Archivi. 152



 

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ARCHIVI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XIV)

Numero 152 del 29 marzo 2013

 

In questo numero:

1. Alcuni testi del mese di ottobre 2003 (parte prima)

2. "A reti unificate"

3. Sulla proposta di Lidia Menapace e sull'urgenza di tradurla in un'ampia campagna politica

4. No all'invio in Iraq del XXVI reparto elicotteri operazioni speciali

5. Un esposto sulle dichiarazioni del capo di stato maggiore dell'esercito

6. Un Vietnam per l'Italia?

7. Sulla proposta di Lidia Menapace

8. I mezzi e i fini

9. Sulla proposta di Lidia Menapace

 

1. MATERIALI. ALCUNI TESTI DEL MESE DI OTTOBRE 2003 (PARTE PRIMA)

 

Riproponiamo qui alcuni testi apparsi sul nostro foglio nel mese di ottobre 2003.

 

2. "A RETI UNIFICATE"

 

E chi sara' mai il povero pesciolino che nelle reti resta imprigionato, e gia' presagisce che finira' in padella? Ho un brutto presentimento.

 

3. SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE E SULL'URGENZA DI TRADURLA IN UN'AMPIA CAMPAGNA POLITICA

 

Mi permetterei di riassumere cosi' quello che ho colto della proposta di Lidia Menapace per un'"Europa neutrale e attiva, disarmata, smilitarizzata e nonviolenta" e della vivace polifonica riflessione in corso anche su questo foglio.

a) che prima che certi giochi siano fatti e certi spazi siano chiusi (stesura definitiva della cosiddetta "Costituzione europea", rinnovo del Parlamento europeo e relativa composizione sulla base dei programmi delle forze che vi concorrono, decisioni poi difficilmente reversibili su quale modello di difesa e quale politica di sicurezza europea) e' necessario che il cosiddetto "popolo della pace" si faccia sentire. Il momento e' ora, dopo sara' troppo tardi.

b) Ed e' necessario che si faccia sentire non solo come coscienza critica e voce che protesta, ma come soggetto politico e intellettuale collettivo che avanza una proposta, come dice un nostro noioso amico, "di nonviolenza giuriscostituente".

c) E questa proposta e' quella che nelle sue linee essenziali (sulle quali ovviamente la riflessione continua, la ricerca e' aperta, la formulazione e' in fieri) e' stata elaborata soprattutto dal e nel movimento delle donne, ed in particolare nella riflessione della Convenzione permanente di donne contro le guerre, e per merito precipuo di Lidia Menapace.

d) Possiamo discutere su quale sia la formula sintetica migliore (poiche' anche le formule contano, certo, in una societa' della comunicazione veloce e che ai ragionamenti tende a sostituire le immagini), ma francamente trovo poco affascinante disquisire sulle parole quando mi pare che il concetto sia chiarissimo, e il concetto mi pare che sia il seguente:

I. una Europa che ripudi la guerra come modalita' di gestione e risoluzione dei conflitti;

II. una Europa che faccia propria fino in fondo la tradizione della "neutralita' attiva" che si oppone alle guerre e alle violenze strutturali;

III. una Europa che incardini la propria politica comune di difesa e sicurezza, e di cooperazione internazionale e di costruzione della pace, sulla scelta della nonviolenza come progetto politico e giuridico oltre che come metodologia ermeneutica ed operativa;

IV. una Europa che scelga quindi la via del disarmo e della smilitarizzazione; quindi una Europa che avvii subito la difesa popolare nonviolenta ed i corpi civili di pace come proposte concrete immediatamente attuabili;

V. una Europa che, vincolandosi alla neutralita' attiva e operante, sia sostegno sicuro e forte di un'Onu rinnovata nel segno della fedelta' e dell'inveramento di quanto nitidamente stabilito nel preambolo della Carta delle Nazioni Unite e nella Dichiarazione universale dei diritti umani.

e) Poi certo ci sono anche altre mille cose da fare, ma una campagna sulla proposta qui sopra frettolosamente e lacunosamente riassunta mi sembra che sia l'urgenza delle urgenze qui e adesso per tutte le persone di volonta' buona che non vogliano limitarsi alla protesta o alla testimonianza, ma vogliano essere anche costruttrici di pace.

