Archivi. 113



 

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ARCHIVI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XIV)

Numero 113 del 18 febbraio 2013

 

In questo numero:

1. Alcuni testi del mese di novembre 2002 (parte quarta e conclusiva)

2. Cos'e' questa cosa che chiamiamo nonviolenza

3. Lungo il cammino

4. La scomparsa di John Rawls

5. Da un'epistola di Misone all'amico suo Timandro

6. Della nonviolenza in cammino

7. Dell'avvenuto ritorno della barbarie hitleriana

8. Cinque proposizioni per la giornata del dialogo cristiano-islamico

9. Una lettera aperta a tutti i parlamentari di riflessione sul digiuno di Albino Bizzotto

10. Dopo gli ultimi attentati

 

1. MATERIALI. ALCUNI TESTI DEL MESE DI NOVEMBRE 2002 (PARTE QUARTA E CONCLUSIVA)

 

Riproponiamo qui alcuni testi apparsi sul nostro foglio nel mese di novembre 2002.

 

2. COS'E' QUESTA COSA CHE CHIAMIAMO NONVIOLENZA

 

I. Una premessa terminologica

Scriviamo la parola "nonviolenza" tutta attaccata, come ci ha insegnato Capitini, per distinguerla dalla locuzione "non violenza"; la locuzione "non violenza" significa semplicemente non fare la violenza; la parola "nonviolenza" significa combattere contro la violenza, nel modo piu' limpido e piu' intransigente.

Chiamiamo le persone che si accostano alla nonviolenza "amici della nonviolenza" e non "nonviolenti", perche' nessuno puo' dire di essere "nonviolento", siamo tutti impastati di bene e di male, di luci e di ombre, e' amica della nonviolenza la persona che rigorosamente opponendosi alla violenza cerca di muovere verso altre piu' alte contraddizioni, verso altri piu' umani conflitti, con l'intento di umanizzare l'agire, di riconoscere l'umanita' di tutti.

Con la parola "nonviolenza" traduciamo ed unifichiamo due distinti e intrecciati concetti gandhiani: "ahimsa" e "satyagraha". Sono due parole densissime che hanno un campo semantico vastissimo ed implicano una concettualizzazione ricca e preziosa.

Poiche' qui stiamo cercando di esprimerci sinteticamente diciamo che ahimsa designa l'opposizione alla violenza, e' il contrario della violenza, ovvero la lotta contro la violenza; ma e' anche la conquista dell'armonia, il fermo ristare, consistere nel vero e nel giusto; e' il non nuocere agli altri (ne' con atti ne' con omissioni), e quindi innocenza, l'in-nocenza nel senso forte dell'etimo. Ahimsa infatti si compone del prefisso "a" privativo, che nega quanto segue, e il tema "himsa" che potremmo tradurre con "violenza", ma anche con "sforzo", "squilibrio", "frattura", "rottura dell'armonia", "scissura dell'unita'"; in quanto opposizione alla lacerazione di cio' che deve restare unito, l'ahimsa e' dunque anche ricomposizione della comunita', riconciliazione.

Satyagraha e' termine ancora piu' denso e complesso: tradotto solitamente con la locuzione "forza della verita'" puo' esser tradotto altrettanto correttamente in molti altri modi: accostamento all'essere (o all'Essere, se si preferisce), fedelta' al vero e quindi al buono e al giusto, contatto con l'eterno (ovvero con cio' che non muta, che vale sempre), adesione al bene, amore come forza coesiva, ed in altri modi ancora: e' bella la definizione della nonviolenza che da' Martin Luther King, che e' anche un'eccellente traduzione di satyagraha: "la forza dell'amore"; ed e' bella la definizione di Albert Schweitzer: "rispetto per la vita", che e' anch'essa un'ottima traduzione di satyagraha. Anche satyagraha e' una parola composta: da un primo elemento, "satya", che e' a sua volta derivato dalla decisiva parola-radice "sat", e da "agraha". "Agraha" potremmo tradurla contatto, adesione, forza che unisce, armonia che da' saldezza, vicinanza; e' la forza nel senso del detto "l'unione fa la forza", e' la "forza di attrazione" (cioe' l'amore); e' cio' che unisce in contrapposizione a cio' che disgrega ed annichilisce. "Satya" viene tradotto per solito con "verita'", ed e' traduzione corretta, ma con uguale correttezza si potrebbe tradurre in modi molto diversi, poiche satya e' sostantivazione qualificativa desunta da sat, che designa l'essere, il sommo bene, che e' quindi anche sommo vero, che e' anche (per chi aderisce a fedi religiose) l'Essere, Dio. Come si vede siamo in presenza di un concetto il cui campo di significati e' vastissimo.

