Telegrammi. 395



 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 395 del 5 dicembre 2010

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

 

Sommario di questo numero:

1. Maria G. Di Rienzo: Nel nome del "papi"

2. Hannah Arendt: La Resistenza nonviolenta in Danimarca

3. Vandana Shiva: Principi costitutivi di una democrazia della comunita' terrena

4. Per sostenere il Movimento Nonviolento

5. "Azione nonviolenta"

6. Segnalazioni librarie

7. La "Carta" del Movimento Nonviolento

8. Per saperne di piu'

 

1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: NEL NOME DEL "PAPI"

[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento.

Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sydney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005. Un piu' ampio profilo di Maria G. Di Rienzo in forma di intervista e' in "Notizie minime della nonviolenza" n. 81; si veda anche l'intervista in "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 250]

 

Credo si debba dar credito di almeno una cosa alla Ministra Gelmini: pur facendo malissimo il suo lavoro, in una sola frase e' riuscita a fotografare il "pensiero dominante" degli ultimi trent'anni italiani. Guardando dalla finestra, per cosi' dire, la signora e' sconcertata dal vedere pensionati e studenti protestare insieme. Che hanno a che fare gli uni con gli altri?, si chiede basita, Che interessi comuni possono avere?

Nel supermercato della giungla infatti, dove la Ministra vive e dove il suo governo pascola, tutti si vendono e/o comprano altri, ed ognuno e' solo sino alla disperazione, perche' chiunque si trovi accanto - se non e' un oggetto da usare o un potente da agganciare - e' un competitore, un ostacolo, un fastidio. Gli italiani non si sono tirati indietro: sulla base degli esempi e degli impulsi forniti dagli uomini e dalle donne "di successo", incoraggiati dalla propaganda ossessiva dei media, abbagliati dai premi forniti alla disonesta' e alla cialtroneria, hanno contribuito ad alzare il livello di violenza nel paese senza pensare che sarebbe ricaduto su di loro. Hanno giustificato ogni iniquita' propria e altrui esattamente sul fondamento di una solitudine egoista. Ma singolarizzati non si vive.

Se l'ambiente e' un terreno di caccia e sfruttamento l'immondizia si accumula sulle tue strade, il tuo fiume straripa, le tue case crollano, le varie patologie da inquinamento fanno ammalare ed uccidono te e i tuoi figli. Se le scuole sono aziende che devono produrre profitto, e parcheggi per i ragazzi in attesa che trovino da fare gli idioti in tv, e' perfettamente normale che il bullismo sia esploso come un fungo atomico. Quando le donne non possono essere viste e rappresentate se non come imprenditrici del sesso a pagamento, hostess da tavolo, cigni da cubo, vassoi viventi e "talenti futuri", ecco cosa aumenta: violenza domestica, violenza sessuale, disturbi dell'alimentazione nelle adolescenti, molestie sul lavoro (abbiamo il record europeo in quest'ultimo settore). Ed ecco cosa accade quotidianamente: bambine di quattro anni vestite come pornostar fanno balletti "sexy" nel giorno del loro compleanno o nel cortile dell'asilo, bambini delle elementari - tutti o quasi "fidanzati" con coetanee - cercano pornografia su internet, studenti delle medie molestano pesantamente le compagne in classe, quando non le stuprano nei bagni, sotto gli occhi indifferenti degli insegnanti. Questi sono tutti episodi di cui io ho conoscenza diretta. Soli, ipersessualizzati, violenti e senza orizzonte: dai quattro anni in poi gli italiani e le italiane sembrano avere quest'unica prospettiva.