 

4. NO ALL'INVIO IN IRAQ DEL XXVI REPARTO ELICOTTERI OPERAZIONI SPECIALI

[Il seguente comunicato e' stato diffuso il 2 ottobre dal "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo]

 

Nella cronaca di Viterbo del quotidiano "Il messaggero" di giovedi' 2 ottobre 2003 compare la notizia che il capo di Stato Maggiore dell'Esercito, tenente generale Giulio Fraticelli, da poco insediatosi al vertice delle Forze Armate, in visita a Viterbo al Comando della Cavalleria dell'Aria ("la piu' giovane specialita' delle forze armate italiane"), "ha comunicato che uomini e mezzi del XXVI Reos (reparto elicotteri operazioni speciali) di Viterbo sono in procinto di partire verso l'Iraq dove saranno impegnati nell'operazione Antica Babilonia".

Chiediamo che questo non avvenga.

E rinnoviamo la richiesta che l'Italia ritiri le forze armate gia' dispiegate nel teatro di guerra iracheno.

La partecipazione italiana alla guerra effettualmente in corso in Iraq, e all'occupazione militare dell'Iraq da parte di potenze straniere, e' illegale e criminale; come e' illegale e criminale la guerra di aggressione promossa dal governo statunitense e dai suoi alleati; come sono illegali e criminali l'occupazione militare, le uccisioni, le devastazioni e il saccheggio in corso in Iraq.

La partecipazione italiana non solo confligge con il diritto internazionale ma viola anche la Costituzione della Repubblica Italiana, e si configura quindi come un atto fuorilegge e golpista.

*

Nessun militare da Viterbo deve andare in Iraq a rischiare di uccidere e farsi uccidere; quelle autorita' politiche e militari che pretendono di imporre questo sono criminali e come tali devono essere perseguite penalmente e condannate secondo quanto dispone la legislazione italiana.

Cessi la partecipazione italiana alla guerra e all'occupazione terrorista e stragista in corso in Iraq, si ripristini la vigenza della legalita' costituzionale, della democrazia e dello stato di diritto nel nostro paese: legalita', democrazia e diritto violati dalla partecipazione italiana a una guerra illegale e criminale.

Il "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo si appresta a predisporre una nuova denuncia penale nei confronti dei responsabili della decisione criminale e golpista della partecipazione italiana alla guerra e all'occupazione militare dell'Iraq, decisione scellerata che rende anche l'Italia bersaglio di azioni di guerra.

*

Nei decenni in cui l'Italia e gli Stati Uniti - come molti altri stati - favoreggiavano il regime assassino di Saddam Hussein, Il "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo ha organizzato e preso parte a varie azioni nonviolente di protesta contro quel regime dittatoriale e sanguinario, e contro le potenze complici (come gli Usa, come l'Italia) che lo armavano e sostenevano.

E' quindi in forza di una posizione limpida e pluridecennale di difesa dei diritti umani e di opposizione a tutte le dittature e a tutti i terrorismi, a tutte le guerre e a tutte le stragi, che ancora una volta il "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo chiede il ripristino della legalita' costituzionale, chiede che il nostro paese cessi di esere coinvolto in uno sciagurato crimine, chiede che l'Italia si impegni per la pace, la democrazia, i diritti umani.

 

5. UN ESPOSTO SULLE DICHIARAZIONI DEL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO

[Il responsabile del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo ha presentato il 3 ottobre 2003 il seguente esposto alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Viterbo, alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, alla Procura Generale della Repubblica]

 

Oggetto: esposto concernente a) le dichiarazioni del capo di Stato Maggiore dell'Esercito sull'intenzione di dispiegare nella guerra in corso in Iraq uomini e mezzi del XXVI Reos (reparto elicotteri operazioni speciali) della Cavalleria dell'Aria di stanza in Viterbo; b) la palese illegalita' e criminalita' della partecipazione italiana alla guerra e all'occupazione militare dell'Iraq; c) la necessita' di un immediato intervento della magistratura affinche' i responsabili della violazione della legalita' costituzionale e degli altri crimini conseguenti e connessi siano perseguiti ai sensi di legge e  messi in condizione di non nuocere, ed affinche' sia ripristinata al piu' presto la vigenza della legalita' costituzionale nel nostro paese.

