Telegrammi. 632



 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 632 del 30 luglio 2011

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

 

Sommario di questo numero:

1. Hannah Arendt: Con chi desideriamo stare in compagnia?

2. Simone Weil: Se si potesse

3. Si e' svolto il 29 luglio a Viterbo un incontro di riflessione sulla nonviolenza oggi in Italia

4. Alcuni testi del mese di ottobre 2006 (parte seconda)

5. Afghanistan

6. Da Russell a noi

7. Laiche due considerazioni

8. Daniele Huillet

9. Afghanistan

10. Alla scuola di Anders

11. Afghanistan

12. Hiroshima

13. Afghanistan

14. Tutti i giorni il 6 agosto

15. Afghanistan

16. Liberare Gabriele Torsello, liberare l'Afghanistan dalla guerra

17. Effetti collaterali

18. Un antico discorso persiano sulla nonviolenza

19. Afghanistan

20. Afghanistan

21. Gandhi, o della politica

22. Una postilla

23. Afghanistan

24. Il dialogo, la nonviolenza

25. Una persona da salvare, una guerra da far cessare

26. Per Gabriele Torsello e per il popolo afgano

27. Segnalazioni librarie

28. La "Carta" del Movimento Nonviolento

29. Per saperne di piu'

 

1. MAESTRE. HANNAH ARENDT: CON CHI DESIDERIAMO STARE IN COMPAGNIA?

[Da Hannah Arendt, Alcune questioni di filosofia morale, Einaudi, Torino 2006, 2009, p. 111.

Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel 1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951), Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen (1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2. 1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita' e giudizio, Einaudi, Torino 2004; Alcune questioni di filosofia morale, Einaudi, Torino 2006, 2009; la recente Antologia, Feltrinelli, Milano 2006; i recentemente pubblicati Quaderni e diari, Neri Pozza, 2007. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001; Julia Kristeva, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 2005; Alois Prinz, Io, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1999, 2009. Per chi legge il tedesco due piacevoli monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000]

 

Per concludere, vorrei soltanto aggiungere un paio di chiose. Dalla odierna analisi di Kant spero che risulti piu' chiaro perche' in precedenza, citando Cicerone e Eckhart, ho sollevato il seguente problema: con chi desideriamo stare in compagnia? Ho cercato di mostrarvi che le nostre decisioni sul bene e il male dipendono dalla scelta dei nostri compagni, di coloro con cui vogliamo passare il resto dei nostri giorni.

 

2. MAESTRE. SIMONE WEIL: SE SI POTESSE

[Da Simone Weil, Quaderni, II, Adelphi, Milano 1985, 1991, p. 221.

Simone Weil, nata a Parigi nel 1909, allieva di Alain, fu professoressa, militante sindacale e politica della sinistra classista e libertaria, operaia di fabbrica, miliziana nella guerra di Spagna contro i fascisti, lavoratrice agricola, poi esule in America, infine a Londra impegnata a lavorare per la Resistenza. Minata da una vita di generosita', abnegazione, sofferenze, muore in Inghilterra nel 1943. Una descrizione meramente esterna come quella che precede non rende pero' conto della vita interiore della Weil (ed in particolare della svolta, o intensificazione, o meglio ancora: radicalizzazione ulteriore, seguita alle prime esperienze mistiche del 1938). Ha scritto di lei Susan Sontag: "Nessuno che ami la vita vorrebbe imitare la sua dedizione al martirio, o se l'augurerebbe per i propri figli o per qualunque altra persona cara. Tuttavia se amiamo la serieta' come vita, Simone Weil ci commuove, ci da' nutrimento". Opere di Simone Weil: tutti i volumi di Simone Weil in realta' consistono di raccolte di scritti pubblicate postume, in vita Simone Weil aveva pubblicato poco e su periodici (e sotto pseudonimo nella fase finale della sua permanenza in Francia stanti le persecuzioni antiebraiche). Tra le raccolte piu' importanti in edizione italiana segnaliamo: L'ombra e la grazia (Comunita', poi Rusconi), La condizione operaia (Comunita', poi Mondadori), La prima radice (Comunita', SE, Leonardo), Attesa di Dio (Rusconi), La Grecia e le intuizioni precristiane (Rusconi), Riflessioni sulle cause della liberta' e dell'oppressione sociale (Adelphi), Sulla Germania totalitaria (Adelphi), Lettera a un religioso (Adelphi); Sulla guerra (Pratiche). Sono fondamentali i quattro volumi dei Quaderni, nell'edizione Adelphi curata da Giancarlo Gaeta. Opere su Simone Weil: fondamentale e' la grande biografia di Simone Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994. Tra gli studi cfr. AA. VV., Simone Weil, la passione della verita', Morcelliana, Brescia 1985; Gabriella Fiori, Simone Weil. Biografia di un pensiero, Garzanti, Milano 1981, 1990; Eadem, Simone Weil. Una donna assoluta, La Tartaruga edizioni, Milano 1991, 2009; Giancarlo Gaeta, Simone Weil, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1992; Jean-Marie Muller, Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994; Angela Putino, Simone Weil e la Passione di Dio, Edb, Bologna 1997; Eadem, Simone Weil. Un'intima estraneita', Citta' Aperta, Troina (Enna) 2006; Maurizio Zani, Invito al pensiero di Simone Weil, Mursia, Milano 1994]

 

Se si potesse credere in Dio senza amarlo, non lo si potrebbe amare.

 

3. INCONTRI. SI E' SVOLTO IL 29 LUGLIO A VITERBO UN INCONTRO DI RIFLESSIONE SULLA NONVIOLENZA OGGI IN ITALIA

 

Venerdi' 29 luglio 2011 si e' svolto a Viterbo presso il "Centro di ricerca per la pace" un incontro di riflessione sulla nonviolenza oggi in Italia.