Di recente se n'e' accorto anche il Censis (44mo rapporto annuale sullo stato dell'Italia, dicembre 2010), definendo l'Italia "una societa' senza regole e senza sogni" attraversata dal "gusto apatico di compiere delitti comuni". Il suo presidente De Rita ha rilasciato al proposito coltissime dichiarazioni piene di "auctoritas" e di "sregolazione pulsionale", ma di fronte alla richiesta di rimedi si e' rivelato un po' meno profondo. Cosa possiamo fare, dunque? Preoccuparci del "padre che evapora" (santo cielo, abbassate i termostati!), quindi "ridare senso alla figura paterna" e "alla dimensione sociale del peccato", ripartendo da un "desiderio" che nasca dalla "mancanza". Il rapporto rileva con giusta perplessita' i bambini affogati in giocattoli che neppure hanno chiesto e la mezza dozzina di cellulari a cranio italico, ma provate a portarglieli via e vedremo come il desiderio nato dalla mancanza si esprimera': non si tratta solo di quante cose si hanno, signor presidente, ma di a che servono, di chi le usa e come le usa e per quali motivi, perche' di fatto esse hanno sostituito le relazioni sociali e definiscono il posto nel mondo - il "successo", il valore - di chi le possiede.

Giuseppe Roma, direttore del Censis, contribuisce: ripartiamo dal singolo, invoca, per ritrovare "impulsi vitali" ed "energie positive". No, grazie: al "singolo" (uno contro tutti nella competizione globale) ci siamo gia'. E' la coscienza che il singolo esiste all'interno di un sistema di relazioni che manca, e' la consapevolezza che ogni individuo umano e' stato portato all'esistenza da una relazione che manca, e che il nostro stesso pianeta e' una rete di relazioni viventi. E' il riconoscere che viviamo grazie alla cooperazione, non grazie alla competizione, che manca. Quanto al desiderio di un "padre" che ci metta a posto fomentando in noi l'idea del peccato e strapazzandoci per farci rigare diritto lo rispedisco al mittente: cio' che i signori del Censis hanno osservato con le lacrime agli occhi e' esattamente il prodotto estremo e spettacolarizzato della "legge dei padri", il patriarcato.

Quando Mister "Ghe pensi mi" (l'attuale capo di governo) metteva in fila le cameriere nelle sue ville per dar loro lo sculaccione augurale, affinche' quel giorno lavorassero bene e nessuna piega si formasse sulla tovaglia per gli ospiti, non stava facendo altro che il suo lavoro da padre-padrone e quasi nessuno - oltre a me - lo ha trovato ignobile; quando assieme ai suoi lacche' ha sponsorizzato la pagliacciata del "Family Day", delegittimando ed insultando la mia, di famiglia, perche' "sregolata" e "non tradizionale" (come non e' "tradizionale" la maggioranza delle famiglie italiane), il padre-padrone si sentiva perfettamente in regola circondato da prelati, beghine, le sue due famiglie ed il corteggio di amanti a pagamento: e' "tradizione", infatti, che il patriarca possa concedersi cio' che ai comuni mortali e' negato; quando le suddette dame di compagnia sessuale gli chiedevano favori (risolvimi l'abuso edilizio, prestami l'avvocato da talk show per i miei problemi legali, trovami un posto in tv o da parlamentare: e quelle che hanno sollevato i veli dell'ipocrisia lo hanno fatto solo perche' non hanno ottenuto cio' che volevano) stavano ridando pieno "senso alla figura paterna", quella del "tradizionale" padre onnipotente che da' e toglie a suo capriccio, che ha piena potesta' sulla figliolanza reale e simbolica, e che e' autorizzato ad usarla per il proprio godimento: fra i figli, quindi, deve scatenarsi la lotta piu' implacabile per ottenere i favori del padre, eliminare gli avversari, e infine prenderne il posto.