Con la sola parola nonviolenza traduciamo insieme, e quindi unifichiamo, ahimsa e satyagraha. Ognun vede come si tratti di un concetto di una complessita' straordinaria, tutto l'opposto delle interpretazioni banalizzanti e caricaturali correnti sulle bocche e nelle menti di chi presume di tutto sapere solo perche' nulla desidera capire.

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II. Ma cosa e' questa nonviolenza? lotta come umanizzazione

La nonviolenza e' lotta come amore, ovvero conflitto, suscitamento e gestione del conflitto, inteso sempre come comunicazione, dialogo, processo di riconoscimento di umanita'. La nonviolenza e' lotta o non e' nulla; essa vive solo nel suo incessante contrapporsi alla violenza.

Ed insieme e' quella specifica, peculiare forma di lotta che vuole non solo vincere, ma con-vincere, vincere insieme (Vinoba conio' il motto, stupendo, "vittoria al mondo"; un motto dei militanti afroamericani dice all'incirca lo stesso: "potere al popolo"); la nonviolenza e' quella specifica forma di lotta il cui fine e' il riconoscimento di umanita' di tutti gli esseri umani: e' lotta di liberazione che include tra i soggetti da liberare gli stessi oppressori contro il cui agire si solleva a combattere.

Essa e' dunque eminentemente responsabilita': rispondere all'appello dell'altro, del volto muto e sofferente dell'altro. E' la responsabilita' di ognuno per l'umanita' intera e per il mondo.

Ed essendo responsabilita' e' anche sempre nonmenzogna: amore della verita' come amore per l'altra persona la cui dignita' di essere senziente e pensante, quindi capace di comprendere, non deve essere violata (e mentire e' violare la dignita' altrui in cio' che tutti abbiamo di piu' caro: la nostra capacita' di capire).

Non e' dunque una ideologia ma un appello, non un dogma ma una prassi.

Ed essendo una prassi, ovvero un agire concreto e processuale, si da' sempre in situazioni e dinamiche dialettiche e contestuali, e giammai in astratto.

Non esiste una nonviolenza meramente teorica, poiche' la teoria nonviolenta e' sempre e solo la riflessione e l'autocoscienza della nonviolenza come prassi. La nonviolenza o e' in cammino, vale da dire lotta nel suo farsi, o semplicemente non e'.

Esistono tante visioni e interpretazioni della nonviolenza quanti sono i movimenti storici e le singole persone che si accostano ad essa e che ad essa accostandosi la fanno vivere, poiche' la nonviolenza vive solo nel conflitto e quindi nelle concrete esperienze e riflessioni delle donne e degli uomini in lotta per l'umanita'.

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III. Tante visioni della nonviolenza quente sono le persone che ad essa si accostano

Ogni persona che alla nonviolenza si accosta da' alla sua tradizione un apporto originale, un contributo creativo, un inveramento nuovo e ulteriore, e cosi' ogni amica e ogni amico della nonviolenza ne da' una interpretazione propria e diversa dalle altre. Lo sapeva bene anche Mohandas Gandhi che defini' le sue esperienze come semplici "esperimenti con la verita'", non dogmi, non procedure definite e routinarie, non ricette preconfezionate, ma esperimenti: ricerca ed apertura.

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IV. La nonviolenza come insieme di insiemi

Io che scrivo queste righe propendo per proporre questa definizione della nonviolenza cosi' come a me pare di intenderla e praticarla: la nonviolenza e' cosa complessa, un insieme di insiemi, aperto e inconcluso.

IV. 1. E' un insieme di concetti e scelte logico-assiologici, ovvero di criteri per l'azione: da questo punto di vista ad esempio la nonviolenza e' quell'insieme di scelte morali che potremmo condensare nella formula del "principio responsabilita'" in cui ha un ruolo cruciale la scelta della coerenza tra i mezzi e i fini (secondo la celebre metafora gandhiana: tra i mezzi e i fini vi e' lo stesso rapporto che c'e' tra il seme e la pianta).

IV. 2. E' un insieme di tecniche interpretative (il riconoscimento dell'altro, ergo il rifiuto del totalitarismo, della cancellazione o della sopraffazione del diverso da se'), deliberative (per prendere le decisioni senza escludere alcuno) ed operative (per l'azione di trasformazione delle relazioni: interpersonali, sociali, politiche); come esempio di tecnica deliberativa nonviolenta potremmo citare il metodo del consenso; come esempio di tecniche operative potremmo citare dallo sciopero a centinaia di altre forme di lotta cui ogni giorno qualcuna se ne aggiunge per la creativita' di chi contro la violenza ovunque si batte.

