Nonviolenza. Femminile plurale. 316



 

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"

Numero 316 del 6 aprile 2011

 

In questo numero:

1. Scorciatoie

2. Jean Bartik

3. Elena Petrassi: Anne Sexton

4. Giuliano Turone: Ludmila Cecchini Corradi

5. Giuliano Turone: Liliana Treves Alcalay

6. Ida Bozzi: Alcuni recenti libri su Frida Kahlo

7. Mirella Serri presenta i "Romanzi" di Alba de Cespedes

 

1. EDITORIALE. SCORCIATOIE

 

Se non ci si oppone alla guerra come si puo' costruire la pace?

Se non ci si oppone al razzismo come si puo' difendere la dignita' umana?

Se non ci si oppone agli eserciti e alle armi come si possono salvare le vite umane?

Se non ci si oppone al maschilismo e al patriarcato come si puo' realizzare l'uguaglianza di diritti di tutti gli esseri umani?

Se non ci si oppone all'inquinamento e alla devastazione ambientale come si puo' salvare la biosfera?

Se non scegli la nonviolenza tu, allora chi?

 

2. LUTTI. JEAN BARTIK

[Dal sito della Libreria delle donne di Milano riprendiamo la seguente notizia apparsa sul quotidiano "Il manifesto" del 26 marzo 2011 col titolo "Jean Bartik, addio alla prima programmatrice di computer"]

 

Jean Bartik, ultima superstite delle sei programmatrici che avevano gestito il primo computer della storia dell'informatica, e' morta a New York all'eta' di 86 anni. Laureata in matematica e specializzata in calcoli balistici, Bartik fu ingaggiata nel 1945 come programmatrice dell'Eniac, il primo calcolatore elettronico della storia che pesava 30 tonnellate, creato durante la seconda guerra mondiale da John Mauchly e J. Eckert Presper dell'Universita' della Pennsylvania. Tra un gruppo di 80 laureate in matematica gia' arruolate dall'esercito per il calcolo manuale delle traiettorie balistiche, furono scelte oltre a Bartik, anche Kay Mauchley Antonelli, Betty Holberton, Marlyn Meltzer, Frances Spence e Ruth Teitelbaum, note come "le donne dell'Eniac". Impararono a programmare e lo fecero senza manuali ne' insegnanti e, soprattutto, senza Eniac. Prima di avvicinarsi alla macchina, studiarono il modello teorico e agirono con l'immaginazione. Nel 1946 l'Eniac venne presentato pubblicamente e rimase in servizio fino al 1955. Nel 1997 Bartik e le altre colleghe sono state inserite nella Women in Technology Hall of Fame, ricevendo un premio internazionale per il loro lavoro pionieristico.

 

3. PROFILI. ELENA PETRASSI: ANNE SEXTON

[Dal sito www.enciclopediadelledonne.it

Elena Petrassi, "scrittrice e poetessa, vive e lavora a Milano dove si occupa di comunicazione aziendale. Ha pubblicato con Ati' Editore il romanzo Frammenti del tredicesimo mese la cui voce narrante principale e' la citta' di Milano e con l'editore Moretti&Vitali le raccolte di poesia Il calvario della rosa (2004) e Sillabario della Luce (2007). Nel 2010 usciranno la raccolta di poesie Figure del silenzio e il secondo romanzo In giornate identiche a nuvole. Organizzatrice culturale, ha animato per anni le attivita' culturali della libreria Utopia - in particolare con la rassegna Poesia e Filosofia. Collabora alle riviste 'Poesia' e 'For - Rivista per la formazione dell'Associazione Italiana Formatori' dove con lo scrittore e formatore Dario Arkel sta leggendo ed esplorando in chiave formativo-pedagogica alcuni grandi scrittori e poeti tra i quali: Hillesum, Tolstoj, Roth, Appelfeld, Woolf, Plath, Biamonti, Bramati, Rilke, Mansfield, Camus".

Su Anne Sexton dalla Wikipedia riprendiamo per stralci la seguente voce: "Anne Sexton (Newton, 9 novembre 1928 - Weston, 4 ottobre 1974) e' stata una scrittrice e poetessa statunitense. Figlia di Ralph Harvey, un industriale di successo nel campo della lana, e Mary Gray Staples. Anne crebbe nel confortevole ambiente della middle-class di Weston, Massachusetts, e al campo estivo di Squirrel Island nel Maine, ma non fu mai a suo agio con la vita che era stata prescritta per lei. Suo padre era un alcoolizzato, e l'aspirazione letteraria della madre fu cancellata dalla famiglia. Anne trovo' presto rifugio dalla famiglia poco accogliente in "Nana" (Anna Dingley), la sua giovane prozia che viveva con la famiglia durante l'adolescenza di Anne... Anne sentiva che i suoi genitori le erano ostili e temeva che potessero abbandonarla. La malattia della zia e il suo ricovero all'ospedale traumatizzo' Anne. Ad Anne non piaceva la scuola (frequento' una scuola a Wayne, Michigan). La sua incapacita' a concentrarsi e le occasionali disobbedienze spinsero gli insegnanti a insistere perche' i genitori chiedessero un consulto, cosa che non fecero. Dopo la high school venne iscritta alla "Garland School" che era una scuola professionale dove, piu' che altro, si insegnava a diventare mogli e madri perfette. Anne non resistette a lungo in questa scuola e dopo un solo anno, alla fine del 1947, fuggi' con Alfred Muller Sexton e lo sposo'. Trasferitasi a Boston, lavoro' per un breve periodo alla "Hart Agency" come modella e dopo la nascita della figlia e i primi segni di disagio psichico si iscrisse al laboratorio di poesia del "Boston Center for Adult Education" il cui responsabile era John Holmes la cui posizione teorica era completamente contraria a quella della Sexton e che, proprio per questo, ebbe su di lei un ruolo fondamentale... Nel 1957, unitasi a numerosi gruppi di scrittura di Boston, venne a contatto con scrittori come Maxine Kumin, Robert Lowell, George Starbuck e Sylvia Plath. La sua poesia, nella quale utilizza gli stili piu' disparati e che ebbe larga attenzione da parte della critica e del pubblico, divento' cosi' una parte centrale della sua vita. Nel 1959 la Sexton perse inaspettatamente i genitori e la fine di questo rapporto, che era stato tanto difficile, porto' nella mente della scrittrice ulteriori disagi. La poesia sembrava l'unica via per la stabilita', sebbene a volte le amicizie che fece attraverso la sua arte... fossero alquanto conturbanti. Nel 1960 "To Bedlam and Part Way Back" venne pubblicato con buone recensioni e poesie come "You, doctor Martin", "The Bells" e "The double image" erano spesso inserite in antologie. Proprio come altri poeti "confessionali" come W. D. Snodgrass e Robert Lowell, la Sexton era capace di convincere i suoi lettori che i poemi erano un riflesso della sua vita; non solo la sua poesia era tecnicamente eccellente, ma era pienamente significativa per i lettori di quegli anni che avevano a che fare tutti i giorni con paure e angosce del genere. Nel 1962 la Sexton pubblico' "All My Pretty Ones". Le sue poesie erano cosi' famose in Inghilterra che le "Selected Poems" furono pubblicate come selezione di poesie in "Poetry Book Selection" del 1964. Nel 1967 Anne Sexton ricevette il Premio Pulitzer per la poesia con Live or Die (1966), aggiungendosi ai numerosi premi come il Frost Fellowship al Bread Loaf Writer's Conference (1959), il Radcliffe Institute Fellowship (1961), il Levinson Prize (1962), the American Academy of Arts and Letters traveling fellowship (1963), lo Shelley Memorial Prize (1967), ed ebbe un invito a tenere letture "Morris Gray" ad Harvard. A seguire un Guggenheim Fellowship, Ford Foundation grants, una cattedra alla Colgate University e alla Boston University, e altro. La reputazione di Anne raggiunse l'apice con la pubblicazione di "Love Poems" (1969), una produzione off-Broadway della sua commedia Mercy Street (1969), e la pubblicazione di poemi in prosa in Transformations (1972), il suo lavoro piu' femminista... Nel 1972 pubblico' The Book of Folly e, nel 1974, The Death Notebooks dal titolo minaccioso. Piu' tardi quell'anno completo' The Awful Rowing toward God, pubblicato postumo nel 1975... Nel 1973, la Sexton chiese al marito il divorzio... Divorziata, la Sexton era sola e continuava intanto con la terapia, dalla quale sembrava ricevere un po' di pace. Nell'ottobre del 1974, dopo aver pranzato con Maxine Kumin, Anne Sexton si uccise con il monossido di carbonio nel suo garage a Boston. Dopo le raccolte postume di poesie come 45 Mercy Street (1976) e Words for Dr. Y: Uncollected Poems with Three Stories (1978), tutte pubblicate a cura di Linda Gray Sexton, la pubblicazione delle poesie di Anne culmino' in The Complete Poems del 1981. Anne Sexton scrisse anche importanti saggi sulla poesia... Opere di Anne Sexton: To Bedlam and Part Way Back (1960); All My Pretty Ones (1962); Live or Die (1966, Premio Pulitzer nel 1967); Love Poems (1969); Transformations (1971); The Book of Folly (1972); The Book of Miguel Flores' Dad (1972); The Death Notebooks (1974); The Awful Rowing Towards God (1975, postumo); 45 Mercy Street (1976, postumo); Words for Dr. Y. (1978, postumo); in italiano: Poesie d'amore, Le lettere, 1996; Poesie su Dio, Le lettere, 2003. Opere su Anne Sexton: Anne Sexton: A Biography, by Diane Wood Middlebrook, 1992; Searching for Mercy Street: My Journey Back to My Mother, by Linda Gray Sexton, 1994; Anne Sexton & Middle Generation Poetry: The Geography of Grief, by Philip McGowan, 2004; in italiano: Diane Wood Middlebrook, Anne Sexton. Una vita, Le lettere, 1998; Paola Zaccaria, Lettere scarlatte: poesia come stregoneria. Emily Dickinson, H(ilda) D(oolittle), Sylvia Plath, Anne Sexton, Robin Morgan, Adrienne Rich (e altre...), Franco Angeli, 1992"]

