Voci e volti della nonviolenza. 466



 

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"

Numero 466 dell'8 dicembre 2011

 

In questo numero:

1. Giulio Vittorangeli: Una campagna per il congelamento del debito italiano

2. Giulio Vittorangeli: Il tonno antisindacale e il lavoro semischiavo

3. Giulio Vittorangeli: Una storiella di ordinario razzismo

4. Giulio Vittorangeli: La contraddizione tra capitale e natura

5. Giulio Vittorangeli: La speranza sorretta da una forte dose di utopia

 

1. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: UNA CAMPAGNA PER IL CONGELAMENTO DEL DEBITO ITALIANO

[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per questo intervento.

Giulio Vittorangeli, nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da sempre nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di condotta impareggiabili; e' il responsabile dell'Associazione Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta' concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre 1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara, la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo, Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996; Donne in America latina, Celleno, luglio 1997; Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria, una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno, luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio 2001; La cultura del nuovo impero: l'uomo a dimensione di merce, Celleno, luglio 2002; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003; America Latina: l'alternativa al neoliberismo, Viterbo, aprile 2004; Mulukuku: un progetto di salute mentale in Nicaragua, Viterbo, novembre 2010. Ha coordinando il Gruppo di approfondimento "Vivere nel nord  impegnati nel sud", all'interno del Convegno "Vivere e amare attraverso le contraddizioni", promosso dall'Associazione Ore Undici, e svolto a Trevi nell'Umbria (Pg), 25-30 agosto 2001. Ha partecipato alla trasmissione di "Rai Utile", del 24 gennaio 2006, dal titolo "America Latina e' sviluppo". Ha contribuito alla realizzazione, stesura, pubblicazione e presentazione di tre libri: Que linda Nicaragua!, Associazione Italia Nicaragua, Fratelli Frilli editori, Genova 2005; Nicaraguita, la utopia de la ternura, Terra Nuova, Managua, Nicaragua, 2007; Nicaragua. Noi donne le invisibili, Associazione Italia-Nicaragua di Viterbo, Davide Ghaleb editore, Vetralla 2009. Per anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha cessato le pubblicazioni nel 1997). Attualmente cura il notiziario "Quelli che solidarieta'"]

 

Il capitalismo, che si pretende il migliore sistema possibile, sta implodendo nei suoi insuccessi. Certe illusioni, come quella della mano invisibile del mercato, ci hanno spinto in un ginepraio dal quale non si riesce a tirarsi fuori. Crisi della globalizzazione neoliberista, privatizzazione dell'economia, e quanto altro, sono lo scenario in cui si consuma l'ennesimo scontro, su scala mondiale, capitale-lavoro.

Un lavoro frantumato dalla globalizzazione in cui il capitale e' libero di agire senza alcun controllo politico, con i diritti sociali ridotti al lumicino per l'inadeguatezza dei sindacati rispetto a una sfida, appunto, globale.

Un capitalismo nel quale il lavoro e' una variabile dipendente dal capitale. Al quale tutto e' consentito, mentre per i lavoratori ci sono solo imposizioni: bassi salari ed elevata produttivita' legata non all'innovazione, ma alla flessibilita' a oltranza. Cosi' aumenta la concorrenza al ribasso tra lavoratori. E' il modello delle maquiladoras centroamericane, dove gli operai, in grande maggioranza donne, percepiscono salari bassissimi e senza alcuna tutela, modello che anima i sogni di Marchionne sulle sponde di casa nostra. Come dire: eventuale ripresa (se mai ci sara') senza occupazione, e lavoro senza regole per chi ce l'ha.

Tutto questo influisce negativamente sulla nostra societa'. I rischi di decomposizione del tessuto sociale sono in condizione avanzata, presenti e manifesti. Molti strati sociali vivono un profondo cambiamento, che porta verso la solitudine, l'individualismo, l'egoismo. Condizioni che derivano dalla preoccupazione e dalla paura che vi e' tra le persone, oltre che da una caduta della solidarieta' e dei valori che stanno alla base della nostra idea di democrazia e di giustizia sociale. Le solite ricette neoliberiste proposte per uscire dalla crisi non fanno altro che aggravare l'intera situazione.

Fra le controproposte avanzate per uscire dalla crisi, ci sembra di particolare interesse la campagna lanciata dal Centro Nuovo Modello di Sviluppo per il congelamento del debito italiano.