*

1. Nella cronaca di Viterbo del quotidiano "Il messaggero" di giovedi' 2 ottobre 2003 compare la notizia che il capo di Stato Maggiore dell'Esercito, tenente generale Giulio Fraticelli, da poco insediatosi al vertice delle Forze Armate, in visita a Viterbo al Comando della Cavalleria dell'Aria ("la piu' giovane specialita' delle forze armate italiane"), "ha comunicato che uomini e mezzi del XXVI Reos (reparto elicotteri operazioni speciali) di Viterbo sono in procinto di partire verso l'Iraq dove saranno impegnati nell'operazione Antica Babilonia".

2. La notizia, se veritiera e correttamente riportata dall'autorevole organo di stampa, configura una ulteriore e piu' intensa partecipazione italiana alla guerra stragista e terrorista tuttora in corso in Iraq  e all'occupazione militare straniera - totalmente illegale e criminale - di quel paese.

3. Gia' in passato abbiamo segnalato alle competenti magistrature che la guerra di aggressione all'Iraq e la sua occupazione militare sono con tutta evidenza fatti di terrorismo internazionale, configurano in capo ai promotori ed esecutori le fattispecie di reato concernenti la commissione di crimini di guerra e crimini contro l'umanita', consistono di delitti che flagrantemente violano fondamentali trattati internazionali, gli impegni assunti in sede Onu, e - per quanto concerne il nostro paese - la Costituzione della Repubblica Italiana, fondamento del nostro ordinamento giuridico, che all'art. 11 proibisce esplicitamente la partecipazione italiana alla guerra e all'occupazione militare in corso.

4. E' responsabilita' gravissima del governo italiano, del parlamento e del capo dello stato, aver promosso ed avallato la partecipazione italiana alla guerra e all'occupazione militare illegale e criminale in Iraq.

5. E' responsabilta' gravissima dei comandi militari aver dato e dare esecuzione a decisioni politiche palesemente illegali, inumane, criminali e criminogene, in evidente conflitto con la Costituzione della Repubblica Italiana cui essi comandi militari ed essi poteri politici hanno giurato fedelta'.

6. Sarebbe responsabilita' gravissima del potere giudiziario non intervenire in difesa della legalita' costituzionale ed omettere di perseguire i responsabili di un cosi' grave crimine le cui conseguenze possono essere nefaste oltre ogni previsione.

7. La partecipazione italiana alla guerra e all'occupazione militare dell'Iraq da parte di potenze straniere, e' un atto illegale e criminale che deve cessare immediatamente; a maggior ragione l'intenzione di inviare nuovi soldati italiani in Iraq dove - come i loro colleghi gia' presenti sul teatro di guerra - correrebbero il rischio di uccidere e di essere uccisi, e dove la loro stessa presenza sarebbe gia' criminale e criminogena, e' una ulteriore scellerata follia, la cui realizzazione deve essere impedita.

*

Chiediamo pertanto un immediato intervento delle competenti magistrature al fine di ottenere il ripristino della vigenza della legalita' costituzionale ed affinche' siano perseguiti ai sensi di legge i responsabili tanto della gia' avvenuta quanto di ogni eventuale ulteriore - gia' annunciata, e quindi minacciata e tentata - violazione della Costituzione, e degli ulteriori reati conseguenti e connessi.

Ricordiamo a tutti che la decisione criminale e golpista della partecipazione italiana alla guerra e all'occupazione militare dell'Iraq ha anche l'effetto di rendere anche l'Italia bersaglio di azioni di guerra, e quindi espone anche il popolo e il territorio italiano al rischio di essere colpito da azioni di guerra...