Nel corso dell'incontro si e' fatto riferimento anche alla marcia per la pace Perugia-Assisi che si svolgera' il 25 settembre 2011, nel cinquantesimo anniversario della prima marcia ideata ed organizzata dall'illustre filosofo Aldo Capitini, fondatore del Movimento Nonviolento.

 

4. HERI DICEBAMUS. ALCUNI TESTI DEL MESE DI OTTOBRE 2006 (PARTE SECONDA)

 

Riproponiamo alcuni altri testi apparsi sul nostro notiziario nel mese di ottobre 2006.

 

5. HERI DICEBAMUS. AFGHANISTAN

 

Sia la guerra afgana la nostra spina nella carne.

Non passi ora senza che ci dolga, non passi giorno senza che noi ci si dica: cosa ho fatto oggi per far cessare la partecipazione italiana alla guerra? Cosa ho fatto oggi contro quelle stragi e quel terrorismo di cui anche il mio paese e' corresponsabile? Cosa ho fatto oggi perche' la guerra cessi, perche' le vittime siano soccorse, perche' si salvino delle vite umane?

E cosa ho fatto oggi perche' governo e parlamento cessino di violare la Costituzione e di far morire degli esseri umani?

E cosa ho fatto oggi perche' prevalga la scelta della nonviolenza e siano ripudiati ad un tempo tutte le guerre, tutte le uccisioni, tutti gli eserciti, tutte le armi?

Sia la guerra afgana la nostra spina nella carne.

 

6. HERI DICEBAMUS. DA RUSSELL A NOI

 

Talvolta le cose da lontano si vedono meglio che da vicino, e cosi' la vicenda coreana fa cogliere a molti cose che tutti gia' sapevamo, che avevamo proprio sotto gli occhi, ma che molti preferivano non vedere.

Due cose sono essenziali per uscire dalle chiacchiere e dai sospiri che, si sa, nulla rilevano.

La prima: il disarmo. Non basta pontificare che la guerra e' un male, occorre disarmare e smilitarizzare.

La seconda: opporsi tanto al nucleare militare quanto a quello civile; se non ci si oppone anche al nucleare civile non c'e' alcuna possibilita' di fermare il nucleare militare.

 

7. HERI DICEBAMUS. LAICHE DUE CONSIDERAZIONI

 

La prima: mi e' sempre sembrata nel vero quella considerazione che risale a Socrate secondo la quale e' preferibile subire il male che compierlo.

Mi e' sempre sembrata falsa ogni visione sacrificale della vita, sia che fosse riferita ad altri che a se stessi: non solo, sovente chi e' disponibile a sacrificare se stesso diventa disponibile altresi' a che altri siano sacrificati. Ed invece io tengo per certo che il primo dovere di tutti sia rispettare il diritto di tutti a non essere uccisi: solo stipulando questo comune patto si fonda su basi concrete e razionali la convivenza, la convivenza civile.

Dal modesto mio punto di vista - chi legge l'intende - la critica girardiana delle ideologie vittimarie si estende anche al cristianesimo, e ad altre tradizioni anche non religiose.

*

La seconda: come vi e' un inalienabile diritto di tutti gli esseri umani - in quanto esseri umani - a non essere uccisi, analogamente vi e' un altrettanto inalienabile diritto di tutti gli esseri umani ad autodeterminare (entro limiti e secondo regole di liberta', razionalita', consapevolezza e responsabilita', e stante il comune dovere di solidarieta') la propria vita, fino a quel suo estremo protendersi e limite che e' il morire. E la tradizione lunga e sapiente depositata nelle tante forme dell'"ars moriendi" ne e' buona conferma.

E vi e' un eguale diritto di tutti gli esseri umani alla dignita', e pertanto finanche - in condizioni estreme e dopo aver esperito ogni altra via (e fermo restando l'obbligo assoluto delle altre persone per quanto in loro potere di recare aiuto per salvare le vite, lenire il dolore, contrastare l'oppressione e l'annichilimento) - al rifiutare una vita di sofferenze sentite come non piu' tollerabili.

Dal modesto mio punto di vista togliersi la vita non e' sempre inammissibile (fermo restando che sempre le altre persone hanno l'obbligo di cercar di salvare la vita altrui).

Ma beninteso altro e' togliere a se stessi la vita, altro e' toglierla altrui. Qui la mia etica laica - del limite e della cura, della responsabilita' - si arresta in timore e tremore, ferma nella massima "tu non uccidere" (massima, appunto, nel senso kantiano). Senza nascondersi il dramma, ma senza sentirsi di poter avallare pratiche che sente e sa essere concretamente ineludibilmente confliggenti con quel fondante principio.

Ho letto anch'io migliaia di pagine di riflessione bioetica sulla cosiddetta eutanasia (termine inquietante, che dovrebbe designare non la buona morte, poiche' la morte non e' buona, ma il ben morire, che e' altra cosa), e le mie perplessita' non sono diminuite, ma aumentate: sento qui un'hybris che m'interroga e m'inquieta, e sento che solo nel principio "tu non uccidere" mi pare di cogliere un criterio regolativo essenziale.

Temo tutti gli apprendisti stregoni, e temo tutti i benintenzionati assassini. "Tu non uccidere", sempre mi ripeto, scilicet: tu contrasta tutte le uccisioni.

*

In questo breve tempo che e' la nostra vita, cerchiamo di salvare le vite, cerchiamo di assistere i sofferenti, cerchiamo di dare amore e di riconoscere dignita' ad ogni essere umano. Questo penso, questo credo.