IV. 3. E' un insieme di strategie: e ad esempio una di esse risorse strategiche consiste nell'interpretazione del potere come sempre retto da due pilastri: la forza e il consenso; dal che deriva che si puo' sempre negare il consenso e cosi', attraverso la noncollaborazione, contrastare anche il potere piu' forte.

IV. 4. E' un insieme di progettualita' (di convivenza, sociali, politiche): significativo ad esempio e' il concetto capitiniano di "omnicrazia", ovvero: il potere di tutti. La nonviolenza come potere di tutti, concetto di una ricchezza e complessita' straordinarie, dalle decisive conseguenze sul nostro agire.

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V. Un'insistenza

Insistiamo su questo concetto della nonviolenza come insieme di insiemi, poiche' spesso molti equivoci nascono proprio da una visione riduzionista e stereotipata; ad esempio, e' certo sempre buona cosa fare uso di tecniche nonviolente anziche' di tecniche violente, ma il mero uso di tecniche nonviolente non basta a qualificare come nonviolenta un'azione o una proposta: anche i nazisti prima della presa del potere fecero uso anche di tecniche nonviolente.

Un insieme di insiemi, complesso ed aperto.

Un agire concreto e sperimentale e non un'ideologia sistematica e astratta.

Un portare ed agire il conflitto come prassi di umanizzazione, di riconoscimento e liberazione dell'umanita' di tutti gli esseri umani; come responsabilita' verso tutte le creature.

La nonviolenza e' in cammino. La nonviolenza e' questo cammino. Il cammino vieppiu' autocosciente dell'umanita' sofferente in lotta per il riconoscimento di tutti i diritti umani a tutti gli esseri umani.

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VI. Una grande esperienza e speranza storica

Non patrimonio di pochi, la nonviolenza si e' incarnata in grandi esperienze e speranze storiche, due sopra tutte: la Resistenza, e il movimento delle donne; ed e' il movimento delle donne, la prassi nonviolenta del movimento delle donne, la decisiva soggettivita'  autocosciente portatrice di speranza e futuro qui e adesso, in un mondo sempre piu' minacciato dalla catastrofe e dall'annichilimento della civilta' umana.

 

3. LUNGO IL CAMMINO

 

Per narcisismo o per disperazione

si lotta un giorno o forse per dieci anni

ma quella lotta non arriva all'orlo

del pozzo e non ne trae l'acqua per tutti.

 

Spinti dall'ira e spinti dallo studio

molte gesta si compiono, le grandi

gesta si compiono, ma non si apre

via alla salvezza, di tutti, per tutti.

 

Altro bisogna, e quell'altro e' l'amore

che scava pozzi e costruisce strade

alla sete, all'andare di tutti

verso quel luogo che e' il luogo ove tutti

abbiano il loro luogo, e il buon cammino

e il sorso d'acqua e la gioia dell'ombra.

 

4. LA SCOMPARSA DI JOHN RAWLS

 

Nessuno di noi ha potuto non fare i conti con John Rawls e col suo capolavoro, Una teoria della giustizia, il libro del '71 da noi arrivato molti anni dopo, ma che subito si impose come un'occasione di confronto non eludibile.

La notizia della scomparsa di Rawls e' un dolore grande. La sua morte ci priva tutti di un interlocutore insostituibile.

 

5. DA UN'EPISTOLA DI MISONE ALL'AMICO SUO TIMANDRO

 

Carissimo Timandro,

sono di quelli che negli anni '70 si batterono contro il fatto che il movimento giovanile di allora, la nuova sinistra che presto' invecchio', si lasciasse trascinare alla violenza e nella violenza travolgere; io e quelli come me non venimmo ascoltati allora, e purtroppo i frutti di quella scellerata sottovalutazione del fatto che la violenza e' sempre nostra nemica furono quelli che chiunque ha la mia eta' ricorda con un dolore inestinguibile: tante persone furono uccise (e troppi troppo a lungo acclamarono le stragi o ne giustificarono gli esecutori, contribuendo cosi' a che nuove stragi avvenissero).

Oggi vedo commettere lo stesso errore che trent'anni fa porto' a quegli esiti tragici: un movimento di giovani generosi che viene trascinato da alcuni ciarlatani e mascalzoni verso la sottovalutazione del fatto che alla violenza bisogna opporsi sempre; e questa sottovalutazione e' gia' una sciagurata giustificazione della violenza, e quindi una effettiva complicita' con la violenza, oscenamente glorificata come strumento di lotta politica.