In questo quadro, lo stupore ministeriale che citavo all'inizio ("Che interessi comuni possono avere pensionati e studenti?") e' perfettamente logico: ognun per se' e dio per chi puo' pagarlo con le regalie alle scuole private, mentre quella pubblica affonda. So che la Ministra non leggera' mai la spiegazione che sto per fornirle, e che quand'anche cio' accadesse probabilmente non riuscirebbe (ancora) a capirla, tuttavia eccola qua: pensionati e studenti, lavoratori e attivisti sociali, stanno cominciando a ricordare di essere umani, e che sono umani solo grazie al fatto che altri esseri umani li hanno messi al mondo, hanno avuto cura di loro, si preoccupano per loro, li amano. Se al Censis non hanno le fette di "papi" sugli occhi dovrebbero accorgersi che tutto questo ricorda molto di piu' l'agire di una madre (o di un padre nient'affatto "tradizionale"). Una madre che non ti indica l'inferno piu' o meno trascendente - il "senso sociale del peccato" - ma un quotidiano esistere fatto di buone relazioni, di negoziazioni, di condivisione di abilita' e risorse, di responsabilita' e rispetto, come sistema per vivere meglio, insieme, tutte e tutti. Se vogliono prove di quanto dico, e' probabile che non debbano guardare piu' lontano di casa propria.

 

2. MEMORIA. HANNAH ARENDT: LA RESISTENZA NONVIOLENTA IN DANIMARCA

[Da Hannah Arendt, La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli, Milano 1964, 1993, alle pp. 177-182. E' un brano che abbiamo gia' altre volte riprodotto su questo foglio.

Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel 1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951), Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen (1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2. 1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita' e giudizio, Einaudi, Torino 2004; la recente Antologia, Feltrinelli, Milano 2006; i recentemente pubblicati Quaderni e diari, Neri Pozza, 2007. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001; Julia Kristeva, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 2005; Alois Prinz, Io, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1999, 2009. Per chi legge il tedesco due piacevoli monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000]

 

La storia degli ebrei danesi e' una storia sui generis, e il comportamento della popolazione e del governo danese non trova riscontro in nessun altro paese d'Europa, occupato o alleato dell'Asse o neutrale e indipendente che fosse. Su questa storia si dovrebbero tenere lezioni obbligatorie in tutte le universita' ove vi sia una facolta' di scienze politiche, per dare un'idea della potenza enorme della nonviolenza e della resistenza passiva, anche se l'avversario e' violento e dispone di mezzi infinitamente superiori. Certo, anche altri paesi d'Europa difettavano di "comprensione per la questione ebraica", e anzi si puo' dire che la maggioranza dei paesi europei fossero contrari alle soluzioni "radicali" e "finali". Come la Danimarca, anche la Svezia, l'Italia e la Bulgaria si rivelarono quasi immuni dall'antisemitismo, ma delle tre di queste nazioni che si trovavano sotto il tallone tedesco soltanto la danese oso' esprimere apertamente cio' che pensava. L'Italia e la Bulgaria sabotarono gli ordini della Germania e svolsero un complicato doppio gioco, salvando i loro ebrei con un tour de force d'ingegnosita', ma non contestarono mai la politica antisemita in quanto tale. Era esattamente l'opposto di quello che fecero i danesi. Quando i tedeschi, con una certa cautela, li invitarono a introdurre il distintivo giallo, essi risposero che il re sarebbe stato il primo a portarlo, e i ministri danesi fecero presente che qualsiasi provvedimento antisemita avrebbe provocato le loro immediate dimissioni. Decisivo fu poi il fatto che i tedeschi non riuscirono nemmeno a imporre che si facesse una distinzione tra gli ebrei di origine danese (che erano circa seimilaquattrocento) e i millequattrocento ebrei di origine tedesca che erano riparati in Danimarca prima della guerra e che ora il governo del Reich aveva dichiarato apolidi. Il rifiuto opposto dai danesi dovette stupire enormemente i tedeschi, poiche' ai loro occhi era quanto mai "illogico" che un governo proteggesse gente a cui pure aveva negato categoricamente la cittadinanza e anche il permesso di lavorare. (Dal punto di vista giuridico, prima della guerra la situazione dei profughi in Danimarca non era diversa da quella che c'era in Francia, con la sola differenza che la corruzione dilagante nella vita amministrativa della Terza Repubblica permetteva ad alcuni di farsi naturalizzare, grazie a mance o "aderenze", e a molti di lavorare anche senza un permesso; la Danimarca invece, come la Svizzera, non era un paese pour se debrouiller). I danesi spiegarono ai capi tedeschi che siccome i profughi, in quanto apolidi, non erano piu' cittadini tedeschi, i nazisti non potevano pretendere la loro consegna senza il consenso danese. Fu uno dei pochi casi in cui la condizione di apolide si rivelo' un buon pretesto, anche se naturalmente non fu per il fatto in se' di essere apolidi che gli ebrei si salvarono, ma perche' il governo danese aveva deciso di difenderli. Cosi' i nazisti non poterono compiere nessuno di quei passi preliminari che erano tanto importanti nella burocrazia dello sterminio, e le operazioni furono rinviate all'autunno del 1943.

