Archivi. 117



 

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ARCHIVI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XIV)

Numero 117 del 22 febbraio 2013

 

In questo numero:

1. Alcuni testi del mese di dicembre 2002 (parte quarta e conclusiva)

2. Una introduzione al "Lamento della pace" di Erasmo da Rotterdam

3. Gli alti lai di Estribillo Carrasco: passi falsi e allocchi veri

4. A cosa servono i geniali furbacchioni

5. I compiti dell'umanita' nell'eta' atomica

6. Ancora sull'immodificabilita' dell'articolo 11 della Costituzione italiana e sulla necessita' di perseguire penalmente ai sensi di legge i golpisti e stragisti

7. Una nota su "La fame nel mondo spiegata a mio figlio" di Jean Ziegler

8. Una dichiarazione di solidarieta' con Giuseppe Casarrubea

9. Cantata per Danilo

 

1. MATERIALI. ALCUNI TESTI DEL MESE DI DICEMBRE 2002 (PARTE QUARTA E CONCLUSIVA)

 

Riproponiamo qui alcuni testi apparsi sul nostro foglio nel mese di dicembre 2002.

 

2. UNA INTRODUZIONE AL "LAMENTO DELLA PACE" DI ERASMO DA ROTTERDAM

[Riproduciamo qui, senza l'ampia nota biobibliografica che la completava, il testo dell'introduzione ad una nuova edizione italiana del Lamento della pace di Erasmo da Rotterdam (Multimage, Firenze 2002, nella traduzione di Patrizia Moradei). Il libro verra' presentato oggi a Firenze (e precisamente alla Badia Fiesolana, luogo cosi' evocativo per tutti coloro che ricordano quell'Erasmo del XX secolo che e' stato padre Ernesto Balducci)]

 

Questo sapeva Erasmo: che la guerra e' sempre un male e il piu' grande dei mali: uccisione di esseri umani, che l'attivita' dei soldati e' l'assassinio, che chi giustifica la guerra e' complice degli assassini, e chi la organizza e promuove e' il primo e il principe degli assassini. E che bisogna scegliere tra omicidio e civilta', tra la morte e la vita degli esseri umani.

Cosi' leggere Erasmo e' gettarsi nella lotta, nella lotta contro la violenza e per l'umanita'. Non si puo' leggere questo sorridente umanista senza sentirsi toccati nel profondo: poiche' in tutta l'opera sua incessante ti rivolge un appello a un'impresa comune: l'affermazione della dignita' umana e dell'umana solidarieta', l'opposizione alla violenza e alla menzogna.

* Dopo Auschwitz

Diciamolo subito: c'e' un passo nella Querela Pacis che e' di un razzismo ripugnante: e' un passo minuscolo, ma una caduta rovinosa; che deturpa questo per il resto splendido testo, e ci addolora e ferisce vieppiu' proprio per l'ammirazione che per Erasmo abbiamo e proprio perche' lo troviamo in flagrante contraddizione con quanto di buono e di vero Erasmo ci ha insegnato. Ma c'e', e ci rende avvertiti di quanto questa indimenticabile esortazione alla pace e alla solidarieta' tra gli esseri umani sia tuttavia un testo lontano da noi non solo nel tempo; ci rende avvertiti di come l'orizzonte culturale dell'autore del Lamento della pace e dell'Elogio della follia non sia il nostro, gli interlocutori cui esso direttamente si rivolgeva non siamo noi, e solo andando oltre i limiti storici e culturali di Erasmo si puo' ereditare e inverare il messaggio di Erasmo piu' autentico e fecondo.

* Del buon uso della Querela Pacis

La Querela Pacis puo' essere letta in molti modi diversi.

Si puo' leggere come un repertorio di argomenti contro la guerra (ma non e' mai una buona lettura quella che sbrana l'altrui discorso per rivenderne le spoglie); come un classico (col rischio inerente ad ogni lettura di classici fatta per dovere di studio o di informazione: il rischio della mummificazione che ne annienta il valore dialogico); e si puo' leggere come un appello, che ci riguarda e ci convoca a una discussione franca, ed ai compiti nostri: ed e' questa la nostra lettura.

Ma proprio per questo occorre che leggiamo questo testo con coscienza storica, collocandolo nel suo preciso contesto, l'Europa del primo Cinquecento.

Apparso nel 1517, testo d'occasione, come pressoche' tutta l'opera in proprio di Erasmo, scritto su sollecitazione della cancelleria di quel Carlo che diverra' l'imperatore Carlo V (e per il quale Erasmo aveva gia' scritto l'Institutio principis christiani), la Querela Pacis ha un preciso destinatario immediato: si parla per essere ascoltati dai principi, dai principi cristiani, e dalla loro azione, dal loro potere ci si attende la pace, loro si cerca di convincere. Sappiamo come andra' a finire.

Ma la Querela Pacis e' anche il compendio di una costante riflessione ed azione di Erasmo: il suo irenismo e' premessa ed esito del suo progetto culturale, esistenziale, politico: promuovere l'umana dignita' e fratellanza in un orizzonte di cristianesimo e cristianita' rinnovati dal ritorno all'autentico messaggio di Cristo, quello dei Vangeli; rinnovamento cristiano (rigenerazione, riforma; movimento di rivolgimento al passato in funzione di apertura al futuro) reso possibile dall'uso critico della strumentazione tecnica e morale messa a disposizione dalle "bonae litterae", il recupero filologicamente adeguato della cultura classica e delle fonti evangeliche e patristiche del cristianesimo, ed avvalendosi della stampa, la grande rivoluzione tecnologica che rende possibile una diffusione della cultura senza precedenti per estensione e profondita', che permette di costruire una sempre piu' vasta comunita' di intellettuali, e che consente un condiviso agire ermeneutico che prosegue ed invera il modello di Girolamo e adotta il metodo di Valla.