 

8. HERI DICEBAMUS. DANIELE HUILLET

 

E' un dolore profondo la scomparsa di Daniele Huillet, cineasta autrice non solo di film, ma di cinema; non solo di opere, ma di linguaggio; non solo di esiti d'arte, ma di verita' che combatte, oppressione e menzogna smaschera e contrasta, ed umanita' invera.

Del cinema di Daniele Huillet e Jean-Marie Straub non ricordo un film che non sia perfetto, nel rigore formale e nel rigore politico. Ed insieme infinitamente aperto: un appello incessante e ineludibile alla lotta, come lo erano i saggi e le poesie di Fortini. Tutto il loro cinema, non riconciliato, resistente, a me e' sempre sembrato un ragionamento politico e politica un'azione tanto piu' aggettanti quanto piu' risolti sul piano della compiutezza estetica, ovvero morale ed epistemologica.

E se puo' sembrare semplice - ed e' vero il contrario - nel lavorare su Boell e su Brecht, su Kafka e Pavese e Vittorini, con Fortini, si veda allora il Mose' e Aronne schoenberghiano o il lavoro sull'Empedocle hoelderliniano, o la visita al Louvre.

Ora che Daniele Huillet non e' piu' tra i viventi, anche questo foglio la ricorda, la saluta, la ringrazia ancora.

 

9. HERI DICEBAMUS. AFGHANISTAN

 

Se non parliamo dell'Afghanistan di cosa vogliamo parlare?

Se non denunciamo che il nostro paese sta partecipando a guerre e stragi che sono terrorismo ed altro terrorismo provocano, di cosa vogliamo parlare?

Se non denunciamo che il nostro governo e il nostro parlamento stanno continuando a violare la legalita' costituzionale facendo una politica internazionale di guerra, cosi' facendoci tutti divenire assassini e tutti esponendoci alla guerra (alla guerra asimmetrica e senza fronti in cui tutti diventano bersaglio di aggressioni onnicide), di cosa vogliamo parlare?

Se non ci opponiamo alla guerra e alle stragi di cui e' corresponsabile oggi il nostro paese, come possiamo pretendere che la nostra parola abbia un valore?

 

10. HERI DICEBAMUS. ALLA SCUOLA DI ANDERS

 

Chi si era illuso in questi ultimi anni che l'eta' atomica non ci sovrastasse con la sua costante minaccia evidentemente poco aveva riflettuto su quelle verita' che subito all'indomani di Hiroshima e Nagasaki furono evidenti alle menti piu' avvertite, agli sguardi meno offuscati.

Non vi e' lotta piu' necessaria di quella per il disarmo atomico. Ma questa lotta potra' vincere (e sempre solo relativamente, in forma di continuo contrasto e rinvio della catastrofe) solo se passeranno tre idee-guida.

La prima: la scelta del disarmo e della smilitarizzazione dei conflitti, che detto altrimenti e' la scelta di una crescente solidarieta' che raggiunga tutti gli esseri umani; le armi sono nemiche dell'umanita', o si disarma o la catastrofe e' inevitabile.

La seconda: la scelta di opporsi non solo al nucleare militare ma anche a quello cosiddetto civile, poiche' e' palese la continuita' tra i due, e se non si blocca il nucleare civile non sara' possibile bloccare il nucleare militare.

La terza: la scelta della nonviolenza come principio giuriscostituente che presieda a una politica adeguata ai bisogni e ai doveri dell'umanita' nell'epoca del pieno dispiegarsi di un'interconnessione che tutti raggiunge e accomuna in un medesimo destino di vita o di morte.

 

11. HERI DICEBAMUS. AFGHANISTAN

 

Ma gli afgani sono esseri umani o no?

La vita di ognuno di loro vale quanto una vita umana oppure no?

Se sono esseri umani, e vale per loro lo stesso diritto alla vita che vale per ogni persona, allora la prosecuzione della partecipazione italiana alla guerra stragista e terrorista che li' presegue senza vere interruzioni ormai da decenni, e' un crimine infame ed orribile.

*

Ed e' mai possibile che dinanzi a questo crimine pressoche' l'intero nostro paese taccia, cosi' facendosene pressoche' tutti corresponsabili?

E' mai possibile che una cosi' flagrante e scellerata violazione della stessa legge fondamentale del nostro ordinamento giuridico venga accettata come se niente fosse, al punto che non se ne parla neppure piu'?

E' mai possibile che noi ci si lasci ridurre a uno stato criminale, a un paese di complici degli stragisti?

 

12. HERI DICEBAMUS. HIROSHIMA

 

Non e' il nostro passato, e' il nostro presente.

Fermare il riarmo nucleare e' il compito dell'ora.

Ma per fermarlo occorre opporsi ad ogni guerra ed ogni riarmo, occorrre opporsi a tutte le politiche di sopraffazione, occorre smantellare ogni impianto nucleare - militare e civile -, occorre promuovere un modello di sviluppo che difenda la natura e l'umanita' ad un tempo, occorre - per dirla in una parola - che la nonviolenza diventi criterio fondante della politica in un mondo interconnesso.

 

13. HERI DICEBAMUS. AFGHANISTAN

 

In questo nostro paese ci si ricorda del fatto che l'Italia insieme alla Nato sta partecipando alla guerra, all'occupazione e alle stragi in Afghanistan solo quando nostri concittadini sono vittime di atti di violenza: uccisioni, ferimenti, rapimenti.