 

Anne Gray Harvey Sexton (Newton (Massachusetts) 1928 - Weston (Massachusetts) 1974).

Anne Gray Harvey, una ragazza di buona famiglia e ultima di tre sorelle, ebbe un'infanzia molto solitaria e non frequento' corsi di studio regolari. Si sentiva "chiusa a chiave nella casa sbagliata". I suoi genitori conducevano una vita sociale di un certo livello ed entrambi bevevano con grande disinvoltura, benche' Mary, madre di Anne, ritenesse che ad avere problemi con l'alcol fosse il marito, mentre si definiva con qualche indulgenza una "bevitrice sociale". Anne stessa, da adulta, diceva di riconoscere in se' le modalita' da "ubriacona" della madre che aveva allegramente bevuto, come il marito, sino alla fine dei suoi giorni. Il padre detestava Anne sino al punto di dirle che non reggeva la sua vista. In questo contesto solo la prozia Nana divenne un punto di riferimento per la ragazzina, anche se per poco, poiche' soffriva di gravi disturbi psichici.

All'inizio dell'estate del 1944 Anne conobbe Kayo Sexton, si innamoro', fuggì con lui e lo sposo'. La grande passione non le impedi', solo pochi anni dopo, di innamorarsi o di uscire con altri uomini. L'abuso di alcol e di psicofarmaci contribuivano ad acuire il suo temperamento irrequieto e il bisogno costante di novita'. Nel 1953 nacque la prima figlia Linda Gray, nel 1955 nacque la secondogenita Joyce Ladd. Anne e Kayo a ventisette anni potevano dirsi realizzati, erano una bella e giovane coppia con prole. Ma era tutta li' la vita? Una sera del luglio 1956, dopo che Kayo e le bambine si erano addormentati Anne, sentendosi sola e disperata piu' che mai, decise di uccidersi. Prelevo' da un cassetto la fotografia e il diario di Nana e le pillole per dormire che le aveva prescritto la psichiatra. Kayo la trovo' in veranda, con la confezione delle pillole in mano, seduta nel buio. Venne ricoverata in tempo e si salvo'. In un'intervista rilasciata alla "Paris Review" nell'agosto del 1968 la Sexton ricorda cosi' quel periodo: "Fino ai ventotto anni avevo una specie di se' sepolto che non sapeva di potersi occupare di qualunque cosa, ma che passava il tempo a rimescolare besciamella e badare ai bambini. Non sapevo di avere alcuna profondita' creativa. Ero una vittima del Sogno Americano, il sogno borghese della classe media. Tutto quello che volevo era un pezzettino di vita, essere sposata, avere dei bambini. Pensavo che gli incubi, le visioni, i demoni, sarebbero scomparsi se io vi avessi messo abbastanza amore nello scacciarli. Mi stavo dannando l'anima nel condurre una vita convenzionale, perche' era quello per il quale ero stata educata, ed era quello che mio marito si aspettava da me... Questa vita di facciata ando' in pezzi quando a ventotto anni ebbi un crollo psichico e tentai di uccidermi".

Dopo essere entrata in cura con un nuovo psichiatra, Anne venne da lui convinta di possedere un talento creativo totalmente inespresso. Il medico le consiglio' di scrivere e la Sexton si decise a farlo dopo aver seguito un programma televisivo dove insegnavano a scrivere sonetti. Ci provo' e vide che le veniva facile. Dopo alcuni mesi di scrittura compulsiva e di approvazione, sia da parte dello psichiatra che della madre, le tentazioni suicide riapparvero in Anne e la condussero a un nuovo tentativo il 29 maggio del 1957.

Anne era in grado di scrivere solo quando le sue condizioni erano buone, e si arrabbiava quando sentiva parlare della pazzia come qualcosa di molto romantico e creativo. Quando si decise a frequentare il corso tenuto da John Holmes, al Boston Center for Adult Education, indosso' la sua maschera pubblica che avrebbe raffinato negli anni. Maxine Kumin, poetessa di prima grandezza conosciuta a quel seminario e che in seguito sarebbe diventata la sua migliore amica, la ricorda come bellissima, elegante, ingioiellata, con rossetto e smalto per le unghie perfettamente abbinati.