 

6. UN VIETNAM PER L'ITALIA?

 

Annunciata secondo un autorevole quotidiano dal capo dello stato maggiore dell'esercito italiano, l'intenzione di inviare la "Cavalleria dell'aria" delle forze armate italiane in Iraq, e meglio sarebbe dire: di gettarla nella fornace della guerra in Iraq, evoca ricordi funesti e ci richiama a una tragica realta' e a una responsabilita' che non possiamo eludere.

La realta' della partecipazione italiana alla guerra terrorista e stragista in corso in Iraq, e la responsabilita' che abbiamo come cittadini italiani di far cessare questa partecipazione illegale e criminale, di adoperarci perche' finiscano ad un tempo la guerra e l'occupazione militare colonialista ed imperialista.

In violazione della nostra carta costituzionale le forze armate italiane stanno partecipando a una guerra e a un'occupazione militare illegali e criminali, stragiste e terroriste. Come e' possibile che questo accada? Come e' possibile che dinanzi a questo le istituzioni garanti dello stato di diritto, della legalita' democratica, dell'Italia repubblicana nata dalla Resistenza, tacciano o peggio siano complici dei golpisti e degli stragisti?

E come e' possibile che la nostra stessa azione di persone di volonta' buona sia cosi' oscenamente inane e grottescamente ridicola?

Cosa si attende per far cessare questo crimine e questo scandalo? Si attende che i soldati italiani uccidano o siano uccisi? Si attende che la guerra giunga in casa nostra? Perche' prendendo parte alla guerra e all'occupazione militare illegale e criminale dell'Iraq anche l'Italia si e' fatta potenza belligerante e quindi anche il territorio italiano puo' essere investito da azioni di guerra, da azioni terroristiche (tutti gli atti di guerra sono sempre anche terroristici).

Siamo di fronte a un crimine orrendo, e un pericolo grande tutti ci sovrasta: possibile che le massime autorita' dello stato e la pubblica opinione non se ne rendano conto? Possibile che il movimento per la pace non sia capace di uscire dai ritualismi e dalle pastette, dalla goliardia e dalla subalternita', dalla rassegnazione e dall'irresponsabilita', e porre finalmente con decisione l'esigenza e l'urgenza del ripristino della legalita' costituzionale, della cessazione della partecipazione italiana alla guerra?

Non e' forse scoccata da un pezzo nel nostro paese l'ora di una vera e grande iniziativa nonviolenta, rigorosamente nonviolenta, intransigentemente nonviolenta, in difesa e a costruzione della pace, della democrazia, della Costituzione, dello stato di diritto, del diritto di ogni essere umano a non essere ucciso e dell'umanita' intera a non essere annientata?

L'Iraq deve diventare il Vietnam dell'Italia?

Non ci fa orrore questa prospettiva? Non ci fa orrore il nostro presente?

Non ci fa orrore cosa siamo diventati?

 

7. SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE

 

1. Mi sorprende non poco che in molti interventi l'attenzione si focalizzi sul dito anziche' sulla luna. Perche' la proposta di Lidia Menapace di un'Europa neutrale e attiva, disarmata e smilitarizzata, solidale e nonviolenta, mi sembra avere proprio il pregio di una chiarezza e coerenza e complessivita' che pressoche' nessuna delle altre esposte sulle bancarelle del bazar pacifista possiede.

Poiche' non si limita a proporre un'Europa genericamente di pace, ma appunto qualifica la scelta di pace con le caratteristiche del disarmo, della smilitarizzazione, della nonviolenza, della "costruzione di pace a mezzo di pace", con un "programma costruttivo" alle cui origini c'e' - tra altro - la riflessione delle donne dell'incontro di Pechino (un evento poco o punto "mediatizzato", ma aggettante assai piu' di tanti altri incontri forse piu' roboanti ed ingegnosamente spettacolarizzati, ma di gran lunga piu' poveri e inadeguati nei contenuti e nelle metodologie).