E neppure in queste circostanze si ha la volonta' di trarre le ovvie, necessarie, urgenti conclusioni: che in quel paese il nostro esercito e' tragicamente parte di una coalizione armata occupante, terrorista e stragista; che la nostra partecipazione militare alla guerra afgana e' del tutto illegale per la nostra carta costituzionale; che e' proprio a causa delle guerre e delle occupazioni militari volute da Bush e dai suoi "volenterosi" alleati che il terrorismo in tutto il mondo e' cresciuto esponenzialmente, poiche' queste guerre sono terroriste e alimentatrici di terrorismo ulteriore.

Cessi l'illegale e criminale partecipazione militare italiana alla guerra terrorista e stragista in Afghanistan.

Torni l'Italia al rispetto della sua legge fondamentale, quella Costituzione della Repubblica Italiana che all'articolo 11 testualmente recita: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali".

Chi non contrasta la guerra ne e' complice.

 

14. HERI DICEBAMUS. TUTTI I GIORNI IL 6 AGOSTO

 

Cosa significa non dimenticare?

Significa lottare perche' non accada di nuovo.

Tre cose occorrono allora: l'opposizione alle armi, l'opposizione al nucleare civile e militare, la scelta della nonviolenza come criterio fondante della politica nel XXI secolo.

 

15. HERI DICEBAMUS. AFGHANISTAN

 

Gia', quell'Afghanistan, dove l'Italia partecipa alla guerra terrorista e stragista.

Gia', quell'Afghanistan, dove gia' innumerevoli sono le vittime in una guerra che perdura da decenni, e  tra esse anche italiani: uccisi, feriti, rapiti.

*

Cessi l'illegale e criminale partecipazione militare italiana alla guerra terrorista e stragista.

L'Italia rientri nel'alveo della legalita' costituzionale e del diritto internazionale.

Cessi l'attuale scellerata e infame politica italiana della guerra e delle uccisioni, ed inizi finalmente una politica della pace, del disarmo, della smilitarizzazione dei conflitti, dell'aiuto a tutte le vittime, del riconoscimento di tutti i diritti umani a tutti gli esseri umani.

 

16. HERI DICEBAMUS. LIBERARE GABRIELE TORSELLO, LIBERARE L'AFGHANISTAN DALLA GUERRA

 

Che cessi il rapimento di Gabriele Torsello, che possa tornare subito libero, sano e salvo.

Che cessi la guerra afgana.

Salvare occorre tante vite umane: ciascuno faccia la sua parte.

 

17. HERI DICEBAMUS. EFFETTI COLLATERALI

 

Uno dei piu' grotteschi effetti collaterali della decisione del nuovo governo italiano di cosiddetto centrosinistra di proseguire nella illegale e criminale partecipazione militare alla guerra terrorista e stragista in corso in Afghanistan da alcuni decenni (con un avvicendarsi di truppe occupanti dall'Armata rossa alla Nato, come - mutatis mutandis - avvenne in Indocina, con le atroci conseguenze che ognun sa) e' nel passaggio di tante persone dall'impegno per la pace all'accettazione della guerra e delle stragi unicamente per una malintesa fedelta' a un partito o a una coalizione di partiti che senza alcuna esitazione - e dopo aver per cinque anni giustamente denunciato il golpismo berlusconiano - hanno anch'essi fatto strame della legalita' costituzionale appena giunti al potere, e per i quali quindi cosi' come Parigi val bene una messa, una manciata di posti di potere val bene qualche massacro. In fin dei conti a morire sono soprattutto genti di terre lontane. Fin qui.

*

La cosa piu' penosa e' che tra i neofiti del partito della guerra e delle stragi ci sono anche persone che in virtu' del loro passato ancor oggi vengono considerate impegnate per la pace, o addirittura per la nonviolenza. Le quali persone di bel nuovo arruolate nel partito della guerra e delle stragi non hanno esitato e non esitano ad ogni pie' sospinto a protervamente ingiuriare e fin beceramente schernire chi ancora si impegna contro la guerra, dimenticando - o forse cercando di far dimenticare - che fino a ier l'altro loro stessi erano tra questi e dicevano le medesime cose, ed anzi soprattutto quelle piu' stolte (poiche' anche nel movimento contro la guerra di stoltezze purtroppo se ne son dette e se ne dicono, e a iosa).

E tra i voltagabbana di turno non vi sono solo spiriti confusi che non sanno quel che si dicono, o navigati imbroglioni che invece lo sanno fin troppo bene e dell'ingannare altrui godono; vi sono purtroppo anche di quelli che amici della nonviolenza lo erano davvero, ma che essendosi arruolati nel partito della guerra e delle stragi hanno cessato di esserlo "per la contradizion che nol consente". E per i quali proviamo indicibile una pena.

*

Questo foglio ha cercato in questi mesi di contribuire a chiarire e tener ferme alcune cose a nostro modesto avviso imprescindibili:

a) che la pace si costruisce solo con mezzi di pace, ergo: occorre una stretta, effettuale coerenza tra mezzi e fini;

b) che l'impegno per la pace e' azione politica, ergo: analisi concreta ed azione concreta nelle situazioni concrete;

c) che occorre tener ferma la scelta della "opposizione integrale alla guerra", che Capitini indico' come la prima delle direttrici d'azione di un movimento nonviolento per la pace; ovvero di un movimento per la pace che volesse esserlo in modo nitido ed intransigente, ovvero nell'unico modo possibile per essere adeguato ed efficace: che e' fare la scelta della nonviolenza;