Quello che accadde allora fu veramente stupefacente; per i tedeschi, in confronto a cio' che avveniva in altri paesi d'Europa, fu un grande scompiglio. Nell'agosto del 1943 (quando ormai l'offensiva tedesca in Russia era fallita, l'Afrika Korps si era arreso in Tunisia e gli Alleati erano sbarcati in Italia) il governo svedese annullo' l'accordo concluso con la Germania nel 1940, in base al quale le truppe tedesche avevano il diritto di attraversare la Svezia. A questo punto i danesi decisero di accelerare un po' le cose: nei cantieri della Danimarca ci furono sommosse, gli operai si rifiutarono di riparare le navi tedesche e scesero in sciopero. Il comandante militare tedesco proclamo' lo stato d'emergenza e impose la legge marziale, e Himmler penso' che fosse il momento buono per affrontare il problema ebraico, la cui "soluzione" si era fatta attendere fin troppo. Ma un fatto che Himmler trascuro' fu che (a parte la resistenza danese) i capi tedeschi che ormai da anni vivevano in Danimarca non erano piu' quelli di un tempo. Non solo il generale von Hannecken, il comandante militare, si rifiuto' di mettere truppe a disposizione del dott. Werner Best, plenipotenziario del Reich; ma anche le unita' speciali delle SS (gli Einsatzkommandos) che lavoravano in Danimarca trovarono molto da ridire sui "provvedimenti ordinati dagli uffici centrali", come disse Best nella deposizione che rese poi a Norimberga. E lo stesso Best, che veniva dalla Gestapo ed era stato consigliere di Heydrich e aveva scritto un famoso libro sulla polizia e aveva lavorato per il governo militare di Parigi con piena soddisfazione dei suoi superiori, non era piu' una persona fidata, anche se non e' certo che a Berlino se ne rendessero perfettamente conto. Comunque, fin dall'inizio era chiaro che le cose non sarebbero andate bene, e l'ufficio di Eichmann mando' allora in Danimarca uno dei suoi uomini migliori, Rolf Guenther, che sicuramente nessuno poteva accusare di non avere la necessaria "durezza". Ma Guenther non fece nessuna impressione ai suoi colleghi di Copenhagen, e von Hannecken si rifiuto' addirittura di emanare un decreto che imponesse a tutti gli ebrei di presentarsi per essere mandati a lavorare.

Best ando' a Berlino e ottenne la promessa che tutti gli ebrei danesi sarebbero stati inviati a Theresienstadt, a qualunque categoria appartenessero - una concessione molto importante, dal punto di vista dei nazisti. Come data del loro arresto e della loro immediata deportazione (le navi erano gia' pronte nei porti) fu fissata la notte del primo ottobre, e non potendosi fare affidamento ne' sui danesi ne' sugli ebrei ne' sulle truppe tedesche di stanza in Danimarca, arrivarono dalla Germania unita' della polizia tedesca, per effettuare una perquisizione casa per casa. Ma all'ultimo momento Best proibi' a queste unita' di entrare negli alloggi, perche' c'era il rischio che la polizia danese intervenisse e, se la popolazione danese si fosse scatenata, era probabile che i tedeschi avessero la peggio. Cosi' poterono essere catturati soltanto quegli ebrei che aprivano volontariamente la porta. I tedeschi trovarono esattamente 477 persone (su piu' di 7.800) in casa e disposte a lasciarli entrare. Pochi giorni prima della data fatale un agente marittimo tedesco, certo Georg F. Duckwitz, probabilmente istruito dallo stesso Best, aveva rivelato tutto il piano al governo danese, che a sua volta si era affrettato a informare i capi della comunita' ebraica. E questi, all'opposto dei capi ebraici di altri paesi, avevano comunicato apertamente la notizia ai fedeli, nelle sinagoghe, in occasione delle funzioni religiose del capodanno ebraico. Gli ebrei ebbero appena il tempo di lasciare le loro case e di nascondersi, cosa che fu molto facile perche', come si espresse la sentenza, "tutto il popolo danese, dal re al piu' umile cittadino", era pronto a ospitarli.