"Continuano a farci credere che per uscire dal debito dobbiamo accettare manovre lacrime e sangue che ci impoveriscono e demoliscono i nostri diritti. Non e' vero. La politica delle manovre sulle spalle dei deboli e' voluta dalle autorita' monetarie europee come risultato della speculazione. Ma e' intollerabile che lo Stato si adegui ai ricatti del mercato: la sovranita' appartiene al popolo, non al mercato!

Esiste un'altra via d'uscita dal debito. E' la via del congelamento e se la condividi ti invitiamo a firmare e a diffondere questo documento, affinche' si crei una grande onda che dica basta alle continue manovre che distruggono il tessuto sociale. Il problema del debito va risolto alla radice riducendone la portata.

Non e' vero che tutto il debito va ripagato, il popolo ha l'obbligo di restituire solo quella parte che e' stato utilizzata per il bene comune e solo se sono stati pagati tassi di interesse accettabili.

Tutto il resto, dovuto a ruberie, sprechi, corruzione, e' illegittimo e immorale, come hanno sempre sostenuto i popoli del Sud del mondo. Per questo chiediamo un'immediata sospensione del pagamento di interessi e capitale, con contemporanea creazione di un'autorevole commissione d'inchiesta che faccia luce sulla formazione del debito e sulla legittimita' di tutte le sue componenti.

Le operazioni che dovessero risultare illegittime, per modalita' di decisione o per pagamento di tassi di interesse iniqui, saranno denunciate e ripudiate come gia' e' avvenuto in altri paesi.

La sospensione sara' relativa alla parte di debito posseduto dai grandi investitori istituzionali (banche, assicurazioni e fondi di investimento sia italiani che stranieri) che detengono oltre l'80% del suo valore.

I piccoli risparmiatori vanno esclusi per non compromettere la loro sicurezza di vita.

Contemporaneamente va aperto un serio e ampio dibattito pubblico sulle strade da intraprendere per garantire la stabilita' finanziaria del paese secondo criteri di equita' e giustizia.

Almeno cinque proposte ci sembrano irrinunciabili:

1) riforma fiscale basata su criteri di tassazione marcatamente progressiva;

2) cancellazione dei privilegi fiscali e seria lotta a ogni forma di evasione fiscale;

3) eliminazione degli sprechi e dei privilegi di tutte le caste: politici, alti funzionari, dirigenti di societa';

4) riduzione delle spese militari alle sole esigenze di difesa del paese e ritiro da tutte le missioni neocoloniali;

5) abbandono delle grandi opere faraoniche orientando gli investimenti al risanamento dei territori, al potenziamento delle infrastrutture e dell'economia locali, al miglioramento dei servizi sociali col coinvolgimento delle comunita'.

Attorno a queste poche, ma concrete rivendicazioni, e' importante avviare un dibattito quanto piu' ampio possibile, partecipando al forum appositamente costituito all'indirizzo www.cnms.it/forum".

 

2. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: IL TONNO ANTISINDACALE E IL LAVORO SEMISCHIAVO

[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per questo intervento]

 

La crisi economica, politica e sociale, che sta scuotendo alle radici la societa' e le fondamenta della stessa democrazia italiana, ha portato tra i tanti effetti negativi alla ulteriore provincializzazione, come se guardare al resto del mondo fosse diventato un lusso.

Tutto e' concentrato su quanto avviene nel mondo finanziario del cosiddetto Primo Mondo, Stati Uniti ed Europa in particolare; il resto e' come se non esistesse.

Dismessa ogni analisi sul conflitto capitale-lavoro (con il ritorno a rapporti di produzione ottocenteschi), sul conflitto guerra-pace (l'accettazione sempre e comunque della inevitabilita' della guerra), sul rapporto uomo-donna (e' pensabile oggi un mutamento del rapporto tra i sessi che prescinda dalla prospettiva di un'altra forma di sviluppo e di societa'?), abbiamo smarrito anche la capacita' della solidarieta' concreta con chi ancora tenacemente lotta contro l'oppressione. La lotta genera speranza. Se la lotta muore, la speranza muore. Se c'e' la lotta, c'e' speranza.

Invece noi ci siamo abituati, nella migliore delle ipotesi, a ragionare contro, come quei tifosi che non inneggiano piu' alla loro squadra, ma passano novanta minuti a insultare gli avversari.

Al massimo siamo capaci di dare i voti, per dirla con le parole di Rossana Rossanda: "Ieri sulla Tunisia, oggi sulla Libia, domani magari sulla Siria diamo i voti a chi sia il peggio: Gheddafi o la Nato?".

