Dal "Gabinetto del dottor Caligari" a Hitler, Mondadori, Milano. Ed almeno un autore di letteratura sul cinema (scrivere "critico cinematografico" ci pare poco) indimenticabile: Andre' Bazin. Per chi volesse inoltrarsi ancor piu' nella riflessione sul cinema offrono le basi per una ricerca in profondita' le opere teoriche di Guido Aristarco, Rudolf Arnheim, Sergej Ejzenstejn, Chistian Metz.

 

8. OPPONIAMOCI ALL'AMPLIAMENTO DEL POLIGONO MILITARE DI MONTEROMANO

 

Una intervista al sindaco di Monteromano (VT), Domenico Manglaviti, apparsa oggi nella cronaca di Viterbo del quotidiano "Il messaggero", riferisce che sarebbero iniziate pratiche di esproprio per l'ampliamento del poligono di Monteromano, una delle piu' estese e rilevanti servitu' militari in Italia.

Il poligono di Monteromano nel corso degli anni e' stato piu' volte oggetto di doverosa contestazione: a seguito di gravi incidenti avvenuti a causa di esercitazioni militari; a seguito della morte di piu' persone, sia in occasione di esercitazioni sia in altre drammatiche ed oscure circostanze; a seguito della scellerata mostra-mercato di armi che in passato si svolse al suo interno.

Il viterbese peraltro e' un'area gravata da pesanti servitu' militari, in cui ripetutamente sono avvenuti incidenti gravissimi e fin mortali.

Esprimiamo la nostra netta opposizione a qualsivoglia incremento delle servitu' militari nel viterbese, e rinnoviamo la richiesta di un impegno delle popolazioni e degli enti locali del viterbese per la riduzione delle servitu' militari presenti.

Confermiamo la necessita', anche alla luce dei terribili eventi del 1999, ed anche in considerazione delle rivelazioni di queste settimane, di un energico impegno della societa' civile come delle istituzioni fedeli alla Costituzione della Repubblica Italiana, per il disarmo e la smilitarizzazione, per costruire la pace con la pace, per difendere la democrazia con la democrazia.

Occorre opporsi alla guerra, che e' sempre omicidio di massa, ed occorre quindi altresi' opporsi ai suoi apparati e ai suoi strumenti.

Occorre proibire l'uso, il commercio e la produzione di armi, strumenti il cui scopo e' uccidere.

Occorre abolire l'esercito, struttura che ha come fine l'esecuzione della guerra e quindi anche in tempo di pace prepara la guerra con l'addestramento ad uccidere.

Occorre affermare un profondamente diverso concetto e sistema di difesa che sia fondato sulla Difesa Popolare Nonviolenta (DPN): la quale Difesa Popolare Nonviolenta dal 1998 e' stata recepita nella legislazione italiana, ma e' restata ancora del tutto inattuata.

 

9. PRIMO LEVI (1998)

[Il testo seguente e' quello della relazione di Peppe Sini al convegno su "Primo Levi, testimone della dignita' umana" tenutosi a Bolsena il 15-16 maggio 1998. Esso peraltro e' stato gia' diffuso lo scorso anno nella rete telematica all'interno di una piu' ampia raccolta di materiali del Centro di ricerca per la pace di Viterbo dedicati a Primo Levi; ci permettiamo di riprodurlo nuovamente qui, approssimandosi la ricorrenza del giorno della memoria della Shoah, come un ringraziamento ancora a quel grande, esemplare maestro di umanita' che Primo Levi e' stato e restera' per sempre]

 

"Ma la guerra e' finita, obiettai: e la pensavo finita,

come molti in quei mesi di tregua,

in un senso molto piu' universale di quanto si osi pensare oggi.

Guerra e' sempre, rispose memorabilmente Mordo Nahum".

(La tregua)

 

Undici anni sono trascorsi dalla scomparsa di Primo Levi.

Quando ci raggiunse la notizia della sua scomparsa, noi eravamo impegnati in una campagna di solidarieta' con Nelson Mandela, allora detenuto nelle prigioni del regime razzista sudafricano, campagna alla quale Primo Levi aveva dato la sua adesione, la piu' autorevole fra tutte; ed in particolare eravamo impegnati nella preparazione di una manifestazione nazionale contro l'apartheid che poi si svolse il primo maggio a Viterbo con la partecipazione di illustri relatori, manifestazione alla quale avevamo chiesto a Primo Levi di intervenire.