L'analisi e la scrittura fervevano ed erano strettamente legate. La scrittura era per Anne l'unica ragione di vita e il luogo, come scrive la Middlebrook, dove dare dimora alle sue capacita' immaginative. La poesia le consenti' di nascere una seconda volta, senza madre ne' padre, come una dea. Nel 1958 il poemetto La doppia immagine viene pubblicato ed e' proprio durante quei mesi, fondamentali per la costruzione della sua identita' di poeta, che Anne incontra una giovane donna il cui destino, per certi versi, si snodo' parallelo al suo: Sylvia Plath. In un ricordo scritto dopo la morte della Plath, la Sexton ricordo' cosi' le ore trascorse insieme: "Spesso, molto spesso, Sylvia e io riparlavamo dei nostri primi tentativi di suicidio: molto, in dettaglio e in profondita' fra una patatina fritta e un'altra. Il suicidio, dopo tutto, e' il contrario della poesia. Sylvia ed io la vedevamo spesso in maniera opposta, ma parlavamo della morte con ardente intensita', entrambe attratte da questa come le zanzare dalla luce elettrica".

La vita e la poesia si inseguono, si intrecciano, e insieme finiscono con l'abbattersi sulla riva della pagina bianca. Da allora sino alla morte Anne pubblica oltre dieci libri, vince premi prestigiosi, e sprofonda sempre piu' nella disperazione e nella solitudine, nonostante le numerose relazioni amorose e l'amicizia con Maxine. Il suo leggendario fascino non venne mai meno, ma inevitabili arrivano i conti con il declino fisico e la vecchiaia incombente. I taccuini della morte fu l'ultimo libro ed ebbe il solito successo (nel 1967 aveva vinto il premio Pulitzer con Live or Die). Niente lasciava presagire quel che stava per fare. Chi la vide, il giorno prima e la mattina del giorno in cui si uccise, non aveva notato nulla di diverso in lei. Pranzo' con Maxine Kumin, che fu l'ultima persona a vederla in vita, telefono' alle persone che doveva vedere la sera. Poi si avvolse nella vecchia pelliccia della madre, si verso' un bicchiere di vodka, si chiuse nel garage e accese il motore dell'auto.

Bibliografia: D.W. Middlebrook, Anne Sexton. Una vita, Le Lettere 1998; A. Sexton, L'estrosa abbondanza, Crocetti 1997; A. Sexton, Poesie d'amore, Le Lettere 1996.

 

4. PROFILI: GIULIANO TURONE: LUDMILA CECCHINI CORRADI

[Dal sito www.enciclopediadelledonne.it

Giuliano Turone "dopo una vita passata in magistratura, ha intrapreso di recente una terza vita come docente universitario. Una seconda vita ce l'aveva gia', da oltre quindici anni, come attore e affabulatore. Come magistrato si e' occupato di criminalita' mafiosa e di criminalita' economica, tra l'altro conducendo, insieme a Gherardo Colombo, l'inchiesta giudiziaria milanese sull'omicidio Ambrosoli nel corso della quale vennero scoperti gli elenchi della loggia massonica P2. Oggi insegna tecniche dell'investigazione all'Universita' Cattolica di Milano.Ultimo libro Il caffe' di Sindona (Garzanti, 2009) di cui e' coautore con Gianni Simoni". Tra le opere di Giuliano Turone segnaliamo particolarmente Il delitto di associazione mafiosa, Giuffre', Milano 1995, e lo studio steso in collaborazione con Giovanni Falcone, Tecniche di indagine in materia di mafia (ora in Giovanni Falcone, Interventi e proposte, Sansoni, Firenze)]

 

Ludmila Cecchini Corradi (Genova 1932 - vivente).

"Ho tratto questo lungo racconto storico dalla mia tesi di laurea presentata all'Universita' degli Studi di Genova, il 13 ottobre 1999. Avevo all'epoca gia' 67 anni. La mia tesi, con l'ampia narrazione che ne e' derivata, e' stata concepita come un atto d'omaggio, ma anche d'ammenda, nei confronti dei miei antenati russi; antenati ai quali, fino ad un'eta' molto matura, non mi ero mai particolarmente interessata".

Sono queste le prime righe di un libro, singolare quanto appassionante, scritto da Ludmila Cecchini Corradi e pubblicato a Firenze (Maremmi editore) nel 2008: I Sen'kov. Una storia di famiglia. Sottotitolo: Dalla servitu' della gleba al capitalismo, dal capitalismo alla rivoluzione. Le vicende di una grande famiglia russa attraverso cinque secoli di storia.

Ludmila Cecchini, Mila per gli amici, nasce da madre russa (Lidija Sergeevna Sen'kova) e padre italiano, e trascorre la prima parte della sua vita a Rapallo con i genitori e il fratello maggiore Roberto. Dopo il matrimonio con Livio Corradi, un medico marchigiano, si trasferisce ad Ancona, dove nascono le sue due figlie. Oggi, rimasta vedova da diversi anni, vive a Senigallia da sola, ma circondata dall'affetto di figlie e nipoti. E' una donna solare, estroversa, spiritosa e cordiale, e ancora oggi - nonostante i decenni trascorsi nelle Marche - parla con un leggero accento ligure, che si fa piu' marcato nei momenti di particolare allegria.

Quando la intervisto, Ludmila si schermisce dicendo di non essere affatto una donna interessante, se non "come prototipo di casalinga della media borghesia". Poi, pero', finisce inevitabilmente col soffermarsi sui temi di quella sua stupefacente tesi di laurea, e la maschera da casalinga della media borghesia cade lasciando trasparire un talento da ricercatrice storica di tutto rispetto. Un talento reso piu' incisivo, inoltre, dalla sua favorevole e peculiare posizione familiare (discendente - appunto - di una grande famiglia russa) e dalla conseguente possibilita' di avere un accesso privilegiato a testimonianze e documenti di interesse eccezionale: tra questi ultimi, un prezioso diario tenuto da suo nonno materno tra il 1925 e il 1933, che e' una descrizione personale diretta degli eventi russi del 1917-18 e degli anni immediatamente successivi.

"Il fatto piu' strano della mia peraltro comunissima vita - esordisce Ludmila - e' legato proprio alle vicende storiche della patria di mia madre, la Russia". La sua famiglia materna era un'antica famiglia di manifatturieri del lino, provenienti dalla servitu' della gleba, da cui si erano emancipati nel 1828.

Sua mamma, Lidija Sergeevna, era emigrata in Italia nel 1925, all'eta' di 23 anni, seguendo il padre Sergej Ivanovic Sen'kov che, dopo essere stato espropriato, settantenne, di ogni suo avere, comprese le fabbriche nazionalizzate, scelse di venire in Italia: conosceva e amava questo paese che aveva potuto conoscere durante alcuni soggiorni, in occasione di fiere e mostre internazionali alle quali aveva preso parte con le sue produzioni.

Ancora oggi Ludmila si rammarica di non aver mai studiato - fino all'inizio degli anni Novanta - la lingua di sua madre. Senonche' la grande svolta storica della caduta del Muro di Berlino ha improvvisamente consentito, a sua madre e a lei, di ritrovare quei parenti russi dati da tempo come persi per sempre. Ed e' stato finalmente allora che, per poter comunicare meglio con quei parenti della sua generazione, l'ormai matura Ludmila Cecchini Corradi si e' risolta a studiare seriamente il russo, ad approfondire la conoscenza della Russia e ad esplorare le storie personali e il percorso della famiglia materna, di cui aveva solo notizie imprecise e lacunose.