d) che occorre fondare l'opposizione alla guerra non su generici ed equivoci proclami rivoluzionaristici, o su sdrucciolevoli ragionamenti meramente tattici, o su argomenti reticenti e capziosi, fondamenta peggio che fragili, e che mai accettammo (e che pure purtroppo hanno avuto largo corso ed hanno contribuito non poco a corrodere, demoralizzare e degradare in un'ambiguita' scandalosa, in una scandalosa subalternita', infine arresa alla violenza e della violenza complice, tanta parte del cosiddetto movimento per la pace); bensi' su limpide verita' morali, e su quel realismo che sempre dovrebbe guidare l'agire politico e che sa che fare una guerra porta morti e devastazioni ed altre ne prepara. E che quell'opposizione alla guerra qui e oggi va altresi' ancorata alla fedelta' alla legge fondamentale del nostro ordinamento, la Costituzione della Repubblica Italiana, che non e' un muto totem, ma il punto di riferimento basilare, il principio fondativo, dei diritti e dei doveri politici e giuridici per ogni cittadino italiano, senza di cui non c'e' nel nostro paese un sistema legale e una societa' civile, ma solo anomia, gangsterismo e barbarie.

 

18. HERI DICEBAMUS. UN ANTICO DISCORSO PERSIANO SULLA NONVIOLENZA

 

In uno dei piu' celebri capitoli apocrifi perduti del Libro dei re, un preteso discepolo di Firdusi il Paradisiaco attribuiva a Rustem il discorso (palesemente fittizio, ed esercizio di eloquenza finanche legnoso e scolastico) che di seguito forse non del tuto inutilmente trascriviamo.

*

E cosi' vi e' chi alla scelta della Via dell'azione che sempre salva e giammai non nuoce e' arrivato non perche' persuaso da quei pochi che non illecitamente la predicavano, ma per mero interrogarsi sul suo proprio agire.

Costoro, di tutto incerti ed a nulla credendo, a questa medesima incertezza si affidano e da essa traggono l'opinione che cosi' come essi per se' rivendicano il diritto alla vita e alla dignita', parimenti ogni altra persona ancora puo' per se stessa farlo, e su questo fondano il principio che secondo un'antica legge noi definiamo con la formula: Tu non uccidere.

Tengono per fermo costoro che ogni persona ha diritto di salvar la propria vita, ed aggiungono che il modo migliore di salvar la vita di tutti e' la scelta comune della Via dell'azione che sempre salva e giammai non nuoce.

Non spregiano le leggi, ma la sopraffazione, e ove in una legge riconoscano l'imposizione del potere di taluno, invece del diritto di tutti e dell'aiuto a ciascuno, essa legge denunciano ed avversano e contrastano, e non si danno requie finche' abbattuta non l'abbiano, e chiamano questo loro agire amare la legge.

La severita' che usano verso se stessi non estendono ad altri, sanno che tutti siamo fallibili, e ritengono essere la misericordia la forma piu' alta di giustizia.

Ma questa misericordia combatte l'ingiustizia, non la subisce; la smaschera e l'affronta, non l'occulta; la dice, non la tace. Questa misericordia che lotta essi chiamano la Via dell'azione che sempre salva e giammai non nuoce.

Non credendo negli dei, non credendo nei re, non credendo negli onori e nelle distinzioni, essi non hanno alcun desiderio se non di una vita degna, e ritengono degna la propria vita solo ove degna sia la vita di tutti, e finche' anche una sola e' oppressa persona essi ritengono indegna la propria stessa vita se non e' intesa a lottare contro quell'oppressione.

Ritengono che violenza e menzogna siano una sola cosa; e tengono altresi' l'ignoranza per menzogna, e quindi per violenza.

Sono nemici a tutti come a se stessi, ed a se stessi e a tutti amici. Sanno che sempre l'uno si divide in due. Sanno che c'e' solo il cammino, non la meta. il cammino e' la meta: ed in questo cammino sappi tu porti al servizio dell'umiliato e del sofferente.

Dicono che la Via dell'azione che sempre salva e giammai non nuoce puo' essere detta con molti nomi, e che ogni persona sa cosa sia, se solo guarda nel fondo del suo cuore, nel volto altrui, se solo ascolta il fischio sottile del vento, l'umidita' della notte, il pigolio dei passeri, il crescere silente del filo d'erba, la voce del fiume che scorre.

Amano il mondo. Piangono di gioia quando vedono un albero gemmare.

Pensano gli esseri umani essere fatti per esser felici. Insieme.

Sanno di essere, come tutti, impastati di luce e di ombra, di bene e di male. Praticano la benevolenza, conoscono la collera, combattono contro se stessi.

 

19. HERI DICEBAMUS. AFGHANISTAN

 

Salvare Gabriele Torsello.

Salvare tutte le vite. Cessare la guerra.

Sia pace in Afghanistan.

*

Cessi la partecipazione italiana alla guerra e s'impegni l'Italia perche' la guerra cessi, perche' cessino le stragi, perche' si smilitarizzi il conflitto, le parti disarmino, tutte le vittime siano soccorse. Vi e' una sola umanita'.

 

20. HERI DICEBAMUS. AFGHANISTAN

 

Si faccia tutto il possibile perche' Gabriele Torsello sia liberato.

E si faccia tutto il possibile perche l'intera poplazione afgana sia liberata da guerra, oppressioni, sofferenze indicibili.

Si scelga di voler salvare ogni vita umana, si cessi di sopprimerne.

*

L'Italia cessi di partecipare alla guerra, e compiuto questo necessario gesto si opponga alla guerra e alle stragi, si adoperi per smilitarizzare il conflitto, per il disarmo di tutte le parti, per aiuti umanitari, per promuovere i diritti umani - di cui il primo e' il diritto a non essere uccisi.

L'Italia cessi di violare la sua stessa Costituzione. Sia il popolo italiano ad imporre a governo e parlamento di tornare al rispetto della legge, e dell'umanita'.