A qualcuno sembra cosi' strano che io ne provi ripugnanza, che ne sia angosciato, e che senta il dovere di oppormi con tutte le mie forze a questa pericolosissima follia che puo' portare a conseguenze orribili?

E qualcuno e' cosi' ipocrita da poter sostenere di non essersi accorto che nel "movimento dei movimenti" gia' troppo si e' stati complici con chi predica e pratica la violenza?

*

Aver tollerato, e peggio: permesso e avallato, le violenze del "blocco blu" a Praga due anni fa (avallato poiche' si arrivo' addirittura a una sorta di ignobile divisione dei ruoli nell'organizzazione stessa delle iniziative) fu o non fu un crimine e una follia? Molte persone come conseguenza degli scontri furono ferite e subirono poi crudeli violenze da parte di appartenenti alle forze dell'ordine sadici.

Aver scelleratamente per mesi e mesi cianciato di "dichiarazioni di guerra" ed aver continuato fino al disastro a propugnare l'idea demente e suicida dell'invasione della "zona rossa" a Genova, ha contribuito o no allo scatenamento della violenza da parte dei settori sadici e nazisti delle forze dell'ordine?

La vicenda dell'assalto al furgone dei carabinieri e il tentativo di linciaggio dei ragazzi che vi erano dentro ha contribuito o no a provocare la morte del povero Carlo Giuliani?

E dopo la morte di un ragazzo, dopo gli orrori della Diaz e di Bolzaneto, cosa deve pensare una persona non obnubilata di una leadership che cianciava insensatamente di una "vittoria" del movimento? Una vittoria? Una catastrofe con un morto e innumerevoli feriti e torturati e' una vittoria? Alla base di un'affermazione simile c'e' una cultura militarista che disprezza la vita e l'incolumita' delle persone.

E passando ad altri episodi grotteschi e inquietanti: spedire pallottole a un ministro e' ammissibile? Minacciare ceffoni a dei deputati se partecipano ad una manifestazione pacifica e' ammissibile? Andare alle manifestazioni mascherati e' ammissibile? Andare alle manifestazioni armati (e sia pure di armi improprie raccattate sul posto) e' ammissibile? Partecipare alle manifestazioni con l'esplicito obiettivo di provocare uno scontro fisico, addirittura preparando e portando l'attrezzatura utilizzabile a questo fine, e' ammissibile? Correre il rischio di far ferire o peggio uccidere delle persone per conquistare un po' di spazio sui mass-media e' ammissibile? A me sembra di no. A qualcuno pare di si'?

Le violenze di cui e' stata testimone e vittima Ipazia, sono ammissibili? A me sembra di no. A qualcuno pare di si'?

Lo dico chiaro: io non sono disposto a stare a cavillare su queste cose: chi giustifica gli squadristi e' complice degli squadristi.

Lo ho imparato da due maestri grandi che ho avuto e che sono ormai scomparsi da molti anni ma che non ho dimenticato: Primo Levi e  Vittorio Emanuele Giuntella, entrambi superstiti dei lager nazisti: da loro ho imparato che alla violenza bisogna opporsi sempre.

*

Concludo: credimi, Timandro, mi pare che troppi eludano il nocciolo della questione che pongo, e questo eludere il nocciolo della questione e' una cosa che trovo gravissima nella condotta di molti, di troppi, in questi giorni.

E il nocciolo della questione che ho posto (e che e' di fondo; qui non stiamo affatto parlando dell'inchiesta cosentina, ma di scelte di principio) e' il seguente: se ci si vuole impegnare per la pace e per la giustizia non si puo' essere complici della violenza e dei violenti.

Dal mio punto di vista e' una cosa semplice ed ineludibile: non ci si puo' girare intorno, o si fa una scelta o si fa quella contraria; non scegliere significa aver scelto di essere complici della violenza.

Dico di piu': mi era parso di capire che la Rete di Lilliput pur con tutte le sue possibili confusioni non solo voleva impegnarsi per la pace e la giustizia, ma voleva anche fare riferimento alla nonviolenza. Vorrei che qualcuno mi spiegasse come fa a conciliare la dichiarazione di avere la nonviolenza come punto di riferimento e poi essere indulgente, e quindi complice, con la propaganda e l'uso della violenza.

Non dico che tutti devono condividere il punto di vista degli amici della nonviolenza, dico piu' semplicemente che non si puo' essere contemporaneamente una cosa e il suo contrario.