Pero' a questa afasia, a questo mare di cinismo, non dobbiamo rassegnarci, recuperando in primo luogo l'indignazione e poi la rabbia contro le sopraffazioni, minute, quotidiane, quelle che tolgono il respiro a vedere come gli ultimi, i senza potere, vengono cancellati, esclusi ogni giorno dal nostro mondo.

Segnaliamo, fra le tante dolorose vicende a livello internazionale che richiedono la nostra immediata solidarieta', quella relativa ad un'impresa colombiana produttrice del tonno Monti accusata di reprimere sistematicamente i diritti fondamentali dei lavoratori organizzati.

"Pochi consumatori di tonno in scatola al mondo sanno che gran parte di questo prelibato prodotto e' importato dalla Colombia. In Italia, per esempio, la ditta Panzironi s.r.l. distribuisce in varie aziende di ristorazione il tonno Monti, prodotto da Seatech International Inc. a Cartagena e importato nel nostro Paese da Foods Import s.p.a. dei F.lli Monti. Molto probabilmente nessuno e' a conoscenza di cosa si nasconda dietro questa innocua scatoletta di tonno, ne' s'immagina il dolore e la sofferenza di centinaia di lavoratrici e lavoratori colombiani, che sono i veri artefici di questa storia di semischiavitu' del nuovo millennio. E' infatti in questa paradisiaca citta' colombiana che opera una fabbrica di Seatech International Inc., una delle imprese leader nel mondo della produzione e vendita di tonno in scatola, recentemente oggetto di varie denunce da parte dei lavoratori. Le principali accuse contro la multinazionale colombiana, la cui marca Van Camp's e' esportata negli Stati Uniti e in vari paesi dell'America Latina e dell'Europa, vanno dalla violazione della normativa sul lavoro, alla mancanza di assistenza sanitaria per i lavoratori che soffrono di Lsr (Lesioni per Sforzo Ripetuto), una malattia che e' comune nelle fabbriche in cui esiste una ripetizione intensiva dei movimenti. Per difendere i propri diritti, in agosto del 2010 i lavoratori hanno creato l'Ustrial. In meno di un mese, l'azienda ha licenziato i due terzi dei lavoratori sindacalizzati e ha adottato misure intimidatorie affinche' nessun'altro s'iscrivesse al sindacato" (tratto dall'articolo di Giorgio Trucchi "Reportage Colombia. Il tonno antisindacale e il lavoro semischiavo in Seatech" del 21 settembre 2011).

L'Associazione Italia-Nicaragua ha lanciato una campagna in difesa dei diritti di questi lavoratori.

"Noi cittadini e lavoratori italiani siamo venuti a conoscenza che la vostra azienda e' importatrice di prodotti ittici (Tonno Monti) dall'azienda Seatech International Inc di Cartagena (Colombia).

Siamo a conoscenza altresi' che moltissime denunce sono state presentate da centinaia di lavoratori all'azienda Seatech in quanto e' responsabile di un'infinita' di violazioni dei diritti sindacali e umani, nonche' delle leggi sul lavoro e di gravi danni alla loro salute.

Vi chiediamo pertanto che da parte vostra ditta Panzironi e Food Import S.p.a. vi sia un intervento urgente affinche' cessino tali violazioni, che si rispettino le normative sul lavoro e l'assistenza sanitaria.

Vi informiamo inoltre che non e' esclusa anche in Italia una campagna di boicottaggio dei vostri prodotti se le condizioni dei lavoratori della azienda Seatech non migliorano".

E' sufficiente collegarsi al sito dell'Associazione www.itanica.org per inviare il relativo comunicato alla ditta Panzironi S.r.l. ed alla Foods Import S.p.A., oltre che per avere maggiori informazioni.

 

3. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: UNA STORIELLA DI ORDINARIO RAZZISMO

[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per questo intervento]

 

La nuova professoressa entra in classe.

"Buon giorno ragazzi e ragazze. Sono la nuova professoressa. Su, presentatevi, cosi' imparo i vostri nomi. Ditemi solo quelli di battesimo. Allora, tu sei?".

Il ragazzo indicato si alza: "Luigi".

"Bene Luigi. E tu?".

"Anna".

"Ottimo Anna. Tu invece come ti chiami?".

"Franco".

"Ok Franco. E tu?".

"Ahmed".

"Come? Ahmed? Ma che razza di nome e'. No, no, no. Da oggi ti chiami Amedeo".

"Mi scusi professoressa, i miei mi hanno chiamato Ahmed e io sono straniero".