*

La politica della guerra, degli eserciti e delle armi non e' neppure una politica, e' solo un crimine.

Occorre una politica internazionale che costruisca la pace con mezzi di pace, che promuova i diritti umani di tutti gli esseri umani cominciando essa col rispettare quei diritti e quegli esseri umani. Occorre una politica della nonviolenza.

 

21. HERI DICEBAMUS. GANDHI, O DELLA POLITICA

 

La proposta gandhiana della nonviolenza di tipo satyagraha costituisce una rottura, una novita' storica e culturale, perche' e' una proposta politica.

Nel corso della storia dell'umanita' molte altre e molti altri avevano proposto con maggior o minore chiarezza la nonviolenza come scelta esistenziale, morale, sociale, giuridica: Gandhi ne ha fatto un progetto politico rivoluzionario adeguato alle condizioni del mondo contemporaneo.

*

Solo a restare alle piu' note tradizioni occidentali, la nonviolenza come scelta morale ed esistenziale e' l'idea guida di due figure fondative della cultura occidentale: quella di Socrate ateniese, e quella di Gesu' di Nazareth (di cui qui parliamo in chiave solo storica, prescindendo da cio' che rappresenta - detto diversamente: da chi sia - per chi aderisce alla fede appunto cristiana); figure portatrici di un insegnamento orale ad un tempo profondamente radicato nella cultura di appartenenza e profondamente innovatore; figure che hanno testimoniato con la vita e con la morte la verita' morale - esistenziale, filosofica, religiosa - di cui erano assertrici: al cui cuore e' la scelta di preferir subire il male anziche' compierlo; la forma piu' nitida ed intransigente di opposizione al male e di difesa della dignita' umana propria e di tutti.

E sempre restando nell'ambito occidentale non vi e' dubbio che ad esempio non solo gran parte dello stoicismo antico ma anche altre filosofie della grecita' e dell'ellenismo tematizzarono fin sistematicamente acutissime idee morali che noi definiremmo nonviolente, con una capacita' di articolazione ed una sottigliezza restate, ci sembra, insuperate.

E insuperata ci pare resti la teoria e la pratica della nonviolenza come proposta comunitaria e finanche macropolitica di una figura come quella di Francesco d'Assisi nella societa' e nel tempo che furono suoi.

E non abbiamo fatto cenno ai profili di nonviolenza in grandi tradizioni culturali cosiddette "orientali", ad alcune delle quali peraltro piu' volte lo stesso Gandhi si e' riferito.

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La novita' di Gandhi, ci sembra, e' il progressivo disvelarglisi, nel corso dei suoi "esperimenti con la verita'" (dalle iniziali azioni difensive di diritti particolari volta a volta conculcati a quelle riformistiche per il riconoscimento e l'estensione di diritti generali nel quadro istituzionale dato, a quelle rivoluzionarie per la trasformazione delle stesse strutture politiche, giuridiche, economiche e sociali), che la nonviolenza, cosi' come la veniva elaborando nel vivo delle lotte che conduceva, e' una proposta politica e giuriscostituente di trasformazione sociale ed istituzionale adeguata al contesto della societa' mondiale contemporanea.

E che tale trasformazione per darsi doveva essere complessa ed olistica, ovvero coinvolgere tutte le dimensioni dell'esistere, del riflettere e dell'agire umano. Complessa ed olistica, non totalitaria: ovvero che individua l'interconnessione ed esige la coerenza, ma non applica quella reductio ad unum che porta allo stato etico e/o al nichilismo, e quindi ai gulag e ai lager. La nonviolenza gandhiana si fonda sulla relazione e la responsabilita', adotta un'etica della cura e del limite, fa propria un'epistemologia fallibilista e una metodologia sperimentale, si pone come relativa, situata, contestuale, dialettica ed aperta alla pluralita' e al novum...

La peculiarita' della nonviolenza gandhiana e' che essa e' una politica: lotta politica e proposta politica.

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Gandhi e' certo anche un saggio, un uomo di spiritualita', e molte altre cose: ma e' innanzitutto un drigente politico di grandi lotte politiche. Per questo la nonviolenza di tipo satyagraha non puo' essere confusa con le tante esperienze che talora del suo lessico abusivamente si appropriano per veicolare pratiche e contenuti riferiti ad altri ambti (la psicoterapia, la mistica, persino il management); la nonviolenza gandhiana e' peculiarmente un progetto politico di trasformazione, e si attua in forma di conflitto politico, di movimento sociale, di proposta giuriscostituente.

Una proposta politica rivoluzionaria molto affine per decisivi aspetti anche ad elementi centrali delle due grandi tradizioni del pensiero politico rivoluzionario europeo ottocentesco: la tradizione liberale e quella socialista. Ed e' interessante notare che in Italia il piu' acuto e tenace propugnatore della nonviolenza gandhiana sia stato Aldo Capitini, che nell'ambito della riflessione politica alla confluenza di quelle due tradizioni di pensiero si colloca.

Ne consegue che la nonviolenza gandhiana, lungi dall'essere "antipolitica" e meramente testimoniale come pretendono taluni che o non la conoscono o volutamente la sfigurano, e' invece eminentemente politica, e quindi concretamente operativa non solo nell'ambito del conflitto sociale, ma dello stesso processo istituzionale e giuridico.