Nasceva cosi' la decisione di tornare all'Universita' di Genova, dove in gioventu', prima di sposarsi, aveva frequentato per un paio d'anni la facolta' di medicina: ormai vedova, con le figlie sposate, faceva quindi ritorno a Rapallo, per occuparsi della mamma, anziana ma ancora in buone condizioni di salute, e si iscriveva alla facolta' di lingue e letterature straniere moderne, con specializzazione in russo, presso la sua vecchia universita'.

"Quella degli studi universitari a sessant' anni - ricorda Ludmila - e' stata un'esperienza bellissima e gratificante, con compagni e compagne che mi hanno sempre trattata con molto affetto e simpatia e docenti davvero molto preparati, da cui ho potuto apprendere tanto e che, proprio per la maturita' della mia eta', ho potuto apprezzare e valutare in tutto il loro valore".

Alla sua laurea, discussa nel 1999, quando ormai era gia' nonna da un po', era presente tutta la sua famiglia (ma non sua madre, defunta due anni prima), oltre ai cugini russi oggi residenti a Minsk. C'era anche il sindaco della citta' di origine di sua madre, Vjazniki (regione di Vladimir), dove ancora vi sono gli stabilimenti tessili fondati dalla famiglia. Proprio come omaggio a Ludmila Cecchini Corradi e alle sue ricerche storiche (condotte anche scavando pazientemente negli archivi di Vjazniki e di Vladimir), il municipio di Vjazniki ha deliberato che gli stabilimenti tessili riprendessero il nome dei Sen'kov e che la strada dove essi sono ubicati si chiamasse Via Sen'kova. Ludmila ha ricambiato donando al Museo statale di quella citta' il prezioso diario di suo nonno.

La tesi, redatta dopo un lavoro di ricerca di molti anni, poi perfezionata e pubblicata in volume nel 2008, ha riguardato proprio la storia della famiglia, a partire dal secolo XVII: la servitu' della gleba, da cui l'antenato Osip Michajlovic Sen'kov, nel 1828, riscatto' la famiglia acquistando la liberta' a sue spese, l'industrializzazione russa prerivoluzionaria, la rivoluzione, gli arresti, le emigrazioni, gli anni della guerra, il cugino russo partigiano in Italia, le lettere strazianti dello zio Maksimilijan Sergeevic, padre del cugino di Minsk, dal gulag siberiano nel quale mori'. Sino ai giorni nostri e al disastro di Cernobyl, in cui fu coinvolto il giovane figlio di quel cugino.

Il libro ha avuto recensioni lusinghiere sia in Italia che in Russia, dove qualche capitolo e' stato tradotto e pubblicato su alcuni organi di stampa. Una traduzione completa - alla quale sta collaborando la stessa autrice - sara' pubblicata prossimamente.

Prima ancora di iniziarne la lettura, il volume colpisce al solo sfogliarlo, per le numerose, stupende fotografie d'epoca che esso contiene. "Fin da bambina - spiega l'autrice - avevo avuto modo di vedere delle belle fotogra­fie dell'infanzia e giovinezza di mia madre. Mantenutesi molto bene, alcune con stupende inquadrature, sono dei documenti di straordi­nario valore, lontani nel tempo e nello spazio. Mia madre dava grande importanza a quel tipo di testimonianze, affermando che qualsiasi bene economico puo' essere ricostruito dalla buona volonta' e dal lavoro, ma i ricordi fotografici sono insostituibili. E infatti, partendo dalla Russia, non aveva portato via con se' null'altro se non - gelosamente custodite - le foto di famiglia, considerate come sa­cre".

Concludo la mia intervista chiedendo a Ludmila Cecchini Corradi se conservi qualche ricordo particolarmente significativo dei viaggi fatti da lei in Russia negli anni Novanta insieme con sua mamma. "Ce ne sarebbero molti - mi risponde - ma mi limito a un episodio che mi ha profondamente commossa: nel novembre del 1992 il direttore del Museo storico di Vjazniki ci ha accompagnato a visitare la casa che era stata dei nostri antenati e che attualmente e' adibita a circolo per i lavoratori della fabbrica ed e' utilizzata anche per esigenze di rappresentanza. Qui gli operai ci hanno accolto con grande cordialita' e si sono esibiti per noi in alcune antiche danze popolari nel salone dei ricevimenti, dove i nostri antenati organizzavano incontri d'affari e dove avevano persino ricevuto uno zar".

 

5. GIULIANO TURONE: LILIANA TREVES ALCALAY

[Dal sito www.enciclopediadelledonne.it]

 

Liliana Treves Alcalay (Bengasi 1939 - vivente).

Il casolare della famiglia Cordani si trova sulle colline parmensi, a Rocca Nuova di Varsi. In un pomeriggio del settembre 1943 due uomini si avvicinano al casolare e battono forte alla porta. Sono due fascisti. Maria Cordani apre con il cuore in subbuglio. Sa benissimo che, se i due salissero al piano di sopra, sarebbe la fine per tutti quanti. Tuttavia, quando li accoglie nella cucina del pianterreno, riesce ad apparire calmissima... "Parlano a voce alta. Udibile fino alla nostra stanza per l'assoluto silenzio che si e' creato intorno a noi. Urlano. Una donna ebrea con quattro bambini... Queste parole mi colpiscono. Stanno parlando di noi, di me. Allora la mamma ha ragione... queste sono le persone cattive che ci stanno cercando...". Maria Cordani non si lascia intimidire dall'aggressivita' e dalla violenza verbale dei due fascisti. "Una donna ebrea con quattro bambini? Non abbiamo visto nessuno da queste parti...". "Mamma - dico piano piano - cosa si stanno dicendo giu'?". La mamma mi stringe forte. Dice: "Taci, per favore, taci". Maria, con incredibile sangue freddo, replica di nuovo alle insistenze dei due. "Qui non c'e' nessuno. Potete verificare voi stessi. Tanto meno degli ebrei". Intanto fanno il loro ingresso in cucina le due giovani figlie dei Cordani, portando un fiasco di vino e dei bicchieri. Li appoggiano sul tavolo e versano da bere. Invitano i fascisti a sedersi intorno al tavolo e i due si lasciano convincere... "Eravamo in attesa che si compisse il nostro destino, riuniti nella stessa stanza tutti e dodici, coi muscoli contratti, tesi a non fare rumore... La mamma si era fatta silenziosa e immobile. Se non fosse stato per il suo cuore che pulsava violentemente contro il mio, poteva sembrare anch'essa, come gli altri, senza vita. Il suo cuore mi sembro' cosi' rumoroso che temetti si potesse sentire fino in cucina...". Nella cucina l'atmosfera si fa a poco a poco piu' distesa. Tintinnio di bicchieri, risate, dapprima discrete, poi sempre piu' sguaiate... Il vino scorre abbondante nei bicchieri dei due fascisti. Le due ragazze Cordani stanno attuando la loro strategia con incredibile astuzia montanara. Li stanno ubriacando... Il vino fa il suo effetto, le voci si abbassano e dopo un po' al piano di sopra giunge solo un sommesso parlottare... "Si fece silenzio. Poi un brusco movimento di sedie spostate. Anche le voci ripresero il volume iniziale e rimbombarono nella stanza. Il cuore della mamma sembrava impazzito. I fascisti si stavano alzando. Per andare via o per salire le scale? Rimanemmo tesi ad ascoltare la direzione dei passi. Passi pesanti con gli scarponi. Si fecero lontani. Udimmo aprire la porta, poi richiuderla pesantemente. Erano usciti. Si', i due fascisti erano usciti".