Del resto non e' neppure necessario essere amici della nonviolenza per opporsi alla violenza; opporsi alla violenza dovrebbe essere l'atteggiamento naturale e spontaneo di tutte le persone ragionevoli e non prepotenti.

*

A Ipazia, cui invio questa lettera per opportuna conoscenza, esprimo tutta la mia solidarieta' e profondo il mio affetto; come don Milani non ho esitazioni a scegliere con chi schierarmi tra chi fa il picchiatore e chi viene picchiato. Mi sorprende che molti altri che pur dicono di volersi impegnare per la pace e la giustizia non abbiano il pudore di fare una scelta: se vogliono impegnarsi per la pace e la giustizia la smettano di essere complici degli squadristi; se vogliono essere complici degli squadristi la smettano di spacciarsi per amici della pace e della giustizia.

*

Ti prego, Timandro, mandami due righe di risposta in ogni caso, ci conto.

E se nella fretta con cui ho scritto questa lettera ci dovesse essere qualche espressione che ti e' parsa troppo brusca te ne chiedo scusa. Non amo le espressioni gridate, ma poiche' mi par di vedere che tante brave ed ingenue persone per mancanza di esperienza e perche' sedotte e ingannate da vecchi marpioni in carriera stiano venendo trascinate nel baratro che comincia con l'acquiescenza nei confronti della violenza e puo' finire nella follia e nell'orrore, non essendo abbastanza vicino ad ognuna di esse da poterle afferrare e trattenere come il catcher in the rye di Salinger, mi pare necessario dar loro una voce, lanciar loro un grido di avviso, sperando che possa servire a qualcosa.

Vorrei poter contare sul fatto che tutti gli amici della Rete di Llliput si impegnassero per lo stesso fine, nelle forme e nei toni che ciascuno riterra' piu' adeguati. Se vogliamo essere costruttori di pace e di giustizia dobbiamo essere intransigenti e limpidi nella lotta contro la violenza e la menzogna, di cui l'ipocrisia e l'indifferenza sono altre forme appena camuffate.

Con amicizia, un abbraccio,

Misone

 

6. DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

 

Le cose difficili diventano facili.

La strada lunghissima, a ogni passo

diventa piu' corta. Tu

migliori ogni volta che fai la cosa giusta.

 

La nonviolenza e' questo cammino.

Che invece di stancarti ti fortifica.

 

7. DELL'AVVENUTO RITORNO DELLA BARBARIE HITLERIANA

 

I campi di concentramento, denominati ipocritamente con la sigla Cpt, in cui sono detenuti esseri umani che non hanno commesso alcun reato, che il precedente governo ha restaurato in Italia e che il governo attuale ha apprezzato al punto di redigere e varare una legge che quel disumano razzismo amplifica fino al grottesco, costituiscono una barbarie che lede la dignita', i diritti, la vita di tutti nel nostro paese.

La crudele condizione fatta a persone qui giunte in fuga dalla fame, dalle guerre e dalla morte, vulnera la dignita' non solo di noi esseri umani, ma della nostra civile convivenza, delle nostre istituzioni democratiche, dei fondamenti dello stato di diritto.

La Costituzione della Repubblica Italiana a tutti gli esseri umani che nel loro paese d'origine non vedono riconosciuti i diritti che il nostro paese a tutti i cittadini accorda, riconosce a tutti il diritto di venire a vivere qui, e a tutti offre la sua protezione.

Il governo precedente e quello attuale, e il parlamento precedente e quello attuale, ed il presidente della repubblica di allora e di oggi, avendo permesso il sorgere dei campi di concentramento ed avendo dato alla luce una legislazione disumana, si sono macchiati di un crimine contro l'umanita', ed hanno commesso flagrante il reato di alto tradimento nei confronti della Costituzione cui pure hanno tutti giurato fedelta'.

Questo e' quel che pensiamo, questo e' quel che diciamo da anni.

Per questo chiediamo che i cosiddetti "Centri di permanenza temporanea", effettuali campi di concentramento, siano al piu' presto aboliti, e con essi siano abolite le norme di legge che infrangono in modo flagrante ed infame quanto disposto dall'articolo 10 della Costituzione italiana e tutti i fondamentali diritti umani.

 

8. CINQUE PROPOSIZIONI PER LA GIORNATA DEL DIALOGO CRISTIANO-ISLAMICO

 

1. Noi non credenti interpellati da Mose'

Le religioni ci convocano al sentimento della comune umanita', cosi' come anche le altre grandi tradizioni che, con una certa approssimazione, vengono definite "laiche", e tra esse quella visione del mondo che viene chiamata "materialistica" ed alla quale persuaso da Lucrezio, Diderot e Leopardi io che qui parlo mi sento di dare il mio consentimento.