Poiche' non si limita a indicare un obiettivo, ma cerca di proporre una via, e costruire uno schieramento. E propone la via della riflessione e dell'azione politica, di una politica una volta tanto non dereistica e non subalterna, non cialtrona e non collusa; e propone la costruzione di uno schieramento che rifugga dalle illusioni velleitarie e dalle pretese unanimiste, che contrasti i processi compromissori e autoritari che tanto hanno degradato e depotenziato sia il movimento per la pace che quello cosiddetto contro la globalizzazione neoliberista. Propone, se afferro bene il ragionamento, di valorizzare le forme sia organizzative ed operative che di pensiero e di condivisione sperimentate soprattutto dal movimento delle donne nel definire una progettualita' e una metodologia complessiva, che aggreghino e informino un movimento plurale e rigoroso, una rigorosa e plurale mobilitazione, che per una volta sappia essere non rifiuto astratto e irresponsabile delle mediazioni, ne' assalto alla diligenza dei soldi pubblici (e delle carriere e delle prebende), ne' nicchia escapista, ma soggetto capace di proporre, di determinare e di gestire politiche pubbliche, assetti istituzionale, codificazioni giuridiche.

Poiche' meglio di altre mi pare cogliere la specificita' europea e all'interno della specificita' europea la peculiarita' del proceso politico, istituzionale e giuridico che oggi e' l'Unione europea e che potrebbe diventare qualcosa di piu' e di meglio solo se vi sara' un protagonismo consapevole e reciprocamente rispettoso dei popoli e delle culture promosso dalle istituzioni e dai movimenti sociali di solidarieta' e di liberazione, per la pace, la democrazia e i diritti.

Infine poiche' non si limita all'alata predicazione, ma propone una definizione e codificazione giuridica (appunto il vincolo del ripudio della guerra, che nel linguaggio tecnico del diritto ha un nome preciso: neutralita'), e il cielo sa quanto vi sia assoluto bisogno che il movimento per la pace e la giustizia si decida a farla finita con le chiacchiere generiche e gli inverificabili castelli in aria (che poi servono sovente a coprire pratiche e contiguita' innominabili ed effettuali irresponsabilita'), e passare a proposte concrete traducibili in deliberati, in leggi, in istituti, in "res publica" sia sostanziale che formale (poiche' senza la formalizzazione anche la sostanza finisce per sgocciolare via, come spiega quella canzoncina del buco nel secchio).

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2. Detto in sintesi, e riprendendo cose gia' dette da altre ed altri, e scusandomi per la ripigliata stracca e il tono tra manualistico e predicatorio:

- un'Europa di pace, neutrale e attiva, che per legge costituzionale ripudia la guerra, e interviene in modo nonviolento per la gestione e risoluzione dei conflitti e per la difesa e promozione dei diritti umani;

- un'Europa che si doti di strumenti di sicurezza e difesa, come di intervento internazionale, fondati sulla scelta della nonviolenza, ed in particolare: la difesa popolare nonviolenta, i corpi civili di pace;

- un'Europa che avvii subito smilitarizzazione e sostituzione degli eserciti con forme di servizio civile (e di protezione civile, e di prevenzione dei conflitti, e di welfare community globale) nonarmato e nonviolento;

- un'Europa che avvii subito disarmo (anche attraverso percorsi di transarmo, ma con una rigida scelta di principio e di direzione: quella del disarmo unilaterale) e riconversione ad usi civili dell'industria bellica;

- un'Europa che nei campi dell'educazione, della salute, dell'assistenza, del servizio civile; come in quelli dell'informazione, della comunicazione e della cultura; come nell'economia e nella difesa dell'ambiente e delle risorse; come nella pubblica amministrazione e nella tutela giuridica dei diritti umani, promuova e inveri la scelta della nonviolenza come idea-forza, principio di organizzazione sociale e civile convivenza democratica e solidale, inveramento dei principi codificati nella Carta delle Nazioni Unite  e nella Dichiarazione universale dei diritti umani, proposta giuriscostituente e criterio-base di una politica (e di un assetto istituzionale, e di un'articolazione e gestione amministrativa) all'altezza delle sfide poste dalle ingiustizie globali e dalla minaccia della distruzione del mondo.

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3. Mi pare cosa buona, vi si aggiunga la mia pietruzza.