Quando Liliana Treves visse questi momenti agghiaccianti, in braccio alla sua mamma, aveva appena compiuto quattro anni. Il ricordo di quel pomeriggio tremendo e' sempre rimasto impresso nella sua memoria e Liliana lo ha trasfuso, insieme con altri ricordi terribili dello stesso periodo, in un volumetto che non puo' non emozionare il lettore: Con occhi di bambina (1941-1945).

In un altro bel libro autobiografico, dal titolo Un pollo di nome kosher, l'autrice rievoca anche gli anni immediatamente successivi alla guerra.

Liliana Treves e' un'ebrea sefardita nata a Bengasi il 29 settembre 1939. Lei e la sua famiglia riuscirono a salvarsi dall'Olocausto - grazie alla rete protettiva tesa intorno a loro dai contadini del parmense e dai partigiani della zona - riparando fortunosamente in Svizzera nel febbraio 1944. Rimasero li' fino alla fine della guerra, dopo di che si stabilirono a Milano, dove Liliana si e' sposata nel 1964 con Giorgio Alcalay, anch'egli ebreo sefardita.

I sefarditi sono gli ebrei originari della Spagna (in ebraico Sefarad) che i sovrani spagnoli cacciarono dalla penisola iberica nel 1492, sulla spinta dell'Inquisizione, e che emigrarono in maggioranza verso l'impero ottomano trovando li' una generosa accoglienza. Tra questi emigranti c'erano evidentemente anche gli antenati di Liliana, quegli ebrei come Gracia Nasi che in un periodo non precisabile si sistemarono a Istanbul. La famiglia di Liliana si trasferi' poi in Libia a fine Ottocento e successivamente, nel 1941, approdo' in Italia. Liliana Treves Alcalay vive tuttora a Milano con il marito e i due figli. E' una donna discreta e simpatica, con un sorriso luminoso come quello che aveva da bambina, quando ci siamo conosciuti subito dopo la guerra per poi perderci di vista fino all'altroieri.

E' musicologa e concertista e si colloca tra i maggiori studiosi e interpreti della musica tradizionale ebraica: in particolare di quella sefardita, ricca di romanze e di ballate in giudeo-spagnolo, la lingua di origine dei sefarditi, che riflette la struttura della lingua spagnola del XV secolo e che divenne una lingua specifica della diaspora dopo quel fatidico 1492.

A diciotto anni Liliana comincia a studiare canto lirico ed entra nel Coro Ebraico di Milano. Negli anni Settanta inizia le prime ricerche sulla musica tradizionale ebraica, che raccoglie a partire dal 1985 in tre volumi con musicassetta intitolati Canti della Diaspora, e inizia a dare dei concerti in Italia e all'estero, sempre piu' numerosi, nel corso dei quali canta accompagnandosi alla chitarra. In seguito le sue ricerche si estendono esclusivamente alla storia e alla musica degli ebrei sefarditi, con la pubblicazione di altri tre libri: Sefarad (1992 con musicassetta), Melodie di un esilio (2000 con cd) e Canti di Corte e di Juderia (2005 con cd).

Nel libro Sefarad Liliana, dopo essersi soffermata sulle ragioni storiche che determinarono la cacciata degli ebrei dalla Spagna, da' notizia di antiche cerimonie sefardite, di usanze e tradizioni tramandate nel corso dei secoli. "Per esempio - mi spiega - una delle piu' curiose fu il kortar mortaja (taglio del sudario) che aveva luogo quando una persona raggiungeva una certa eta' e desiderava sistemare in tempo ogni aspetto pratico e economico del suo trapasso. Puo' sembrare strano, ma questa cerimonia si svolgeva in grande allegria, tra libagioni, manicaretti e canti di romanze".

In Melodie di un esilio vengono ricercate le tracce musicali degli ebrei "marrani", cioe' di quelli rimasti in Spagna anche dopo il 1492, avendo accettato la conversione forzata, ma rimanendo in realta' segretamente fedeli all'ebraismo. Ricerca estremamente difficile, dato che i marrani vivevano nel terrore dell'Inquisizione e potevano praticare le loro cerimonie religiose solo clandestinamente. Eppure dalla ricerca sono emersi alcuni canti paraliturgici, che si sono conservati miracolosamente nel corso dei secoli, un'inedita melodia eseguita dalle donne marrane durante la Pasqua ed altre tracce di romanze "giudaizzanti".

Infine, l'obiettivo di Canti di Corte e di Juderia e' stato quello di risalire alle versioni originali spagnole che hanno, a loro volta, generato quelle sefardite, seguendone il tragitto e l'evoluzione nel corso dei secoli. Questo lavoro di ricerca ha dovuto estendersi a un numero notevole di Paesi: Spagna, Portogallo, Francia, Turchia, Grecia, Olanda, Stati Uniti e Israele. Chiedo a Liliana di darmi un saggio di questo suo lavoro e lei mi spiega: "di Una tarde de verano, per esempio - romanza sefardita che tratta del rapimento di una giovane fanciulla - sono riuscita a trovare dopo molte consultazioni il testo originale spagnolo intitolato Romance de Don Boyso. Ed e' stata una grande emozione anche perche' Una tarde de verano e' la romanza sefardita che amo di piu'". E con la sua voce da usignolo mi fa ascoltare entrambe le versioni. Domando a Liliana qual e' stato il concerto piu' emozionante che ricordi: "E' stato quello che ho tenuto a Venezia nella Basilica di San Marco nel 1996, nell'ambito di due serate che avevano come tema la fratellanza tra i popoli e il rispetto tra le religioni, con la partecipazione di diversi gruppi musicali italiani e stranieri". In Liliana Treves Alcalay, Moni Ovadia ha riconosciuto "una qualita' sempre piu' rara nel nostro mondo volgare e fracassone: la modestia". E ha aggiunto che "Liliana non indulge a pose ne' da studiosa, ne' tantomeno da 'artista': nei molti anni che la conosco ha mantenuto integra la sua grazia ritrosa e il suo fare materno, eppure e' riuscita a stupire me e molti altri per la determinazione con cui ha costruito il proprio lavoro e per gli importanti risultati che ha conseguito" (dalla Prefazione di Moni Ovadia al volume Melodie di un esilio). Le domando se abbia avuto dei riconoscimenti, e lei si schermisce dicendo che veri e propri riconoscimenti non ne ha avuti. Ma poi scopro che in Canti di corte e di judería, e nel relativo cd, c'e' una composizione sua (testo e musica) intitolata Mira, la luna briya, che ha vinto il primo premio al Festival internazionale di nuove composizioni in giudeo-spagnolo, svoltosi a Gerusalemme nel 2003 e cui hanno partecipato numerosi autori provenienti da ogni parte del mondo. E' bellissima ed e' cantata meravigliosamente. Ascoltatela.

Bibliografia: Liliana Treves Alcalay, Con occhi di bambina (1941-1945), Firenze, La Giuntina; Liliana Treves Alcalay, Un pollo di nome koscher, Firenze, La Giuntina.