Probabilmente sarebbero dovuti rimanere nascosti per tutta la durata della guerra se la Danimarca non avesse avuto la fortuna di essere vicina alla Svezia. Si ritenne opportuno trasportare tutti gli ebrei in Svezia, e cosi' si fece con l'aiuto della flotta da pesca danese. Le spese di trasporto per i non abbienti (circa cento dollari a persona) furono pagate in gran parte da ricchi cittadini danesi, e questa fu forse la cosa piu' stupefacente di tutte, perche' negli altri paesi gli ebrei pagavano da se' le spese della propria deportazione, gli ebrei ricchi spendevano tesori per comprarsi permessi di uscita (in Olanda, Slovacchia e piu' tardi Ungheria), o corrompendo le autorita' locali o trattando "legalmente" con le SS, le quali accettavano soltanto valuta pregiata e, per esempio in Olanda, volevano dai cinquemila ai diecimila dollari per persona. Anche dove la popolazione simpatizzava per loro e cercava sinceramente di aiutarli, gli ebrei dovevano pagare se volevano andar via, e quindi le possibilita' di fuggire, per i poveri, erano nulle.

Occorse quasi tutto ottobre per traghettare gli ebrei attraverso le cinque-quindici miglia di mare che separano la Danimarca dalla Svezia. Gli svedesi accolsero 5.919 profughi, di cui almeno 1.000 erano di origine tedesca, 1.310 erano mezzi ebrei e 686 erano non ebrei sposati ad ebrei. (Quasi la meta' degli ebrei di origine danese rimase invece in Danimarca, e si salvo' tenendosi nascosta). Gli ebrei non danesi si trovarono bene come non mai, giacche' tutti ottennero il permesso di lavorare. Le poche centinaia di persone che la polizia tedesca era riuscita ad arrestare furono trasportate a Theresienstadt: erano persone anziane o povere, che o non erano state avvertite in tempo o non avevano capito la gravita' della situazione. Nel ghetto godettero di privilegi come nessun altro gruppo, grazie all'incessante campagna che in Danimarca fecero su di loro le autorita' e privati cittadini. Ne perirono quarantotto, una percentuale non molto alta, se si pensa alla loro eta' media. Quando tutto fu finito, Eichmann si senti' in dovere di riconoscere che "per varie ragioni" l'azione contro gli ebrei danesi era stata un "fallimento"; invece quel singolare individuo che era il dott. Best dichiaro': "Obiettivo dell'operazione non era arrestare un gran numero di ebrei, ma ripulire la Danimarca dagli ebrei: ed ora questo obiettivo e' stato raggiunto".