"Basta, non contraddirmi. Tu ti chiami Amedeo e basta, anzi da oggi sei italiano, capito? Dillo ai tuoi".

Il ragazzo perplesso torna a casa.

Appena entra, sua madre lo saluta: "Ciao Ahmed".

"Ciao mamma, da oggi devi chiamarmi Amedeo".

"Ma che sciocchezza e' questa?", la madre si arrabbia e gli allunga un ceffone.

Entra il padre: "Che succede?".

"Papa', ho detto a mamma che mi chiamo Amedeo e oggi sono italiano ma lei mi ha dato uno schiaffo".

"Tua madre ha ragione, anzi eccone un altro".

Con le guance rosse e un po' arrabbiato, Ahmed scende le scale e in cortile incontra un paio di amici.

Si precipita da loro e tutto d'un fiato dice: "Oh, sono italiano da poche ore e gia' due marocchini mi hanno aggredito!".

La storiella gira in varie versioni tra i giovani immigrati, ed e' stata ripresa da Daniele Barbieri nella rubrica "Omsizzar" (se il titolo vi suona misterioso provate a leggerlo al contrario), della rivista "Cem Mondialita'".

Giustamente Barbieri sottolinea come la storiella, con il suo risvolto autoironico e un po' triste, ricorda barzellette simili sui "terroni" che arrivavano al Nord; per non rimandare alle vicende di discriminazione subite dai nostri emigrati all'estero.

Nell'Italia dell'industrializzazione del secolo scorso, del cosiddetto miracolo economico, si assiste negli anni Sessanta alla massiccia emigrazione di braccianti dal Sud verso il Nord industriale, del Paese e dell'Europa.

Poi siamo passati, in breve tempo, da paese di migranti (dall'Unita' d'Italia del 1860, non meno di 26 milioni di italiani hanno abbandonato definitivamente il Paese), a paese di immigrazione. In molti casi disperati che su battelli e gommoni o navi-carrette, fuggono dalla fame, dalle malattie, dalle guerre, dalle pulizie etniche e dai genocidi, vagheggiando approdi di salvezza, di speranza, nel nostro dorato "primo" mondo.

Tutto questo, quando preda dei criminali del traffico di vite umane, non spariscono "nei fondali dei mari, nelle sabbie infuocate dei deserti, come detriti di una immane risacca finisce sopra scogli, spiagge desolate o anche fra i vacanzieri stesi al sole per abbronzarsi" (Vincenzo Consolo).

Una sorta di inversione di rotta della corrente migratoria, iniziata nel Canale di Sicilia, da afriche dal cuore sempre piu' di tenebra. Una storia, per molti versi, parallela e speculare a quella nostra.

Campi di lavoro in cui regna il piu' disumano sfruttamento, mondi concentrazionari, mura e fili spinati (non solo metaforici), oppressione, profonda infelicita'.

I nostri governi, con una forte continuita' tra centrodestra e centrosinistra, invece che con aiuti e accordi, hanno cercato e cercano di arginare il fenomeno con metodi che violano vergognosamente i piu' elementari diritti fondamentali dell'essere umano. Il tutto vigliaccamente sostenuto da una cosiddetta opinione pubblica che si nutre dei piu' squallidi luoghi comuni, ad iniziare dal "noi buoni" e "loro cattivi".

"Lo stato italiano sta perseguitando, riducendo in schiavitu', privando della liberta' e facendo morire degli esseri umani innocenti. Lo sta facendo violando le leggi, ma con la complicita' del popolo italiano che lo sa ma non reagisce, assiste inerte alle persecuzioni razziste compiute dal nostro paese nei confronti di migranti e viaggianti". ("Voci e volti della nonviolenza", n. 436 del 29/09/2011).

 

4. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: LA CONTRADDIZIONE TRA CAPITALE E NATURA

[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per questo intervento]

 

Non e' normale che ogni ondata di maltempo che colpisce la nostra penisola si trasformi inevitabilmente in un disastro con danni, sfollati e morti. A Genova, causa l'esondazione dei torrenti Bisagno e Fereggiano, abbiamo avuto sei morti, tra cui due bambini, ed oltre 120 sfollati.

Tutto questo e' possibile perche' si e' sacrificato l'ambiente alla crescita economica, rinunciando alla messa in sicurezza del territorio ad iniziare dal risanamento idrogeologico. Forse l'immagine piu' eloquente del disastro di Genova e' la montagna delle macchine accumulate nel cosiddetto cimitero delle cose alluvionate.