 

6. LIBRI. IDA BOZZI: ALCUNI RECENTI LIBRI SU FRIDA KAHLO

[Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano riprendiamo il seguente articolo apparso originariamente sul "Corriere della Sera" del 23 febbraio 2011 col titolo "Frida, l'eroina che celava il suo mito" e il sommario "Incidenti e tradimenti dietro la popolarita' e il destino della Kahlo".

Ida Bozzi e' una giornalista e scrittrice milanese. Da molti anni collabora con importanti quotidiani e settimanali.

Frida Kahlo, il cui nome completo era Magdalena Carmen Frida Kahlo y Calderon (Coyoacan, 1907-1954), e' stata una delle maggiori pittrici del Novecento, militante per i diritti e la liberazione dell'umanita'. Tra le opere su Frida Kahlo: Hayden Herrera, Frida, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2010; Andrea Kettenmann, Frida Kahlo, Taschen, Colonia 2001. Dalla Wikipedia estraiamo la seguente filmografia essenziale su Frida Kahlo: a) film di recitazione: Frida, Naturaleza Viva, di Paul Leduc (1986); Frida, di Julie Taymor (2002); b) documentari: Evocacion de Frida, di Manuel Michel (1960); Frida Kahlo, di Marcela Fernandez Violante (1971); The Life and Death of Frida Kahlo, di David e Karen Crommie (1976); Frida Kahlo, di Roberto Guerra, Elia Hershon, Wibke von Bonin (1982); Frida Kahlo & Tina Modotti, di Peter Wollen e Laura Mulvey (1983); Frida Kahlo: A Ribbon Around a Bomb, di Ken Mandel (1992); Great Women Artists: Frida Kahlo, di Dominique Mougenot (2000); Viva la Frida!, di Andre' Leduc (2001); The Life and Times of Frida Kahlo, di Amy Stechler (2004); Frida Maestra, el arte al encuentro de la vida,  di Luisa Riley (2005); Siglo con Frida: Frida Kahlo, un Homenaje nacional, di Canal 22 Television Metropolitana (2007)]

 

Come dopo ciascuna delle trentadue operazioni chirurgiche che incisero il suo corpo, ancora una volta Frida e' tornata. Ed e' tornata a modo suo, attirando oggi come allora nella sua cerchia autori e autrici rapiti da una personalita' che incarna il senso stesso della lotta, l'irrisione al potere - quello secolare o quello senza tempo della morte - e il grido umano della sofferenza. Almeno quattro novita' librarie celebrano infatti, con diverse angolazioni, la vita e l'arte di Frida Kahlo: una biografia nota, celebrata gia' da libri e film, ma da conoscere ancora meglio, tanto e' esemplare.

Colpita da una paresi a nove anni, a diciotto anni frantumata, letteralmente, da un incidente d'autobus che le spezzo' la spina dorsale e quasi ogni arto, Frida cosi' straziata divenne la piu' nota pittrice del Novecento (non solo) messicano, attivista politica, madrina insieme al marito Diego Rivera di un cenacolo che comprendeva la Modotti, Eisenstein, Breton, ammirata da Picasso e da Miro', amata da Trotskij.

Una donna che, come le disse Georgia O'Keeffe, sapeva dipingere parti, pianti, aborti, lacerazioni, cioe' quel "qualcosa che non si guarda", come racconta con passione il romanzo Il letto di Frida (traduzione di Elvira Mujcic, La Tartaruga, pp. 154, euro 18) di Slavenka Drakulic. E' interessante il romanzo della Drakulic (gia' cronista del mondo ex comunista e del conflitto jugoslavo) perche' vuol cogliere la voce intima di una donna che definiva se stessa "la ocultadora", colei che nasconde, e che solo nei quadri si dipingeva come una colonna spezzata in un petto squarciato o una radice sanguinante. Dal letto di morte, a 47 anni, ormai immobile, senza una gamba, scossa dalla febbre polmonare che e' solo l'ultimo dei disfacimenti del corpo, l'eroina delle pagine dalla Drakulic racconta, alternando la prima e la terza persona, l'incalzare del dolore: il dolore fisico, nascosto nella vita ed esposto invece nei rovi, nei teschi e nel sangue delle sue tele, e quello interiore, l'amore disperato per il marito, maestro riconosciuto dei murales messicani e altrettanto riconosciuto dongiovanni, amante perfino della sorella di Frida, Cristina.

La Kahlo ha compreso come "la sofferenza non si potesse esprimere a parole, ma solo con grida incomprensibili", ha dipinto "quelle cicatrici perche' anche gli altri potessero arrivare alla mia solitudine": e nel libro, che intreccia frasi della Frida storica con lo scavo psicologico ardito dell'autrice, niente e' piu' nascosto. Qui si spiegano "i foulard dai colori vivi" come tentativi di legare a se' il marito impersonando per lui l'ideale del messicanesimo, la seduzione e il dolore carnale di un viso dolce nelle fotografie e severo nei dipinti, i molti amanti, la tortura della cancrena che trascorre dalle dita alla tela come una delle piante in cui i suoi autoritratti sono spesso avvolti.

Fino alla comprensione suprema, sacrificale, dell'arte di Frida: "Per essere lei, aveva bisogno di questo corpo". E tutta Frida ritroviamo nell'intenso monologo Viva la vida! di Pino Cacucci (Feltrinelli, pp. 77, euro 8), accompagnato dai due scritti "Frida: momenti, immagini, ricordi sparsi" e "Amores y desamores". Grido dopo grido, qui Frida racconta la sua vita con un ritmo incalzante, a cominciare da quel "corrimano di quattro metri" che "mi era entrato nel fianco" nell'incidente d'autobus: ma il testo teatrale di Cacucci mostra il sangue meticcio di Frida, le sue radici indie e individua nella convivenza di Frida e della sua pittura con la morte, la "Pelona", la "cagna spelacchiata", la "Morte irridente della mexicanidad", l'anima stessa del popolo messicano ("Mi piace pensarmi come Tlazolteotl, dea azteca della purezza e della lordura"). Spiegando, infine, con una nitidezza rara anche il senso della sua arte: "Perche' l'arte non esprime la realta'. La fonda". Un'arte che e' divenuta un simbolo del Messico, spiega Cacucci: Frida aveva addirittura mentito sulla propria eta' per proclamarsi nata nel 1910, anno della rivoluzione.

Un'arte che non smette di appassionare il mondo: dopo la mostra che ha attraversato l'Europa l'anno scorso (nel centenario della sua "falsa nascita"), si susseguono infatti le esposizioni dedicate alla pittrice della Casa Azul (a Baden Baden una permanente che dal 15 gennaio ha aperto anche una stanza dedicata al padre Wilhelm; a Istanbul fino al 20 marzo la mostra dedicata a Frida e a Diego Rivera, con le opere della collezione Gelman). La sua potenza simbolica si riverbera anche nel romanzo La caverna (Mondadori, pp. 580, euro 21) di Barbara Kingsolver, in cui il protagonista, Harrison Sheperd, lavora come assistente proprio per Frida Kahlo e il marito. Ma tra i libri in cui Frida ritorna c'e' anche Mosche d'inverno (Sellerio, pp. 272, euro 13) di Eugenio Baroncelli: la sua vita passa in uno dei lampi di Baroncelli, che scrive, evocando la Casa Azzurra di Frida, dove sono esposte le sue protesi e i suoi busti: "Se solo non fosse quello che e', una irrimediabile Camera delle Torture, sarebbe quello che sembra: una abbagliante Camera delle Meraviglie".