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In guisa di postilla: questo spiega anche perche' alla nonviolenza di tipo satyagraha si siano persuasamente accostate anche persone la cui visione del mondo e' su punti non irrilevanti finanche assai diversa da quella di Gandhi, o di Capitini, o di altre figure ritenute rappresentative di questo orientamento, ma che con Gandhi e Capitini condividono l'urgenza dell'azione politica contro la violenza, la consapevolezza della necessita' della coerenza tra mezzi e fini, la scelta di un impegno critico e concreto, il criterio del riconoscimento e dell'inveramento dei diritti e della dignita' degli esseri umani.

 

22. HERI DICEBAMUS. UNA POSTILLA

 

La discussione sul proibire per legge che si possa negare la realta' del genocidio degli armeni (o di altri popoli) pone molte questioni e sappiamo che persone di valore hanno sostenuto con solidi argomenti punti di vista fin opposti.

A tali punti di vista vorremmo aggiungere in tutta modestia il nostro, in due considerazioni ed una conclusione.

La prima considerazione, per cosi' dire di metodo negli studi: vi e' un ineludibile dovere della ricerca storiografica, ed e' quello di tendere alla verita'. Ove alcune verita' siano accertate, continuare a indagare e interpretare e' cosa buona e giusta, ma negare i fatti no.

La seconda considerazione, per cosi' dire di etica politica: negare la realta' di un genocidio realmente avvenuto significa farsi difensori e complici degli autori, e contribuire a creare alcune delle condizioni perche' altri genocidi possano essere eseguiti.

La conclusione: poiche' negare che delitti realmente avvenuti siano tali ci sembra sia anch'esso evidentemente un delitto, essendo giusto e necessario proibire e punire per legge i delitti, anche questo delitto ci sembra sia giusto la legge punisca.

Negare la realta' del genocidio degli armeni, come della Shoah, del genocidio degli indios in Guatemala, di quelli avvenuti in Cambogia e nella regione dei Grandi Laghi e ancora altrove, e' un crimine. Un crimine che favoreggia gli autori dei massacri, un crimine che di nuovi massacri favorisce la preparazione.

Chi tollera le uccisioni non e' "tollerante", e' complice delle uccisioni. Chi tollera le carneficine aiuta i carnefici - tutti i carnefici -, e perseguita ancora le vittime - tutte le vittime, l'umanita' intera.

 

23. HERI DICEBAMUS. AFGHANISTAN

 

Chi tiene in ostaggio una persona e' un criminale.

Lo e' anche chi tiene in ostaggio interi popoli.

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Chi fa stragi con un'autobomba e' un terrorista.

Lo e' anche chi fa stragi con un bombardiere.

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Sia liberato Gabriele Torsello. E sia liberato il popolo afgano dalla guerra che lo opprime da decenni.

Lo stato italiano cessi di partecipare alla guerra afgana, e si adoperi per costruire la pace con mezzi di pace, si adoperi per soccorrere le vittime, si adoperi per salvare vite umane anziche' sopprimerle.

 

24. HERI DICEBAMUS. IL DIALOGO, LA NONVIOLENZA

 

Si addensano in questo periodo molti appuntamenti di riflessione che possono essere anche momenti preziosi di riconoscimento reciproco tra persone ed esperienze impegnate a contrastare la violenza con le modalita' peculiari con cui gli esseri umani comunicano, conoscono, si riconoscono: la parola, i volti, l'ascoltarsi, la vicinanza, il dialogo.

*

Tra questi incontri un rilievo particolare ci sembra abbiano le molte iniziative che stanno avendo luogo gia' da settimane in varie parti d'Italia con riferimento alla quinta giornata del dialogo cristiano-islamico (per tutte le informazioni e per una straordinaria mole di materiali di documentazione e di riflessione si veda l'ottimo sito de "Il dialogo", www.ildialogo.org).

Proprio mentre da piu' parti si propaganda l'odio e si pratica una violenza feroce (il femminicidio, il razzismo, il terrorismo, la guerra...), questa iniziativa che per il quinto anno si rinnova costituisce un elemento di aggregazione, chiarificazione, azione nonviolenta, che va anche oltre i credenti delle due religioni e coinvolge ormai tante persone di volonta' buona persuase che smilitarizzare (e - cosa non meno urgente e decisiva - depatriarcalizzare) le religioni e le culture, favorire il colloquio corale senza pretese egemoniche, convocare tutte e tutti al riconoscimento della dignita' di ogni persona e dell'umanita' intera, e all'impegno in difesa dei diritti di tutte e tutti, e dell'unico mondo che abbiamo, sono compiti cosi' urgenti che ogni tradizione di pace deve impegnarvisi nella consapevolezza della propria verita' e della propria parzialita', dei doni e dei limiti propri ed altrui, della pluralita' delle visioni del mondo e dei linguaggi, nella sollecitudine per la liberta' di ciascuna persona, nella responsabilita' dinanzi al volto altrui, nella solidarieta' che tutte e tutti abbraccia, sostiene e non soffoca.

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Un altro rilevante appuntamento e' quello del seminario su "la politica della nonviolenza" promosso dal Movimento Nonviolento, che si terra' il 21-22 ottobre a Verona (per ulteriori informazioni si veda il sito del Movimento Nonviolento, www.nonviolenti.org).