Sappiamo che nell'impegno per la pace, e non solo, Erasmo fu sconfitto. Ma e' dalla storia dei vinti che traiamo le nostre ragioni, non da quella dei vincitori.

* Dall'irenismo alla nonviolenza

E' facile individuare i limiti del pacifismo erasmiano e piu' in generale del pacifismo umanistico e cristiano del XVI secolo: ed e' facile dire della sua insufficienza per l'oggi, che occorre passare dal pacifismo alla nonviolenza. E' facile dirlo, eppur va detto.

Ma attenzione a non semplificare e banalizzare oltre il lecito.

La sua azione pacifista non e' circoscritta ad alcuni testi ma anima e si invera nella sua stupefacente attivita' filologica ed editoriale, nel suo epistolario che costruisce una comunita' di studiosi che attraverso le bonae litterae combattono il fanatismo ed affratellano i popoli.

Che la pace sia stata una delle preoccupazioni centrali del pensare ed agire di Erasmo e' notissimo, e quasi non c'e' pagina di Erasmo che non sia invocazione alla pace; ha scritto giustamente Eugenio Garin che "per Erasmo la pace, l'ideale della pace come concordia umana, era lo stesso ritorno al Vangelo".

Di cosa stiamo parlando quando parliamo dell'azione e dell'opera di Erasmo?

Cosa ci dice l'attivita' editoriale di Erasmo? Quel restituire la parola ai defunti ed aprire con loro un dialogo nuovo; quel ritorno al semplice e all'autentico; quella lezione di metodo fondata sul non fraintendere, non deformare, non mentire: non e' una prassi di pace e di nonviolenza?

Cosa ci dice l'epistolario di Erasmo? Non e' costruzione di umanita', sostituzione della comprensione e del rispetto reciproco alla sopraffazione e all'inganno? Non e' lotta incessante contro la chiusura  e contro l'esclusione, contro l'ignoranza e contro l'avvilimento? Questa lotta contro il fanatismo e la repressione non e' anch'essa ipso facto prassi di pace e di nonviolenza?

E il suo costante tornare al cristianesimo di Cristo, al cristianesimo il cui monumento teorico e' il discorso della montagna? Non e' forse un invito incessante a passare dall'irenismo predicato alla nonviolenza praticata?

Non vi e' gia' qui, in questa persona cosi' sensibile alla vita concreta, alla felicita' terrestre e condivisa, propugnatore di un retto e nobile epicureismo che si connette e non si oppone alla lezione del cristianesimo come umanesimo, non vi e' qui il presagire e il suggerire che occorre un salto, dall'irenismo alla nonviolenza?

* Dire di no

Quest'uomo che fu il principe della cultura europea nei primi decenni del XVI secolo, che fu ascoltato e ammirato da re e papi e imperatori, che le parti in conflitto cercavano di accaparrare alla propria causa, fu e sara' sempre un tipo sospetto per gli autoritari di ogni schieramento.

Un tipo sospetto perche' non si prestava alla propaganda, cui e' consustanziale l'uso del travisamento delle opinioni altrui e della menzogna come primo strumento d'offesa (e quando si comincia con l'accoppare la verita' poi si accoppano le persone); un tipo sospetto perche' detestava i fanatismi e le irragionevolezze e la mancanza di misericordia; un tipo sospetto perche' sapeva dire di no.

Vi e' un luogo comune, alimentato da una propaganda accanita: che Erasmo fosse un tiepido, un pusillanime, che non sapesse prendere posizione, che si ritraesse dinanzi agli sviluppi di quanto aveva pur seminato, e cosi' via.

E si dimentica che invece Erasmo non volle mai essere il servo della violenza (quali che fossero le ragioni di cui essa si ammantava: e nella sartoria presso cui la violenza si abbiglia si trovano sempre abiti di gran classe): e questo e' il nostro Erasmo: che la storia lo abbia sconfitto, ahime', che disastro per la storia, e quante sofferenze per l'umanita'.

* L'opera dimenticata

Fatta eccezione per una ristretta cerchia di studiosi, Erasmo e' oggi uno sconosciuto: della sua opera e della sua figura ci si sbarazza in fretta attraverso la ripetizione di pochi luoghi comuni.

Eppure la sua opera e' immensa. Ma in cosa consiste?

In primo luogo: l'opera di Erasmo e' innanzitutto quella di un grande editore e commentatore di opere fondamentali della cultura cristiana e classica. Erasmo fu il principe degli umanisti innanzitutto con la sua infaticabile attivita' di editore. Dalle sue cure usci' la prima edizione critica del Nuovo Testamento.

In secondo luogo: fu un epistolografo infaticabile: e' attraverso le lettere (e la pubblicazione di raccolte di esse, con cui si allargava straordinariamente l'area degli interlocutori) che Erasmo guida e quasi crea quella vera e propria aggregazione delle persone colte che diviene la base relativamente di massa del movimento per la renovatio cristiana fondata sulla ripresa delle bonae litterae.

In terzo luogo: fu autore di opere in proprio, naturalmente, ma sebbene esse nascano da istanze sovente occasionali (divulgazione, polemiche) tutte si rivelano solidamente collegate a un progetto di intervento culturale che prolunga e precisa l'attivita' editoriale: il progetto erasmiano della promozione della cultura come lotta contro il fanatismo e la violenza, di promovimento dell'umanesimo cristiano come rigorizzazione morale e benevolenza ad un tempo.

* Cosi' lontano, cosi' vicino

Erasmo e' lontano da noi.

Non ingannino alcune analogie tra l'epoca che fu sua e quella che in sorte ci e' toccata. E' lontano da noi.

Ed insieme e' cosi' vicino: nel suo scacco, nella sua illusione. Ma quella illusione, di istituire una societa' civile che ogni essere umano raggiunga, e fondata sul diritto e la pace, e' ancora la nostra.