Anche chi come me non ha sentito o colto la chiamata ad una fede religiosa, e tra le sue molte e varie convinzioni ovvero credenze non ha quella in un Dio personale, sempre si e' sentito interrogato, convocato, coinvolto particolarmente dalla fede e dalla proposta di Mose', che incessantemente torna a dirmi e chiedermi qualcosa che sento ineffabile e necessario, qualcosa di ineludibile - che afferisce all'esistenza, che afferisce al linguaggio, che afferisce a ogni fibra dell'essere mio e del mondo -. Ed interrogato, convocato, coinvolto mi sento dunque anche da tutte le tre  grandi religioni del Libro, come da altre.

L'ebraismo, il cristianesimo, l'islam, sono tradizioni che mi riguardano; ed ogni religione, in quanto asserzione ed evocazione e speranza di una "religio", di un legame tra gli esseri umani e tra essi ed il mondo, mi riguarda. Ci riguarda oserei dire tutte e tutti.

E cosi' in questa giornata del dialogo cristiano-islamico, intesa come convivio delle culture, convivenza dell'umanita' nelle sue diverse articolazioni culturali e nella sua sostanziale unita', sento di essere anch'io convocato all'incontro, al dialogo, che e' logos condiviso, e che e' sempre dialogo tra diversi ed affini che si riconoscono tali e riconoscendosi diversi si riconoscono anche un'umanita' comune: uguaglianza e diversita' in un sinolo che di ambedue gli elementi ha bisogno per essere autentico e non alienato, e non oppressivo, fraterno e sororale.

Ed insieme questo dialogo e' ascolto, ascolto dell'altro, e se e' ascolto sincero dell'altro esso e' quell'ascolto dell'altro che e' anche nel suo stesso darsi ascolto un farsi risposta, responsabilita': come ci hanno insegnato tra altre maestre e maestri grandi Simone Weil, Hannah Arendt, Emmanuel Levinas e Hans Jonas.

*

2. Noi figli delle figlie degli uomini (ovvero figli di Virginia Woolf)

Ed in questo dialogo, in questo incontro, in questo convivio, forte e alto c'e' il sentire la nostra comune umanita' di nati di donna.

E il nostro ascolto del discorso prezioso delle donne che a me maschio insegnano cose nuove e grandi, ed insieme "antiche come le montagne", e mi e ci convocano all'impegno di liberazione del nostro agire ma anche del nostro sentire e pensare (anche il sentire e pensare la metafisica, anche il sentire e pensare l'ontologia) dalle oppressive e violente e alienanti strutture concrete (storiche e politiche, sociali e culturali, ideologiche e mentali) dell'oppressione di genere; e dal cupo e feroce disconoscimento e denegazione della differenza sessuale, differenza sessuale che e' consustanziale al nostro essere esseri umani, e la cui rimozione e pretesa cancellazione ci dimidia e disquatra tutte e tutti, e' negazione di umanita' e brutale incrudire sull'altro e sull'altra ed infine ed insieme su se medesimi.

Nel convivio delle differenze la cultura delle donne, il pensiero della differenza sessuale, recano bella e splendente una ricchezza preziosa per tutte e per tutti.

Che questa giornata sia anche la giornata di questo incontro e di questa agnizione. Sia anche giornata di impegno a contrastare le strutture dell'oppressione patriarcale e maschilista che maculano e distorcono ancora fino al crimine e alla follia tante esperienze che pure alle tradizioni piu' alte dell'umanita' in cammino dichiarano di rifarsi in fedelta' e adempimento.

Questo impegno contro l'oppressione patriarcale e maschilista che in quanto maschio io stesso sento di recare entro me e di dover entro me stesso combattere, credo vada elaborato ed espresso ed agito nell'ordine sociale e fin in quello giuridico, ma anche e innanzitutto nell'ordine simbolico e del linguaggio, e non vi e' dubbio che nel nesso linguaggio-cultura, e linguaggio-scritture (ed esegesi) per quanto decisivamente afferisce alle religioni, si appalesi come per molti versi effettualmente il linguaggio sia quella "casa dell'essere" di cui diceva un pensatore che fu forse uno dei nascosti e grandi teologi laici del Novecento, e scrisse cose di gran lunga piu' elevate della sua rovinosa empirica condotta quando - per dirla con fratel Jacopone da Todi - giunse al paragone.