 

7. LIBRI. MIRELLA SERRI PRESENTA I "ROMANZI" DI ALBA DE CESPEDES

[Dal sito della Libreria delle donne di Milano riprendiamo la seguente recensione apparsa sul quotidiano "La Stampa" del 25 marzo 2011 col titolo "Arrivo' Alba e le donne d'Italia alzarono la testa" e il sommario "In un Meridiano i romanzi più noti (e un inedito) della scrittrice che fu la testimonial più amata del femminismo".

Mirella Serri insegna Letteratura e giornalismo e Letteratura italiana moderna e contemporanea all'Universita' di Roma, con particolare attenzione alla storia delle riviste e degli intellettuali del periodo fascista e del secondo dopoguerra; ha lavorato sulla storia delle donne nel Novecento e si e' occupata dei rapporti tra letteratura e giornalismo. Ha curato l'edizione del Doppio diario. 1936-1943, di Giaime Pintor, e ha partecipato al volume collettivo Novecento delle italiane. Collabora a "L'Espresso", "La Stampa", "Tuttolibri", "Specchio" e al "Corriere della Sera - Magazine". Tra le opere di Mirella Serri: Carlo Dossi e il racconto, Bulzoni 1975; Storie di spie. Saggi sul Novecento in letteratura, Edisud, 1992; Il breve viaggio. Giaime Pintor nella Weimar nazista, Marsilio, 2002; I redenti. Gli intellettuali che vissero due volte. 1938-1948 Corbaccio, 2005; I profeti disarmati. 1945-1948 la guerra fra le due sinistre Corbaccio, 2008.

Alba de Cespedes (1911-1997) scrittrice, giornalista ed intellettuale democratica, resistente antifascista, acuta indagatrice dell'oppressione sessista nelle dimensioni macrosociali come nelle relazioni interpersonali e nelle lacerazioni infrapsichiche. Tra le opere di Alba de Cespedes per un primo accostamento cfr. ora Romazi, Mondadori, Milano 2011.

Dalla Wikipedia riprendiamo la seguente scheda: "Alba de Cespedes y Bertini (Roma, 11 marzo 1911 - Parigi, 14 novembre 1997) e' stata una scrittrice, poetessa e partigiana italiana, autrice anche di testi per il cinema ed il teatro. Ha scritto non solo romanzi e poesie, ma si e' occupata anche della stesura di copioni di programmi per la radio e la televisione ("Clorinda" e' stato il suo pseudonimo radiofonico, e il suo nome di battaglia da partigiana). Di madre romana (Laura Bertini), e figlia di Carlos Manuel de Cespedes Quesada (ambasciatore di Cuba in Italia). Il nonno paterno, Carlos Manuel de Cespedes del Castillo, era stato il "primo presidente in armi" del paese caraibico. Crebbe in una famiglia politicamente impegnata. Bilingue italo-cubana (parlava tanto la lingua italiana quanto la lingua spagnola), scrisse prevalentemente i suoi lavori in italiano. Pubblico' la prima raccolta di racconti brevi - L'anima degli altri - a ventiquattro anni di eta'; seguirono poi le collezioni di poesie che continuo' a pubblicare fino al 1976. Il suo primo romanzo e' del 1938 - Nessuno torna indietro - pubblicato per i tipi di Arnoldo Mondadori Editore. A Mondadori la legava una solida amicizia e l'editore, in piu' occasioni, fece da cuscinetto al carattere determinato e talvolta spigoloso della scrittrice, sostenendola sempre nei momenti piu' difficili, o quantomeno di tensione, come ad esempio quando il regime fascista arrivo' a censurare proprio il suo primo romanzo chiedendo il ritiro delle copie. L'azione non ando' a compimento grazie alla ferma, argomentata ed efficace opposizione della casa editrice milanese. Il personaggio femminile del romanzo delinea una donna scaltra, mentalmente autonoma, certamente diversa dall'immagine stereotipata della donna sottomessa ed abile solo alla riproduzione proposta, secondo l'autrice, dal regime fascista. Il successo del libro, nonostante le oggettive difficolta', varco' i confini nazionali ponendosi subito come un best-seller di caratura internazionale. Nel 1940, de Cespedes pubblico' il romanzo Fuga, e nel 1943, a Bari, durante la seconda guerra mondiale partecipo' alla Resistenza come voce radiofonica con lo pseudonimo di Clorinda. Nel 1944 fondo' la rivista letteraria "Mercurio", che si avvalse fin dalle prime pubblicazioni delle firme di Alberto Moravia, Ernest Hemingway, Massimo Bontempelli, Sibilla Aleramo. A corredare i testi erano i disegni di Mino Maccari, Toti Scialoja e Renzo Vespignani. Nel primo dopoguerra la scrittrice ebbe modo di conoscere diversi esponenti del mondo letterario dell'epoca, da Paola Masino ad Anna Banti, Maria Bellonci, Ottiero Ottieri, Elio Vittorini, Vitaliano Brancati, Aldo Palazzeschi e Corrado Alvaro. Piu' tardi, le sue frequentazioni letterarie si allargarono a una cerchia di giovani scrittori romani, tra cui si segnalano Libero Bigiaretti, Walter Mauro, Luigi Silori. Alla chiusura del "Mercurio", avvenuta alla fine del 1948, inizia a collaborare al settimanale "Epoca" curando una rubrica dal titolo "Dalla parte di lei". Scrive anche per il quotidiano "La Stampa" di Torino e si dedica quasi totalmente, tra il 1949 e il 1963, alla scrittura di nuovi libri: Dalla parte di lei (1949), Quaderno proibito (1952), Prima e dopo (1955) e Il rimorso (1962), critica pungente della classe intellettuale all'epoca assai in auge. De Cespedes pubblica nel 1967 a Parigi (dove si era trasferita dal 1960) La bambolona e scrive, in francese, Sans autre lieu que la nuit (1973), tradotto nell'italiano Nel buio della notte (1976). Da' alle stampe anche una raccolta di poesie: Le ragazze di maggio (1970). Da diversi suoi libri e da sue sceneggiature sono stati tratti film (come ad esempio Le amiche, del 1955, diretto da Michelangelo Antonioni) e riduzioni teatrali: l'ultimo romanzo a cui la scrittrice stava lavorando - Con gran amor, Con molto amore, dedicato a Cuba e a Fidel Castro - e' rimasto incompiuto per la scomparsa della scrittrice, avvenuta a Parigi all'eta' di 86 anni. De Cespedes e' stata una delle protagoniste della letteratura del Novecento ed un'autrice ed intellettuale a tutto tondo. Donna di rara tenacia e scrittrice riluttante a farsi incasellare in schemi prefissati, ha improntato il proprio percorso creativo su due binari: quello dello stile - nei termini della qualita' letteraria - e, soprattutto, quello dell'impegno politico e dell'insopprimibile esigenza di liberta' e giustizia. Questa sorta di leit motiv ha fatto spesso capolino tra le pagine dei suoi scritti. Sebbene taluna critica abbia inserito - o tentato di inserire - la sua opera nel contesto di quella che viene convenzionalmente definita letteratura rosa, l'opera di de Cespedes, per contro, ha sempre mirato alla produzione di scritti di spessore etico e intellettuale, comunque in grado di far emergere la propria vocazione artistica senza che venisse meno l'impegno politico. Tutte le carte e documenti che nella sua lunga esistenza aveva raccolto e conservato personalmente, sono state donate dalla scrittrice, una settimana prima della sua morte, agli Archivi Riuniti delle Donne, che ha sede a Milano. Nella lettura di queste lettere, appunti, traduzioni, manoscritti e fotografie, pubblicamente consultabili, si possono rilevare i termini del suo impegno - tanto politico quanto culturale - cosi' come le ragioni piu' profonde del suo lavoro. Sono, in definitiva, una testimonianza dell'appassionata e raffinata scrittura di questa autrice nonche' del suo desiderio di raccontare e interrogare (e interrogarsi) sul senso della Storia, con una visione altra e alta, capace di andare in profondita' rispetto al senso delle cose e degli eventi che circondavano le persone del suo tempo. Tra le opere di Alba de Cespedes: a) prosa: L'anima degli altri, Roma, Maglione, 1935; Io, suo padre, Lanciano, Carabba, 1936; Concerto, Lanciano, Carabba, 1937; Nessuno torna indietro, Milano, Mondadori, 1938; Fuga, Milano, Mondadori, 1940; Dalla parte di lei, Milano, Mondadori, 1949; Quaderno proibito, Milano, Mondadori, 1952; Invito a pranzo, Milano, Mondadori, 1955; Prima e dopo, Milano, Mondadori, 1955; Il rimorso, Milano, Mondadori, 1962; La bambolona, Milano, Mondadori, 1967; Sans autre lieu que la nuit, Paris, Seuil, 1973; Nel buio della notte, Milano, Mondadori, 1976; b) poesia: Prigionie, Lanciano, Carabba, 1936; Chansons des filles de mai, Paris, Seuil, 1968; Le ragazze di maggio, Milano, Mondadori, 1970; c) teatro: Gli affetti di famiglia (in collaborazione con A. Degli Espinosa), 1952; Quaderno proibito, Milano 1961 (tratto dal romanzo omonimo)"]