Pochi giorni prima della sua scomparsa Primo Levi ci aveva comunicato telefonicamente che i suoi doveri familiari ed una non buona condizione di salute gli impedivano di spostarsi da Torino.

E' uno dei miei turbamenti, forse sciocchi, forse presuntuosi, da quando mi raggiunse la notizia della sua scomparsa, il rammarico di non avergli saputo dire in quell'ultima occasione quanto lui fosse importante per me e per noi, e quanta affezione - e lasciatemi dire la parola buffa: quanto amore, amore, si' - anch'io, che non lo avevo mai visto di persona, sentissi per lui, come tanti, come tutti quelli che nel corso del tempo lo avevano conosciuto uomo giusto, uomo buono.

Quel primo maggio aprimmo la manifestazione nazionale contro l'apartheid nel suo nome e nel suo ricordo, a farci scudo di lui ancora una volta, ad usare del suo nome e della sua opera ancora una volta come di una bandiera, di un grido di battaglia, di un giuramento di fedelta'.

E quasi ad adempiere un voto realizzammo il 25 luglio di quello stesso anno 1987 a Viterbo un convegno nazionale, il primo, intitolato a Primo Levi, testimone della dignita' umana, convegno di cui, undici anni dopo, quello odierno che qui ci riunisce riprende il nome, il discorso, l'impegno.

A quel convegno presero parte tante persone a noi molto care, che vollero attestare il loro affetto per Primo Levi, lo sbigottito strazio per la sua morte, la fedelta' a quanto aveva insegnato.

Proprio in questi giorni riandando le stinte carte di undici anni fa constatavo tra quei nomi la presenza di alcune delle persone migliori che abbiamo avuto la fortuna di conoscere, e tra essi tanti che non sono piu' in vita.

Vorrei qui ricordare il professor Vittorio Emanuele Giuntella, che quel giorno a Viterbo ricordo' in Primo Levi non solo il testimone, lo studioso, il poeta, ma anche l'amico e il compagno. Il professor Vittorio Emanuele Giuntella, mio maestro di nonviolenza, scomparso anche lui qualche anno fa.

E vorrei ricordare padre Ernesto Balducci, che quel giorno a Viterbo lesse e interpreto' con tensione indicibile, con voce e movimento di profeta, una poesia di Primo Levi e quel gesto suo estremo, facendo rompere in singhiozzi e calde lacrime i presenti, come dicono accadesse agli ateniesi assistendo alla rappresentazione dei Persiani. Ed anche padre Balducci ci ha frattanto lasciato.

E' ancora tra noi invece Lello Perugia, compagno di Primo Levi ad Auschwitz e nel lungo ritorno, uno degli eroi omerici e primigeni de La tregua, che anche lui fu a Viterbo quel giorno, e che salutiamo augurandogli ogni bene ed una ancor lunga vita.

E per ricordare in un solo nome tutti gli altri che nel 1987 a quel convegno di omaggio a Primo Levi vollero associare la loro voce, diro' adesso di Rosanna Benzi, che di Primo Levi era stata teneramente amica, che dal polmone d'acciaio dell'ospedale di Genova in cui viveva volle dettarmi anche un suo contributo che tra le lacrime trascrissi. Anche Rosanna e' nel frattempo scomparsa. Anche di lei noi serbiamo memoria.

E dovrei dire di Giovanni Michelucci, dovrei dire di Alexander Langer, di Tullio Vinay, di Natalia Ginzburg, di Giuliano Naria, di Elio Filippo Accrocca, di tanti altri che vollero unirsi a quell'omaggio a Primo Levi, e che non sono piu' tra noi.

Oggi nuovamente tornando a ricordare Primo Levi, e con Primo Levi tutte le vittime del Lager e tutti coloro che lottarono e testimoniarono contro il fascismo e il genocidio, in questo ricordo vogliamo associare anche tutti coloro che Primo Levi amarono, che nel loro concreto agire vollero essere fedeli a quanto lui scrisse e opero', alla sua lotta per l'umana dignita'.

E non voglio dimenticare un affettuoso saluto e un vivo ringraziamento a Lucia Levi, che a nome della famiglia autorizzo' quel convegno del 1987 cosi' come questo che adesso si sta svolgendo.