Ed e' nostro il suo scacco. Ed e' nostro il medesimo compito: che quello scacco diventi coscienza, che quella illusione divenga realta', che la figura di Erasmo si adempia nell'umanita' cosciente e liberata che videro Giacomo Leopardi e Franco Fortini (non solo presagirono, non solo sperarono: videro, poiche' ne furono in strazio e in isforzo prefigurazione).

E dell'opera tutta di Erasmo la Querela Pacis talora ci accade di intendere come il cuore segreto: ancor piu' dell'Elogio della follia, ancor piu' dei Colloquia e degli Adagia, ancor piu' dell'opera grandiosa del filologo e dell'editore. Il cuore segreto e pulsante.

Veramente il programma e l'appello di Erasmo e' il nostro ancora: si potrebbero aggiungere infinite glosse e distinguo infiniti, ma il succo prezioso ci pare sia qui: solo la pace promuove la dignita' umana, solo la dignita' umana costruisce la pace, solo la consapevolezza che l'io nel tu si specchia, e la consapevolezza ad un tempo che il tu resta irriducibilmente altro dall'io e questa diversita' va rispettata e difesa poiche' e' la pupilla del mondo; ed in questo processo di riconoscimento e di rispetto per la vita dell'altro e' il sale della terra e l'identita' tua profonda: "esser uomo tra gli umani / io non so piu' dolce cosa" (Saba).

 

3. GLI ALTI LAI DI ESTRIBILLO CARRASCO: PASSI FALSI E ALLOCCHI VERI

 

A cosa servono i finti passi falsi?

A gabbare gli allocchi veri.

Il ministro della Difesa dichiara che l'Italia mette a disposizione della guerra all'Iraq spazi aerei e basi militari, ovvero proclama la partecipazione italiana alla guerra (ancora non dichiarata, ma gia' iniziata con i ripetuti intensificati bombardamenti angloamericani in attesa di una reazione dell'Iraq che possa poi essere utilizzata come casus belli, ed in mancanza di quella inventando qualcos'altro, ci pensera' poi la propaganda a farla digerire come scusa credibile).

Dinanzi alle scandalose esternazioni del ministro della Difesa abbiamo protestato in molti, ed avendone ben donde.

Il ministro con classica mossa berlusconiana dichiara allora: per carita', decidera' il parlamento.

Si acquietano i signori allocchi, e il partito della guerra ha conseguito il risultato che si prefiggeva.

Poiche' cosi' si e' spostato l'oggetto del discorso: dall'inammissibilita' della partecipazione italiana alla guerra, a chi decide questa inammissibile partecipazione, se governo o parlamento. Gioco delle tre carte come se ne incontravano un tempo nelle sagre paesane (ed oggi nelle televendite e al governo del paese).

Sara' quindi necessario ribadire che l'Italia non puo' partecipare alla guerra perche' la sua legge fondamentale questa guerra esplcitamente "ripudia".

E che ne' il governo ne' il parlamento sono autorizzati a decidere una partecipazione alla guerra che si va preparando poiche' essa partecipazione sarebbe incostituzionale, cioe' illegale e criminale; e se il governo e/o il parlamento decidessero di precipitare il nostro paese in guerra coloro che parteciperebbero a tale deliberazione dovrebbero risponderne come golpisti e stragisti dinanzi a una ordinaria corte di giustizia.

Ed al ministro della Difesa vorremmo ricordare che c'e' un motivo per cui il suo dicastero si chiama della Difesa e non piu' della Guerra, come in regimi precedenti a quello fondato sulla Costituzione Repubblicana.

 

4. A COSA SERVONO I GENIALI FURBACCHIONI

 

A cosa servono i geniali furbacchioni?

A far la gioia della famiglia Bush.

I geniali furbacchioni che negli ultimi anni e ancora negli ultimi mesi hanno corrotto decine e forse centinaia di migliaia di anime ingenue e generose a far l'elogio della violenza giusta, a dichiararsi tutti sovversivi, ad intrupparsi nella rivendicazione della cultura dell'illegalita' e del fine che giustifica i mezzi, con cio' stesso hanno tolto a non poche persone ogni credibilita' se volessero oggi contribuire ad opporsi alla guerra in nome del diritto internazionale, dell'articolo 11 della Costituzione della Repubblica Italiana, dei diritti umani per tutti gli esseri umani.

I geniali furbacchioni che cooperarono con mesi di proclami deliranti, insensati ed effettualmente suicidi allo scatenarsi delle efferate e barbariche violenze da parte di singoli e gruppi di sadici e nazisti presenti nelle forze dell'ordine (con evidenti avalli e corresponsabilita' dirigenziali e fin governativi) in quel di Genova, e che non hanno avuto una parola di pentimento per aver contribuito allo scatenamento dell'altrui feroce violenza (con gli esiti terribili e fin mostruosi che essa ha avuto), e che ancor oggi non dicono chiaro neppure che un tentativo di linciaggio non e' giammai ammissibile, con cio' stesso tolgono credibilita' alla richiesta di verita' e giustizia, di diritto e di pace.

I geniali furbacchioni che fanno in piccolo i replicanti (autoritari e carrieristi, ipocriti e menzogneri, militaristi e maschilisti) dei potenti piu' prepotenti, e che come i potenti piu' prepotenti pretendono di parlare a nome degli oppressi che va da se' non hanno mai rilasciato loro alcuna delega, con cio' stesso danneggiano la causa che dicono di sostenere, e sono nemici (e nemici di classe, anche, per dirsela tutta) di coloro che pretendono allucinatamente di rappresentare.

I geniali furbacchioni pensano di potersi opporre alla guerra senza impegnarsi a costruire la pace; pensano che si possa contrastare la violenza senza essere impegnati per la nonviolenza; pensano di poter contrastare il terrore, le dittature e le guerre senza fare l'unica scelta che il terrore, le ditatture e le guerre combatte in concreto e alla radice in modo limpido ed intransigente, che e' la scelta della lotta nonviolenta. E sulla base di queste ambiguita', inadeguatezza e pusillanimita' rendono la loro azione contro la guerra e l'ingiustizia ad un tempo surreale e subalterna, ed in definitiva inetta e velleitaria, e non persuasiva e non mobilitante e non cogente perche' interiormente fessa e falsa.