Esiste certamente una questione ambientale, ma e' vista come un ingombro o poco piu', e comunque si fatica a collocarla all'interno della seconda contraddizione tra capitale e natura; la prima contraddizione essendo quella tra capitale e lavoro.

Lo scambio merce-denaro-merce e' solo l'altra faccia della scambio natura-merce-natura; in entrambi i casi basato sull'intreccio capitalista-sviluppista-maschilista.

"C'e' una ricerca ecologica che e' parte della cultura liberaldemocratica dominante.

Essa denuncia le devastazioni dell'ambiente provocate dal tipo di economia, pero' senza porle in relazione con la logica stessa del capitalismo e pertanto senza giungere a porla in questione radicalmente. Pertanto le alternative che propone vogliono essere solo forme di perfezionamento del sistema contribuendo alla sua razionalizzazione e stabilita' (...) Il momento piu' avanzato nell'integrazione dell'ecologia nella cultura dominante e quindi nell'economia di mercato e' quando l'ecologia si converte in un'impresa lucrativa (...) Pero' cio' che posiziona piu' decisamente l'ecologia nella cultura dominante e' il silenzio che osserva sulle responsabilita' delle transnazionali, degli organismi finanziari internazionali, come la Banca mondiale o il Fondo monetario internazionale e delle grandi potenze del Nord, nella contaminazione e distruzione dei paesi del Sud; e' anche la tendenza a concentrarsi, nelle sue analisi e nella sua ricerca di alternative, su aspetti particolari e locali senza giungere ad una visione globale, cio' che le permette di evitare il problema della contraddizione fra logica produttivistica e competitiva del grande capitale e la difesa dell'ambiente. Resta cosi' emarginato il problema centrale dell'ecologia che riguarda appunto la possibilita' di salvaguardare la natura all'interno dell'ordine economico mondiale" (Giulio Girardi).

Per tutto questo l'ecologia non e' una disciplina neutrale, ma implica una presa di posizione sui grandi conflitti della nostra epoca, in primo luogo il conflitto Nord-Sud.

Il capitale spreme i lavoratori e la natura dove gli costano meno, da qui il trasferimento dello sfruttamento delle risorse naturali e umane dal Nord al Sud del mondo con conseguente crisi di occupazione per le classi lavoratrici del Nord e permanente stato di conflitto fra i lavoratori del Primo e quelli del cosiddetto Terzo mondo, rendendo cosi' remota la possibilita' della lotta su scala planetaria fra lavoratori inquinati e classi dominanti inquinatori.

Succede alla storia di regredire invece di avanzare, e ai diritti conquistati di essere perduti. E' stagione di ammutolimento generale nel recinto della societa'. E' stagione di riduzione del lavoro umano a ingranaggio del profitto privato, esposto al suo libero arbitrio; basta osservare i criteri con cui la Fiat intende stare dentro la competizione globale sul mercato dell'auto. Tempi di lavoro simili a quelli dei robot, nessun diritto allo sciopero, salari tendenzialmente piu' simili a quelli delle zone industriali della periferia del mondo (le famigerate maquiladoras) in cui negli anni scorsi e' stata delocalizzata la produzione fordista, subalternita' totale ai ritmi, ai tempi, alle esigenze dell'azienda.

Un lavoro senza diritti ne' soggettivita', esposto al nudo potere materiale e discrezionale dell'impresa, in una condizione di extraterritorialita' giuridica che fa della fabbrica un luogo separato.

Si vuole imporre l'idea che di fronte alla globalizzazione non c'e' diritto che tenga e che lo sfruttamento e l'impoverimento ne siano conseguenze inevitabili. Si vuole imporre una guerra tra poveri perche' c'e' sempre chi sta peggio, a sud e a est nel mondo.

In conclusione, la contraddizione tra capitale e lavoro, tra capitale e natura, coinvolge l'organizzazione economica del mondo e, in definitiva, tutta la civilta' occidentale, i valori e la cultura che la ispirano, il modello di democrazia che essa ostenta.

 

5. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: LA SPERANZA SORRETTA DA UNA FORTE DOSE DI UTOPIA

[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per questo intervento]

 

La nostra fragile democrazia e' piegata alle cosiddette esigenze improrogabili del mercato e sfregiata, colpita da quello che e' stato il ventennio berlusconiano.