L'aspetto politicamente e psicologicamente piu' interessante di tutta questa vicenda e' forse costituito dal comportamento delle autorita' tedesche insediate in Danimarca, dal loro evidente sabotaggio degli ordini che giungevano da Berlino. A quel che si sa, fu questa l'unica volta che i nazisti incontrarono una resistenza aperta, e il risultato fu a quanto pare che quelli di loro che vi si trovarono coinvolti cambiarono mentalita'. Non vedevano piu' lo sterminio di un intero popolo come una cosa ovvia. Avevano urtato in una resistenza basata su saldi principi, e la loro "durezza" si era sciolta come ghiaccio al sole permettendo il riaffiorare, sia pur timido, di un po' di vero coraggio. Del resto, che l'ideale della "durezza", eccezion fatta forse per qualche bruto, fosse soltanto un mito creato apposta per autoingannarsi, un mito che nascondeva uno sfrenato desiderio di irreggimentarsi a qualunque prezzo, lo si vide chiaramente al processo di Norimberga, dove gli imputati si accusarono e si tradirono a vicenda giurando e spergiurando di essere sempre stati "contrari" o sostenendo, come fece piu' tardi anche Eichmann, che i loro superiori avevano abusato delle loro migliori qualita'. (A Gerusalemme Eichmann accuso' "quelli al potere" di avere abusato della sua "obbedienza": "il suddito di un governo buono e' fortunato, il suddito di un governo cattivo e' sfortunato: io non ho avuto fortuna"). Ora avevano perduto l'altezzosita' d'un tempo, e benche' i piu' di loro dovessero ben sapere che non sarebbero sfuggiti alla condanna, nessuno ebbe il fegato di difendere l'ideologia nazista.

 

3. MAESTRE. VANDANA SHIVA: PRINCIPI COSTITUTIVI DI UNA DEMOCRAZIA DELLA COMUNITA' TERRENA

[Riproponiamo ancora una volta il seguente estratto dall'introduzione del recente libro di Vandana Shiva, Il bene comune della Terra, Feltrinelli, Milano 2006, alle pp. 16-19.

Vandana Shiva, scienziata e filosofa indiana, direttrice di importanti istituti di ricerca e docente nelle istituzioni universitarie delle Nazioni Unite, impegnata non solo come studiosa ma anche come militante nella difesa dell'ambiente e delle culture native, e' oggi tra i principali punti di riferimento dei movimenti ecologisti, femministi, di liberazione dei popoli, di opposizione a modelli di sviluppo oppressivi e distruttivi, e di denuncia di operazioni e programmi scientifico-industriali dagli esiti pericolosissimi. Tra le opere di Vandana Shiva: Sopravvivere allo sviluppo, Isedi, Torino 1990; Monocolture della mente, Bollati Boringhieri, Torino 1995; Biopirateria, Cuen, Napoli 1999, 2001; Vacche sacre e mucche pazze, DeriveApprodi, Roma 2001; Terra madre, Utet, Torino 2002 (edizione riveduta di Sopravvivere allo sviluppo); Il mondo sotto brevetto, Feltrinelli, Milano 2002. Le guerre dell'acqua, Feltrinelli, Milano 2003; Le nuove guerre della globalizzazione, Utet, Torino 2005; Il bene comune della Terra, Feltrinelli, Milano 2006; India spezzata, Il Saggiatore, Milano 2008; Ritorno alla terra, Fazi, Roma 2009; Campi di battaglia, Edizioni Ambiente, Milano 2009]

 

1. Tutte le specie, tutti gli esseri umani e tutte le culture possiedono un valore intrinseco.

Tutti gli esseri viventi sono soggetti dotati di intelligenza, integrita' e di un'identita' individuale. Non possono essere ridotti al ruolo di proprieta' privata, di oggetti manipolabili, di materie prime da sfruttare o di rifiuti eliminabili. Nessun essere umano ha il diritto di possedere altre specie, altri individui, o di impadronirsi dei saperi di altre culture attraverso brevetti o altri diritti sulla proprieta' intellettuale.

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2. La comunita' terrena promuove la convivenza democratica di tutte le forme di vita.

Siamo membri di un'unica famiglia terrena, uniti gli uni agli altri dalla fragile ragnatela della vita del pianeta. Pertanto e' nostro dovere assumere dei comportamenti che non compromettano l'equilibrio ecologico della Terra, nonche' i diritti fondamentali e la sopravvivenza delle altre specie e di tutta l'umanita'. Nessun essere umano ha il diritto di invadere lo spazio ecologico di altre specie o di altri individui, ne' di trattarli con crudelta' e violenza.