Non e' chi non veda l'urgenza di ridefinire su basi rigorosamente nonviolente non solo la costruzione di un movimento per la pace che sappia essere coerente, adeguato, efficace (dopo la recente catastrofe, che e' frutto non solo di circostanze contingenti - che pure ovviamente hanno il loro tremendo peso - ma anche di protratti equivoci e di gravissime ambiguita' politiche e morali rispetto a cui da anni almeno questo foglio chiamava a un'azione di rottura, di chiarificazione, di uscita dalla subalternita', dalle complicita'); ma anche una proposta politica complessiva di gestione della societa' e delle istituzioni, un progetto politico per un movimento politico di trasformazione politica: un'azione che non puo' essere delegata a "macchine politiche" che giunte al paragone hanno dato pessima prova di se', ma che deve essere assunto dalle persone, dai movimenti, dalle esperienze della nonviolenza, che in Italia hanno ormai una lunga tradizione sia teorica che pratica (molte volte, naturalmente, percependosi e nominandosi con altro, proprio lessico, e con incandescente passione per la propria autonomia: ma di nonviolenza in cammino si tratta; e pensiamo a davvero molteplici e variegatissime esperienze). E' giunto il momento di abbandonare ogni timidezza, di uscire dalla marginalita', di porsi non come fiancheggiatori di chicchessia, bensi' come soggetto autonomo - complesso e plurale - portatore di istanze generali.

Naturalmente questo richiede un'opera non lieve di ricognizione, di chiarificazione, di rielaborazione, ed infine anche di riconoscimento e - diciamola la brutta parola - di organizzazione (nessuno si spaventi: sappiamo tutte e tutti che modelli gerarchici, autoritari e carrieristici sono incompatibili con la nonviolenza - sebbene non manchino esempi spregevoli di pretesi amici della nonviolenza che ad essi si sono dati con selvaggia bramosia, esempi utilissimi per capire cosa non si deve fare -; qualche modello positivo alla cui scuola collocarsi ci viene dalla piu' rilevante delle esperienze nonviolente del XX secolo: quella del femminismo).

E quindi proseguire quel percorso specifico avviato con la marcia Perugia-Assisi del 2000 (e con quanto ad essa e' seguito nella medesima prospettiva) e' necessario ed urgente, ed anche questo seminario - certo, nella sua parzialita' e nei suoi limiti - puo' essere una tappa proficua, sapendo che c'e' abbondante materia per discutere e per confliggere (e sapendo anche che l'area delle persone amiche della nonviolenza non e' composta di persone migliori rispetto ad altre aree culturali e politiche, anzi: il tasso di presunzione, litigiosita', settarismo, nevrosi, e talora cialtroneria e fin irresponsabilita', in essa e' non meno elevato che altrove).

Discutere e confliggere, beninteso, su cio' su cui discutere e confliggere occorre; ma restando fermi sui principi, cedendo sui quali tutto e' perduto. E per quanto concerne quella parte - piccola ma rilevantissima sul piano della storia e della cultura - della nonviolenza organizzata che si chiama appunto Movimento Nonviolento sembra a noi che essa non possa tradire quella sua carta costitutiva dettata da Aldo Capitini (che su questo foglio in ogni numero si riporta), la quale testualmente recita che prima delle sue direttrici d'azione e' "l'opposizione integrale alla guerra". Non ci dovrebbe essere bisogno di ricordarlo. Ma nell'obnubilamento che ha colto tante persone in questi tempi di guerra (in cui l'Italia, in palese violazione della sua stessa legge fondamentale, sta partecipando a guerre terroriste e stragiste - in Afghanistan ed ancora anche in Iraq, nonostante da mesi si dica il contrario, per non dire della guerra ai migranti con tanto di stragi nel Mediteraneo e campi di concentramento e schiavismo lungo tutta la penisola) certe cose e' meglio ripeterle.

E dunque buon lavoro, ce ne e' davvero bisogno.

 

25. HERI DICEBAMUS. UNA PERSONA DA SALVARE, UNA GUERRA DA FAR CESSARE

 

Si faccia tutto il possibile perche' Gabriele Torsello sia liberato.

Si faccia tutto il possibile per far cessare la guerra.

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Opporsi a tutte le uccisioni.

Opporsi a tutte le guerre e a tutti i terrorismi.

L'Italia cessi di partecipare alla guerra afgana.

Salvare le vite, scegliere la nonviolenza. Questo occorre.

 

26. HERI DICEBAMUS. PER GABRIELE TORSELLO E PER IL POPOLO AFGANO

 

Pace e liberta'.

L'indifferenza che tuttora prevale nel nostro paese per la sorte di Gabriele Torsello e' inquietante.

Come e' inquietante l'indifferenza nei confronti della scellerata prosecuzione della illegale e criminale partecipazione italiana alla guerra afgana, una guerra terrorista e stragista che perdura da decenni mietendo innumerevoli vittime.

Salvare Gabriele Torsello.

Far cessare la guerra.

 

27. SEGNALAZIONI LIBRARIE

 

Riletture

- Marcel Duchamp, Ingegnere del tempo perduto. Conversazione con Pierre Cabanne, Multhipla, Milano 1979, pp. 192.

- Francis Picabia, Poesie dada', Newton Compton, Roma 1981, pp. 160

- Tristan Tzara, Manifesti del dadaismo e Lampisterie, Einaudi, Torino 1964, 1975, pp. LXXII + 110.

- Dietmar Elger, Dadaismo, Taschen, Colonia 2004, pp. 96.

- Georges Hugnet (a cura di), Per conoscere l'avventura dada, Mondadori, Milano 1972, 1977, pp. 382.

- Roberta D'Adda (a cura di), Duchamp, Skira-Rcs, Milano 2004, pp. 192.

- Alessandro Del Puppo, Duchamp e il dadaismo, Il sole 24 ore - E-ducation.it, Milano-Firenze 2008, pp. 288.

- Janis Mink, Marcel Duchamp, Taschen, Koeln 2000, pp. 96.

- Carla Subrizi, Introduzione a Duchamp, Laterza, Roma-Bari 2008, pp. IV + 214.

 

28. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

 

29. PER SAPERNE DI PIU'

 

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 632 del 30 luglio 2011

 

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

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