Solo la scelta della nonviolenza, ovvero della nonmenzogna (la forza della verita'), puo' fondare un movimento per la pace che affronti e sconfigga i signori della guerra e salvi innumerevoli vite umane.

A cosa servono i geniali furbacchioni?

A far la gioia della famiglia Bush.

 

5. I COMPITI DELL'UMANITA' NELL'ETA' ATOMICA

[Il seguente articolo e' apparso nel fascicolo di dicembre 2002 del mensile dell'Associazione italiana amici di Raoul Follereau (Aifo) "Amici dei lebbrosi"; l'Aifo e' un'associazione umanitaria che invitiamo tutti i nostri interlocutori a sostenere...]

 

Quando ci viene posta la domanda se il pericolo atomico esista ancora, la nostra risposta e': esso non abbandonera' mai piu' l'umanita'. Occorre sapere che da quell'agosto 1945 fino alla fine della civilta' umana questa minaccia sempre incombera' su tutti noi esseri umani presenti e venturi, e sempre e sempre dovremo lottare contro di essa.

*

Lo colse e lo seppe dire in modo ineguagliabile Guenther Anders, il grandissimo filosofo che dedico' l'intera sua vita a lottare contro gli orrori di Auschwitz e di Hiroshima affinche' non potessero ripetersi mai piu'.

Ha scritto, tra altri indimenticabili testi, una breve riflessione dal titolo Tesi sull'eta' atomica, la cui lettura a noi pare imprescindibile (per i lettori italiani la traduzione perfetta di Renato Solmi e' disponibile nella rete telematica...).

Scrive Anders:

"Hiroshima come stato del mondo. Il 6 agosto 1945, giorno di Hiroshima, e' cominciata un nuova era: l'era in cui possiamo trasformare in qualunque momento ogni luogo, anzi la terra intera, in un'altra Hiroshima. Da quel giorno siamo onnipotenti modo negativo; ma potendo essere distrutti ad ogni momento, cio' significa anche che da quel giorno siamo totalmente impotenti. Indipendentemente dalla sua lunghezza e dalla sua durata, quest'epoca e' l'ultima: poiche' la sua differenza specifica, la possibilita' dell'autodistruzione del genere umano, non puo' aver fine - che con la fine stessa.

Eta' finale e fine dei tempi. La nostra vita si definisce quindi come "dilazione"; siamo quelli-che-esistono-ancora. Questo fatto ha trasformato il problema morale fondamentale: alla domanda 'Come dobbiamo vivere?' si e' sostituita quella: "Vivremo ancora?' Alla domanda del "come" c'e' - per noi che viviamo in questa proroga - una sola risposta: "Dobbiamo fare in modo che l'eta' finale, che potrebbe rovesciarsi ad ogni momento in fine dei tempi, non abbia mai fine; o che questo rovesciamento non abbia mai luogo". Poiche' crediamo alla possibilita' di una "fine dei tempi", possiamo dirci apocalittici; ma poiche' lottiamo contro l'apocalissi da noi stessi creata, siamo (e' un tipo che non c'e' mai stato finora) "nemici dell'apocalissi".

Non armi atomiche nella situazione politica, ma azioni politiche nella situazione atomica. La tesi apparentemente plausibile che nell'attuale situazione politica ci sarebbero (fra l'altro) anche "armi atomiche", e' un inganno. Poiche' la situazione attuale e' determinata esclusivamente dall'esistenza di "armi atomiche", e' vero il contrario: che le cosiddette azioni politiche hanno luogo entro la situazione atomica.

Non arma ma nemico. Cio' contro cui lottiamo, non e' questo o quell'avversario che potrebbe essere attaccato o liquidato con mezzi atomici, ma la situazione atomica in se'. Poiche' questo nemico e' nemico di tutti gli uomini, quelli che si sono considerati finora come nemici dovrebbero allearsi contro la minaccia comune. Organizzazioni e manifestazioni pacifiche da cui sono esclusi proprio quelli con cui si tratta di creare la pace, si risolvono in ipocrisia, presunzione compiaciuta e spreco di tempo".

Cosi' l'incipit di questo fondamentale saggio, ma tutto il testo e' da leggere e meditare.

*

Ma anche un altro grande uomo di pace, Ernesto Balducci, seppe cogliere ed enunciare le novita' tremende e ineludibili dell'eta' atomica: in un discorso che tenne nel 1981, e che poi riprese come introduzione in quel magnifico suo manuale scolastico che e' La pace. Realismo di un'utopia, Balducci ci parlava delle "tre verita' di Hiroshima", e scriveva:

"Le condizioni di fatto sono radicalmente mutate. L'umanita' e' entrata in un tempo nuovo nel momento stesso in cui si e' trovata di fronte al dilemma: o mutare il modo di pensare o morire. Essa vive ormai sulla soglia di una mutazione, nel senso forte che ha il termine in antropologia.

Non serve obiettare, contro il dilemma, che la mutazione non e' avvenuta e noi siamo vivi! Non e' forse vero che l'abisso si e' spaventosamente allargato dinanzi a noi? D'altronde le mutazioni non avvengono con ritmi serrati e uniformi. In ogni caso si puo' gia' dire, con fondatezza, che si sono andate generalizzando alcune certezze in cui e' facile scoprire il riflesso del messaggio di Hiroshima e dunque un qualche inizio della mutazione.