E voglio dire altresi' la mia gratitudine per Giulio Vittorangeli che con tanta e tanto alacre tenacia ha voluto ed ha organizzato l'iniziativa che oggi ci riunisce qui a Bolsena.

*

Su due argomenti vorrei ora richiamare la vostra attenzione.

Il primo consiste nel proporvi di leggere l'opera di Primo Levi anche come un classico del pensiero politico, di un pensiero politico all'altezza degli sconvolgimenti abissali e dei radicali interrogativi di questo secolo, in grado di indicarci criteri ed obiettivi per i nostri compiti nell'ora presente.

Il secondo consiste nel considerare ancora una volta alcune scaturigini ed implicazioni del raccontare, del pensiero poetante (oltre che indagatore, oltre che testimone) di Primo Levi, nelle sue molteplici dimensioni e valenze.

*

Un classico del pensiero politico

Proponendo di leggere l'opera di Primo Levi non solo come un classico, cosa ormai ovvia per tutti gli studiosi, ma anche specificamente come un classico del pensiero politico, non mi nascondo di prestare il fianco al rischio di essere frainteso: quasi volessi piegarla, quell'opera grande, ad un uso improprio, o impoverirla a una sola delle sue dimensioni. Massime oggi che l'ideologia dominante percuote le menti con lo slogan ossessivo secondo cui la politica e' una cosa sporca e che tra persone dabbene non si fa politica (slogan che mi pare arieggi un punto di vista che era in gran voga nel ventennio, quando ogni pensiero era riprovevole, e la filosofia si faceva col manganello).

Io credo che l'opera di Primo Levi sia di straordinaria ricchezza, si presti a molte letture, apporti molteplici strumenti di conoscenza, e costituisca uno sguardo nel cuore degli uomini e del mondo di grande vivezza e penetrazione; e proprio per questo mi sono formato il convincimento della possibilita', della legittimita' di una lettura anche precisamente politica: che l'uso dell'opera di Primo Levi come chiave di lettura e guida per l'azione specificamente politica sia appunto un uso possibile e ammesso, e non un abuso; e che evidenziare questo ambito e questa interpretazione non solo non significhi sminuire, rendere "unidimensionale" quell'opera, ma precisamente evidenziare di essa un aspetto di grande fecondita'.

In particolare penso che cosi' come Se questo e' un uomo e' "un libro che reincontreremo al Giudizio Universale" (come ha scritto Claudio Magris) e costituisca una lettura obbligata per la conoscenza della storia di questo secolo, altresì I sommersi e i salvati sia un'opera indispensabile per la formazione politica in senso forte (quindi morale e civile) di ogni persona che voglia lottare per la verita' e la giustizia.

In una ideale biblioteca minima del pensiero politico da salvare dal diluvio, credo che questi due libri di Primo Levi debbano esserci insieme a poco altro: La ginestra di Leopardi, l'Elogio della follia di Erasmo, Lucrezio, Qohelet, l'Antigone. Ma certo anche Cervantes, La vita e' sogno, Kafka...

E' l'opera di Levi un classico del pensiero politico, poiche' pone in termini da nessun altro indagati con tanta limpidezza e profondita', temi fondanti dell'essere e dell'agire, di etica e politica, come la verita', la memoria, la comunicazione, la responsabilita': con un nitore di linguaggio che quasi abbaglia, con una lucidita' di pensiero che toglie il fiato, con un rigore morale che non si placa giammai.

E' un'opera politica: ci pone di fronte al volto dell'altro, che ci interroga muto e chiama la nostra responsabilita' (qui penso, lo capite, alla capitale riflessione di Emmanuel Levinas); e' un'opera politica: pone al centro il "principio responsabilita'" (che cosi' efficacemente ha tematizzato Hans Jonas). E' quella di Primo Levi un'opera di riflessione politica di cui abbiamo assoluto bisogno per affrontare le questioni cruciali ed inaudite della torbida ora presente, dell'enigmatico e spaventoso futuro che ci si scaraventa addosso.