 

8. I MEZZI E I FINI

 

Le violenze avvenute sabato 4 ottobre a Roma erano state ampiamente preannunciate nei giorni precedenti - e come al solito persino in impassibili interviste sulle televisioni di stato - dai provocatori che ancora una volta sono riusciti a scatenarle.

A quanto ci risulta solo chi scrive queste righe ha fatto appello al movimento per la pace affinche' cessasse ogni complicita' con i provocatori e li si mettesse in condizioni di non poter scatenare le violenze e quindi di non poter nuocere ne' a se stessi ne' ad altri. Si veda l'editoriale del n. 688 del 29 settembre 2003 de "La nonviolenza e' in cammino", in cui ripetevamo ancora una volta i ragionamenti e l'appello che avevamo gia' formulato dopo la tragedia di Praga e molto prima di quella di Genova.

Duole dirlo, ma troppi hanno fatto i pesci in barile, pur sapendo cosa avallavano, pur sapendo che contribuivano a mettere a rischio l'incolumita' e la vita di esseri umani.

*

Prima che altre persone subiscano lesioni o perdano la vita anche per la scellerata idiozia di pochi sciagurati che giocano a simulare la guerra, adorano la violenza ed hanno un'ideologia effettualmente fascista, ed anche la violenza e la barbarie altrui eccitano e scatenano, e' necessario ed urgente che il movimento per la pace e la giustizia esca dall'ambiguita', rompa ogni complicita' con i provocatori, si opponga decisamente a tutti coloro che teorizzano e praticano e provocano la lesione fisica, l'umiliazione morale e la degradazione intellettuale di esseri umani.

*

Per opporsi alla guerra si deve essere costruttori di pace; per opporsi all'ingiustizia si devono avere condotte giuste, per opporsi ai poteri violenti occorre la scelta della nonviolenza.

Come diceva Gandhi, tra i mezzi e i fini vi e' lo stesso rapporto che tra il seme e la pianta.

Un movimento che sostiene di voler essere per la pace e la giustizia dovrebbe innanzitutto smetterla di essere ambiguo e complice con scelte e condotte che sono autoritarie e militariste, irresponsabili e criminali.

Un movimento che sostiene di voler essere per la pace e la giustizia, o fa la scelta della nonviolenza, o e' solo ipocrita e subalterno, complice della violenza dominante e dell'ideologia della violenza dominante cui dice di volersi opporre e che invece avalla, favoreggia e riproduce.

Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita': non solo l'umanita' nel suo insieme, ma anche l'umanita' di ciascuno di noi.

 

9. SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE

 

Cari amici,

sui temi evocati e implicati dalla proposta di Lidia Menapace vorrei proporre alla riflessione comune, ed alla franca discussione quindi, tre pensamenti soltanto: i primi due scritti alla brava, il terzo piu' meditato anche se non meno ellittico; e a mo' di congedo una dichiarazione di apprezzamento e sostegno alla proposta che spero si traduca in iniziativa.

*

1. Un'Europa, anzi due

L'Europa che si e' usi chiamare occidente (la terra del tramonto, quindi) si e' costituita in opposizione alla Persia, a Cartagine, all'Islam, all'impero ottomano, al favoloso oriente e al nuovo mondo.

L'Europa e' un'espressione geografica e storica che trae origine dalla reiterazione di un atto di opposizione: il se' contro l'altro, noi versus loro, ed ovviamente - come tutte le culture oppositive ed esclusive - la grottesca pretesa di essere la civilta' contro la barbarie, la storia contro la natura, il soggetto contro l'oggetto. Questa storia va superata (ma nel senso - chiedo venia, e chiedo venia anche dell'ironia - hegeliano del termine).

Ma e' anche, questa Europa, e di genti e di tradizioni le piu' diverse un crogiuolo; con tutta la sua prosopopea sui propri quarti di nobilta', e' vivaddio meticcia, ed e' grande e ci e' preziosa proprio grazie a questo suo meticciato. Ma anche questo meticciato deve divenire vieppiu' trasparente a se stesso, consapevole che la sua fecondita' e' nel riconoscimento delle peculiarita' e nella necessita' di tutte le sue radici, consapevole che l'incontro si da' solo quando l'altro e' accolto e non subornato, consapevole che uguaglianza e diversita' si implicano e si fondano reciprocamente.