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3. Le diversita' biologiche e culturali devono essere difese.

Le diversita' biologiche e culturali hanno un valore intrinseco che deve essere riconosciuto. Le diversita' biologiche sono fonti di ricchezza materiale e culturale che pongono le basi per la sostenibilita'. Le differenze culturali sono portatrici di pace. Tutti gli esseri umani hanno il dovere di difendere tali diversita'.

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4. Tutti gli esseri viventi hanno il diritto naturale di provvedere al loro sostentamento.

Tutti i membri della comunita' terrena, inclusi gli esseri umani, hanno il diritto di provvedere al loro sostentamento: hanno diritto al cibo e all'acqua, a un ambiente sicuro e pulito, alla conservazione del loro spazio ecologico. Le risorse vitali necessarie per il sostentamento non possono essere privatizzate. Il diritto al sostentamento e' un diritto naturale perche' equivale al diritto alla vita. E' un diritto che non puo' essere accordato o negato da una nazione o da una multinazionale. Nessun paese e nessuna multinazionale ha il diritto di vanificare o compromettere questo genere di diritto, o di privatizzare le risorse comuni necessarie alla vita.

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5. La democrazia della comunita' terrena si fonda su economie che apportano la vita e su modelli di sviluppo democratici.

La realizzazione di una democrazia della comunita' terrena presuppone una gestione democratica dell'economia, dei piani di sviluppo che proteggano gli ecosistemi e la loro integrita', provvedano alle esigenze di base di tutti gli esseri umani e assicurino loro un ambiente di vita sostenibile. Una concezione democratica dell'economia non prevede l'esistenza di individui, specie o culture eliminabili. L'economia della comunita' terrena e' un'economia che apporta nutrimento alla vita. I suoi modelli sono sempre sostenibili, differenziati, pluralistici, elaborati dai membri della comunita' stessa al fine di proteggere la natura e gli esseri umani e operare per il bene comune.

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6. Le economie che apportano la vita si fondano sulle economie locali.

Il miglior modo di provvedere con efficienza, attenzione e creativita' alla conservazione delle risorse terrene e alla creazione di condizioni di vita soddisfacenti e sostenibili e' quello di operare all'interno delle realta' locali. Localizzare l'economia deve diventare un imperativo ecologico e sociale. Si dovrebbero importare ed esportare soltanto i beni e i servizi che non possono essere prodotti localmente, adoperando le risorse e le conoscenze del luogo. Una democrazia della comunita' terrena si fonda su delle economie locali estremamente vitali, che sostengono le economie nazionali e globali. Un'economia globale democratica non distrugge e non danneggia le economie locali, non trasforma le persone in rifiuti eliminabili. Le economie che sostengono la vita rispettano la creativita' di tutti gli esseri umani e producono contesti in grado di valorizzare al massimo le diverse competenze e capacita'. Le economie che apportano la vita sono differenziate e decentralizzate.

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7. La democrazia della comunita' terrena e' una democrazia che tutela la vita.

Una democrazia che tutela la vita si fonda sul rispetto democratico di ogni forma vivente e su un comportamentodemocratico da adottare gia' a partire dalla quotidianita'. Ogni soggetto coinvolto ha il diritto di partecipare alle decisioni da prendere in merito al cibo, all'acqua, alla sanita' e all'istruzione. Una democrazia che tutela la vita cresce dal basso verso l'alto, al pari di un albero. La democrazia della comunita' terrena si fonda sulle democrazie locali, lasciando che le singole comunita' costituite nel rispetto delle differenze e delle responsabilita' ecologiche e sociali abbiano pieni poteri decisionali riguardo all'ambiente, alle risorse naturali, al sostentamento e al benessere dei loro membri. Il potere viene delegato ai livelli esecutivi piu' alti applicando il principio della sussidiarieta'. La democrazia della comunita' terrena si fonda sull'autoregolamentazione e sull'autogoverno.