*

La scrittura contro la morte

Primo Levi e' un grande scrittore, un grande narratore, un grande poeta. Il suo raccontare, la sua scrittura, assolve a funzioni molteplici, molti doni reca. Non e' mio compito oggi dar conto compiutamente di questo inesauribile tema, altri dira' piu' e meglio; io mi limito a proporvi un catalogo di argomenti su cui meditare: il racconto come terapia, come paradossale riduzione al dicibile, quindi all'umano, di ciò che è inumano e quindi indicibile; il racconto come spazio dell'amicizia, come luogo dell'io e del tu, come reciproco riconoscersi nell'atto del dire e dell'ascoltare, riconoscersi eguali, fraterni; il racconto come sospensione ed insieme come reintegrazione del tempo (ergo il racconto come sconfitta di quel tempo vuoto e quell'ora apocalittica che fu il Lager); la scrittura come testimonianza, come comprensione, come memoria; la scrittura come compresenza dei vivi e dei morti (questo tema della compresenza lo desumiamo, e' ovvio, da Capitini); la scrittura come appello ed interrogazione, come affiorare del "volto dell'altro"; la lingua agita come legame e come ragionamento, come tradizione e progetto, come opera di chiarificazione e ricerca;  la scrittura contro la morte (tema questo su cui lungamente medito' anche Elias Canetti).

Nell'opera di Primo Levi infiniti sono i luoghi in cui si riflette con luminosa profondita' sul parlare, il comunicare, il raccontare, lo scrivere; infinite sarebbero le citazioni possibili: ma una fra tutte, una per tutte qui diamo: quel passo de La tregua che evoca la figurina di Hurbinek "che aveva tre anni e forse era nato in Auschwitz e non aveva mai visto un albero", "Hurbinek, il senza-nome, il cui minuscolo avambraccio era pure stato segnato col tatuaggio di Auschwitz; Hurbinek mori' ai primi giorni del marzo 1945, libero ma non redento. Nulla resta di lui: egli testimonia attraverso queste mie pagine".

*

Undici anni fa Primo Levi ci ha lasciato.

Quando seppi che era scomparso, affioro' in me il ricordo di un episodio di Se questo e' un uomo, quello dell'impiccagione dell'Ultimo.

Narra Levi che il mese prima uno dei crematori di Birkenau era stato fatto saltare, e "l'uomo che morra' oggi davanti a noi ha preso parte in qualche modo alla rivolta". I nazisti lo traggono al patibolo; dinanzi ai deportati schierati, gli occhi a terra, rassegnati, l'uomo viene ucciso, ma trova ancora la forza di un grido: "tutti udirono il grido del morente - scrive Primo Levi -, esso penetro' le grosse antiche barriere di inerzia e di remissione, percosse il centro vivo dell'uomo in ciascuno di noi: 'Kameraden, ich bin der Letzte!' (Compagni, io sono l'ultimo!)".

Ma quell'ultimo non era l'ultimo in senso assoluto, perche' per fortuna nostra e del mondo altri continuarono la lotta, e il nazismo annientatore fu infine annientato; e proprio tra gli uomini muti a capo chino sul piazzale dell'appello dinanzi al patibolo anche uno ve n'era, lo Haeftling che recava tatuato sul braccio il numero 174517, che si era chiamato e che tornera' a chiamarsi Primo Levi, che sara' poi e per sempre finche' vi sara' una civilta' umana, finche' vi sara' una storia umana, il simbolo stesso della Resistenza contro l'inumano.

Ebbene, sia detto qui in tono solenne: Primo Levi certo conobbe e reco' dentro se' una sofferenza che neppure l'affetto grande dei familiari e degli amici poteva lenire; la sua benignita', la sua lucidita', il suo calore umano, la sua esattezza, finanche il suo humour, erano eretti su abissi di strazio indicibili. Ma Primo Levi non e' stato annichilito, non e' stato sconfitto. E il suo messaggio non e' restato inascoltato.

Dal Sud Africa al Chiapas altri uomini si sono levati; e se l'eredita' del nazismo appesta oggi ancora e di nuovo il mondo, contro di essa si erge l'eredita' di Primo Levi che chiama a resistere e a lottare; di questa eredita' di Primo Levi anche questo convegno - se le cose piccole e' lecito comparare alle grandi - e' un frutto e una testimonianza.

Vorrei concludere ora con le parole con le quali lo ricordai undici anni fa, all'indomani della scomparsa.

Nei momenti di smarrimento, di sfinimento, quando sembra che il male ingigantisca e prevalga, e le nostre forze inani, o schiantate, allora tutti noi ci siamo rifugiati tra le braccia di Primo Levi; dalla sua esistenza abbiamo tratto la coscienza e la forza di resistere, di lottare. Dinanzi al dolore del mondo, dinanzi all'eredita' malefica del nazismo, alla logica sterminista, ebbene, nella necessaria resistenza in lui abbiamo avuto una guida ed un sostegno; perche' per l'intera vita Primo Levi ha combattuto contro il male, contro la sopraffazione e la menzogna: ne restano testimonianza sconvolgente ed indimenticabile le sue opere.