La prima verita' contenuta in quel messaggio e' che il genere umano ha un destino unico di vita o di morte. Sul momento fu una verita' intuitiva, di natura etica, ma poi, crollata l'immagine eurocentrica della storia, essa si e' dispiegata in evidenze di tipo induttivo la cui esposizione più recente e piu' organica e' quella del Rapporto Brandt. L'unita' del genere umano e' ormai una verita' economica. Le interdipendenze che stringono il Nord e il Sud del pianeta, attentamente esaminate, svelano che non e' il Sud a dipendere dal Nord ma e' il Nord che dipende dal Sud. Innanzitutto per il fatto che la sua economia dello spreco e' resa possibile dalla metodica rapina a cui il Sud e' sottoposto e poi, piu' specificamente, perche' esiste un nesso causale tra la politica degli armamenti e il persistere, anzi l'aggravarsi, della spaventosa piaga della fame. Pesano ancora nella nostra memoria i 50 milioni di morti dell'ultima guerra, ma cominciano anche a pesarci i morti che la fame sta facendo: 50 milioni, per l'appunto, nel solo anno 1979. E piu' comincia a pesare il fatto, sempre meglio conosciuto, che la morte per fame non e' un prodotto fatale dell'avarizia della natura o dell'ignavia degli uomini, ma il prodotto della struttura economica internazionale che riversa un'immensa quota dei profitti nell'industria delle armi: 450 miliardi di dollari nel suddetto anno 1979 e cioe' 10 volte di piu' del necessario per eliminare la fame nel mondo. Questo ora si sa. Adamo ed Eva ora sanno di essere nudi. Gli uomini e le donne che, fosse pure soltanto come elettori, tengono in piedi questa struttura di violenza, non hanno piu' la coscienza tranquilla.

La seconda verita' di Hiroshima e' che ormai l'imperativo morale della pace, ritenuta da sempre come un ideale necessario anche se irrealizzabile, e' arrivato a coincidere con l'istinto di conservazione, il medesimo istinto che veniva indicato come radice inestirpabile dell'aggressivita' distruttiva. Fino ad oggi e' stato un punto fermo che la sfera della morale e quella dell'istinto erano tra loro separate, conciliabili solo mediante un'ardua disciplina e solo entro certi limiti: fuori di quei limiti accadeva la guerra, che la coscienza morale si limitava a deprecare come un malum necessarium. Ma le prospettive attuali della guerra tecnologica sono tali che la voce dell'istinto di conservazione (di cui la paura e' un sintomo non ignobile) e la voce della coscienza sono diventate una sola voce. Non era mai capitato. Anche per questi nuovi rapporti fra etica e biologia, la storia sta cambiando di qualita'.

La terza verita' di Hiroshima e' che la guerra e' uscita per sempre dalla sfera della razionalita'. Non che la guerra sia mai stata considerata, salvo in rari casi di sadismo culturale, un fatto secondo ragione, ma sempre le culture dominanti l'hanno ritenuta quanto meno come una extrema ratio, e cioe' come uno strumento limite della ragione. E difatti, nelle nostre ricostruzioni storiografiche, il progresso dei popoli si avvera attraverso le guerre. Per una specie di eterogenesi dei fini - per usare il linguaggio di Benedetto Croce - l'"accadimento" funesto generava l'"avvenimento" fausto. Ma ora, nell'ipotesi atomica, l'accadimento non genererebbe nessun avvenimento. O meglio, l'avvenimento morirebbe per olocausto nel grembo materno dell'accadimento.

Queste tre verita' non trovano il loro giusto contesto nella cultura e nella pratica politica ancora dominanti. Il pacifismo che esse prefigurano e' anch'esso di tipo nuovo, non in continuita' con quello tradizionale".

*

E con chiarezza cristallina nella sua lettera ai giudici del 1965, il priore di Barbiana, don Lorenzo Milani, seppe descrivere la situazione presente: "A piu' riprese gli scienziati ci hanno avvertiti che e' in gioco la sopravvivenza della specie umana. (Per esempio Linus Pauling premio Nobel per la chimica e per la pace). E noi stiamo qui a questionare se al soldato sia lecito o no distruggere la specie umana?".

La riflessione morale odierna non puo' piu' eludere i temi che la tecnologia atomica, le armi di sterminio di massa, la contaminazione dell'ambiente pongono alla coscienza umana; si veda ad esempio il fondamentale libro di Hans Jonas, Il principio responsabilita'.

Le armi atomiche, come tutte le armi di distruzione di massa, sono nemiche dell'umanita'. Tutte le armi, in quanto intese a ferire ed uccidere esseri umani, sono nemiche dell'umanita'.

Cosicche' un impegno a tutti e' richiesto oggi, se l'umanita' intera, oltre che l'umanita' che e' in noi stessi individualmente considerati, ci sta a cuore: opporci alle armi: al loro uso, al loro commercio, alla loro produzione.

Se la memoria non mi inganna fu Einstein a dire una volta che non sapeva con quali armi sarebbe stata combattuta la terza guerra mondiale, ma quanto alla quarta era certo che sarebbe stata combattuta con le clave. Se vogliamo impedire stragi immani e un regresso alla preistoria tra dolori indicibili per la superstite umanita', dobbiamo impedire le guerre, e per impedirle dobbiamo impegnarci tutti per il disarmo.

*

Ma opporsi alle guerre, agire il disarmo, richiede un impegno ulteriore, anzi due:

a) un impegno di costruzione della pace e di gestione esclusivamente civile dei conflitti, che e' possibile ad una sola condizione: la scelta della nonviolenza;

b) un impegno a pensare e inverare modelli di difesa - dei territori, delle societa' e dei diritti - che siano alternativi a quelli militari e che siano non meno ma piu' efficaci: questi modelli esistono gia', sono quell'insieme di esperienze storiche e di proposte operative che chiamiamo difesa popolare nonviolenta, verso cui occorre orientare al piu' presto la politica della difesa del nostro e di ogni paese.

Poiche' solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe. Gandhi lo colse molto prima di Hiroshima; dopo Hiroshima ogni coscienza illuminata lo sa.