Ma nell'Europa geografica l'Unione europea nasce da quella serie di scelte e di accordi (la Cee e via di seguito) che si costituirono, nel continente riemerso dallo scempio delle due guerre mondiali, in opposizione al defunto campo del cosiddetto "socialismo reale", ed in funzione del consolidamento della dominazione capitalistica.

Anche qui: cio' che e' morto fa presa su cio' che e' vivo; anche qui, occorrera' un superamento, che sia elaborazione del passato, assunzione di responsabilita', scelta di mutamento - anche di paradigma: nella direzione indicata da Hannah Arendt e Virginia Woolf, da Hans Jonas e Vandana Shiva, da Danilo Dolci e Giuliano Pontara; nella direzione indicata dal movimento delle donne, dalla "corrente calda" del movimento operaio, dai movimenti libertari, ecopacifisti, antirazzisti e solidali; nella direzione della nonviolenza in cammino.

E se oggi l'Europa geografica e quella istituzionale tendono ad incontrarsi, con l'espansione ad est dell'Unione fino ai confini di una Russia forse oggi ancora relativamente troppo grande per stare dentro l'Unione (poiche' gia' a sua volta Confederazione, e per cosi' dire balena in una vasca da bagno), questo apre nuove prospettive e contraddizioni nuove; e dipendera' anche da noi se feconde di giustizia e liberta', o di nuovo fascismo: poiche' l'Europa dei paesi e dei popoli ricchi e consumisti e quella dei paesi e dei popoli poveri e consumati dovranno insieme ridefinire molte cose, ed a noi sara' chiesto di condividere molti beni materiali frutto di prvilegio e di rapina, ma sia a noi che a loro sara' chiesto di far cessare la rapina, nostra anche verso di loro, nostra e loro verso il sud del mondo dall'Europa per secoli e tuttora saccheggiato e depauperato.

Dovremo pur fare i conti con il nostro passato, per poter fare i conti col nostro futuro.

*

2. Due Europe, anzi una

Ma venendo all'Europa geografica gia' inscritta nella cornice istituzionale dell'Unione europea, e' una opinione che non mi convince - una delle tante che per esser all'infinito ripetute non per questo diventano persuasive - quella che contrappone un'Europa dei governi autoritari e delle istituzioni asservite al neoliberismo a un'Europa dei movimenti libertari e dei diritti sociali.

Perche' invero nell'area dell'Unione vi e' un'Europa soltanto: quella della rapina e del privilegio di cui tutti godiamo. E a vantaggio dei governi vi e' di essere frutto di elezioni democratiche, mentre vari movimenti sono minoranze (sovente infime) che rappresentative si autoproclamano (sovente senza verifica alcuna), e i cui leader talora sono figuri dagli atteggiamenti e dai ragionamenti cosi' lugubri e totalitari che e' una vera fortuna che non abbiano il potere politico.

E le istituzioni hanno sui movimenti il vantaggio di essere comunque garanti di civile convivere e di fondarsi su leggi, mentre taluni gruppi in fusione sovente sono affetti da delirio di onnipotenza, e non mancano quelli che con la pretesa millenaristica di salvare il mondo non esiterebbero a distruggerlo secondo l'antico macabro adagio "fiat iustitia, pereat mundus".

Ed infine l'Europa istituzionale qualcosa di buono l'ha pur fatto e lo garantisce: stato di diritto, elezioni democratiche, pubblicita' delle decisioni del potere politico, separazione dei poteri, laicita' della cosa pubblica.

E se nei sud del mondo l'Unione europea e singoli stati europei sono sovente interpellati da stati e popoli come amici e in funzione di contrappeso alla feroce bulimia americana, vi sono anche ragioni concrete e cogenti.