Ora che non e' piu', vorremmo, e speriamo, che abbia conosciuto, a lenire l'immedicabile dolore del giusto, i sentimenti descritti nelle parole conclusive di quel memorabile dialogo leopardiano: "e anche in quell'ultimo tempo gli amici e i compagni ci conforteranno: e ci rallegrera' il pensiero che, poi che saremo spenti, essi molte volte ci ricorderanno, e ci ameranno ancora".

 

10. IL CONTROCANTO DEL CRITICONE

 

Caro direttore,

se non mi ospitasse lei, dove potrei mai riversare la mia bile?

Il presidente della Repubblica, degna persona, ancora una volta esprime sdegno per la pena di morte, ed io plaudo e sottoscrivo, poffarbacco. Con una postilla piccina: che rispetto al signor presidente io sono contrario non solo alla pena di morte irrogata ad un individuo al termine di un processo, ma anche alla pena di morte comminata senza processo e a livello di massa, quella irrogata dallo stato italiano alle popolazioni civili balcaniche da ultimo due anni fa, quando il presidente (ed ancora me ne addoloro) era ministro, e forse non aveva ancora adeguatamente riflettuto sulla gravita' di togliere altrui la vita.

*

Leggo delle celebrazioni della Giornata della Memoria: e mi inchino reverente e commosso. Chiedo al governo se rientra in queste celebrazioni la riapertura dei campi di concentramento in Italia, che avvenuta due anni fa tuttora perdura, ed ha gia' tratto a morte alcuni infelici, e prolunga i fasti hitleriani.

Caro direttore,

se non mi ospitasse lei, dove mai potrei riversare la mia vergogna?

 

11. PRIMO, RICORDARE (1987)

[L'articolo che di seguito riproduciamo apparve originariamente su "A. Rivista anarchica" dell'agosto-settembre 1987. Rispetto al testo originale l'articolo fu abbreviato dalla redazione col consenso dell'autore, si riproduce qui la versione pubblicata, con due minime correzioni]

 

E' mia profonda convinzione che tanta parte dei nuovi movimenti di liberazione, e particolarmente alcune esperienze che si sono contraddistinte per consapevolezza e impegno (come il movimento di psichiatria democratica) debbano molto a Primo Levi, e che in un confronto serrato con la sua opera possano e debbano trovare motivo, occasione e strumenti di ulteriore approfondimento della propria riflessione, di ulteriore radicalizzazione della propria prassi.

Perche' Primo Levi e' il militante e il testimone, il resistente, il disvelatore, l'uomo con cui tutti ci siamo identificati e nel profondo, e con dolore, e con orgoglio; il Primo Levi della deportazione e del lager, della memoria e della riflessione sul lager e la violenza che non finiscono; il Primo Levi di Se questo e' un uomo, La tregua, di alcuni racconti del Sistema periodico e di Lilit, di alcune poesie del magro e acuto canzoniere; il Primo Levi, infine, de I sommersi e i salvati. E' l'autore indimenticabile di opere ineludibili: sa poco del nostro tempo e della nostra condizione chi non le ha lette.

Ma vi sono anche altri aspetti dell'opera di Primo Levi di cui vogliamo parlare: del maestro cordiale, del pensatore rigoroso e onesto, dell'uomo "a cui molte cose vengono raccontate"; le varie sfaccettature, insomma, che contribuiscono a rendercene la pienezza, la dignita', la statura umana.

*

Contro il dolore

La lotta contro il dolore, contro la violenza, e' uno dei punti focali dell'opera di Levi, e la sua visione del mondo ne e' la scaturigine al pari della sua vissuta esperienza.