*

Alcune letture particolarmente utili sono le seguenti:

- Guenther Anders, Essere o non essere. Diario di Hiroshima e Nagasaki, Einaudi, Torino 1961 (con in appendice le Tesi sull'eta' atomica);

- Guenther Anders e Claude Eatherly, Il pilota di Hiroshima, ovvero: la coscienza al bando, Einaudi, Torino 1962, Linea d'Ombra, Milano 1992;

- Hannah Arendt, Vita activa, Bompiani, Milano 1964, 1994;

- Ernesto Balducci, Lodovico Grassi, La pace. Realismo di un'utopia, Principato, Milano 1983;

- Norberto Bobbio, Il problema della guerra e le vie della pace, Il Mulino, Bologna 1979, 1984; Il terzo assente, Sonda, Torino-Millano 1989;

- Adriano Buzzati-Traverso, Morte nucleare in Italia, Laterza, Roma-Bari 1982;

- Elias Canetti, Massa e potere, Adelphi, Milano 1981, Bompiani, Milano 1988; La coscienza delle parole, Adelphi, Milano 1984;

- Documenti del processo di don Milani, L'obbedienza non e' piu' una virtu', Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1969 (raccolta di materiali più volte ristampata dallo stesso e da altri editori);

- Theodor Ebert, La difesa popolare nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984;

- Hans Jonas, Il principio responsabilita', Einaudi, Torino 1990, 1993;

- Robert Jungk, Gli apprendisti stregoni, Einaudi, Torino 1958, 1982;

- Domenico Gallo, Dal dovere di obbedienza al diritto di resistenza, Edizioni del Movimento Nonviolento, Perugia 1985;

- Mohandas K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino 1973, 1996;

- Enrico Peyretti, Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, in "La nonviolenza e' in cammino", n. 390 del 20 ottobre 2002;

- Giuliano Pontara, Etica e generazioni future, Laterza, Roma-Bari 1995;

- Arundhati Roy, Guerra e' pace, Guanda, Parma 2002;

- Bertrand Russell, L'autobiografia, 3 voll., Longanesi, Milano 1969, 1971;

- Gene Sharp, Politica dell'azione nonviolenta, 3 voll., Edizioni Gruppo Abele, Torino 1985-1997;

- Edward P. Thompson, Opzione zero, Einaudi, Torino 1983;

- Simone Weil, L'Iliade poema della forza, in Eadem, La Grecia e le intuizioni precristiane, Rusconi, Milano 1974;

- Virginia Woolf, Le tre ghinee, La Tartaruga, Milano 1975, Feltrinelli, Milano 1987.

*

Alcuni film particolarmente interessanti sono i seguenti:

- Stanley Kubrick, Il dottor Stranamore, 1963;

- Akira Kurosawa, Sogni, 1990; Rapsodia d'agosto, 1991;

- Alain Resnais, Hiroshima mon amour, 1959.

*

Alcuni riferimenti particolarmente utili sono i seguenti:

- Centro di ricerca per la pace di Viterbo, e-mail: nbawac at tin.it

- IPPNW, sito: www.ippnw.org

- Movimento Nonviolento, sito: www.nonviolenti.org

- Peacelink, sito: www.peacelink.it

 

6. ANCORA SULL'IMMODIFICABILITA' DELL'ARTICOLO 11 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA E SULLA NECESSITA' DI PERSEGUIRE PENALMENTE AI SENSI DI LEGGE I GOLPISTI E STRAGISTI

 

Poiche' si persiste in un equivoco e una resa sciocchi e pusillanimi sara' utile ripetere una volta di piu' quanto segue.

1. L'articolo 11 della Costituzione fa parte di quei "principi fondamentali" (articoli 1-12) che costituiscono i "valori supremi" in cui si sostanzia e su cui si fonda la Costituzione della Repubblica Italiana.

L'ultimo articolo della Costituzione, il 139, stabilisce che tutta la Costituzione puo' essere modificata secondo le procedure da essa stessa previste, tranne la sua forma repubblicana. La Corte Costituzionale in un memorabile pronunciamento di qualche decennio fa ha fornito l'interpretazione autentica - e quindi inequivocabile e cogente - di quanto disposto dall'articolo 139 Cost. sopra richiamato. Ovvero che della forma repubblicana sono elementi fondanti ed imprescindibili i valori supremi definiti nei principi fondamentali.

Cosicche' l'articolo 11 della Costituzione non e' modificabile se non con un colpo di stato. Ma chi fa un colpo di stato e' un fuorilegge e va perseguito penalmente ai sensi di legge.

2. Il fatto che ripetutamente dal 1991 ad oggi l'articolo 11 della Costituzione sia stato violato da governi, parlamenti e capi dello stato golpisti e stragisti non significa che esso non vale piu', cosi' come il fatto che vengano commessi degli omicidi in Italia non significa che l'articolo del codice penale che punisce l'omicidio sia da considerarsi per questo abolito.

3. Coloro che si arrendono ai golpisti e agli stragisti sono dei vigliacchi e dei complici. Coloro che predicano la rassegnazione all'illegalita' dei potenti sono dei provocatori che, per torpore morale o perche' assoldati dai golpisti stragisti, vogliono renderci tutti favoreggiatori del colpo di stato dei gangster al potere.

4. E' invece dovere morale e civile del movimento per la pace, ma anche di ogni persona di volonta' buona e di ogni cittadino onesto, difendere la vigenza della Costituzione della Repubblica Italiana, difendere lo stato di diritto, la democrazia, la legalita', e denunciare coloro che l'articolo 11 della Costituzione hanno gia' violato e coloro che hanno gia' annunciato di apprestarsi a farlo di nuovo.

Dobbiamo denunciare alle competenti magistrature i golpisti stragisti e chiedere che le forze dell'ordine intervengano per metterli in condizione di non nuocere ed assicurarli all'amministrazione della giustizia.

5. Ovviamente questo non basta; ma il fatto che non basti non ci esime dal farlo: dobbiamo contrastare la guerra e i suoi apparati e i suoi folli e criminali promotori anche con l'azione diretta nonviolenta, anche con la dissobbedienza civile di massa, anche con lo sciopero generale, certamente; ma dobbiamo contrastarli anche in nome della legge, con la forza del diritto stabilito nel nostro ordinamento giuridico, denunciando i golpisti e gli stragisti alla magistratura per i delitti di attentato alla Costituzione e crimini di guerra e contro l'umanita'.