Ma detto tutto questo, va anche detto che i poteri politici europei - dell'Unione, degli stati - anche e ancora di cotte e di crude ne commettono, ed inenarrabili crimini: dalla guerra in giu'.

E che solo in un'azione tenace e profonda dei movimenti di pace e di solidarieta', di resistenza e di liberazione, noi vediamo il cuore e il motore di un cambiamento che dal profondo del cuore auspichiamo e per il quale di mettersi in movimento vale la pena. Ma questa azione non basta che sia tenace e profonda: deve essere anche limpida ed esatta (e quindi anche esigente), e - se possiamo usare una parola capitiniana nel peculiare significato che Aldo Capitini le attribuiva - persuasa. Deve essere azione nonviolenta. Pensiero e azione nonviolenta. Nonviolenza in cammino.

*

3. Quale federalismo

C'e' un nodo politico, giuridico e politologico che non si puo' ne' eludere ne' elidere: ed e' il nodo del federalismo. Su cui molto e acutamente ha riflettuto soprattutto la tradizione anarchica da duecento anni in qua, da Proudhon a Kropotkin a Bookchin, e su cui ovviamente hanno riflettuto altresi' anche i protagonisti grandi di altre tradizioni di pensiero: da Cattaneo a Spinelli.

Forse se la sinistra europea si fosse maggiormente interrogata su questo tema, e se i movimenti sociali si fossero occupati di esso con attenzione e rigore, oggi non saremmo in tante e tali aporie.

Ma quanto a questo basti avervi qui accennato; solo per dire che nel passaggio dall'Europa fondata sugli stati-nazione a un'Europa che cerca forme nuove di organizzazione istituzionale e di codificazione giuridica, anche alla luce delle catastrofi belliche degli ultimi decenni (le guerre cosiddette "etniche", la "nuova guerra" americana; i conflitti armati cosiddetti "asimmetrici", etc.), occorrerebbe una riflessione che sia capace anche di ricostruire le radici e le forme di un dibattito che ha una storia - in furbesco: una coda - lunga, e perlopiu' negletta o rimossa, cosicche' poi di tanto augusti e venerandi termini - come appunto "federalismo" - si appropriano i ciarlatani e i totalitari (non solo del totalitarismo burocratico, anche di quello plebiscitario e pseudomovimentista) dell'ultim'ora, che ne abusano per coprire pratiche e interessi che in se' sarebbero innominabili.

*

4. E quindi

E quindi ben venga una riflessione e un'iniziativa delle persone amiche della nonviolenza su questa scala e su questi temi; e mi pare che rispetto ad altre proposte quella formulata dalla "Convenzione permanente di donne contro le guerre", e da Lidia Menapace per prima proposta e con piu' convinzione e chiarezza sostenuta, sia fin qui la piu' nitida e acuta.

Riprendendo i termini che nel dibattito in corso mi pare siano ampiamente condivisi: un'Europa che si vincoli giuridicamente alla neutralita' attiva; che avvii disarmo e smilitarizzazione creando alternative, sia occupazionali, sia di sicurezza e di difesa, sia di cooperazione internazionale: riconversioni produttive, servizio civile, welfare community; un modello di sviluppo sostenibile, autocentrato, con fonti energetiche pulite e rinnovabili e tecnologie appropriate; difesa popolare nonviolenta, corpi civili di pace; valorizzazione della cooperazione internazionale decentrata ed attivazione delle risorse locali, delle istituzioni di base e delle societa' civili.

Un'Europa che sia di sostegno a un'Onu rinnovata e democratizzata, che agisca "per la pace con mezzi di pace", per i diritti, la liberazione e il dialogo e la cooperazione tra i popoli, che sostenga l'impegno affinche' tutti i diritti umani siano riconosciuti a tutti gli esseri umani.

Un'Europa insomma che inveri quel che di meglio la sua tradizione giuridica, politica e culturale ha prodotto, ed orienti e ordini la sua azione alla promozione della pace, della democrazia e dei diritti, informandola a quel principio della "nonviolenza giuriscostituente" che e' tanto caro a chi redige questo foglio.

 

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ARCHIVI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XIV)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 152 del 29 marzo 2013

 

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