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8. La democrazia della comunita' terrena si fonda su culture che valorizzano la vita.

Le culture che valorizzano la vita promuovono la pace e creano degli spazi di liberta' per consentire il culto di religioni diverse e l'espressione di diverse fedi e identita'. Tali culture lasciano che le differenze culturali si sviluppino proprio a partire dalla nostra umanita' e dai nostri comuni diritti in quanto membri della comunita' terrena.

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9. Le culture che valorizzano la vita promuovono lo sviluppo della vita stessa.

Le culture che valorizzano la vita si fondano sul riconoscimento della dignita' e sul rispetto di ogni forma di vita, degli uomini e delle donne di ogni provenienza e cultura, delle generazioni presenti e di quelle future.

Sono culture ecologiche che non producono stili di vita distruttivi o improntati al consumismo, basati sulla sovrapproduzione, sullo spreco o sullo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali. Le culture che valorizzano la vita sono molteplici, ma ispirate da un comune rispetto per il vivente. Riconoscono la compresenza di identita' diverse che condividono lo spazio comune della comunita' locale e danno voce a un sentimento di appartenenza che correla i singoli individui alla terra e a tutte le forme di vita.

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10. La democrazia della comunita' terrena promuove un sentimento di pace e solidarieta' universale.

La democrazia della comunita' terrena unisce tutti i popoli e i singoli individui sostenendo valori quali la cooperazione e l'impegno disinteressato, anziche' separarli attraverso la competizione, il conflitto, l'odio e il terrore. In alternativa a un mondo fondato sull'avidita', sulla diseguaglianza e sul consumismo sfrenato, questa democrazia si propone di globalizzare la solidarieta', la giustizia e la sostenibilita'.

 

4. APPELLI. PER SOSTENERE IL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Sostenere economicamente la segreteria nazionale del Movimento Nonviolento e' un buon modo per aiutare la nonviolenza in Italia.

Per informazioni e contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org

 

5. STRUMENTI. "AZIONE NONVIOLENTA"

 

"Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata da Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo.

Redazione, direzione, amministrazione: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org

Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 30 euro sul ccp n. 10250363 intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona.

E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'".

 

6. SEGNALAZIONI LIBRARIE

 

Riletture

- Benedetto Croce, Storia d'Europa nel secolo decimonono, Laterza, Bari 1932, Adelphi, Milano 1991, 1993, pp. 478.

- Bertrand Russell, Storia delle idee del secolo XIX, Einaudi, Torino 1950, Mondadori, Milano 1961, 1979, pp. 670.

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Riedizioni

- Edward Champlin, Nerone, Laterza, Roma-Bari, Il sole 24 ore, Milano 2010, pp. VI + 416, euro 9,90.

- Renzo De Felice, Mussolini il rivoluzionario 1883-1920, Einaudi, Torino 1965, 1995, Mondadori, Milano 2010, pp. XXXII + 774, euro 12,90 (in supplemento a vari periodci Mondadori).

- Oriana Fallaci, Intervista con la storia, Bur Rizzoli - Rcs Libri, Milano 1990, Rcs Quotidiani, Milano 2010, 2 voll. per complessive pp. XIV + 872, euro 7,99 + 7,99 (in supplemento al "Corriere della sera").

- Hans Juergen Heysenk, Leon Kamin, Intelligenti si nasce o si diventa?, Laterza, Roma-Bari 1993, Fabbri - Rcs Libri, Milano 2008, pp. XXIV + 286, euro 9,90.

- Giovanni Pascoli, Canti di Castelvecchio, Rcs Rizzoli Libri, Milano 1983, 2010, pp. 456, euro 7,50 (in supplemento al "Corriere della sera").

- Claudio Zambianchi, Monet e la pittura en plein air, E-ducation.it, Firenze 2007, 2010, pp. 324, euro 14,90 (in supplemento a "La Repubblica" e "L'espresso").

 

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

 

8. PER SAPERNE DI PIU'

 

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 395 del 5 dicembre 2010

 

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

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