Da un lato, il dilagare della doppia morale, che piace a cosi' tanti. Dio, patria e famiglia, si predica nascondendo il rovescio della medaglia, che e' l'allegra, e privatissima, pratica del bordello; per cui il "piacere" va soddisfatto a pagamento, visto che un corpo umano e' merce sul mercato, mentre la famiglia e' la cellula della societa', da salvaguardare, pilastro dell'economia e dell'ordine pubblico.

Dall'altro lato, l'affermarsi di un paradigma culturale basato su individui egoisti e intolleranti che quando si tratta di dividere il pane propendono per Marx e quando si tratta di procurarlo si ispirano a Calderoli.

Il problema e' che questi veleni tossici, ampiamente respirati negli anni, non sono finiti, ad iniziare dalla paura che nel quotidiano corre sottopelle, unita all'isolamento di esistenze che cercano nell'esclusione dell'altro la condizione necessaria alla propria sicurezza.

Ognuno affronta in solitudine il proprio presente e il proprio futuro.

E dove c'e' il malessere diffuso non c'e' rivolta, le rivolte non nascono dalla pura e semplice sofferenza. La capacita' di sopportazione degli uomini e' quasi infinita. La rivolta nasce quando si apre un circuito di identificazione collettiva a cui i gruppi organizzati forniscono simboli e linguaggi.

Invece quella che dilaga e' la piu' classica guerra tra poveri, che talvolta rasenta la barbarie: noi contro loro, italiani contro stranieri, padani contro terroni, chi ha un lavoro contro chi non ce l'ha...

Cosi' gli immigrati vengono rappresentati come i responsabili di ogni violenza, ad iniziare da quella sulle donne. Interessa a pochi che l'80% della violenza sulle donne sia tutta italiana e domestica e provenga dai familiari o conoscenti delle vittime, da bianchissimi e rispettabili italiani.

Gli stessi anticorpi sociali si indeboliscono e faticano ad arginare l'estendersi dell'infezione; per cui non possiamo che salutare positivamente la richiesta avanzata dal Presidente della Repubblica per una legge che riconosca la cittadinanza italiana ai figli di immigrati presenti nel nostro Paese.

E' un primo passo nella giusta direzione, poi resta il problema drammatico dei centri di detenzione (comunque oggi si chiamino) per migranti.

Purtroppo ci si muove con una grande lentezza, in nome di un realismo che non riesce a prefigurare nessun orizzonte diverso dall'attuale; prevalgono gli sterilizzatori della storia, i normalizzatori che a legioni si affannano a giustificare il presente come immutabile. La realta', invece, puo' essere smontata e rimontata, per cambiare in meglio. Ne restiamo convinti, nonostante cicatrici e delusioni.

Per farlo necessita, quello che sembra mancare fondamentalmente nell'Italia odierna, la speranza sorretta da una forte dose di utopia; con la consapevolezza che l'utopia non e' cio' che si oppone alla realta', ma che la prefigura.

"Su questo la destra italiana, cinica, cafona, impudicamente razzista, egoistica, territoriale, e' tuttora vincente. E lo sara' per molto. Se non si riesce a comprendere che l'elemento essenziale che manca a un discorso di sinistra e' proprio questo: la dimensione utopica. Un'utopia che spezzi, rovesci, cancelli l'ideale reazionario di un mondo esclusivo in cui si possa fare con comodita' e indifferenza i fatti propri (...) Un'utopia che si basi su due valori banalmente progressisti che sono invece dolorosamente latitanti...: uguaglianza e internazionalismo. Un'uguaglianza di tutti i cittadini, che non sia solamente parita' dei diritti, maggiore accessibilita' ai servizi, ecc., ma sia anche quel principio in nome del quale, per esempio, si puo' trovare rivoltante che Marchionne guadagni 400 volte di piu' di un dipendente Fiat. E un internazionalismo per cui, sempre per fare un esempio facile, si potrebbe cominciare a capire che le battaglie per la scuola o per il lavoro sono lotte di tipo globale, e lo sfruttamento di un operaio indonesiano mi riguarda sia quando compro un paio di sneakers a 10 euro sia quando delocalizzano li' la produzione della fabbrica in cui lavoro. Il vero punto dolente allora e' tutto qui: e' che per riuscire a convincere qualcuno della realta' di un sogno occorre che prima io stesso ne sia ammaliato (...) I leader della sinistra dovrebbero cominciare a credere loro per primi che un mondo (un intero mondo) con piu' uguaglianza potrebbe essere, oltre che possibile e giusto, anche meraviglioso" (Christian Raimo).

 

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA

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Numero 466 dell'8 dicembre 2011

 

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