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3. "E' meglio essere in due che uno solo" (Qohelet, 4, 9)

Qui di Giobbe e di Qohelet e del Cantico dei Cantici avrei voluto dire, ma bastera' questo: e' meglio essere in due che uno solo.

L'essere insieme, il convivere, e' la nostra scelta, il compito nostro, la via  e l'oasi.

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4. Sul digiuno come esistenza e come figura, come resistenza e come ripetizione

Disvela il digiuno il nostro consistere di esistenti, connotati dall'ex-sistere, l'essere-fuori, l'essere-esposti; ed il nostro consistere quindi di carenza e di scarsita', di assenza in presenza, di bisogno di cura.

Il digiuno e' testimonianza: interrogazione radicale e volto nudo, domanda d'aiuto che aiuta ad aiutare.

Ma dunque anche rivolgimento amoroso e suscitamente ed offerta del gesto soccorrevole (ugualmente soccorrevoli il chiedere e il dare, l'uno all'altro in circolo rinviando, insieme costruendo linguaggio e figura ed incontro e riconoscimento di umanita').

Figura altresi' del dono e del gratuito. Gesto che allude a un'umanita' fraterna e sororale, liberante e liberata: quella "internazionale futura umanita'" gia' compresente ogni volta che tu, proprio tu, compi l'azione giusta, fai la cosa buona.

Apertura e ricerca, condivisione.

E accostamento all'insegnamento che reca la nozione di processo chenotico, e apprensione meravigliata e meravigliosa di quanto narrato da quei concetti densissimi di shekhina' e di tzintzum.

Ma anche, e ancora: resistenza all'inumano, e dell'umano ripetizione: nuova richiesta, nuova esperienza, nuova restituzione, e speranza - e speranza contro speranza - ancora.

*

5. Shalom - Salaam

Che la pace sia su tutti: da tutte e tutti, a tutte e tutti e per tutte e tutti; quel tutti che, diceva Capitini, e' il plurale di tu.

Che la pace venga come benedizione ed opera, riposo ed agire, contemplazione e cammino, frutto e sogno, che adempie, convoca, e' via che apre vie alla nostra comune ricerca di senso e di felicita' condivisa.

La pace e' l'incontro.

L'incontro e' festa.

La festa e' riconoscimento di umanita'.

Ha scritto Umberto Saba, il poeta dal nome di nutrice e dalla poesia buona e fragrante come pane: "Esser uomo tra gli umani / io non so piu' dolce cosa". In queste ore venendo dal digiuno, in queste ore muovendo verso la condivisione del pane frutto della benignita' della natura e del lavoro umano, a tutte e tutti giunga, sorelle e fratelli, un saluto di pace.

 

9. UNA LETTERA APERTA A TUTTI I PARLAMENTARI DI RIFLESSIONE SUL DIGIUNO DI ALBINO BIZZOTTO

 

Un digiuno che ci e vi interpella

- a inverare e finanziare l'impegno per legge assunto da anni e fin qui totalmente disatteso per la difesa popolare nonviolenta;

- a costruire una legge finanziaria che promuova pace e diritti anziche' gli apparati e le scelte di guerra e di morte.

Egregi signori,

vorremmo segnalarvi un'iniziativa dalla quale ci sentiamo interpellati.

Don Albino Bizzotto, il sacerdote cattolico infaticabile animatore di tante iniziative nonviolente di solidarieta' e per la pace, e' da nove giorni impegnato in un digiuno, essendovi subentrato al posto di padre Angelo Cavagna, altra luminosa figura di operatore di pace e di riconciliazione, che per tre settimane si era astenuto dagli alimenti.

Don Albino, animatore dell'esperienza nonviolenta dei "Beati i costruttori di pace", padre Angelo Cavagna, presidente dell'associazione umanitaria di volontariato Gavci, e con loro tante e tanti che hanno preso parte per periodi di tempo piu' limitati a questo digiuno, testimoniano cosi' l'esigenza che si dia esecuzione all'impegno assunto gia' da anni dalla legislazione italiana di sperimentare e promuovere la difesa popolare nonviolenta come alternativa alla guerra (legge 8 luglio 1998, n. 230, articolo 8, comma secondo, lettera e); e che si scelga gia' dalla legge finanziaria in questo periodo all'esame del parlamento di finanziare piuttosto la pace e i diritti anziche' gli apparati e le scelte di guerra e di morte.

Anche noi ci associamo a questa speranza, alla segnalazione di questa esigenza.

E vorremmo chiedere anche a voi una riflessione in merito.

E' nelle mani del parlamento decidere se finanziare ed avviare l'esperienza e la prospettiva della difesa popolare nonviolenta.