Una visione del mondo laica, razionale e fraterna, materialistica; e' caratteristico di questa limpidezza di sguardo, un breve articolo, incluso ne L'altrui mestiere ed intitolato appunto Contro il dolore, in cui Levi svolge alcune semplici e serene considerazioni in fraterna discussione con Enrico Chiavacci (teologo prestigioso ed uomo di pace, impegnato nei movimenti pacifisti e nonviolenti, autore di un libro come Teologia morale e vita economica, Cittadella, Assisi, '86, che anch'io - materialista rigoroso - ho molto apprezzato) concludendo che "e' difficile compito di ogni uomo diminuire per quanto puo' la tremenda mole di questa 'sostanza' che inquina ogni vita, il dolore in tutte le sue forme; ed e' strano, ma bello, che a questo imperativo si giunga a partire da presupposti radicalmente diversi".

La laica tolleranza di Levi, e la maturita' del suo materialismo, emergono nitidi nell'intera sua opera, come emerge una visione del mondo che ripudia le illusioni e le mistificazioni, che lotta contro il male e fonda questa lotta su presupposti saldissimi perche' veritieri, non alienati, senza maschere e senza utopismi, ma anche senza disperazioni di maniera, con serena consapevolezza e con strazio profondo - tanto costa la dignita' umana -; sono memorabili quelle parole de La tregua (riprese anche nell'ultimo grande libro) sulla vergogna "che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esista, che sia stata introdotta irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono, e che la sua volonta' buona sia stata nulla o scarsa, e non abbia valso a difesa"; e ancora ne I sommersi e i salvati troviamo, ad esempio, che "e' compito dell'uomo giusto fare guerra ad ogni privilegio non meritato, ma non si deve dimenticare che questa e' una guerra senza fine".

Contro il dolore, contro l'inganno, contro l'oppressione, lungo una linea di resistenza che si snoda da Lucrezio (il grande poeta-filosofo, poeta-scienziato, "considerato pericoloso - scrive Levi - perche' cercava un'interpretazione puramente razionale della natura, perche' voleva liberare l'uomo dalla sofferenza e dalla paura, perche' si ribellava contro ogni superstizione, e descriveva con lucida poesia l'amore terrestre") all'illuminismo radicale, a Leopardi, a Marx; una linea di resistenza che propone agli uomini anche la ricerca di un parco edonismo, la sobrieta' di Epicuro: nell'"antologia personale" La ricerca delle radici (da cui abbiamo citato il giudizio su Lucrezio) Levi esemplifica questa posizione riportando con caldo consentimento un passo di Bertrand Russell.

E ancora, a definire questa visione del mondo, la weltanschauung materialista di Levi, concorrono appieno i quattro filoni di ricerca, i quattro itinerari che egli delinea con le sue letture nello schema che apre La ricerca delle radici: la salvazione del riso, l'uomo soffre ingiustamente, statura dell'uomo, la salvazione del capire.

La dialettica del raccontare e' un elemento saliente della consapevolezza di scrittore di Primo Levi.

Perche' raccontare e' in primo luogo testimonianza e comunicazione: comunicazione, che significa riconoscimento di umanita', dignita' dell'io e del tu, ascoltarti ed essere ascoltato, riconoscerti ed essere riconosciuto, e cosi' - in questo atto, in questa relazione - riconoscermi; e' un capitolo fortissimo de I sommersi e i salvati quello intitolato Comunicare, e appunto dedicato a questo nodo estremo dell'esperienza del lager ("abbiamo avuto modo di capire bene, allora, che del grande continente della liberta' la liberta' di comunicare e' una provincia importante"). Ma si veda anche quello stupendo racconto che e' Decodificazione, nel libro Lilit. Comunicazione, ma anche testimonianza; testimoniare cio' che non deve essere dimenticato, cio' che deve essere capito, cio' che deve essere riscattato dalla morte ulteriore dell'oblio, del misconoscimento, del disconoscimento; raccontare per dire la verita', per combattere la morte: per salvare, per quanto e' possibile, l'esistenza di Hurbinek "che aveva tre anni e forse era nato in Auschwitz e non aveva mai visto un albero", "Hurbinek, il senza-nome, il cui minuscolo avambraccio era pure stato segnato col tatuaggio di Auschwitz; Hurbinek mori' ai primi giorni del marzo 1945, libero ma non redento. Nulla resta di lui: egli testimonia attraverso queste mie pagine" (La tregua, capitolo secondo).