 

7. UNA NOTA SU "LA FAME NEL MONDO SPIEGATA A MIO FOGLIO" DI JEAN ZIEGLER

[Da una nostra scheda su alcuni lavori di Jean Ziegler di qualche anno fa riprendiamo questa nota su uno dei molti buoni libri del grande sociologo e costruttore di pace svizzero. Jean Ziegler, sociologo, docente, parlamentare svizzero, ha denunciato nelle sue opere i rapporti tra capitale finanziario, governi, poteri criminali, neocolonialismo, sfruttamento Nord/Sud. Opere di Jean Ziegler: Una Svizzera al di sopra di ogni sospetto; I vivi e la morte; Le mani sull'Africa; Il come e il perche'; La Svizzera lava piu' bianco; La felicita' di essere svizzeri, La Svizzera, l'oro e i morti; tutte presso Mondadori. La vittoria dei vinti, Sonda; Les seigneurs du crime, Seuil; La fame nel mondo spiegata a mio figlio, Pratiche]

 

Questo nuovo libro dell'illustre sociologo svizzero (Jean Ziegler, La fame nel mondo spiegata a mio figlio, Pratiche Editrice, Milano 1999) con uno stile insieme vivace e commosso analizza il piu' drammatico dei problemi attuali, e dimostra che gli esseri umani che a decine di milioni muoiono ogni anni di fame possono essere salvati, che la fame puo' essere debellata, che questa tragedia non e' una fatalita', ma la conseguenza di un ordine ingiusto, di una rapina e una strage che uomini commettono a danno di altri uomini: di un selvaggio sterminio dei poveri che i ricchi pianificano ed eseguono.

Sollecitato dalle domande di suo figlio Karim, Ziegler a sostegno della sua denuncia allinea con pignoleria dati statistici e fonti documentarie; fornisce spiegazioni rigorose; e rievoca incontri, figure, vicende di cui e' stato diretto testimone; esamina fatti e concetti con la precisione dello studioso che ama la verita' e la passione dell'uomo indignato dinanzi a tanta ingiustizia e violenza.

Riportiamo qualche breve citazione dal libro.

Lo sterminio: "La Fao stima siano state piu' di trenta milioni le persone morte per fame nel 1998. Nello stesso anno le persone che hanno sofferto di denutrizione grave e permanente sono stati piu' di 828 milioni. Si tratta di uomini, donne e bambini che, a causa della penuria di alimenti, hanno subito lesioni irreversibili, e sono condannati a morire in un arco di tempo piu' o meno breve o a vegetare in un grave stato di handicap" (p. 11).

Questa catastrofe non e' fatale: "Il mondo, in base all'attuale stato della capacita' produttiva agricola, potrebbe nutrire senza alcun problema piu' di dodici miliardi di esseri umani... Se la distribuzione degli alimenti fosse equa, tutto il mondo avrebbe da mangiare" (pp. 16-17).

La diagnosi: "Principale responsabile della tragedia della denutrizione e della fame sul nostro pianeta e' la distribuzione ineguale delle ricchezze.

Un'ineguaglianza negativamente dinamica: i ricchi diventano sempre piu' ricchi, i poveri sempre piu' poveri" (p. 129).

Cosa occorre fare: "Affermare l'autonomia dell'economia rispetto alla fame e' un'assurdita' o, peggio ancora, un crimine. Non si puo' delegare al libero mercato la lotta contro il flagello della fame. E' necessario assoggettare tutti i meccanismi dell'economia mondiale a questo fondamentale imperativo: vincere la fame e nutrire adeguatamente tutti gli abitanti del pianeta. Jean-Jacques Rousseau scriveva: "Tra il debole e il forte, e' la liberta' che opprime e la legge che libera". La liberta' totale del mercato e' sinonimo di oppressione, la legge e' la prima garanzia della giustizia sociale. Il mercato mondiale ha bisogno di norme e deve essere soggetto alla volonta' collettiva dei popoli. Lottare contro la massimizzazione del profitto come unico obiettivo dei soggetti che dominano il mercato, e contro l'accettazione passiva delle sue regole, e' un imperativo urgente" (p. 136).

Molti sono i temi esaminati nelle 140 pagine del libro: il potere neocoloniale e le guerre; le ambiguita' e le aporie delle organizzazioni e degli interventi internazionali; la desertificazione ed i "profughi ecologici"; gli esiti disumani dell'ordine economico vigente; pagine di grande efficacia sono quelle sulla "arma alimentare", e quelle sulle bidonville. Un ricordo commosso e' dedicato a Thomas Sankara.

Ziegler formula anche una serie di proposte concrete, di emergenza e strutturali, evidenziandone altresi' ambiguita', limiti e valenze.

Il succo del libro e' nell'invito a non considerare ineluttabile la fame, che e' frutto dell'ingiustizia e della violenza: "nessuna vittima della fame e' una vittima inevitabile".

Il sociologo ginevrino e' netto: "Niente, se non la brutale imbecillita' di un regime strutturato in classi sociali preesistenti alla loro nascita, di ideologie discriminatorie, di privilegi difesi con la violenza, 'giustifica' l'ineguaglianza vissuta dagli esseri umani". E l'ultima risposta del dialogo e' quindi: "Va cambiato l'ordine omicida del mondo".

 

8. UNA DICHIARAZIONE DI SOLIDARIETA' CON GIUSEPPE CASARRUBEA

 

"La verite' est en marche et rien ne l'arretera"

(Emile Zola, Lettre au President de la Republique, apparsa ne "L'aurore", 13 gennaio 1898)

*

Vi e' un filo, nero di lutto, rosso di sangue, che lega in continuita' il regime terrorista fascista e le stragi di stato nell'Italia repubblicana. E uno dei nodi essenziali di questa trama e' Portella della Ginestra.