E' nelle mani del parlamento decidere se finanziare la pace e i diritti umani anziche' gli apparati di guerra.

Il digiuno di tante persone a noi care e' una testimonianza. Voi avete il potere di prendere una decisione. Possiate essere saggi.

 

10. DOPO GLI ULTIMI ATTENTATI

 

Ogni notte leggo le lettere dei miei amici nonviolenti dell'Operazione Colomba dalla Palestina: dicono le vessazioni, le umiliazioni, le uccisioni di cui e' vittima il popolo palestinese, di cui sono testimoni lucidi e limpidi, impotenti e straziati, sguardo e voce addolorati. E piango.

Ogni volta che sento la radio aspetto di essere trafitto dalla notizia di altri attentati terroristici, e so che i miei amici in Israele ogni giorno che loro e i loro cari escono da casa si chiedono se torneranno piu'; e mi diceva un amico di quel genitore che fa andare a scuola i suoi due bambini con due autobus diversi nel terrore che un attentato gliene uccida uno e nella disperata speranza che mandandoli su due autobus distinti almeno uno dei suoi figlioletti gli resti in vita.

Ed ogni giorno tremo per i miei amici palestinesi, per i miei amici israeliani, per i miei amici dell'una e dell'altra diaspora, quella di duemila anni e quella da meno di un secolo.

E vedo montare di nuovo furioso anche qui in Italia un duplice feroce razzismo: l'odio e il disprezzo del bianco europeo per l'arabo, per il musulmano, per la donna e per l'uomo del sud del mondo; e l'odio antisemita, il pregiudizio e la persecuzione antiebraica.

Cosi' non sono disposto ad ammettere le mezze verita' ipocrite ed i giustificazionismi infami della violenza.

Chi non piange per le vittime degli attentati antisraeliani ed antiebraici, cosi' come chi non piange per le vittime palestinesi dell'occupazione e delle rappresaglie, allo stesso modo, senza esitazioni e senza distinguo, non voglio neppure sentirlo parlare.

Poiche' quel che e' indispensabile e' spezzare la catena della violenza, la spirale del terrore, la violenza che altra violenza genera. E per questo

occorre essere a un tempo solidali col popolo di Palestina e col popolo di Israele, e con le due diaspore, quella ebraica per la quale Israele ha un

valore grande e incontestabile, e quella palestinese per la quale la nascita dello stato di Palestina ha un valore ugualmente grande e incontestabile.

Israele va verso decisive elezioni politiche: occorre che il governo criminale di Sharon le perda. Lo dico con chiarezza: occorre aiutare il candidato laburista a sconfiggere Sharon alle elezioni.

A sua volta l'Autorita' nazionale palestinese ha preso impegno ad un rinnovamento, estensione e consolidamento democratico nelle sue rappresentanze istituzionali, occorre che cio' vi sia, e favorisca la fine di ambiguita' e processi autoritari e degenerativi che pure abbiamo visto esservi.

Ma perche' vinca "il fronte della coscienza" (Martin Luther King) sia in Israele che in Palestina, perche' vincano le donne e gli uomini che vogliono la pace, la giustizia e la riconciliazione in ambedue i paesi, occorre che tutti, e dico tutti, a partire dal pover'uomo senza potere che sono io, facciamo quanto e' in nostro potere per aiutarli.

E facciamo quanto e' in nostro potere per combattere contro il razzismo antiarabo e contro il razzismo antiebraico, contro tutti i razzismi; facciamo quanto e' in nostro potere per combattere contro tutti i terrorismi, siano essi di singoli, di gruppi, di stato; facciamo quanto e' in nostro potere per sostenere il campo della pace in Palestina ed in Israele.

Se qualcuno pensasse di poter aiutare il popolo palestinese senza aiutare il popolo di Israele, diciamogli che e' un imbecille e un mascalzone, ed invitiamolo a ravvedersi poiche' con la condotta sua aiuta la guerra e il terrore.

Se qualcuno pensasse di poter aiutare il popolo israeliano senza aiutare il popolo di Palestina, diciamogli che e' un imbecille e un mascalzone, ed invitiamolo a ravvedersi poiche' con la condotta sua aiuta la guerra e il terrore.

Ogni solidarieta' unilaterale non e' una mezza solidarieta', e' una complcita' intera con gli assassini di una parte e dell'altra.

O con la forza della nonviolenza la pace vince in Medio Oriente, o il mondo intero e' condannato alla catastrofe.

 

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ARCHIVI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XIV)

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Numero 113 del 18 febbraio 2013

 

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