 

Una piccola cubana a Roma negli Anni Venti: ovvero una bambina che giocava sotto i pini e raccontava alle amichette storie sull'Isola del tesoro. Si', proprio quella di Stevenson, dove pero' si erano trovati pure suo padre e suo nonno. "Sara' vero?", si interrogavano le altre ragazzette che la scambiavano per una visionaria.

Inizia cosi', tra autobiografia e favola, tra iguana e vegetazioni lussureggianti dove gli indios si ingozzano di terra per soffocare e sfuggire alla persecuzione dei conquistadores, Con grande amore, il romanzo fino a oggi inedito di Alba de Cespedes. Che vede ora la luce nel Meridiano mondadoriano pubblicato in coincidenza con il centenario della nascita della scrittrice romana che considerava Cuba la sua vera patria: aveva dato i natali alla nobile schiatta dove i maschi di casa, come suo nonno, presidente della Repubblica cubana in lotta per l'indipendenza, avevano tutti lo stesso nome, Carlos Manuel. Un'ossessione, questo racconto che la segui' tutta la vita, dagli anni Trenta, quando mori' il padre, ambasciatore in Italia, al 1968 mentre sotto le sue finestre parigine sfilavano i giovani leoni del maggio francese, fino alla morte nel 1997.

Adesso la ripubblicazione anche dei Romanzi piu' noti (il Meridiano riunisce Nessuno torna indietro, Dalla parte di lei, Quaderno proibito, Nel buio della notte), con la cura e la bella introduzione di Marina Zancan che ricostruisce percorso culturale, tecniche di scrittura e mix di generi narrativi, riporta sulla scena letteraria la narratrice molto stimata da Palazzeschi e Brancati e divenuta, dopo essere stata a lungo dimenticata, la testimonial piu' amata del femminismo ruggente a partire dagli anni '70.

Non era un caso: trascinate dalla sua scrittura fluente, le sue irrequiete ragazze, traboccanti di ira e di passioni, di furori e di frustrazioni, incarnano la levata di testa femminile nei momenti piu' difficili del Novecento, quelli di basso livello, di risacca e ristagno politico e culturale nella vita della penisola. Cosi' nello Stivale in camicia nera, dove echeggiava il trombonesco "siate mogli e madri esemplari!", le studentesse del primo romanzo, Nessuno torna indietro, piombarono come correnti d'aria che raggelavano le parole d'ordine. Le signorine ospitate nell'istituto Grimaldi, in controtendenza, perdono la verginita' da ragazzine, diventano le mantenute di borghesi benestanti, reclamano autonomia. "Non erano conformi alla morale fascista", spieghera' la de Cespedes.

Lei stessa era allergica a regole di cui non riconosceva la fondatezza in una esistenza a ritmo accelerato: si sposa a 15 anni, a 17 diventa madre, a 20 si separa, a 23 pubblica il primo racconto, a 24 sconta alcuni giorni di galera per antifascismo, a 27 con il romanzo Nessuno torna indietro e' autrice di gran successo. Anche nel dopoguerra le sue donne saranno profondamente irrequiete e desiderose di denunciare che nell'Italia liberata c'erano molti intoppi per il gentil sesso: Alessandra in Dalla parte di lei - scritto tra il 1945 e il 1948 - si compiace per l'egualitarismo nella vita di coppia nella lotta partigiana. Le signore che imbracciavano il fucile e guardavano negli occhi la morte si erano conquistate la parita' con i maschi.

La de Cespedes a Bari era divenuta la voce radiofonica della Resistenza e aveva fondato la rivista letteraria "Il Mercurio" (poi passo' a collaborare con "Epoca" e con "La Stampa"). Pero' era arrivata la pace: "Mi esasperava, con il ritorno alla normalita', ritrovarmi nella condizione di subalterna che la societa' mi attribuiva. Soltanto una donna poteva capire quanto fosse irritante sentirsi sotto tutela". Si profilavano anni non certo ricchi di opportunita': in Quaderno proibito Valeria viene chiamata "mamma" pure dal marito ed e' dileggiata e denigrata per il lavoro di impiegata a cui tiene. "Dopo il fascismo era arrivata una classe dirigente infida e cupida di servilismo", spiega Alba. E lei si fa beffe di questi nuovi rampanti della fine degli anni '60 attraverso il ricco e stolido avvocato della Bambolona, portata sullo schermo con gran successo da Franco Giraldi.

Intanto la seguiva fedele nei decenni il romanzo incompiuto dedicato al nonno, un Che ottocentesco e romantico morto per la liberta'. "Debbo fare in tempo a concluderlo. Le notti sono diventate troppo veloci", si diceva. Ma anche se le notti fossero state piu' lunghe probabilmente non l'avrebbe mai portato a termine. Era un libro sognante, un'epopea troppo intima e famigliare per una lottatrice.

Considerata dai detrattori un'autrice per signore, un innocuo dolcificante, al contrario le sue protagoniste hanno incarnato il nervo scoperto, il punto di frattura e di cedimento - ben oltre la questione femminile - di societa' chiuse, ansimanti e dal fiato corto. E se la storia si ripete, e tante giovani donne del nostro tempo appaiono di nuovo ingabbiate in ambienti asfittici e poco disponibili verso il gentil sesso, queste sue signore e signorine cosi' toste e coriacee oggi anche loro si riaffacciano alla ribalta.

 

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE

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Numero 316 del 6 aprile 2011

 

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