Tutti coloro che in Italia dal dopoguerra ad oggi si sono occupati di lotta contro i poteri criminali, il regime della corruzione, le stragi di stato, l'economia inquinata e illegale, i poteri occulti e deviati; tutti coloro che hanno provato almeno una volta nella vita il sentimento mirabilmente espresso nell'indimenticabile "romanzo delle stragi" di Pier Paolo Pasolini (quell'articolo del novembre '74 che comincia con: "Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato golpe..."); tutti coloro che hanno avuto una o piu' persone care assassinate dalle organizzazioni criminali; tutti coloro che hanno pianto ed hanno gridato di strazio vedendo straziate le carni e le anime dei buoni e degli infelici molti; tutti sappiamo che Portella della Ginestra e' una delle radici e delle chiavi dell'orrore che tuttora perdura.

Il professor Giuseppe Casarrubea conosce il dolore, di quello strazio e' un testimone.

E Giuseppe Casarrubea e' uno storico: sa che solo con la verita' si rende postuma giustizia alle vittime per quanto ad esse giustizia sia possibile rendere, poiche' le vittime restano vittime e spento ad esse il lume dei giorni nulla piu' e' riparabile, redimibile, risarcibile.

Ma possiamo onorarle, le vittime, rivendicarle come nostri maggiori e nostri compagni; possiamo porci alla loro scuola; e per far questo uno strumento ed uno solo abbiamo: la forza della verita', che e' luce incivilitrice, che e' riscatto degli oppressi, che e' suscitamento dei vivi alle opere buone, all'agire che inveri l'eredita' feconda delle lotte e delle speranze delle vittime, riconoscimento di umanita'.

Giuseppe Casarrubea, testimone e storico, mette a disposizione la sua competenza scientifica e la sua motivazione morale e psicagogica, fa opera di impegno civile. Con i suoi libri e le sue ricerche ha contribuito a tener viva la memoria delle vittime ed a portare avanti l'escavo dei fatti al fine di far emergere dalla roccia del piu' doloroso passato la rosa risplendente della verita'.

*

Che per questa sua attivita' scientifica e civica di promozione della verita' e della giustizia Giuseppe Casarrubea subisca oggi un processo gli fa onore.

Su quel banco degli imputati sono idealmente con lui Danilo Dolci, che gli fu maestro ed amico, e quanti non hanno giammai piegato la testa al barbaro dominio mafioso, al terrorismo, ed al regime della corruzione e delle stragi di stato.

*

Io che scrivo queste righe ignoro perche' un altro cittadino italiano si sia sentito offeso da queste ricerche storiografiche che certo riaprono antiche ferite (ma quelle ferite e' necessario riaprire proprio per contrastare la cancrena che ancora affetta e corrode necrotica il nostro paese e la nostra storia); e non esito a dire che se una persona si sente offesa individualmente o nella sua appartenenza ad un soggetto collettivo, ad essa va espresso il nostro sincero sentimento di dispiacere, e la conferma del convincimento che la dignita' di ogni persona vada sempre rispettata.

Ma non vi e' dubbio che il lavoro di Giuseppe Casarrubea non e' inteso ad offendere, bensi' a far luce affinche' cessi un troppo a lungo protrattosi oltraggio alla storia civile ed alla memoria delle vittime tutte; non vi e' dubbio che il lavoro di Giuseppe Casarrubea e' inteso proprio all'affermazione della dignita' di ogni essere umano: in questo consiste la ricerca storica rettamente intesa e praticata.

Cosicche' al querelante, persona che non conosco, vorrei rivolgere fraterno e rispettoso un invito a recedere dall'azione giudiziaria intentata, come scelta autonoma e generosa, in nome dell'impegno - che deve essere comune e sentito come tale massime da persone che hanno svolto o svolgono tuttora importanti funzioni pubbliche - alla ricerca e promozione della verita' storica, alla promozione della dignita' umana di tutti gli esseri umani, alla promozione del civile convivere e condursi, della legalita' cardine del nostro ordinamento giuridico democratico, dello stato di diritto.

*

Ed a Giuseppe Casarrubea vorrei attestare qui la solidarieta' mia personale e del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo. Piena, profonda, persuasa.

Ed ai lettori di questa dichiarazione vorrei rivolgere un invito ad informarsi ed una volta informatisi a fare altrettanto, inviando una dichiarazione di solidarieta' con il professor Giuseppe Casarrubea. Sia per richiedere informazioni che per attestare solidarieta' si puo' far riferimento all'indirizzo di posta elettronica seguente: icasar at tin.it

*

Come ebbe a scrivere Zola, una volta per sempre e parlando a nome dell'umanita' intera: "la verita' e' in marcia, e niente potra' fermarla".

 

9. CANTATA PER DANILO

 

Giunse Danilo da molto lontano

in questo paese senza speranza

ma la speranza c'era, solo mancava

Danilo per trovarcela nel cuore.

 

Giunse Danilo armato di niente

per vincere i signori potentissimi

ma non cosi' potenti erano poi,

solo occorreva che venisse Danilo.

 

Giunse Danilo e volle essere uno

di noi, come noi, senza apparecchi

ma ci voleva di essere Danilo

per averne la tenacia, che rompe la pietra.

 

Giunse Danilo e le conobbe tutte

le nostre sventure, la fame e la galera.

Ma fu cosi' che Danilo ci raggiunse

e resuscito' in noi la nostra forza.

 

Giunse Danilo inventando cose nuove

che erano quelle che sempre erano nostre:

il digiuno, la pazienza, l'ascolto per consiglio

e dopo la verifica in comune, il comune deliberare e il fare.

 

Giunse Danilo, e piu' non se ne ando'.

Quando mori' resto' con noi per sempre.

 

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ARCHIVI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XIV)

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Numero 117 del 22 febbraio 2013

 

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