Vi e' quindi un raccontare come dovere in Levi, ma anche un raccontare come passione, e come impulso; e' quello che definisce muovendo dalla figura dell'Ancient Mariner di Coleridge (non casualmente in epigrafe a I sommersi e i salvati), e nella bellissima poesia dedottane, Il superstite (raccolta in Ad ora incerta, libro che gia' nel titolo riprende questo decisivo motivo) dal memorabile incipit: "Since then, at an uncertain hour, / Dopo di allora, ad ora incerta, / Quella pena ritorna, / E se non trova chi lo ascolti / Gi brucia in petto il cuore". Raccontare anche per liberarsi del carico intollerabile d'angoscia, per sforzarsi di comunicare l'incomunicabile, cio' che fa gorgo nell'intimo, sapendo che al fondo il segreto orrore - l'orrido segreto -, l'enigma indicibile, resta insormontabile, eppure bisogna dire, bisogna che gli uomini sappiano; ed e' non solo missione civile ma anche disperata passione cio' che compulsa l'ultimo libro di Levi, e la sua intera opera (ed en passant vogliamo segnalare quell'incunabolo de I sommersi e i salvati che e' l'appendice del '76 all'edizione scolastica di Se questo e' un uomo).

Ma vi e' anche il piacere del raccontare: la vena fantastica e fantascientifica (sui generis), morale e umorale, di Levi, sgorga anche qui, nel gusto della fabulazione, nel piacere del conversare per cui si chiede agli amici "raccontami una storia" (e Levi lo fa esplicitamente ad esempio nel racconto Argento del Sistema periodico, ad esempio ne L'anima e gli ingegneri nella raccolta di Lilit; ed esemplare e' l'intero libro di duplice affabulazione orale La chiave a stella); vi e' nel raccontare un'amista', un rasserenamento, un dar forma umana - dar lingua - alla vita che sovente umana non e', che forma e armonia non ha; sintomatico di questo atteggiamento, tenero, ironico, e' ad esempio il capoverso in quarta di copertina dell'ultimo libro di racconti (Lilit), in cui presentando in breve le storie raccolte nel volume si conclude: "non ci sono, che io sappia, ne' messaggi ne' profezie fondamentali; se il lettore ce li trova, e' bonta' sua": e quel "bonta' sua" non e' forse proprio anche il cordiale invito al lettore a cooperare alla storia? A proseguire la conversazione? Raccontare e ascoltare e' un atto di amicizia, e' amicizia in atto.

*

L'eredita' del lager

Noi siamo ad un tempo umani e non ancora umani, umani e gia' non piu' umani; cosi' ci lacera questo tempo di devastazioni. Di questa condizione degli uomini scissa, anfibia, Levi e' testimone e poeta grandissimo. Perche' in se' l'ha vissuta intensamente e per molteplici scomposizioni e crisi, infinite catene di contraddizioni e dialettiche; perche' tecnico e poeta, scienziato e scrittore, manipolatore di elementi chimici e di elementi linguistici, perche' testimone di una condizione di totale alterita' dall'umano, testimone del lager ("non uno degli eventi, ma l'evento mostruoso, forse irripetibile, della storia umana", parole di Bobbio che Levi cita nell'ultimo libro), perche' perseguitato.

Creatura ancipite in molti campi della sua attivita' e in molte situazioni della sua identita', e quindi testimone veritiero e profondo di situazioni scisse, nonché felice - se il termine e' lecito - creatore di figure poetiche lacerate (si pensi ad esempio ai due racconti speculari di Recuenco, in Vizio di forma), Levi ha elaborato anche efficaci, illuminanti metafore di questa condizione, riprendendo ad esempio la figura di Tiresia (ne La chiave a stella), o creando quel magnifico racconto che e' Quaestio de Centauris (in Storie naturali), o anche - a un livello gia' diverso, e ben addentro a una riflessione sulla letteratura che muove forse dal secondo Chisciotte - nel pur poco riuscito racconto La ragazza del libro (in Lilit).

Noi non siamo ancora nel regno della liberta', ed energie sempre piu' massicce ed alacri lavorano ad impedire che mai l'uomo possa realizzarsi, ne' si possa raggiungere la liberazione delle persone e dei popoli: l'eredita' del lager, Levi lo segnalava con forza incomparabile nell'ultimo e fondamentale libro, e' ancor oggi ben viva e operante. La testimonianza, la resistenza, la lotta sono l'eredita' che Primo Levi ci ha lasciato e che dobbiamo portare avanti. Non dobbiamo, non possiamo sottrarci a questo compito.

 

12. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

 

13. PER SAPERNE DI PIU'

 

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 1259 del 29 aprile 2013

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

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